1306 – Natale 1306 – Ancora lacopone da Todi e Giovanni de Firmo, dicto de la Verna p.
1320 – Fermo e Camerino contro Macerata p.
1320 – I Cappuccini e i Fioretti di S. Francesco sono nati qui p.
1334 – Spade famose e spade meno famose p.
1336 – Ancora Dante Alighieri a Fermo p.
1341 – Una delle prime armi da fuoco trovata a Roccamontevarmine p.
1355 – Ancona ed i Papi di Avignone p.
1355 – Fermo viene assolta p.
1355 – L’implorazione di Mitarella p.
1355 – Tre importanti pergamene dei possedimenti di Fermo p.
1355 – Un processo di scomunica agli Ascolani celebrato a Fermo il 31 ottobre p.
1356 – Gentile da Mogliano ordinò “Sia distrutta S. Croce” p.
1366 – Ancora su Giovanni Visconti d’Oleggio signore di Fermo p.
1373 – Provincia, scippo che non Scotti troppo p.
1375 – Un golpe degli otto (santi) anche nel 1375 finì male p.
1376 – Gioie e dolori il 22 per Fermo p.
1379 – E Fermo si liberò dalla tirannide di Rinaldo p.
1380 – Boffo da Massa e il Palio di Fermo p.
1384 – I riti pasquali nella Cattedrale di Fermo, più grande di quella di Torino p.
1386 – Arquata chiede protezione a Fermo p.
1386 – Il Palio e gli 80 Castelli p.
1389 – Fermo manda sentinelle a vigilare la rocca p.
1389 – Il tribunale di Fermo e le sue vicende p.
1396 – Assedio e conquista della rocca di Smerillo p.
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anno1306 – Il ciocco di Natale e la ‘vellutina’
La passata rubrichetta su “Loreto, la Venuta ed i Focaracci” ha destato un certo interesse specie per la precisazione su detti focaracci e sono pervenute varie telefonate e lettere in proposito. Alcuni hanno domandato se è corretto scrivere “ciocco” anziché ceppo di Natale.
Veramente la rubrica ha indole storica; tuttavia i nuovi orientamenti storiografici, con a capo M. Bloch, J. Le Goff, F.R. Furet, F. Braudel, Paolo Brezzi, etc. danno un risalto notevole alla componente linguistica, per cui eccoci pronti e lieti per un piccolo “contributo” in proposito.
Il ciocco di Natale si metteva sull’arola del focolare in occasione di tale festa e doveva durare fino alla Epifania: Lu cioccu de Nata’ ha da trica’ (= durare) finende a Pasquetta (6 gennaio!).
Una graziosa e commovente tradizione vuole che esso serva alla Madonna che di notte vi viene a scaldare i panni per Gesù Bambino. Ciocco è il ceppo da ardere.
Già ne parla Dante (Par. 18,100) “Come nel percuotere de’ ciocchi arsi / surgono innumerabili faville / onde gli stolti sogliono augurarsi”. Giovanni Pascoli ne parla ripetutamente “Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace (Canti di Castelvecchio 117,5)”; e poi ancora “Pel camino nero il vento / tra lo scoppiettar dei ciocchi / porta un suono lungo e lento / Tre, poi cinque, sette tocchi /” (ibidem). E chi non ricorda Valentino “…Pensa al gennaio, che il fuoco del ciocco / non ti bastava tremavi ahimé”, etc.
Oltre al Pascoli abbiamo Giovanni Papini: “Scoppiettavano i ciocchi già mezzo coperti di neve”. Enrico Pea: “La stanza era rischiarata dai tizzoni ardenti. Io stavo sul ciocco con cagna”… Dino Campana “…E lo schioccar dei ciocchi e i guizzi di fiamma”. Italo Calvino: “Le tirò contro un ciocco”. Pascoli ha ancora: “Racconta al fuoco sfrigola bel bello / un ciocco d’olmo intanto che ragiona”.
