Arcivescovo Fermano mons. Cleto Bellucci rifonda l’archivio arcivescovile aiutato da don Emilio Tassi

CLETO BELLUCCI Arcivescovo Metropolita rofonda l’Archivio storico diocesano ed è ricordato nella rivista Quaderni dell’archivio storico arcivescovile di Fermo dal Direttore don Emilio Tassi

Sarebbe veramente imperdonabile se sulle pagine della nostra rivista Quaderni dell Archivio storico arcivescovile di Fermo non venisse ricor­dato il nostro Arcivescovo mons. Cleto Bellucci per esprimere a lui la nostra filiale gratitudine e il sincero rimpianto per la sua scomparsa.

<Come Direttore> il mio compito  è quello di illustrare la decisi­va, appassionata ed intelligente opera da lui svolta per la riorganizzazio­ne, la rivitalizzazione, la fruizione dell’archivio storico diocesano e per la valorizzazione dei numerosi piccoli archivi ecclesiastici esistenti nelle strutture della vasta arcidiocesi fermana.

Potrei farlo affidandomi ai ricordi che abbracciano un periodo di quasi quaranta anni, tale infatti è l’arco di tempo nel quale ho avuto il privile­gio di aver diretto l’archivio diocesano da quando lui stesso mi pregò di assumere questo impegno nel lontano 1972, appena due anni dopo la sua venuta a Fermo.

Preferisco invece affidarmi a precisi documenti da lui redatti dai quali emerge con chiarezza l’immagine che mons. Bellucci intendeva dare all’archivio diocesano e al ruolo culturale ed ecclesiale che egli intendeva affidargli.

Breve cenno biografico.

Cleto Bellucci nasce ad Ancona il 23 aprile 1921 ; compie i suoi studi ginnasiali nel seminario diocesano della città e quelli filosofici e teologici nel pontificio Seminario regionale “Pio XI” di Fano. Riceve l’ordinazione presbiterale nel 1946 per le mani di mons. Egidio

Bignamini, arcivescovo di Ancona; è nominato, ancora diacono, vice Ret­tore del Seminario regionale di Fano e vi resta fino al 1956; vi insegna Sto­ria dell’arte e per breve tempo anche Storia della Chiesa.

Dalla sacra Congregazione dei Seminari viene nominato Rettore del pontificio Seminario regionale di Chieti nel 1956, restandovi fino al 1969.

Nello stesso anno viene eletto vescovo titolare di Melzi e destinato come Ausiliare dell’arcivescovo mons. Motolese da cui viene inviato nel­la sede di Castellaneta, diocesi unita all’arcidiocesi di Taranto.

Poco più di un anno dopo, il 21 luglio 1970, viene trasferito a Fermo con la nomina di Amministratore Apostolico “sede piena” dell’arcidiocesi e contemporaneamente Coadiutore con diritto di successione del venerato arcivescovo mons. Norberto Perini.

Il 27 settembre dello stesso anno fa il suo solenne ingresso nella chie­sa metropolitana di Fermo e inizia il suo servizio episcopale nella diocesi in perfetta unione fraterna con mons. Perini.

Il 21 giugno 1976, a seguito della rinuncia presentata da Perini, assu­me la piena successione, continuando a vivere in stretta fraternità con l’anziano arcivescovo, divenendo così arcivescovo metropolita di Fermo.

Il 18 giugno 1997, dopo 27 anni di governo episcopale fermano, Gio­vanni Paolo II accoglie la sua rinuncia alla sede fermana e si ritira a Tor­re di Palme continuando a prestare il suo servizio alla diocesi. Si mantie­ne in contatto con tutti i sacerdoti che egli segue con la preghiera, con il consiglio e con l’affetto paterno. Muore a Torre di Palme il 07/03/2013; la sua salma viene sepolta nella cripta della Basilica metropolitana di Fermo.[1]

Mons. Cleto Bellucci e l’Archivio diocesano

In occasione della sua rinuncia alla sede arcivescovile di Fermo questa rivista in ringraziamento all’arcivescovo emerito ha pubblicato un breve intervento per descrivere in particolare l’impegno da lui profuso nella si­stemazione e nell’ampliamento della sede dell’archivio diocesano al fine di consentire che il copioso e importante materiale documentario riceves­se immediatamente una idonea ed efficiente sistemazione e ne fosse ga­rantita una più sicura custodia nella speranza di creare le premesse per realizzarne la fruizione da parte degli studiosi.[2]

Mons. Bellucci individuò nel seminterrato del vasto palazzo arcive­scovile alcuni locali da tempo abbandonati ed inutilizzati che facilmente potevano essere messi in comunicazione con l’unico locale fino ad allora esistente, assolutamente inadatto e con un accesso inadeguato. I lavori ebbero inizio nell’anno 1981 e nel 1985 fu inaugurata la nuova sede dell’archivio.

A questo punto non c’è di meglio che proporre una relazione scritta dallo stesso arcivescovo nella quale con esattezza egli racconta quanto realizzato:

«Quando il Santo Padre Paolo VI mi inviò qui a Fermo, mi resi conto della necessità di porre mano al consolidamento delle strutture del Palaz­zo arcivescovile che versava in gravi condizioni di deterioramento. Feci subito ridisegnare le piante e lo spaccato dell’edificio per individuare le priorità degli interventi.

