Il Parroco don Mario Blasi evangelizza domenica XII tempo ordinario anno A vangelo Mt 10,26s

Domenica XII T. O. A —“Quello che vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio annunciatelo dalle tenebre”.

     discepoli di tutti i tempi sono mandati ad annunciare il messaggio di Gesù dalle tenebre alla luce del giorno e sui punti più alti della città: i tetti.

La Parola di Gesù salva, deve essere diffusa con rapidità in tutto il mondo. La sapienza di Gesù è profondamente diversa da quella degli uomini. La sapienza umana, derivante dall’esperienza, si manifesta lentamente e con incertezza. “Se il saggio, a causa della fugacità della parola, è tenuto piuttosto a tacere, il discepolo deve diffonderre la parola senza timore. Non gli è consentito trattenersi dall’esprimerla o evitare timorosamente il confronto”. Nessuno può fermare di diffondere la Parola di Gesù, in essa agisce lo Spirito di Vita che soffia quando, dove e come vuole. Solo la Parola di Gesù salva e guida l’uomo alla pienezza della vita. “La salvezza sta nel mantenersi saldi fino alla fine”.

Non abbiate dunque paura”.

Chi può ucciderre il corpo non ha il potere di uccidere l’anima. “Dinanzi alla minaccia che la società oppone, non bisogna intimorirsi. Il messaggio non può essere nascosto, e proclamarlo è il compito proprio del discepolo”. Il discepolo sa che la sua sorte è simile a quella del Maestro: dalla morte alla Risurrezione.  Lungo il corso della storia il popolo di Dio non è esente da difficoltà: è rifiutato e perseguitato. Dio però salva. La Parola di Gesù deve essere diffusa, porta l’uomo alla pienezza della vita. La Parola di Gesù trasforma la persecuzione in beatitudine.

La sofferenza non è l’ultima parola della vita degli uomini, ma la RisurrezioneDio non abbandona mai le Sue creature, per questo non bisogna avere paura. Nessuno è dimenticato da Dio.

“Non c’è motivo di vivere nel timore, perché gli uomini possono sopprimere la vita fisica, il corpo, ma non la persona”. Il discepolo di Gesù di ogni tempo deve vivere sereno perché nulla accade all’insaputa di Dio. A Dio nulla sfugge, il Suo Amore abbraccia tutti.

“Se il Padre non perde di vista nemmeno due passeri, figuriamoci i Suoi figli”. Gesù spiega chiaramente i motivi che devono sostenere i discepoli: la certezza di essere nelle mani del Padre, la certezza di condividere la  croce, ma anche la Risurrezione.

Gesù immette nel cuore la certezza che nessuno può far nulla per togliere la vita vera. Ringraziamo con cuore vero per questa certezza che il Signore ci dona.

Non abbiate timore”.

Gesù manda i Suoi discepoli ad annunziare il Regno di Dio. Essi lo devono proclamare alla luce del giorno; devono salire sui tetti, cioè sui punti più alti della città dove la voce può propagarsi al massimo. Sono mandati a diffondere la Parola di Gesù senza timore, la devono proclamare con coraggio e non devono evitare il confronto con alcuno. Non devono avere la paura nel cuore, la parola sia trasmessa con coraggio. Il rifiuto non generi timore! La cattiva volontà dell’uomo non accetta il messaggio di vita di Gesù.

La Parola può subire sconfitte nelle vicende della storia, ma Gesù esorta: “Non abbiate paura“. Egli infonde fiducia anche in virtù di un possibile martirio. Il martirio terrorizza ogni uomo, anche il discepolo di Gesù.

Il male vero, per Gesù, è dentro l’uomo: la cattiveria, l’egoismo. Il discepolo è chiamato a non temere la morte del corpo, ma la perdizione totale della persona: “Non la morte, ma la perdizione“.

La Parola di Gesù ha in sé una forza irresistibile che supera la morte del corpo e, a suo tempo, porta il frutto anche in questo mondo di tenebra.

La Parola di Gesù va accolta nel silenzio e nel raccoglimento, con amore. E’ una Parola che plasma la vita e dà gioia nel cuore; sia donata a tutti con franchezza per costruire una società giusta e fraterna.

“Voi valete più di molti passeri”.

Il discepolo di Gesù, davanti a Dio, conta moltissimo. Dio Padre, Signore del cielo e della terra, si prende cura di tutto, ma in modo particolare del discepolo di Suo Figlio.

Se la vita e la morte di un passero non sono trascurabili agli occhi di Dio, tanto più sarà preziosa la vita dei Suoi fedeli“.

Anche la morte dei fedeli è preziosa agli occhi di Dio. I veri discepoli siano liberi da ogni timore e fiduciosi nella premura del Padre. “Se cadiamo nelle mani degli uomini, sofferenza e morte ci colpiscono tramite la violenza umana, ma siamo certi che tutto viene da Dio… Siamo nelle mani di DioQuindi, non abbiate timore”.

NON TEMETE… QUELLO CHE VI DICO NELLE TENEBRE DITELO NELLA LUCE”.

Il credente in Cristo è chiamato ad essere luce, cioè vita vera; per essere luce deve accogliere nel cuore l’amore del Maestro; amore che diventa sorgente di vita per superare le prove di ogni giorno.

L’amore di Cristo accolto dona al credente gioia e una vita indistruttibile che supera la stessa morte. L’amore di Cristo ha la capacità di portare l’esistenza umana nella sfera di Dio.

“Non temete”.

Il cristiano deve portare sempre la letizia nel cuore perché il messaggio di Gesù sia rivelato gioiosamente a tutti. “Ciò che ora è nascosto nelle tenebre sarà detto alla luce del sole e rivelato pubblicamente. Ciò che ora si può appena mormorare all’orecchio (a causa dei pericoli esterni) sarà proclamato sui tetti”.

Il cristiano deve sempre avere l’amore di Cristo nel cuore e grande fiducia in Lui. Il cristiano non si deve mai abbattere nelle difficoltà anche se il risultato davanti agli uomini sembra misero o nullo. Come il sole nascente ha ragione sulla notte, così il messaggio di amore di Gesù si diffonde piano piano.