Quindi le graziose maestrine che mi hanno scritto o telefonato possono scrivere ciocco anche perché è registrato come di pura lingua nei vocabolari (Palazzi, Gabrielli, Mestica, Devoto-Oli, Zingarelli, etc.).
Tuttavia non è corretto scrivere muschio per indicare la vellutina. Si deve (o dovrebbe) dire musco, anche se oggi prevale muschio. Il vocabolo vellutina lo trovo in Cardarelli: “I muri si coprivano di vellutina, etc.”.
Natale, dolce Natale! Quanta poesia. La festa è ormai imminente.
I primi cristiani chiamavano dies natalis il giorno della morte, perché è la nascita al cielo. Nel giorno di Natale del 1306 Jacopone da Todi era moribondo. Ai confratelli che si stringevano intorno a lui disse: “Voglio ricevere i sacramenti soltanto dal mio amico Giovanni della Verna”. Ma era cosa impossibile: il frate era lontano. Ad un tratto, come per miracolo, giunge ed amministra a Jacopone gli ultimi sacramenti. E così per opera di frate Giovanni (o meglio di Giovanni Elisei da Fermo) in quella notte avvenne il dies natalis nella duplice eccezione di nascita alla vita e del ritorno al Cielo.
Natale dell’anno 1306 – Iacopone da Todi, Giovanni da Firmo, detto de La Verna
Siamo a Natale e nella scena della storia di Fermo, entra un personaggio famoso: Iacopone da Todi. Mi pare di scorger l’aria interrogativa di qualche lettore che si domanda cosa c’entra Fermo con Iacopone da Todi, luminare di spiritualità, luce vivida della letteratura italiana, fiero oppositore di Bonifacio VIII, e “adoratore” della francescana povertà.
Iacopone fu molto amico di “Frate Ioanni de Firmo dicto de La Verna”, al quale indirizzò una lettera consolatoria nello stile limpido e robusto proprio del poeta delle Laude. Chi si reca alla Verna a visitare il “crudo sasso intra Tevere e Arno” dove S. Francesco ebbe le stimmate (di Cristo prese /’ultimo sigillo, continua Dante), racchiuso in un’urna, vede il corpo di un beato: è Giovanni della Verna, seguace di S. Francesco, nato a Fermo nel 1259, marchigiano puro sangue, che nel 1292 si trasferì al “Santo luogo de la Verna” ove visse per più di trent’anni. Iacopone nella sua lettera consolatoria lo precisa: “A Frate Ioanni de Firmo, dicto de la Verna”.
Fioretti di S. Francesco (ne è autore Frate Ugolino da Monte Giorgio) sono pieni delle sue gesta. Raccontano che un giorno gli apparve Cristo e lo abbracciò; che liberò dalle pene del Purgatorio il confratello Iacopo da Falerone, che andava spesso in estasi, etc.
Quel 24 dicembre 1306 Iacopone era in fin di vita. I confratelli lo esortavano a ricevere gli ultimi sacramenti, ma Iacopone rispose loro: “Soltanto dal mio diletto amico, Frate Giovanni della Verna, è d’uopo che io riceva il Santissimo Corpo di Cristo”.
Frate Giovanni era lontano e i confratelli erano turbati da tale richiesta. Iacopone non aveva che poche ore, era impossibile avere Frate Giovanni. Ad un tratto, si videro due monaci venire verso la stanza dove Iacopone era moribondo, uno di essi era il nostro Giovanni da Fermo. “Giunto al capezzale dell’infermo – racconta Domenico Giuliotti – prima gli donò il bacio della pace, poi gli somministrò i Sacramenti. Allora Iacopone, rapito di gioia, cantò il cantico “Gesù nostra fidanza” e, esortati i frati a ben vivere, levò le mani al cielo e rendè lo spirito”. Era la notte di Natale 1306!
Iacopone da Todi e Giovanni de Firmo dicto de La Verna: due colossi nella storia del Francescanesimo: l’uno impetuoso, l’altro serafico e mite, legati da singolare amicizia, spezzata solo dalla morte di Iacopone, il 25 dicembre del 1306.