Nel visitare l’archivio poi mi si evidenziarono le carenze esistenti; non c’era più lo spazio per collocare le cartelle, non esisteva che un accesso molto scomodo dal piano della curia, non c’era alcuna possibilità di con­sultazione del materiale documentario, mancando ogni comodità e ogni attrezzatura tecnica.

Analizzando la pianta e visitando gli ambienti, mi sembrò possibile collegare la spazio adibito ad archivio dall’arcivescovo Alessandro Bor­gia e dal cardinale Parracciani con ambienti contigui e sottostanti.

Furono necessarie opere di bonifica, di sabbiatura, di livellazione dei piani, di costruzione di una nuova scala per collegare i nuovi spazi con gli antichi, di sistemazione di un nuovo ingresso in via Anton di Niccolò al fine di rendere accessibile l’archivio dall’esterno e mettere quindi a di­sposizione di un più vasto pubblico il materiale archivistico.

Nel corso dei lavori si rese necessario la sostituzione di tutta la trava­tura della sala Borgia. Dopo le opere murarie si evidenziò la necessità di restaurare gli armadi settecenteschi approntati dal Borgia e dal Paraccia- ni, di consolidare e restaurare il ballatoio creato nella sala Borgia, la co­pertura delle travi in ferro creando un soffitto a cassettoni.

Fu acquistata anche una adeguata scaffalatura metallica da collocare nei nuovi locali che vennero dotati di una illuminazione adatta; il com­plesso fu anche dotato di un impianto per il rilevamento di incendio e di un sistema di allarme antifurto.

Attualmente l’archivio si presenta sufficientemente ampio e fornito di una accogliente sala di consultazione e con ampi spazi per ulteriore rac­colta di fondi archivistici.

Debbo particolarmente ringraziare il Presidente e il Consiglio di am­ministrazione della Fondazione Carifermo per la sensibilità dimostrata nei confronti di questa realtà culturale. E’ anche con il loro contributo che è stato possibile realizzare questa opera che penso onori e arricchisca la Città e il territorio.

Ho affrontato questa impresa, non scevra di preoccupazioni, con il de­siderio di mettere a disposizione degli studiosi il notevolissimo materiale documentario conservato nel nostro archivio diocesano.

Sto adoperandomi attivamente per raccogliere nella nuova sede anche altri fondi archivistici come quello importantissimo e ricchissimo appar­tenente al Capitolo Metropolitano, quelli delle Parrocchie della città e delle Confraternite cittadine che mostrano l’interesse e sentono la neces­sità di mettere al sicuro e a disposizione degli studiosi i loro documenti storici.

Sono convinto che la Fermo di oggi debba costantemente arricchirsi con la conoscenza della sua storia, non per trame compiacimento e inuti­le orgoglio, ma per sentirsi nutrita dalla linfa delle sue radici, essere con­sapevole della sua vocazione storica, essere ancora a servizio di unità e di sviluppo culturale e sociale per il territorio di cui è stata ed è il centro propulsore.

Ma già il mio pensiero è rivolto al completamento degli ambienti e delle attrezzature per il Museo diocesano d’arte sacra. L’arte e la cultura infatti sono le dimensioni storiche di questa nostra terra. »

Nel giro di pochi anni peraltro si rese evidente la necessità di un amplia­mento dello spazio destinato all’archivio. Fu così che nel 1992 mons. Beliucci fece iniziare i lavori di ristrutturazione e di restauro di in vasto locale attiguo alla sala di studio, seppure su un piano superiore rispetto ad essa, e continuo agli scantinati del palazzo da destinare ad accogliere il materiale documentario storico delle parrocchie e delle confraternite del­la città; il nuovo settore fu inaugurato nel 1996 in occasione del primo decennio di vita della nostra Rivista.

Tutto ciò è stato fortemente voluto, personalmente seguito, diretto e realizzato dal nostro arcivescovo mons. Cleto Bellucci.

L’interessamento dell’arcivescovo tuttavia non si è limitato al settore della creazione di nuove strutture, ma ha riguardato anche l’attività che si svolgeva nelle iniziative che si andavano assumendo nel lavoro dell’archivio. Va ascritto a suo merito quello di aver fatto sentire costan­temente la sua affettuosa vicinanza nel faticoso lavoro di trasferimento, risistemazione e riordino del copioso materiale documentario, di aver ac­compagnato col suo illuminato consiglio tutti i collaboratori nei non rari momenti di incertezza, di aver fornito i necessari strumenti e il concreto aiuto per facilitarne l’attività.

Su un altro piano ben più importante e qualificante si è sviluppato l’interessamento di mons. Bellucci: quello di mettere ordine, sia sotto l’aspetto giuridico che su quello operativo, nella tenuta, nella conser­vazione e nella valorizzazione degli archivi parrocchiali e degli altri enti religiosi.

Su questo particolare aspetto è necessario citare due suoi importanti e significativi interventi: il primo si riferisce alla ordinata tenuta, con­servazione e valorizzazione dei “piccoli” archivi ecclesiastici della arcidiocesi 4; il secondo riguarda l’emanazione di norme generali sugli archivi parrocchiali e in particolare sul trasferimento degli archivi delle parrocchie soppresse che dovevano essere aggregati a quelli delle sedi delle parrocchie principali.5

Rilevante appare anche il suo costante e discreto intervento presso le altre istituzioni colturali e presso gli organi statali di controllo degli ar­chivi pubblici non statali al fine di sollecitare momenti di utile collabora­zione. Contemporaneamente ha raccomandato sempre di tenere stretti rapporti con i competenti organismi sia della Sede Apostolica sia della Conferenza Episcopale Italiana e dell’Associazione degli Archivi Eccle­siastici.