“Non temete”.

Il cristiano deve sapere che la sua vita è sempre nelle mani di Dio, è al sicuro da ogni pericolo. “Gli uomini possono accanirsi contro la vita del corpo, possono anche soffocarla, distruggerla, ma non hanno alcun potere sulla vera vita che sfugge ad ogni attacco”. L’amore di Cristo dà una vita capace di superare la soglia della morte. “La vera vita che Dio assicura in maniera definitiva non può essere diminuita né tolta dagli uomini, neppure attraverso l’annientamento della vita corporale”.

“Non temete”.

Dio è Padre. Egli veglia su tutta la Sua Creazione. Egli è Provvidenza anche per gli esseri più piccoli, anche i passeri. Voi valete più di molti passeri. In qualunque situazione si trovi, il credente deve percepire di essere amato da Dio che veglia, quando esce e quando entra, da ora e per sempre.

 

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Blasi Mario parroco evangelizza il Corpo e Sangue del Signore Giovanni 6,51ss

SS.CORPO E SANGUE DI CRISTO(Gv6,51-58)

“IN VERITA’ IN VERITA’ VI DICO: SE NON MANGIATE LA CARNE DEL FIGLIO DELL’UOMO E NON BEVETE IL SUO SANGUE, NON AVRETE IN VOI LA VITA”.

Gesù è fonte di vita e di Risurrezione.

LA VITA è in mezzo a noi! Gesù è il Dio con noi. Egli non abbandona mai il Suo fedele.

Nel Pane Eucaristico è presente la Sua realtà divina con tutta la sua ricchezza di Amore. Gesù si dona all’uomo. L’Eucaristia è il momento in cui Gesù si mette a servizio della comunità e le dona la Sua forza perché abbia la capacità di ascoltare e di vivere il Suo messaggio.

Ogni fedele, che partecipa all’Eucaristia, deve percepire l’Amore di Dio e lo deve trasmettere agli altri. L’Amore di Dio accolto lo deve far dilagare nel fratello che incontra.

Il cristiano non è colui che ama il fratello per amore di Gesù, ma è colui che con Gesù e come Lui porta il Suo Amore nel cuore di ogni uomo.

L’Eucaristia è dunque l’Amore di Dio donato all’uomo. Ogni cristiano deve partecipare all’Eucaristia per accogliere questo Amore che dona vita e gioia piena. L’Eucaristia è il momento in cui il fedele si sente amato non per i propri meriti, ma perché sente che Dio è Amore. Amore che dona una vita indistruttibile e una gioia che non viene mai meno.

L’Eucaristia è il momento in cui il cristiano ringrazia con gioia Dio perché gli dà la possibilità di partecipare alla festa del Suo Amore e del Suo perdono; è il momento in cui accoglie il dono dello Spirito Santo che aiuta a superare tutte le prove della vita e guida alla pienezza della vita senza fine.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue

dimora in me ed io in lui”.

L’Eucaristia è la dimora di Dio con gli uomini. “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio con loro” (Ap. 21,3).

L’Eucaristia è anche un cibo che nutre, sostiene e guida l’uomo verso la meta. E’ un cibo che, se assimilato, rende l’uomo simile a Cristo

(Gv 6, 51-58)
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

Il dono di Gesù agli uomini è la Sua carne! Gesù non dona il Suo Spirito di Amore al di fuori della Sua realtà umana: la Sua carne.

Con la Sua realtà umana, Gesù manifesta e comunica il Suo Spirito di bontà; rende visibile l’Amore di Dio agli uomini. “Non vi è dono dello Spirito dove non c’è dono della carne. Attraverso di essa il dono di Dio si rende concreto, storico e diventa realtà per l’uomo”.

La carne, l’umanità di Gesù, non è solo luogo in cui Dio si rende presente, ma si trasforma nel dono di Gesù al mondo, dono dell’Amore del Padre. Dio instaura con l’uomo una comunione sul piano umano in Gesù e per mezzo Suo.

Dio sempre si avvicina all’uomo e stabilisce con lui una unione profonda di amore. L’uomo, però, molte volte, è indifferente alla bontà di Dio.

Questa piccola creatura Dio la vuol portare nella Sua sfera divina. Gesù è Colui che apre il cielo all’uomo: “Vedete il cielo ormai aperto“.

Dio si rivela in Gesù nella Sua trascendenza. Dio è come Gesù. Dio si rende presente in Gesù. “Non esistono doni divini che non abbiano espressione nella carne, nella realtà umana di Gesù. Dio dona il Suo Spirito, ma lo esprime e lo comunica con la carne di Gesù.

“La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda”.

Solo Gesù rende l’uomo vero uomo: immagine di Dio nel creato.

Solo Gesù, con il Suo Amore, trasforma la realtà interiore dell’uomo.

Solo Gesù stabilisce con l’uomo comunione di vita.

“Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”.

Due sono i pani discesi dal cielo: la manna nel deserto per il popolo ebreo in cammino per la libertà e Gesù Pane disceso dal cielo per la vita del mondo.

“La manna non condusse quelli che la mangiarono fino alla terra promessa. Gesù, Pane vero, porta, a chi gli dà adesione, alla terra promessa.

Chi è vero uomo in Cristo deve essere pane spezzato per i fratelli: Amore di Dio donato!

 

“Io sono il Pane della vita”.

     La festa del Corpo e del Sangue del Signore ricorda il mistero della Sua presenza in mezzo a noi. E’ il mistero della comunione profonda di Dio con gli uomini realizzato nel Corpo e nel Sangue di Gesù “dato per noi”.

La festa del Corpo e del Sangue di Gesù ricorda il dono dello Spirito del Suo Amore attraverso la Sua realtà umana.

Due sono i verbi che Gesù adopera: mangiare e bere. Gesù deve essere assimilato. “Assimilare la carne e il sangue del Figlio è posto in costante rapporto con il dono della vita: vita eterna”. La vita eterna consiste nel rimanere in una unità profonda con Gesù.