Anno 1320 – Fermo e Camerino contro Macerata
“L’han giurato li ho visti a Pontida / Convenuti dal monte e dal piano / L’han giurato e si strinser la mano / Cittadini di venti città… /”. Così la nota poesia del Berchet sul giuramento della Lega lombarda contro il Barbarossa, giuramento avvenuto nella Chiesa abbaziale di Pontida il 7 aprile 1167.
Ma dopo 153 anni, nel Fermano, nella Chiesa di Sant’Angelo in Pontano ebbe luogo un altro giuramento: quello dei Fermani e dei Camerinesi uniti in lega contro l’istituzione della Diocesi a Macerata. Da Avignone la voleva Papa Giovanni XXII per far dispetto a Recanati che si era ribellata alla Chiesa. Macerata aveva avuto la libertà di erigersi in libero Comune dal Vescovo di Fermo nemmeno 150 anni prima. Ora la si voleva erigere a città e diocesi! Fermo e Camerino, che allora erano le due città più importanti delle Marche (Fermo aveva 10 mila fuochi, cioè famiglie, pari a 50 mila abitanti. Camerino 8 mila, cioè 40 mila abitanti. Seguivano Ancona con 35 mila abitanti, Ascoli con 30 mila, etc.).
Macerata era una delle città più piccole, aveva solo 1.800 fuochi, cioè 9 mila anime. Un po’ poco per essere città e sede di diocesi! E Fermo e Camerino non lo potevano sopportare! Si unirono in lega! La nuova Diocesi li avrebbe privati di gran parte dei rispettivi territori, di molti ricchi castelli, di gran parte della popolazione. Per di più Macerata era per metà (Poggio S. Giuliano) dipendente da Fermo; l’altra metà (Castello di S. Giuliano) dipendeva da Camerino. Le due città decisero di ricorrere a Roma e di dichiarare guerra a Macerata (facere et movere guerram contro Commune Maceratae). Le spese relative sarebbero state divise a metà e, se una delle parti si fosse ritirata, doveva pagare la penalità di mille marche d’argento.
Le parole di fuoco contenute nei patti fanno impallidire i bellicosi proclami di “Bossi and Company”.
Ma invano! Il Papa avignonese vinse, Fermo e Camerino ci rimasero male! Nel corso dei secoli le due grandi Diocesi subirono altre amputazioni. Fermo con l’istituzione della Diocesi a Ripatransone nel 1571, perse Ripa, S. Benedetto del Tronto, Acquaviva Picena, Cupra e S. Andrea; poi con Montalto Diocesi (1586), le furono sottratti Montel- paro. Comunanza. Montemonaco e nello stesso anno dovette dare a Loreto. nuova diocesi. Montelupone.
A Camerino nel 1586 furono tolti Tolentino e S. Severino erette a diocesi, nonché Urbisaglia e Pollenza Comuni assegnati a Macerata, poi nel 1728 perse Fabriano creata pure Diocesi e nel 1787, Matelica, nuova diocesi. Pio VI, per compensare in qualche modo tali amputazioni, eresse Camerino ad arcidiocesi. Fermo ebbe poi compensi territoriali con Santa Vittoria, Monte Giorgio e Montefalcone provenienti dai Farfensi e già nel 1589 era stata compensata con l’erezione ad arcidiocesi con suffraganee la “contestata” Macerata, S. Severino, Tolentino, Montalto e Ripatransone.
Nonostante tali vistosi tagli, Camerino unita a S. Severino è oggi sul territorio la più vasta Diocesi delle Marche con 1603 kmq.; Fermo, che non è unita a nessuno, è la seconda con 1334 kmq.; ma per popolazione, per parrocchie, per storia è ancora la più importante di tutte le Marche e la più antica sede arcivescovile-metropolitana della Regione, escluso l’ex ducato di Urbino.