In questa breve rassegna di quanto ha fatto a favore dell’archivio diocesano mons. Bellucci non posso sottacere l’opera svolta da mons. Vin­cenzo Vagnoni, indimenticabile vicario generale per decenni. Egli mi convocò all’inizio del mio impegno per esprimermi la sua soddisfazione e il suo incoraggiamento dichiarandomi il suo rammarico per il fatto che l’archivio si era ridotto ad essere semplice deposito di materiale, difficil­mente penetrabile da rari e coraggiosi studiosi e mi fu prodigo di preziosi consigli. Allorché nel 1985 e dopo il 1992, in occasione dell’inaugura­zione e dopo essersi informato di quanto era stato realizzato dall’arci­vescovo, ormai vicino a compiere i cento anni, mi espresse tutta la sua gioia e me consegnò una vasto e copioso materiale da lui scritto e raccol­to, frutto delle sue lunghe ricerche e riguardanti fatti e aspetti della vita religiosa, civile e delle ricchezze artistiche della nostra diocesi.

Intanto i rapporti dell’archivio con altri soggetti colturali, caldeggiati, incoraggiati e promossi ci hanno consentito di partecipare a diverse ini­ziative culturali, quali la collaborazione con il Dizionario del Movimento Cattolico, ai volumi Le diocesi di Italia, all’attività dell’Associazione Ar­chivistica Ecclesiastica di Roma.

Mons. Bellucci e la Rivista dell’Archivio

Nel 1992 a conclusione del restauro degli ultimi locali dell’archivio, mons. Bellucci volle che si organizzasse un Convegno di tre giornate; personalmente invitò alcuni noti studiosi e sostenne il peso dell’ini­ziativa. Ad essa diede anche il tema: Storia locale e pluralità delle fonti e si svolse dal 5 al 7 giugno 1992. Con tale iniziativa l’arcivescovo inten­deva annunciare, come afferma nella sua prolusione, la nascita di un Cen­tro di Studi storici del Fermano, cosa che però ebbe una breve vita.

Oltre a tutto ciò che siamo venuti dicendo, si deve ascrivere a mons. Bellucci il merito di aver tenacemente voluto che l’archivio si facesse promotore di una rivista semestrale in cui fossero pubblicati i contributi di studiosi di storia locale fermani e di tutte le Marche. Quando nel 1985, subito dopo la prima inaugurazione del nuovo archivio, gli prospettai il desiderio che l’archivio avesse una sua pubblicazione periodica, egli si mostrò entusiasta e diede al progetto una dimensione ben più ampia e ambiziosa di quella che io avevo immaginato e prospettato.

Ideò un progetto in base al quale la rivista, oltre che esser diretta ema­nazione dell’Archivio arcivescovile per la valorizzazione del ricco mate­riale documentario in esso custodito, potesse anche diventare strumento per promuovere ogni possibile collaborazione con altri archivi ecclesia­stici e potesse favorire un’intensa attività di ricerca storica specialmente da parte di giovani studiosi; traguardi ambiziosi che non sempre è stato possibile conseguire.

C’è da ricordare anche un’altra importante circostanza: nella celebra­zione del Sinodo diocesano convocato da mons. Bellucci egli volle che fosse introdotta una norma che prescriveva la continuazione della pubbli­cazione della rivista di Quaderni dell!Archivio storico arcivescovile.

Mette conto anche sottolineare il fatto che lo stesso nostro arcivescovo ha partecipato con suoi apprezzati interventi alla redazione della rivista: nel volume che apre la serie pregevole è l’articolo che porta il titolo La formazione dell’archivio storico arcivescovile di Fermo; così come nel n. 1 fu apprezzato l’articolo Valorizziamo i piccoli archivi della diocesi. Al­tro contributo fu da lui offerto nel 1989 in occasione del IV Centenario dell’elevazione della elevazione della Cattedrale di Fermo a Metropolita­na. Fu da lui affrontato il tema dei problemi giuridici relativi agli archivi ecclesiastici dopo la pubblicazione del nuovo Codice di Diritto Canonico. Da tale intervento è nato il Decreto arcivescovile pubblicato nel 1990 sul­la custodia, la retta tenuta e gestione e valorizzazione degli archivi par­rocchiali e degli altri enti religiosi, che contiene anche precise norme per il trasferimento degli archivi esistenti nelle parrocchie soppresse che ri­schiavano di andare dispersi.

Credo che ogni parola che esprime la nostra profonda gratitudine per quello che mons. Cleto Bellucci ha fatto e realizzato sia per l’Archivio diocesano che per la nostra Rivista sia assolutamente inadeguata; più di ogni altra cosa però ci sentiamo di ringraziarlo per l’affetto con cui ci ha seguito in ogni momento e sostenuto continuamente e concretamente in ogni difficoltà.

Nel quotidiano impegno di archivio ogni pietra, ogni oggetto, ogni strumento di lavoro ci parlano della Sua presenza e della Sua sincera amicizia e ci assicurano che dalla casa del Padre, dove come vescovo della Chiesa partecipa alla celebrazione della Liturgia celeste, Lei ci sarà vici­no con la Sua intercessione.