Il Corpo di Gesù e il Suo Sangue sono detti vero cibo e vera bevanda: essi nutrono la vera vita dell’uomo in maniera perfetta.

La vera vita dell’uomo è amareLa carne e il sangue di Gesù sono dono del Suo Amore infinito agli uomini. Con la Sua carne Gesù manifesta e comunica il Suo Amore di bontà. Egli rende visibile l’Amore di Dio agli uomini: lo rende concreto e storico.

L’umanità di Gesù non è solo il luogo in cui Dio si rende presente, ma è dono per tutti: Dio instaura, per mezzo di Gesù, una comunione sul piano umano. Dio si avvicina all’uomo e stabilisce con lui una unione profonda per inserirlo nella Sua sfera divina.

Con la Sua carne, dunque, Gesù apre il Cielo agli uomini: “Vedete il cielo ormai aperto”.

Dio si rivela in Gesù nella Sua trascendenza e comunica il Suo Spirito che salva.

“Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”.

L’umanità di Gesù deve essere assimilata. “L’adesione a Gesù non si ferma all’esterno. Egli non è un modello esteriore da imitare, ma una realtà interiorizzata. Questa unione intima cambia la realtà interiore del discepolo. Produce la sintonia con Gesù e fa vivere identificati con Lui”.

Solo Gesù è l’Uomo vero: è l’immagine vera di Dio nel creato. Chi assimila Lui è anche uomo vero. Chi è vero uomo in Gesù deve essere pane spezzato per i fratelli. Deve essere amore di Dio donato.

Dio vuol creare una umanità nuova dove la vita umana sia pienamente realizzata.

Il progetto di Dio sugli uomini è: “L’amore di tutti e di ciascuno per tutti”.

Il “pane della vita” sostiene i cristiani in questo mondo inaridito da ideologie di morte

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Blasi Mario evangelizza la SS. Trinità anno A. Vangelo Giovanni 3, 16s

Il parroco don Mario Blasi domenica della SS. Trinità anno A

giovanni 3,16-18

Gv 3, 16-18)

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito”.

Dio si prende sempre cura dell’uomo. Dio gli va continuamente incontro.

L’uomo, con le sue forze, non può raggiungere Dio. “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino per amore del suo nome“.

Dio condivide la storia dell’uomo. Gesù, Buon Pastore, manifesta e rende visibile l’Amore di Dio. Egli prende sempre l’iniziativa per andare verso chi sbagliavuole che l’uomo scopra la gioia di essere amato da Dio; per questo motivo va in cerca della pecorella smarrita.

Dio è come Gesù. Dio manda nel mondo Gesù perché in Lui risplenda il Suo Amore. Amore destinato a tutti gli uomini. Solo il Suo Amore salva. “Salvarsi è passare dalla morte alla vita definitiva”. La salvezza si ottiene per mezzo di Gesù. “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”.

“Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato”.

Tutti gli uomini sono pronti davanti ad una scelta: o sono a favore di Gesù o sono contro di Lui.

L’indifferenza non è possibile. “Davanti all’offerta dell’Amore di Gesù non si può dire che sì o rifiutarsi di accettarlo. L’uomo deve prendere una decisione”. “Se di fatto vi sono degli esclusi dalla salvezza lo si deve al rifiuto dell’offerta che Dio compie in Gesù”.

“Chi dà la sua adesione a Gesù assecondando il piano di Dio, non è sottoposto al giudizio, perché Dio non agisce come un giudice, ma come datore di vitaChi si rifiuta si condanna da sé“.

Chi accetta l’Amore di Dio rivelatosi in Gesù, diventa figlio di Dio. Il cristiano, figlio di Dio, deve praticare nella vita lo stesso amore di Cristo. L’Amore di Cristo deve essere accolto e ridonato.

Il credente, con questo amore accolto e ridonato, è chiamato a continuare una umanità nuova.

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Nepi Gabriele legge l’unico documento reperito del conclave del 1846: papa Pio IX marchigiano

Conclave del 1846: le tabelle dell’elezione di Pio IX

“Il Prof. Gabriele Nepi, il quale rivela precedenti storici sul papato che si riferiscono al Conclave che portò all’ elezione di Pio IX (conclave che si svolse nei giorni 15-16 giugno 1846), nel corso del quale si ebbero soltanto quattro votazioni e fu, pertanto, uno dei più brevi della storia”.

Nonostante tutte le proibizioni, i “bruciamenti” ed i segreti con cui sono coperti i risultati di tali elezioni, abbiamo trovato le tabelle di scrutinio, che portarono all’elezione di Pio IX.

In queste tabelle sono elencati i nomi dei 62 Cardinali che allora componevano il Collegio Cardinalizio. Vi si riporta persino il numero dei Cardinali in conclave: 49; uno assente per malattia, mentre i Cardinali di Curia assenti erano 12. Le tabelle riguardano la votazione al mattino del 15 giugno 1846, quella della sera del 15 giugno, e le successive del mattino e della sera del giorno 16 che portarono all’elezione.

C’è da notare che nell’ultimo scrutinio, fra i tre scrutatori figurava anche il Cardinale Mastai che ha potuto così vedere in prima persona il “crescendo finale” della votazione che lo portò all’elezione. Fra i nomi dei cardinali, spiccano i nomi di Micara, Macchi, Lambruschini Luigi (ligure), Castracane e Mattei. Tutti questi dell’ordine dei vescovi! Dell’ordine dei preti vediamo invece: Opizzoni, Fransoni (di Torino), Barberini, Patrizi, Polidori, Della Genga, Mezzofanti (il famoso poliglotta che conosceva oltre cento lingue, lo dice G. Ricciotti in “Osservatore Romano” del 18-2-1949), De Angelis Filippo (il Cardinale Arcivescovo di Fermo), Ferretti (di Ancona), il nostro Giovanni Mastai-Ferretti, Gizzi, Gagiano de Azevedo, immortalato da Leopardi (Italo ardito a che giammai non posi).