Anno 1320 – I Cappuccini e i Fioretti di S. Francesco sono nati qui
Mentre la mostra su Federico II, allestita a Fermo nel Palazzo dei Priori, richiama un gran numero di visitatori, specie da Ancona, ricordiamo un altro grande “tutto serafico in ardore”, quasi coetaneo di Federico: S. Francesco d’Assisi.
Federico II nasce a Jesi nel 1194 e muore a Ferentino nel 1250.
Francesco nasce ad Assisi nel 1182 e vi muore nel 1226. Entrambi ebbero a che fare con le nostre Marche. Ambedue furono in relazione direttamente o indirettamente con Fermo e il Fermano.
In quel periodo, la Marchia Firmana era stata inglobata nella Marca d’Ancona. “La provincia della Marca d’Ancona fu anticamente a modo che il cielo di stelle, adomata da santi ed esemplari frati, li quali a modo di luminari nel cielo, hanno alluminato ed adornato l’ordine di Santo Francesco e il mondo con esempi e la dottrina”.
Così i “Fioretti”, sbocciati nel Fermano per opera di Frate Ugolino da Montegiorgio.
Non è “campanile” rilevare che nei Fioretti, i frati attori o protagonisti sono in gran parte dell’area fermana o meglio dell’Arcidiocesi fermana.
Ci sono frate Giovanni da Penna S. Giovanni; frate Matteo da Monterubbiano, frate Jacopo da Fallerone; Giovanni da Fermo detto della Verna, per i molti anni trascorsi nella preghiera in quel santo luogo; Pacifico da Fallerone; Liberato (poi santo) da Loro Piceno; Fra Pellegrino da Fallerone, e frate Corrado di Offida.
Con l’occasione, ricordiamo che le pitture di Giotto nella Basilica superiore di Assisi, vennero eseguite per ordine di un altro frate, il diocesano frate Giovanni da Morrovalle che fu Cardinale e 15/mo Ministro Generale dell’Ordine. Nella Basilica predetta, abbiamo opere d’arte come il coro di Apollonio da Ripatransone e nella Basilica superiore, il coro di Antonio Indivini di S. Severino Marche.
Fermo costruì in onore del santo quel magnifico tempio (ora monumento nazionale) e prima di ogni altra città; da Fermo partì per Assisi, dalle Fonderie Pasqualini la “Campana della Laudi”, bronzo squillante offerto nel 1926 da tutti i Comuni d’Italia al Santo, nell’anniversario, sette volte secolare della sua morte.
Dopo la scomparsa di S. Francesco, le Marche furono la terra più fertile delle altre per le radici dell’ordine. Contava più conventi la “Marcha” che l’Umbria e, per quanto piccola, il numero dei frati era grandissimo. Un’altra connotazione “fermana”, o meglio della Diocesi fermana, è quella che nel “Luogo del Sasso” a Montefalcone Appennino, scoccò la prima scintilla che portò alla fondazione dei Cappuccini, sempre facenti parte del grande albero francescano.
Proprio da Montefalcone Appennino, Matteo da Bascio, marchigiano di Carpegna, si portò a Roma per chiedere a Papa Clemente VII l’approvazione dei Cappuccini.
Abbiamo accennato a Federico IL Ebbene, anche fra Elia, il successore di S. Francesco e l’artefice della Basilica, ebbe un momento di sbandamento e passò dalla parte imperiale, tanto era il fascino di Federico II; per tale motivo venne scomunicato. Ma poi si pentì, tornò all’“ovile” e fu perdonato.
Anno 1334 – Spade famose e spade meno famose
Rapagnano piccolo centro del Fermano, è famoso nella storia per aver dato i natali a Papa Giovanni XVII (papa Siccone), morto nel 1003, dopo pochi mesi di pontificato. Con lui si è aperta la serie di Papi marchigiani, in tutto dieci (ultimo Pio IX), mentre talune regioni, ad esempio il Piemonte, non ne hanno avuto nessuno. È vero che Pio V (o meglio S. Pio V) Papa dal 1566 al 1572 era nato a Bosco, in prov. di Alessandria: ma allora detta località non faceva parte del Piemonte ben A del Ducato di Milano. E poi… e poi… (e questa è un’altra gloria nostrana) da giovane aveva studiato a Fermo.