Mi piace concludere con un’espressione che Cicerone scrive nel De Senectute, riferite ad ogni uomo retto che, giovane o vecchio che sia, ha ben meritato: «Brevis a natura nobis vita data est, at memoria bene redditae vitae sempiterna». La natura ci ha dato una vita breve, ma è sempiterna la memoria di una vita bene spesa.

GRAZIE, ECCELLENZA!

Una più ampia biografia di mons. Bellucci è contenuta nel volume E. TASSI, ” Gli Arcivescovi di Fermo nei secoli XIX e XX “, Fermo 2006, pp. 227-255.

 Quaderni dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, a. XII (1997), n. 24, pp. 7-9.

 

II Convegno del 1992  fu presieduto e coordinato dal noto medievista Vito Fumagalli, partecipa­rono altri relatori provenienti da tutta l’Italia e numerose e interessanti furono le comu­nicazioni di studiosi locali. Gli Atti del Convegno sono stati pubblicati nel 1994 nella serie dei volumi della rivista Quaderni dell ‘Archivio Storico Arcivescovile di Fermo an­no IX, nn. 17-18, volume di pp. 248.

La rivista ormai conta  un numero medio di pagine che da 120 a 150.

Nel 1996 all’ingresso principale dell’archivio è stata apposta la seguente iscrizione a memoria dell’importante evento:

PRAEDECESSORUM SUORUM EXEMPLA SEQUTUS ALEXANDER BORGIA ET URBANUS PARACCIANI QUI PRAETERITIS SAECULIS

VETUSTAE FIRMANAE ECCLESIAE INSIGNIA DOCUMENTA IN UNUM COLLEGERUNT AC IN TABULARIO AD HOC PARATO DISTINCTE ET ORDINATE DISPOSUERUNT CLETUS BELLUCCI ARCHIEPISCOPUS ET METROPOLYTA UT FIRMANAE ECCLESIAE MEMORANDAS RES ET VENERANDAS TRADITIONES POSTERITATI MANDARET AEDIFICII PROLATIONEM PARAVIT MONUMENTA LITERARUM DISTINCTE DISPONERE CURAVIT DIOECESANUM ET CAPITULAREM TABULARIUM INSTRUMENTIS AD NOVA EXEMPLA COMPOSITA SUPPEDITAVIT A. D. MCMXCVI

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CAMPOFILONE DI FERMO ANNI 1570 – 1593: ABBAZIA SAN BARTOLOMEO GOVERNO COMUNE DI CITTADINANZA FERMANA

CAMPOFILONE 1570-1593

L’abbazia di San Bartolomeo a Campofilone nel 1571 fu dichiarata “di nessuna diocesi” e dipendente dalla Santa sede dal Papa Pio V con la bolla di erezione della diocesi nuova di Ripatransone a cui fu stabilita la territorialità, ma  Campofilone non ne faceva parte, in seguito restò sempre nelle diocesi di Fermo.

Nel 1572 la visita pastorale nelle parrocchie Fermane fu fatta per il vescovo di Fermo monsignor Felice Peretti, da mons. Ambrosino. A Campofilone c’erano una trentina di famiglie sottomesse all’abazia locale di San Bartolomeo  e affidate alla cura pastorale dell’abate locale Don Vincenzo Torelli.

In realtà la Comunità di Campofilone dall’anno 1570 era già sotto la diretta amministrazione giurisdizionale di Roma, ma nel 1573 il nuovo Papa Gregorio XIII fece reintegrare Campofilone tra i castelli di cittadinanza Fermana, sotto l’antico governo, secondo gli antichi patti approvati nel 1372 e convalidati nel 1500. Nel 1537, il papa Paolo II Farnese creò il nuovo Stato ecclesiastico nell’Agro Piceno,  con capoluogo Montottone, che è durato fino al 1547, poi tornò il governo fermano.

Il 10 giugno 1573 si recò a Campofilone il visitatore apostolico inviato dal papa per le parrocchie della diocesi fermana, mons. Maremonti . Nei verbali  si legge che a Campofilone la chiesa di San Bartolomeo era nel tempo addietro “una abbazia dell’ordine benedettino”, e che vi risiedeva l’Abate commendatario a vita Don Vincenzo Torelli da Massaccio che aveva con sé altri sacerdoti idonei alla cura delle anime. Il visitatore impose  alcuni obblighi per la parrocchia: tenere nel tabernacolo la coppa dell’Eucarestia fatta d’argento, come pure in argento i vasetti degli oli sacri per battesimi e cresime, nel fonte battesimale un nuovo “armariolo”. L’edificio della chiesa all’interno doveva essere intonacato ed imbiancato; i candelieri fossero in bronzo, il pavimento ripianato con lastre marmoree sopra le tombe. Altri pregevoli abbellimenti  dovevano aggiungersi nei cinque altari laterali con novità di collocarvi le immagini dei rispettivi santi titolari: di Sant’Antonio, di Santa Maria, del Rosario, di San Silvestro, di Santa Lucia.

Per tradizione l’Abate di San Bartolomeo riscuoteva le “decime” dal fruttato dei loro beni immobili monastici valutati nella somma annua di cento monete di aurei. Gli altari laterali della chiesa abbaziale avevano rendite in totale di altri cinquanta aurei.  Il visitatore apostolico fece trasformare l’abazia in collegiata, con prioria e prepositura di quattro sacerdoti come curati per la cura pastorale delle anime e in ciò ebbe il consenso dei sacerdoti.