Dell’ordine dei diaconi (ricordiamo solo i più noti): Tommaso Riario Sforza, Tommaso Bernetti, nativo di Fermo, che formò in conclave un forte gruppo e che sarà poi segretario di Stato di Pio IX, come lo fu per Gregorio XIV. E altri.

Le votazioni del primo scrutinio danno i numeri di voti al modo seguente: Cardinale Lambruschini n. 15; Mastai n. 13; Soglia 4; Falconieri n. 4; De Angelis n. 4; Fransoni n. 3; Micara n. 1; Opizzoni n. 3; Polidori n. 2; Della Genga n. 2; Mai n. 1; Orioli n. 1; Ferretti n. 1 ; Pianetti n. 1 ; Gizzi n. 2. Quindi nella prima votazione si fronteggiano il Cardinale Mastai con n. 13 e Lambruschini con n. 15.

Il secondo scrutinio del pomeriggio del 15 giugno dà i risultati seguenti: Lambruschini n. 13; Mastai n. 17; Macchi n. 4; Fransoni n. 3; Soglia n. 2; Patrizi n. 4; Alberghini n. 1; Polidori n. 2; Della Genga n. 2; Mai n. 1; Falconieri n. 4; Orioli n. 1; De Angelis n. 4; Ferretti n. 1; Acton n. 7; Altieri n. 1; Gizzi n. 2.

Terzo scrutinio del 16 abbiamo: Mastai n. 27; Lambruschini n. 11; Macchi n. 4; Ostini n. 1; Opizzoni n. 1; Patrizi n. 3; Mai n. 1; Soglia n. 2; Falconieri n. 6; Orioli n. 2; de Angelis n. 5; Ferretti n. 1; Altieri n. 1; Gizzi n. 2; Antonio Cadolini n. 1 (sono due i Cadolini: Ignazio e Antonio).

La votazione finale che ha luogo nel pomeriggio del 16 giugno, ha per scrutatori i Cardinali Amati, Mastai e Fiaschi. I risultati sono: Mastai voti n. 36; Lambruschini n. 10; Macchi n. 2; Fransoni n. 1; Patrizi n. 3; Falconieri n. 4; Orioli n. 1; De Angelis n. 6; Altieri n. 1; Gizzi n. 1. Così il Cardinale Mastai-Ferretti viene eletto Sommo Pontefice; data l’ora tarda, l’annuncio al popolo viene dato il giorno dopo dal balcone del Quirinale.

C’è da notare a questo punto che, insieme al Mastai, era in predicato per l’elezione al pontificato un altro marchigiano, il Cardinale Giovanni Soglia. Già sin dal 2 giugno 1846 nei rapporti dei vari ambasciatori ai loro governi sui nomi dei papabili si facevano i nomi di Mastai e del Cardinale Soglia, Vescovo di Osimo (Rassegna Italiana Risorgimento 1940, pag. 40).

Ma ora, l’interrogativo: come mai le tabelle di scrutinio, documento tanto segreto e tanto importante, sono finite nelle Marche e precisamente della biblioteca comunale di Macerata, dove sono custodite gelosamente? Ciò sorprende, data la scrupolosa cura ed il segreto con cui sono coperti tali atti. Forse saranno pervenute a Macerata attraverso canali sconosciuti del palazzo del Quirinale dove, come visto, si sono svolte quelle elezioni (vi si svolsero i conclavi che videro eletti Leone XII (1823), Pio VIII (1829), Gregorio XIV (1831) e il nostro Pio IX).

Dopo la presa di Roma (20-9-1870), tutti gli altri conclavi ebbero luogo in Vaticano e non è escluso che nella confisca di archivi e biblioteche di Roma (oltre 60 raccolte bibliotecarie ecclesiastiche arricchirono quella che è oggi la Biblioteca Nazionale) qualcuno, al fatto del demanio dei beni, abbia preso le tabelle, ora finite nella biblioteca di Macerata. Non sappiamo nulla di certo! Queste sono soltanto ipotesi. Sappiamo però che questo è il solo ed unico documento del conclave del 1846, esistente fuori dal Vaticano dove (sono parole di P. Martina il più profondo conoscitore della vita di Pio IX) non si ritrova la relazione ufficiale del conclave del 1846. Alberto Serafini autore di una voluminosa vita su Pio IX, asserisce che fortunatamente si conserva un resoconto almeno (questo ns.) del conclave… in cui riuscì eletto Pio IX.

Non escludiamo la possibilità che vi possano essere in qualche parte altri documenti, simili al nostro. Tuttavia è certo che Macerata ha l’alto onore di possedere questo documento importantissimo, che registra le fasi che portarono al soglio di Pietro, Giovanni Maria Mastai Ferretti, il Papa che dal 1846 al 1878 ha avuto il pontificato più lungo di tutti i Pontefici.

Due fermani protagonisti nel conclave che elesse Pio IX

Il 116 ottobre ricorreva l’anniversario dell’elezione al pontificato di Papa Woityla. Un altro Papa fu eletto il 16 di un mese, era il 16 giugno1846 e il Papa si chiamava Pio IX. Nella vicenda dell’elezione furono protagonisti due fermani: uno “purosangue”: il Cardinale Tommaso Bernetti; uno di adozione: il Cardinale Filippo de Angelis, Arcivescovo di Fermo. Come si ricorderà, Pio IX fu uno dei personaggi di spicco del­la storia del Risorgimento. Nato a Senigallia, dopo vari importanti in­carichi, divenne Vescovo di Imola e cardinale.

Morto Gregorio XVI (spirato il le giugno 1846), il Cardinale Ma- stai Ferretti parte per il conclave la sera dell’8 e giunge a Roma il 12. Il mattino del 15 giugno, iniziano le votazioni; subito si delinea una con­trapposta bipolarità: su 52 Cardinali presenti, spiccano due nomi: il Car­dinale Luigi Lambruschini (da non confondere con l’omonimo pedago­gista), genovese ed il “nostro” Cardinale Giovanni Mastai Ferretti. Quattro le votazioni. Nella prima Lambruschini riporta 15 voti; Mastai 13.