Ma desideriamo parlare non di Papi, ma di spade e di guerrieri. Sono oggi di scena Galasso Conte di Montefeltro, podestà di Fermo, Guglielmo di Ventura del castello di Rapagnano e Puccio Bongiovanni di Montegiorgio con notai, testimoni, etc. etc.
“Nel nome di Dio, Amen. L’anno del Signore 1334, indizione seconda, al tempo di Papa Giovanni XXII, il giorno XXI del mese di gennaio, Guglielmo di Ventura del castello di Rapagnano, ha dichiarato di essere stato soddisfatto di quanto a lui versato quale rimborso da parte di Puccio Bongiovanni di Montegiorgio, per conto di quel Comune e della cittadinanza. Il rimborso consiste nel versamento di un fiorino di oro sopraffino e di giusto peso e di somme per spese sostenute, come da decisione del conte Galasso di Montefeltro podestà di Fermo”… Così inizia la pergamena conservata nell’archivio comunale di Montegiorgio.
Il fatto, che preso in sé sembrerebbe irrilevante, ha invece una notevole importanza; addirittura se ne è fatto un atto notarile ed ha coinvolto tre comuni: Fermo, Rapagnano, Montegiorgio; un notaio Bartolomeo Leonardi; testi come Francesco Raynaldi, figliastro di Bartolomeo Dominici, Filippo di Gentile Compagnoni e un altro notaio, Giovanni Simili, nonché una sede comunale, quella di Rapagnano (Actum in castro Rapaniani). La stipula però era avvenuta il 19 gennaio 1334.
Certo, nella storia ci sono spade molto più importanti di quella di Guglielmo di Ventura. Prendendo lo spunto dal vocabolo, pensiamo a quelle famose dei capitani di ventura e di altri condottieri famosi.
La storia ci parla della spada di Damocle; di quella di S. Pietro con la quale nell’Orto degli Ulivi recise un orecchio a Malco (Giov. 18,10); della spada di Brenno che. dal 390 avanti Cristo, tuona il “Guai ai Vinti”; della Durlindana del Paladino Orlando etc.
Ma c’è una connotazione singolare. Un oracolo aveva predetto che chi avesse sciolto il famoso nodo gordiano sarebbe divenuto padrone dell’Asia. Alessandro Magno ci provò ma, non essendo riuscito, lo recise con la spada e divenne signore dell’Asia. Era il 334 avanti Cristo! Nel 1334 (notare le ultime tre cifre), Guglielmo di Ventura da Rapagnano, anche se “senza infamia e senza lodo”, ha vicende di spada… Corsi e ricorsi storici? Forse. Ma Giambattista Vico non era ancora nato.
Anno 1336 – Ancora Dante Alighieri e Fermo
Certamente se Dante tornasse in vita, non potrebbe inveire contro Fermo e i suoi cittadini. Lo fece con Pisa (Ahi, Pisa, vituperio delle genti, 1.33.79). Mise all’Infemo personalità varie e anche taluni Papi e imperatori, ma Antonio da Fermo lo avrebbe messo certamente in Paradiso, se non altro per dovere di riconoscenza. Infatti, si deve proprio ad Antonio da Fermo, un amanuense del sec. XIV, il codice più antico, datato, della Divina Commedia.
Lo cominciò nel 1336, cioè solo dopo 15 anni dalla scomparsa del poeta. È il Codice Landiano, così chiamato, perché conservato a Piacenza, nella Biblioteca Passerini Landi; ora, però, reperibile nella biblioteca comunale di quella città. Antonio lo scrisse, come detto, nel 1336 a Genova, su richiesta del podestà di Pavia, Beccario da Beccaria. Ce ne dà lui stesso notizia. Infatti nll’explicit (finale) del codice, dice: “Scritto da me Antonio da Fermo a richiesta dell’egregio e magnifico signore Beccario da Beccaria, milite imperiale, dottore in legge e podestà di Pavia e suo distretto. Genova, l’anno 1336, indizione terza, al tem¬po di Papa Benedetto XII, l’anno secondo del suo pontificato”.