Tra le chiese rurali visitate si menziona Santa Maria di Antignano, anch’essa  monastica.  L’Abate di San Bartolomeo di Campofilone era inoltre rettore della chiesa di Santa Maria ad Altidona.

Un’attenzione particolare del visitatore fu rivolta alla Compagnia  (Confraternita) del Corpo di Cristo (Ss. Sacramento) perché aveva dato in prestito gran quantità di grano, senza alcun ritorno, per cui il visitatore obbligava il confratello Brancadoro a farsi aiutare dagli altri per recuperare tali crediti.

Nel 2000 l’abate Don Vincenzo Galiè  ha pubblicato il suo volume “L’abbazia e il Castello di Campofilone” apprezzando molte testimonianze dell’antichità romana. L’autore giudica significativi i toponimi dei catasti di Campofilone degli anni 1560 e 1593 e ne riferiamo alcuni:

-Antignano (Antiniano da Antino)

-Canale (corso d’acqua)

-Castello (casa fortificata)

-Castellano (addetto al castello)

-Grotta (cripte)

Nel territorio comunale campofilonese c’erano terreni donati da proprietari come benefici ecclesiastici per la celebrazione di sante Messe per i defunti delle famiglie donatrici e questi lasciti erano  intitolati a un santo, per cui le terre donate erano distinte con i propri toponimi come, tra l’altro, S. Giovanni, S. Patrizio, S. Pelonara, S. Vito.

 

 

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Domenica XXXII tempo ordinario anno A Matteo 25 Blasi Mario evangelizzatore

XXXII DOMENICA ORDINARIA (Mt 25,1-13)
“LE STOLTE PRESERO LE LAMPADE MA NON PRESERO CON SE’ L’OLIO; LE SAGGE, INVECE, INSIEME ALLE LAMPADE, PRESERO ANCHE DELL’OLIO IN PICCOLI VASI”.

Dieci ragazze vanno alla festa di nozze. Hanno il compito di accompagnare lo sposo al banchetto di nozze con le lampade. Cinque sono sagge e hanno pronta una riserva di olio. Pensano che ci possa essere un lungo tempo di attesa.

Le sagge rappresentano le persone di fede che costruiscono la loro vita imitando Gesù e ascoltando la Sua Parola per viverla. Costruiscono la loro casa su un fondamento sicuro: la roccia-Cristo.

Le stolte non pensano che ci sia una lunga attesa per accogliere lo sposo.

Esse rappresentano le persone senza fede, non accolgono l’amore di Dio nel cuore. Pensano che Dio non sia presente nella storia. Per esse Dio è lassù nel Suo Regno beato e non nella storia degli uomini. Queste ragazze costruiscono la casa sulla sabbia. Ascoltano la Parola di Gesù ma non la vivono.

L’attesa dello sposo è lunga. E’ notte. E’ il tempo in cui si dorme. Le ragazze sono stanche, si addormentano; ma a mezzanotte un grido scuote tutte le ragazze: “Ecco lo sposo!“. Tutte preparano le lampade, ma le ragazze inavvedute si accorgono della loro stoltezza: non hanno la scorta di olio. Le lampade si spengono. Chiedono olio alle altre, ma non sono accontentate, l’olio non sarebbe sufficiente per tutte per fare il corteo. Il corteo deve essere luminoso, lo sposo non può rimanere nel buio.

L’olio, simbolo della forza per il cammino e della gioia di vivere, non è nel cuore delle ragazze stolte. Vanno a comprare l’olio ma perdono l’incontro con lo sposo. Lo sposo entra con le sagge nella casa per la festa nuziale. La porta è chiusa, le stolte sono rimaste fuori. Hanno perso l’occasione, chiedono di entrare, ma la risposta è:

“In verità vi dico: non vi conosco”.

Il Signore non conosce queste ragazze perché non hanno accolto il Suo amore nel cuore.

Chi splende della luce di Cristo entra. La luce di Cristo è il Suo Amore accolto e ridonato.

 

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BLASI MARIO PARROCO EVANGELIZZA GIOIA CRISTO RE MATTEO 25

CRISTO RE (Mt 25,31-46)

“ALLORA IL RE DIRA’: IO HO AVUTO FAME…”.

Oggi il Vangelo presenta la conclusione dell’ultimo discorso di Gesù nella Sua vita pubblica. E’ un Vangelo che si riallaccia al suo primo discorso: “Beati quelli che hanno misericordia perché troveranno misericordia“. Si basa su sei opere della misericordia.

Gesù ha poteri divini, ma condivide tutta la debolezza della condizione umana, è povero in mezzo ai poveri, ma è anche giudice che pronuncia la sua sentenza. Precise sono le Sue motivazioni per i buoni e per i cattivi. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…“, “Avevo fame e non mi avete dato da mangiare…“. Nessuna difesa può modificare la Sua sentenza. Egli scruta e conosce la vita di ogni uomo. Il criterio che adopera è: azione o omissione, fare o non fare. Egli non dice se uno è stato credente o no, se ha pregato o no, ma ricorda ciò che ha fatto al fratello più piccolo.