Entra allora in scena il Cardinale Tommaso Bernetti, che capeggia una corrente a favore di Mastai Ferretti. Seconda votazione: Lambru­schini ha 13 voti; Mastai Ferretti 17; terza votazione: Lambruschini ot­tiene 11 voti; Mastai Ferretti 27; quarta: Lambruschini scende a 10 vo­ti; Mastai Ferretti sale a 36; ha raggiunto i 2/3: è lui il Papa! Tutto ciò avviene non in Vaticano ma al Quirinale, dove in anni precedenti erano stati eletti altri Papi: Leone XII (1823-1829), conclave durato 18 gior­ni; Pio Vili (1829-1830), conclave durato 36 giorni; Gregorio XVI (1831-1846), conclave durato 50 giorni! Sono tutti Papi marchigiani, eccetto Gregorio XVI.

Come si vede, il conclave di Pio IX fu il più breve: durò soltanto due giorni. Ma in tutta questa vicenda, emerge un protagonista finora sconosciuto: il Cardinale Filippo De Angelis. Dalle tabelle di scrutinio di tale conclave, che grazie ad un colpo di fortuna abbiamo trovato, si può rilevare (anche se le schede vengono bruciate) la “vittoria ’ di tale Cardinale. Egli, nella prima votazione, ottenne 3 voti; nella seconda 4; nella terza 5; nella quarta 6. E il terzo della graduatoria, venendo dopo il neo Pontefice Pio IX che ottiene voti 36 e dopo Lambruschini che ha voti 10. In seguito, De Angelis (che era nato ad Ascoli nel 1792) verrà perseguitato dal governo piemontese per la sua opposizione all’invasio­ne dello Stato Pontificio; per odio a lui, Vittorio Emanuele II toglierà a Fermo la provincia. Nel 1870, sarà presidente del Concilio Ecumenico Vaticano I. Il terzo posto del De Angelis, denota la stima di cui era circondato.

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Gabriele Nepi da un documento vaticano anno 1355 ribelli scomunicati

Un processo agli Ascolani celebrato a Fermo il 31 ottobre 1355 e la scomunica ai cittadini di Ascoli Piceno

Oltre sei secoli or sono, Ascoli fu scomunicata per aver eletto il suo Podestà senza il permesso del governo pontificio. Si era al tempo di Papa Innocenzo VI, precisamente nel 1355, gli Ascolani, contravvenendo ai loro doveri di sottomissione al governo romano, elessero Galeotto Malatesta da Rimini a loro “signore, governatore e difensore e non solo della città ma di tutto il circondario” o, come si chiamava allora, del “distretto”.

Anzi, nei carteggi del processo, si lamenta che quei “birichini” degli Ascolani fecero lega con gli altri ribelli e nemici della Santa Chiesa, invadendo terre e castelli da veri traditori e si erano alleati con i Malatesta, con Francesco degli Ordelaffi (condannato come eretico) assieme a Gentile da Mogliano.

Vani furono gli sforzi del Rettore della Marca. I nostri non vollero ubbidire. Allora si tenne il processo che ebbe luogo a Fermo il 31 ottobre del 1355. Nel carteggio che abbiamo trovato nell’Archivio Vaticano, si legge che tali ribelli, entro il sei novembre, dovevano presentarsi a chiedere perdono del loro operato. Si sperava ancora in una loro resipiscenza e nello stesso tempo si ingiungeva di abbandonare le terre della Santa Sede abusivamente occupate; se avessero perseverato nell’errore, si sarebbe provveduto alla confisca dei loro beni. Il documento nomina ben 81 famiglie ascolane come più avanti indicato. Nel frattempo, cioè fra il 31 ottobre ed il 6 novembre, Ismeduccio da San Severino (Marche) e Petrello da Mogliano chiedono perdono e si presentano a Fermo nel palazzo di abitazione del legato papale, ma gli ascolani tennero duro.

Il 25 novembre 1355 viene fulminata la scomunica “al consiglio”, al gonfaloniere, ai consoli, agli anziani, agli ufficiali, al popolo ed al Comune di Ascoli ed alle persone colpevoli di ribellione alla Chiesa”.

Fra gli scomunicati c’è Niccolò di Bongiovanni, Cavaliere, e Cola e Zuccio Rossini. Inoltre:

Luca Tommasi   Giacomo Luzi   Ciccolo Nuzi   Giacobuccio Giacobbi   Domenico Tommasi     Vanne Corraduzzi   Ziuccio Francisci   Petruccio Marini   Vanne Bonagiunta   Cervuccio Servidei   Antoniuccio Bongiovanni   Angelo Bonagioanni   Nicoluccio Medico   Petruccio di Rocca   Corrado Rainaldi   Coluccio di Vanni Saladini   Nuzio di Giovanni Bernardi   Giovanni Martelli   Corrado Jacobucci   Giovanni Zocchi   Lucio ed Emidio di Nicola di Montecalvo   Giulio e Nicola Dominici   Giovanni e Lino Jacobucci di Rocca   Cavuccio Ventura   Necco e Vanni Giacomucci   Agresta Simeoni   Lippo Ansovelli   Giovanni di Mastro Luce   Vannino Vanni   Chierico Federici   Giovanni Salvi   Simeone Afresta    Giovanni Vinnibene   Agresta Simeoni   Massio Cini   Giovanni di Mastro Luce   Meo Petri   Chierico Federici   Filippo Jacobi   Simeone Agresta   Coluzzio Sanzio   Massio Francisci   Nicola Timidei   Vannetto Bongiovanni   Manno Salvucci   Maramomte Guglielmi   Angeluccio Giovannucci   Concizzio Massei   Nicola Giovannangeli   ed altre particolari persone della città di Ascoli nella Marca Anconitana

Questo avveniva molti secoli or sono, allorché era legato della Sede Apostolica per le Province e le terre della Chiesa Romana, il Cardinal Egidio <Albornoz>del titolo di S. Clemente il quale fu tutt’altro che clemente “verso la città, consiglio, anziani, consoli e popolo tutto della città e “distretto di Ascoli”.