Testualmente tale explicit recita in latino: Scriptum, per me Anto/nium de Firmo, Ad petitionem et Hnstantiam Magnifici et Egregii / viri domni Beccarij de Beche/ria de Papia Imperatorii militis / legum- que doctoris Necnon honoralbilis Potestatis Civitatis et districtus t Ja- nuae. Sub anno Domini Millesimo CCC° XXXVF Indictione III / tempo¬re domini B(enedicti) papae XII Ponti!ficatus eius Ano (sic!) Secundo.
Ma oltre a ciò, Dante dovrebbe (presunzione la nostra?) essere grato alla città di Fermo per un altro motivo: la traduzione in latino della Divina Commedia. Si era al Concilio di Costanza (1414-1418), concilio ecumenico (il sedicesimo) e i Cardinali stranieri chiesero a Giovanni de Bertholdis, Vescovo di Fermo, di tradurre per loro il Divino Poema in modo da poterlo apprezzare adeguatamente. Come è noto in quel periodo la lingua ufficiale era il latino.
In tale maniera, i padri porporati poterono gustare adeguatamente quanto aveva scritto il Divino Poeta. È doveroso ricordare anche che la città di Fermo, è stata sempre all’avanguardia nel culto di Dante; nello stesso anno di fondazione della Società “Dante Alighieri” (1889), il 24 luglio, per opera del senatore fermano Carlo Falconi, venne istituita a Fermo una sezione di tale società, la quarta in Italia dopo le sezioni di Milano, Venezia e Genova.
Anno 1341 – Una delle prime armi da fuoco a Rocca Montevarmine di Carassai
Rocca Montevarmine, località in Comune di Carassai, conserva quasi intatta la famosa rocca da cui prende il nome, rocca che ha sfidato secoli ed assedi. Piccolo e vivace centro, già dominio di Fermo, attualmente conosciuto anche per iniziative culturali, vanta un primato interessantissimo dal punto di vista storico.
Effettuando ricerche per una monografia storica su Monturano, ci siamo imbattuti in un elenco prezioso. Sono i nomi dei soldati che Fermo mandava a presidiare tale castello e ogni soldato è contraddistinto dall’arma che aveva in dotazione. Appaiono così militi armati di pistoiese (pugnale a lama corta fabbricato a Pistoia) di spito, ronca, alabarda e schioppo o sclopo.
Approfondendo le ricerche, è venuto fuori un primato insospettato delle Marche e del Fermano. Infatti è emerso che, nell’uso dello sclopo o schioppo, la nostra Regione ha il primato storico.
Leone Cobelli, nella “Cronaca di Forlì”, riporta che Guido da Montefeltro nella battaglia a difesa di Forlì contro i Francesi (1281) “chiamò una squadra di targoni ed una squadra grande di balestrieri e sclopiteri” (schioppettatori).
Troviamo conferma che nel 1321, dell’esistenza di “una squadra grande di balestrieri e schioppettatori a servizio del Duca di Urbino” (che è sempre Guido da Montefeltro).
Dopo dieci anni si parla di soldati che a Cividale del Friuli, balistabant cum sclopo versus terram. Tre anni dopo, cioè nel 1335, i Signori di Ferrara fecero preparare una grande quantità di schioppi e spingarde (maximam quantitatem sclopetorum et spingardarum).