Gesù mette al centro l’uomo bisognoso. Tutto è giudicato secondo le azioni fatte a vantaggio o a svantaggio del fratello. Si basa tutto sul servizio recato e sull’amore donato al fratello: nutrire l’affamato, dissetare l’assetato, accogliere lo straniero, vestire il nudo, visitare l’infermo e il carcerato.

Il giudice si identifica con i poveri, i deboli e i perseguitati; è solidale con quelli che vivono nella povertà.

Così deve agire il cristiano: imitare il Signore.

Questa solidarietà suscita sorpresa in tutti: sui buoni e sui cattivi. Nessuno avrebbe immaginato che amando o disprezzando il debole avrebbe accolto il Signore o lo avrebbe rifiutato.

La salvezza è accolta o rifiutata nel donare o nel rifiutare l’amore al fratello.

Il vero cristiano apre il cuore al bisognoso per risollevarlo dalla sua miseria morale e materiale.

Il fratello si fa dono al fratello.

“E se ne andranno, questi al supplizio eterno

e i giusti alla vita eterna”.

Non è Dio che giudica l’uomo, ma sono le azioni dell’uomo che lo giudicano. Chi ama il fratello bisognoso con lo stesso amore di Cristo ha la vita. Chi non lo ama si incammina verso la non-vita. La vita di ogni uomo è segnata dalle opere di misericordia. Il cristiano sia misericordioso come è misericordioso il Padre Celeste!

 

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BLASI MARIO EVANGELIZZA DOMENICA XXXIII anno A Matteo

XXXIII DOMENICA ORDINARIA (Mt25, 14 ss

AD UNO DIEDE CINQUE TALENTI, AD UN ALTRO DUE, AD UN ALTRO UNO, A CIASCUNO SECONDO LA SUA CAPACITA’ E PARTI’“.

Un padrone, prima di partire per un lungo viaggio, affida i suoi talenti a dei servi. Dona a ciascuno secondo le proprie capacità.

Il talento simboleggia il messaggio di Gesù. E’ un messaggio unico e di valore straordinario: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi“.

Gesù mette al centro l’uomo. E’ un messaggio che si deve trasmettere a tutti con amore. E’ un messaggio che trasforma e sostiene la vita. E’ la vera sapienza; è la luce e la guida di ogni cristiano.

Il padrone, consegnati i talenti, parte e lascia ai suoi servi la responsabilità di trafficarli.

Il messaggio evangelico è una proposta di vita che deve essere presentata a tutti. E’ un messaggio che deve essere proposto con coraggio, ma non bisogna mai imporlo: “Se vuoi essere perfetto… vieni e seguimi“. Il cristiano è chiamato ad essere simile a Cristo: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore“. Il cristiano deve imitare il Padre Celeste: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro Celeste“, “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro“.

Due servi rispondono alle attese e alla fiducia del padrone: sono abili e fedeli, guadagnano una somma incredibile e al ritorno del padrone entrano a far parte della sua gioia. Chi accoglie il messaggio di amore di Cristo e lo vive e lo trasmette, entra nella pienezza della vita. Chi riceve il talento e non lo fa fruttificare è simile all’uomo che costruisce la casa sulla sabbia. La rovina è grande e non entra nella festa del suo Signore.

Il terzo servo restituisce il talento come lo ha ricevuto:

“Ecco qui il tuo”.

Al terzo servo gli è mancato il coraggio di impegnarsi. Non rischia.

Il messaggio evangelico è gioia che non si tiene per sé

ma bisogna manifestarla.

“Chi segue Gesù senza riserva e chi ascolta e mette in pratica la Sua Parola” entra nella gioia piena.

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Blasi Mario evangelizza domenica XXXI anno A MATTEO 23

XXXI DOMENICA ORDINARIA (Mt 23,1-12)
“DICONO E NON FANNO”

Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme, luogo sacro, cuore del culto religioso degli ebrei, dove gli scribi e i farisei attingono la loro autorità per insegnare. Gesù, in questo luogo sacro, parla alla folla e ai discepoli e pronuncia contro gli scribi e i farisei le parole più dure di tutto il Vangelo.

Gesù non si lascia intimidire dai suoi interlocutori ridotti al silenzio e non si fa condizionare dall’aria sacra del tempio. Anche se i suoi nemici covano odio mortale contro di Lui, Egli li affronta con coraggio. Essi, che hanno l’autorità di insegnare e sono considerati i pilastri religiosi della comunità giudaica e modelli di santità, sono squalificati da Gesù davanti alla folla e ai suoi discepoli.

Gesù scardina la loro dottrina che tiene schiavo il popolo. “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere“.

Come si può dare ascolto a dei maestri che sono ipocriti? Come si può seguire un maestro incoerente? Come ci si può fidare di una persona falsa?

L’Evangelista, mentre riporta il discorso di Gesù contro i farisei, tiene presente la comunità cristiana di ogni tempo; in essa si possono infiltrare persone ambiziose, amanti del prestigio e del potere. Queste persone possono portare al fallimento il messaggio di Gesù proposto nelle Beatitudini.

I cristiani non devono ricadere negli errori degli scribi e farisei e non devono avere il loro stile di vita. I cristiani non si devono mai presentare come modelli di santità e devozione.

“Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli”.

Gesù è il Maestro; il cristiano non è discepolo, ma fratello.

Il distintivo del cristiano è la fraternità. Nella comunità non devono mai prevalere la rivalità, l’invidia, la gelosia e il desiderio di dominare sull’altro, ma il desiderio di servire il fratello come ha fatto Gesù.

Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita per tutti“.

Nella comunità cristiana il più grande si metta al servizio dei fratelli.

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Domenica XXX anno A Vangeli Blasi Mario Parroco evangelizzare

Evangelizzaziuone Parrocchia XXX DOMENICA ORDINARIA (Mt,22,34-40)

“MAESTRO, QUAL E’ IL PIU’ GRANDE COMANDAMENTO?”

“AMERAI…”

Un massimo esponente della legge si avvicina a Gesù per tentarlo come Satana.

Gli ebrei hanno da osservare seicentotredici comandi; trecentosessantacinque sono negativi, cioè indicano che non bisogna fare certe cose e duecentoquarantotto sono positivi: ordinano di fare certe azioni. L’ebreo è chiamato ad amare Dio per tutto l’anno (365) e con tutto se stesso (248). Quest’ultimo numero indica quante sono le ossa del corpo umano, così credevano in quel tempo. In questi 613 comandamenti sono inserite le due tavole della legge. Nella prima tavola ci sono i tre comandi con gli obblighi nei confronti di Dio e nell’altra i sette doveri nei confronti degli uomini. Questi dieci comandamenti sono intoccabili.

Gesù, però, al dottore della legge, non risponde con i comandamenti, ma con il credo d’Israele: “Ascolta, Israele, amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze” (Dt. 6,5).

Dal credo degli ebrei, però, Gesù elimina Israele e al posto delle “forze” mette “mente“. Egli elimina Israele perché la Sua risposta è valida per ogni uomo, credente e non credente. Elimina “forze” perché indicano i beni della terra; la “mente” indica tutto l’essere della persona. Gesù vuole che l’uomo ami Dio con tutto se stesso e non vuole che l’uomo si privi delle proprie sostanze per offrirle a Lui. Dio non chiede sacrifici agli uomini, non chiede offerte, ma chiede di essere accolto con amoreDio è Amore. Il Suo Amore accolto deve poi essere ridonato al fratello perché l’amore verso Dio non deve mai essere dissociato dall’amore verso il prossimo. Per questo dice:

Il secondo comandamento è simile al primo:

Amerai il prossimo tuo come te stesso”.

L’amore che ha come misura l’uomo è valido però per gli ebrei che hanno come punto di riferimento Mosé e per ogni uomo credente.

Amare come l’uomo ama se stesso è un amore limitato. Per il cristiano la misura dell’amore non è l’uomo, ma Gesù, il Figlio di Dio. Egli ama servendo l’uomo con un amore senza limiti; Gesù non dice: ama il prossimo tuo come te stesso, ma “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”.

La misura dell’amore del discepolo è Gesù che dona a tutti la Sua vita per amore.

 

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Parroco Blasi Mario evangelizza Domenica XXIX anno A Matteo

Evangelizzazione     XXIX DOMENICA ORDINARIA (Mt 22,15-21)

“E’ LECITO O NO PAGARE IL TRIBUTO A CESARE?”

Gesù è nel tempio ad insegnare. Il Suo insegnamento non è conforme a quello degli scribi e dei farisei. E’ un insegnamento nuovo fatto con autorità che attira ed entusiasma la gente. Gli scribi e i farisei sono in difficoltà, non sono più seguiti. Che fare? Bisogna colpire quest’uomo. Allora tengono consiglio per stabilire una strategia comune per colpire Gesù nei Suoi discorsi. Si uniscono erodiani e farisei. Gli erodiani sono coloro che collaborano con il potere romano ed accettano di pagare il tributo a Cesare. I farisei, invece, detestano la dominazione romana e pagano mal volentieri le tasse allo straniero.

I farisei e gli erodiani si rivolgono a Gesù con un linguaggio ossequiente. Elogiano la Sua forza morale nell’indicare la via di Dio con verità. Gesù non guarda in faccia nessuno, non si lascia condizionare in modo assoluto da alcuno. Parla quando vuole e dice liberamente ciò che pensa. Gesù è chiamato a dire pubblicamente il Suo pensiero sulla presenza del potere pagano romano che chiede il tributo.

Secondo la legge l’ebreo, che riconosce Dio come Signore, deve pagare la tassa all’imperatore romano, sì o no? La domanda è ben congegnata. Qualunque sia la risposta Gesù finisce per essere condannato. Se è favorevole al pagamento della tassa va contro la legge d’Israele e delude quelli che lo considerano liberatore. Se dice che non bisogna pagare il tributo viene considerato un ribelle, un sovvertitore dell’ordine pubblico.

Gesù non si lascia intimorire, ma attacca i farisei e gli erodiani con una potente accusa: “Tentatori, ipocriti, malvagi“. Poi chiede loro la moneta del tributo. Essi subito tirano fuori dalle tasche la moneta con l’immagine e l’iscrizione di Cesare. E’ la moneta con la quale fanno i loro affari. I farisei portano la moneta straniera nell’area del tempio dove non poteva entrare nessun oggetto pagano per la sacralità del luogo. Essi stanno profanando il luogo sacro del tempio portando il denaro straniero nelle loro tasche. Gesù dice loro:

“Restituite a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Gesù non dice di pagare, ma di restituire a Cesare il suo denaro. Gesù non riconosce nessuna autorità a Cesare e riafferma che l’unico Signore è Dio e a Lui solo bisogna restituire ciò che gli è proprio: la Sua Parola di vita che nutre il popolo.