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Gabriele Nepi accoglie notizie dai documenti d’archivio per la storia dello Stato di Fermo: Fedeltà con l’Albronox 1355

Nepi Gabriele stiografia fermana. 22 settembre 1355.

Fermo viene assolta…

Il 22 settembre 1355 è una data memoranda per Fermo e il Fermano. Da questa città, il cardinale Egidio Albornoz, mandato dal Papa che stava in Avignone, convoca i sessanta Comuni che facevano parte dello Stato di Fermo. Vi erano a sud anche comuni dell’Ascolano come San Benedetto, Acquaviva, e altri del Maceratese come Mogliano, Gualdo, Petriolo, Sant’Angelo in Pontano, a nord.

Dopo superate le esperienze di Gentile da Mogliano signore di Fermo ribelle al governo pontificio, il  giorno precedente, 21 si era attuata la sottomissione di Fermo e del suo Stato, per mezzo di Spinuccio di Francesco, delegato dal Comune, e l’Albornoz assolve Fermo da tutte le censure in cui era incorsa per la sua ribellione alla Chiesa..

Interessantissimo il documento della sottomissione conservato nell’Archivio Vaticano, ma non meno interessante l’altro dell’assoluzione.

Il Cardinale Albornoz, come vediamo, prediligeva Fermo e trasferì qui da Macerata la Curia Generale della Marca, nonostante le rimostranze dei Maceratesi.

La ribellione di Fermo e dei castelli era causata dal fatto che volevano essere indipendenti, ciascuno per proprio conto.

Il Papa era lontano, in Avignone, e loro non volevano soggiacere ad alcune autorità. Fermo e il suo Stato furono definiti dall’Albornoz volubilis ut rota et labilis ut anguilla facile latino che indica Fermo “volubile come ruota e labile come anguilla”.

Leggendo i documenti di quel 22 settembre, si rileva che essi impongono ai 60 Comuni di prestare giuramento alla Sede Apostolica ed al Comune di Fermo; di obbedire alle sue leggi; di pagare le tasse dovute. Da quello di assoluzione si evince che l’autorità romana non voleva scherzare.

Contro la città e il contado erano state attuate sanzioni economiche e giuridiche. Fermo era stata privata del dominio delle rocche e castelli dipendenti, dei diritti e privilegi; addirittura colpita dall’interdetto.

Ma l’Albornoz, lieto del ritorno di Fermo e del suo contado alla Sede Apostolica, restituisce rocche, castelli, privilegi, diritti, esenzioni, beni, e loda la “pecorella che ritorna all’ovile” ma precisa a tutte lettere che se dovesse nuovamente ribellarsi, ricadrebbe ipso facto cioè immediatamente nelle sanzioni precedenti (compreso l’interdetto) da cui era stata assolta il 22 settembre 1355.

 

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Nepi Gabriele accoglie notizie dai documenti di Fermo dell’anno 1389 per San Benedetto del Trono

Fermo nella storiografia. Gabriele Nepi.

Fermo manda sentinelle a vigilare la Rocca di S. Benedetto del Tronto

Non sembra, ma sono passati più di 6 secoli! Fermo, che aveva San Benedetto del Tronto sotto il governo dei suo Stato. Il 29 settembre 1389 manda dei soldati in quella località, per la vigilanza della rocca e del castello tutto. Tale rocca, con Monte Falcone Appennino, Smerillo, Moresco, Porto San Giorgio, Gualdo e S. Angelo in Pontano (questi due ultimi ora in Provincia di Macerata) costituiva la difesa turrita dello Stato Fermano.

Non è facile né semplice poter trovare un documento di oltre sei secoli come il nostro, dal momento che il castello di San Benedetto è stata tappa obbligata di passaggi di eserciti, devastazioni, incendi, assedi, e tant’altro. Tale atto risulta in archivio in un registro detto bastardello di verbali del Comune di Fermo, risalente al secolo XIV.

Gli statuti fermani stabilivano che il castellano e i militi preposti alla vigilanza ed alla difesa, dovevano dimorare e rimanere nella rocca giorno e notte e potevano addirittura portare con sé la propria famiglia e una scorta di provviste bastanti tre mesi, per far fronte ad eventuali assedi.

Diciassette furono i militi mandati da Fermo, quali sentinelle della costa sambenedettese.Erano: Nicoluccio Nicolai, Cola Camannucci, Ciccone Gentile, Antonio Nicoluzzi, Massio di Pietro Matteo, Vanne Marini, Bartolomeo Puctii, Giacomo Beneditti, Cola Carfangi, Vanne Benvenuti, Angeluccio Iacobucci, Angelo Dominici, Cicco Iacobucci, Paluzio Cappella, Nicola Gualtierucci, Mingiuzio Antoni.

A loro gli onori militari per l’assidua missione di vigilanza contro le incursioni interne ed esterne, specie per quelle provenienti dal mare!

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Notizie storiche raccolte da Nepi Gabriele per la storia dello Stato Fermano: Montappone 1355

NEPI Gabriele storiografia di Fermo. La figlia di Mercenario da Monteverde, santa Caterina da Siena, il cardinale Egidio Albornoz

Le implorazioni di Mitarella

Oggi vediamo due personaggi famosi che si interessano le vicende storiche di Fermo e del Fermano. Sono: santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, patrona d’Italia, nata a Siena nel 1347, morta a Roma nel 1380 e il Cardinale Egidio Alvarez Carrillo de Albornoz, spagnolo, nato nel 1310, morto a Viterbo nel 1367. Dal Papa Innocenzo VI, che si trovava in Avignone, era stato mandato nello Stato romano e nelle Marche per riconquistarle e riportarle al dominio della santa Sede. Con senno e con tatto, in poco tempo, quasi senza colpo ferire, riconquistò tutto lo Stato e, quando il Papa su sollecitazione di Caterina da Siena tornò a Roma, egli lo incontrò a Tarquinia e gli consegnò un carro carico delle chiavi della città e castelli, tornati sotto il dominio della Sede Apostolica.

Per suo merito, lo Stato pontificio si resse sulle ‘Constitutiones Aegidianae’ che furono l’ossatura, lo statuto rimasto in vigore fino alla invasione militare dei Savoia e la caduta del potere temporale nel 1860.

  1. Caterina da Siena si interessò di Mitarella da Monteverde, figlia di Mercenario, famoso nella storia di Fermo. Mitarella si era sposata con Vico da Fermo, signore di Mogliano. Questi, nel 1375, fu eletto podestà della Repubblica di Siena. Nel periodo in cui fu in carica, punì con la morte cinque giovani gentiluomini che erano entrati di notte in un monastero femminile suburbano. Le famiglie inscenarono un moto popolare contro di lui.

Mitarella, trepidante per la sorte del marito, si rivolge a S. Caterina chiedendo aiuto “per lo caso occorso al senatore” (cioè al marito). Caterina, risponde esortando ad avere fede in Cristo e confortando la nostra Mitarella.

L’altro personaggio, Albornoz, invece, accorda a Mitarella la licenza di ricostruire il suo castello di Montappone, nello stesso luogo dove sorgeva, allorché fu distrutto da Gentile da Mogliano. Nota però il cardinale, nelle lettere di concessione, che per costruire un’altra fortezza è necessario il permesso della santa Sede. Tale atto, emanato a Gubbio porta la data del 30 maggio 1355.

 

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Gabriele Nepi notizie storiche di Fermo anno 1356 Gentile da Mogliano vuol distruggere Fermo l’abbazia di S. Croce all’Ete e Chienti

Storiografia dello Stato di Fermo – notizie di Gabriele Nepi

Gentile da Mogliano ordinò “Sia distrutta S. Croce”  1356

In questi giorni sui vari quotidiani rimbalza ripetutamente il nome della Basilica di Santa Croce, sita in territorio di S. Elpidio a Mare, non molto distante dalla statale Adriatica. In nostri precedenti articoli abbiamo parlato della sua inaugurazione (14 settembre 886) presenti i Vescovi dell’allora Ducato di Spoleto (in tutto 19); abbiamo parlato del privilegio ad essa concesso dall’imperatore Federico II di Svevia e di altre vicende ad essa relative. Accenniamo al suo incendio e alla sua dissacrazione da parte di Gentile da Mogliano e delle sue soldatesche. Gentile, signore di Fermo, dopo aver espugnato il porto di Ascoli (Anno Domini 1348) costruito in dispregio di diritti della città di Fermo sul litorale dal Tronto al Potenza (concessi dal privilegio di Ottone IV del 1 dicembre 1211), ebbe vita avventurosa e raminga perché, messosi in urto col legato pontificio card. Albornoz, venne scomunicato; la scomunica allora aveva effetti “devastanti” sul potere di chi ne era colpito. Allora, istigato da spirito diabolico, passò al contrattacco e se la prese proprio con Fermo e con la Basilica monastica di S. Croce.

Nel marzo 1356 saccheggiò Fermo uccidendo, bruciando e facendo bottino e si stabilì nel Castello della città con alcuni amici fermani. Il rettore di Fermo, Pietro di Enrico incaricato dal card. Egidio Albornoz condannò Gentile e i famigliari alla pena.

Di seguito, con armi di offesa e di difesa, piombarono sulla chiesa e monastero di Santa Croce sito nel territorio di Sant’Elpidio, penetrarono violentemente nella chiesa e nelle abitazioni, rubarono tutti i beni esistenti in detto monastero, asportarono gli animali appartenenti alla mensa vescovile, presero prigionieri i famigliari del vescovo, i laici ed i chierici che vi si trovavano. Alcuni di essi vennero cacciati, altri feriti; si impadronirono delle croci, dei paramenti, dei calici, dei sacri ornamenti dell’altare, di buoi, pecore, maiali, giumenti, somari (dice il documento), grano, vino, vettovaglie e suppellettili del vescovo stimati duemila fiorini d’oro. Asportarono, esportarono, derubarono, depredarono e convertirono a loro utilità. Gentile era soprattutto un ladro.

Il primo dicembre dello stesso anno 1356, Gentile da Mogliano e Ruggero suo figlio in contumacia furono condannati alla forca, confisca dei beni e altre pene. Persero i diritti civili e i vassalli furono sciolti dalla fedeltà. Chi inflisse la condanna si chiamava Angelo Paradiso ed era il giudice generale della Marca d’Ancona. I beni furono venduti dalla Camera apostolica. Non si sa dovee neppure quando morì perché non è stata tramandata alcuna notizia su ciò.

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NEPI Gabriele racconta la storia di Federico II imperatore nel 1240 a Fermo

Gabriele Nepi nella storiografia per lo Stato di Fermo negli anni 1219, 1240, 1250 con Federico II a Fermo

1219; 1250

Federico II e Sant’Elpidio – In due diplomi l’imperatore concesse privilegi.

Guardandoli sullo scenario della storia medievale italiana ed europea, molti imperatori ci sembrano quasi “divi”, lontani dalla nostra vita, dalle nostre località, tanto più che molti di loro sono stati già immortalati nelle memorie e cronache di storia.

Ma Federico II (è di lui che vogliamo parlare) ebbe a che fare con le Marche meridionali, cosa questa non posta in adeguato rilievo dagli storiografi.

Sappiamo che egli ebbe a che vedersela con Papi, tra cui Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, buscandosi diverse scomuniche, arrivando a far assalire in mare i Cardinali che si recavano al Concilio a Roma. Ci è noto anche che ebbe a che fare con i Comuni della seconda Lega Lombarda; risulta che si sposò due volte e che le due mogli sono entrambe sepolte nella Cattedrale di Andria.

Lo conosciamo come fondatore della Scuola Siciliana, autore di un manuale sulla caccia degli uccelli, fondatore della città de L’Aquila, dell’Università di Napoli, padre di Manfredi ed “accecatore” di Pier delle Vigne.

Ma pochi, come detto, mettono in risalto i suoi legami con il Piceno. Peraltro Federico II è ricordato nato nelle Marche, a Jesi, la notte tra Natale e santo Stefano del 1194 (non concesse comunque privilegi speciali a Jesi).