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PARROCO MARIO BLASI EVANGELIZZA XXVIII DOMENICA ANNO A MATTEO

Evangelizzazione

XXVIII DOMENICA ORDINARIA (Mt22,1-14)

“TUTTO E’ PRONTO: VENITE ALLE NOZZE”.

Le nozze sono sempre una festa particolarmente gioiosa, anche se ci sono momenti di trasgressione nel bere, nel mangiare e nell’organizzare scherzi. E’ la festa in cui si dimenticano tutti gli affanni della vita.

Gesù paragona il Regno dei Cieli alla festa di nozze gratuitamente offerta. Con Gesù inizia un’era nuova per l’umanità. Con Lui sorge una nuova situazione per tutti. Egli inaugura l’era messianica. Gesù proclama e introduce nella storia degli uomini la gioia. Il Suo messaggio è una buona novella, è un Vangelo.

Tutti sono chiamati ad entrare nel banchetto delle nozze. L’amore di Dio spinge ogni uomo ad entrare; si è chiamati però a fare una scelta. Dio sollecita la risposta. Il banchetto è gratuito per tutti. Il Suo amore è un dono che supera tutte le attese.

Nella parabola il re manda i servi a dire che tutto è pronto, ma tutti rifiutano l’invito anche se è gratuito. Gli invitati non vanno. Hanno altri interessi da sbrigare: i loro affari sono più utili. Non sanno che la gioia nel cuore è la cosa più importante per ogni uomo.

Dio crea l’uomo per la felicità. L’uomo è chiamato a fare le cose con letizia. Il lavoro bisogna svolgerlo con serenità di spirito. Gli affari bisogna realizzarli con la rettitudine e l’onestà della vita. La vita retta è un dono di Dio che si accoglie nel banchetto delle nozze: l’Eucaristia. Per molte persone, oggi, sono più importanti altri banchetti: divertimento sfrenato, svaghi inutili, affari loschi e ricchezze disoneste.

Il disegno di Dio sull’uomo è accogliere gratuitamente il Suo amore. Chi rifiuta il Suo messaggio si espone a conseguenze tremende.

“Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale?”.

Il re chiama amico l’invitato senza la veste nuziale perché lo ama, ma l’invitato non ha nulla da dire, si sente fuori posto. Non ha fatto nulla per rendere gioiosa la festa.

Il vestito sono le opere giuste dei Santi; opere che dichiarano il bene fatto agli altri. E’ questo abito che rende gioioso l’uomo nella festa.

Non avendo accolto l’amore di Dio nel cuore, l’invitato viene rimandato nel suo ambiente egoistico dove la vita non è gioiosa, ma gelida.

 

 

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Blasi Mario parroco evangelizza XXVII domenica anno A Mt 21,33s anime coltivate

XXVII DOMENICA ORDINARIA (Mt 21,33-43)

“DA ULTIMO MANDO’ LORO IL PROPRIO FIGLIO“.

La vigna, nella Bibbia, rappresenta il popolo di Dio: il popolo eletto. Celebre è il Cantico di amore di Isaia per la vigna del suo diletto. “Il mio diletto possedeva una vigna su un fertile colle“.

La premura che il padrone ha per la sua vigna la rivela i cinque verbi adoperati da Isaia nel suo Cantico di amore: vangare, sgombrare, piantare, costruire, scavare. Il numero cinque manifesta la forza di amore di Dio, cioè il Suo Spirito che agisce per il bene dell’uomo. Anche Matteo, nella parabola della vigna, adopera cinque verbi: piantare, circondare, scavare, costruire e affidare.

L’amore del padrone per la vigna è grande. La conclusione, però, della parabola è amara sia in Isaia che in Matteo. Il padrone, in Isaia, aspetta uva buona ma la vigna produce uva selvatica. “Egli aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi“.

In Matteo il padrone aspetta frutti e perciò manda i servi per averli, ma i servi sono bastonati, uccisi e lapidati dai vignaiuoli.

Il padrone aveva piantato la vigna con amore ma riceve odio. Alla fine manda il figlio pensando che avranno rispetto per lui. Il figlio lo rappresenta ed ha il suo potere. I vignaiuoli, visto il figlio, dicono: “costui è l’erede, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità“.

Perché tanto odio? Chi scatena una cattiveria così grande? E’ il dio dell’interesse! Il dio dell’interesse sacrifica tutto. E’ il dio del denaro che crede di dare sicurezza, ma in realtà distrugge. Il dio dell’interesse porta la morte morale e fisica, alimenta l’odio e suscita la guerra.

Con il denaro i sommi sacerdoti si impadroniscono di Gesù; per denaro Giuda tradisce il Maestro; con il denaro i capi del popolo tentano di impedire la realtà della Risurrezione di Gesù pagando le guardie.

“La pietra scartata è diventata testata d’angolo”.

Il padrone riprende la vigna per darla ad altri vignaiuoli perché diano il frutto a suo tempo.

Uniti all’amore di Cristo si porta frutto.

E’ vero frutto la conoscenza dell’amore di Dio accolto nel cuore. E’ vero frutto la giustizia che rende onesta la vita dell’uomo. E’ vero frutto la misericordia che dona al fratello l’amore di Dio che perdona. E’ frutto vero la sincerità dei rapporti umani.

 

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