L’imperatore ebbe a che fare con Ascoli che assediò nel luglio del 1240 (non 1242 come tanti storici affermano); fu in territorio di S. Benedetto del Tronto, cioè a Monte Cretaccio, dove ricevette sotto la sua protezione la città piemontese di Alessandria, fiera nemica dei suoi avi, e fu anche a Fermo fra l’agosto e il settembre 1240.

Ma Federico II, lo ‘stupor mundi’ si interessò anche di Sant’Elpidio a Mare. Prese infatti sotto l’imperiale protezione l’abazia di Santa Croce al Chienti (S. Crucis in Clente) e l’abate di quel tempo di nome Corrado.

A tale abazia donò molti beni tra cui Silvaplana, ampi terreni all’epoca forse incolti, al di qua e al di là del Chienti, concedendo ai frati di utilizzare a loro piacimento l’acqua di tale fiume. Questo avvenne il 12 dicembre del 1219, e la bolla fu emessa da Capua, luogo natale del fido suo segretario Pier delle Vigne.

Federico II emanò un altro documento sempre relativo a Sant’Elpidio a Mare, stavolta da Venosa, nell’ottobre del 1250. Ne diamo la nostra traduzione dal latino: “Federico per grazia di Dio Imperatore sempre augusto, Re della Sicilia e di Gerusalemme. Attraverso questo privilegio rendiamo noto a tutti i nostri fedeli sudditi, presenti e futuri che il Comune del nostro fedele castello di Sant’Elpidio aveva rivolto istanza alla Nostra Maestà, per la conferma di alcuni patti e convenzioni che, a suo tempo, gli aveva fatto il nostro Vicario Generale nella Marca di Ancona Gualtiero di Palearia conte di Manoppello. Tali patti, scritti dal predetto conte Gualtiero portano la sua firma ed il suo sigillo. Noi, in considerazione della grande fedeltà e sincera devozione che nutre verso di Noi il Comune di Sant’Elpidio, e poiché sia detto Comune che i singoli suoi cittadini hanno finora reso graditi servizi sia a Noi sia all’Impero, ed altrettanto potranno fare in futuro, li confermiamo graziosamente (de nostra gratia)”.

Dopo alcune formule giuridiche proprie dei privilegi imperiali, continua: “Noi conserveremo e difenderemo il castello di Sant’Elpidio con i suoi beni, i possessi e le tenute che ha, nelle persone e nelle cose sia dentro che fuori le mura, come accadde ai tempi dei nostri predecessori. Noi difenderemo sia i laici che i chierici di tale castello e distretto, e ciò finché rimarranno a noi fedeli”.

Federico effettua altre concessioni tutte relative al bene, alla prosperità ed alla crescita del castello di Sant’Elpidio. Infine chiude minacciando pene severe a chi osasse opporsi a tali concessioni: “di nostra autorità disponiamo che nessuno presuma di impedire quanto da noi deciso. Chi lo facesse, sappia che incorrerà nel nostro sdegno (indignationem nostram se noverit incursurum)”.

Il privilegio concesso da Federico II imperatore nell’anno 1240

Parlare di personaggi “conosciuti” ed “incontrati” a scuola potrebbe sembrare anacronistico. Tuttavia, non possiamo passare sotto silenzio Federico II imperatore, (nipote del Barbarossa) nel 1240 a fine agosto era accampato a Fermo, e non proprio in ferie!

Proveniente dall’assedio di Ascoli, dopo una lunga sosta a Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto (dove aveva accolto sotto la sua protezione imperiale la città di Alessandria che aveva dato tanto filo da torcere a suo nonno, Federico Barbarossa), si era accampato a Fermo, in attesa di proseguimento verso la Romagna, pieno di “furor bellico”. Era accompagnato dal suo esercito e dalla Curia imperiale, nella quale spiccava Pier delle Vigne, non ancora “eternato” da Dante nella Commedia. Vi erano anche Taddeo da Suessa, giudice della Gran Curia, l’Arcivescovo di Palermo, Bernardo, il figlio del Re di Castiglia ecc.

Federico II, a Fermo, emanò una bolla a favore di Napoleone Monaldeschi, cittadino fermano, confermandogli privilegio concessogli in precedenza; ora glielo conferma in veste di imperatore (imperiali munificientia duximus confirmanda).

Se pensiamo che la conferma al Monaldeschi venne fatta in un periodo di preparazione bellica da parte di Federico e del suo esercito, la cosa appare di alta importanza e di alta considerazione per Fermo ed il suo cittadino. L’imperatore tiene molto a questa conferma e nel privilegio ordina: … “nessuno, sia esso delegato, duca, conte, marchese, podestà, rettore, console, nessuna altra autorità, alta o piccola, osi contraddire a tale nostro decreto”. E come se ciò non bastasse, incalza: “nessuna personalità civile o religiosa osi opporsi a quanto abbiamo stabilito” chi lo facesse “sarà multato con 60 libbre di oro e sappia di essere incorso nell’indignazione imperiale”. Il sigillo della maestà imperiale chiude la bolla, dando maggiore autorevolezza al documento.

Tutto ciò avveniva nel 1240, fine agosto, “regnando Federico imperatore per grazia di Dio Re di Gerusalemme e di Sicilia, quindicesimo del regno di Gerusalemme, alla presenza di molti testimoni, “tra cui il nominato Pier delle Vigne” negli accampamenti davanti alla città Fermana. Felicemente, così sia”.

Federico, dopo la conferma, si trattenne ancora un po’ di tempo a Fermo e quindi si diresse alla volta della Romagna. Nel tragitto, “commise tali e tante devastazioni ed efferatezze, che al paragone impallidivano le atrocità perpetrate dai barbari nella loro calata in Italia”. Così Flavio Biondo (1392-1463) insigne umanista e storico di Forlì, nella sua poderosa Historia, Storia della caduta dell’impero romano. Come si vede, la sosta a Fermo durata fino ai primi di settembre di quel lontano 1240 costituì una pausa di pace, prima che il “foco ed il furor d’Odino” s’avventassero, distruttori, su “Romagna solatìa”.

 

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