Recentemente, Angelo Gaibi nel volume “Armi da fuoco”, edizioni Bramante, Milano, 1978, riporta che Angelo Angelucci, direttore dell’Armeria Reale di Torino ed uno dei più intelligenti ricercatori e scopritori di documenti presso gli archivi italiani, nel volume “Documenti inediti sulle armi da fuoco italiane”, Torino, 1869, voi. 1, pagina 71, dice testualmente: “Sono interessanti a questo riguardo, l’affresco attribuito a Paolo Nesi (1540) nel monastero di S. Leonardo in Lecceto presso Siena, ove lo schioppetto è rappresentato da una canna lunga poco più d’una spanna, fissata in cima a un manico (o teniere) e la bombardella manesca trovata fra le rovine di rocca Montevarmine presso Fermo, distrutta nel 1341”.
L’Angelucci che è autore di preziose opere sulle armi da fuoco (tra esse ricordiamo il “Catalogo dell’Armeria Reale di Torino”, Torino, 1890), trova ora eloquente conferma nel volume “Small Arms of thè world” (piccole armi del mondo) edito dalla Casa Editrice The Stepole Company di Herrisburg U.S.A., 1962, e scritto dagli americani William Smith e Joseph Smith.
Come si vede, nessun sospetto di “campanilismo”. È una gloria pura di Rocca Montevarmine, di Carassai e del Fermano. Ma quanti ne erano a conoscenza?
Anno 1355 – L’implorazione di Mitarella
Oggi vediamo due personaggi famosi che si interessano di Fermo e del Fermano. Sono: Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, patrona d’Italia, nata a Siena nel 1347, morta a Roma nel 1380 e il Cardinale Gil Alvarez Carrillo de Albomoz, spagnolo, nato nel 1310, morto a Viterbo nel 1367.
Dal Papa Innocenzo VI, che si trovava in Avignone, era stato mandato nelle Marche per riconquistarle e riportarle al dominio della S. Sede. Con senno e con tatto, in poco tempo, quasi senza colpo ferire, riconquistò tutto lo Stato pontificio alla Chiesa e, quando il Papa su sollecitazione di Caterina da Siena tornò a Roma, egli lo incontrò a Tarquinia e gli consegnò un carro carico delle chiavi della città e castelli, tornati sotto il dominio della sede apostolica.
Per suo merito, lo Stato pontificio si resse sulle Constitutiones Aegidianae che furono l’ossatura, lo statuto rimasto in vigore fino alla caduta del potere temporale (1860).
S. Caterina da Siena, invece, si interessò di Mitarella da Monteverde, figlia di Mercenario, famoso nella storia di Fermo. Mitarella si era sposata con Vico da Fermo, signore di Mogliano. Questi, nel 1375, fu eletto podestà della Repubblica di Siena. Nel periodo in cui fu in carica, punì con la morte cinque giovani gentiluomini che erano entrati di notte in un monastero femminile suburbano. Le famiglie inscenarono un moto popolare contro di lui.
Mitarella, trepidante per la sorte del marito, si rivolge a S. Caterina chiedendo aiuto “per lo caso occorso al senatore” (cioè al marito). Caterina, risponde esortando ad avere fede in Cristo e confortando la nostra Mitarella.
Il secondo personaggio, !’Albomoz, invece, accorda a Mitarella la licenza di ricostruire il suo castello di Montappone, nello stesso luogo dove sorgeva, allorché fu distrutto da Gentile da Mogliano. Nota però il cardinale, nelle lettere di concessione, che per costruire un’altra fortezza è necessario il permesso della Santa sede. Tale atto, emanato a Gubbio porta la data del 30 maggio 1355. Ieri si sono compiuti 637 anni.
Anno 1355 – Ancona ed i Papi di Avignone
Ancona ottobre.
Potrà, sembrare strano ma è un fatto incontrovertibile che la nostra Regione ed in particolar modo Ancona, sia intimamente legata alle vicende storiche di Avignone, la città francese dove dimorarono, per vari lustri, i Papi.
A parte il fatto che proprio nel trattato di Tolentino (19 febbraio 1797) tra Pio VI e Napoleone I, Avignone veniva ceduta alla Francia (costituendo nella storia la prima cessione del patrimonio di S. Pietro da parte di un Papa). Avignone ha relazioni storiche, anche se indirette, con le Marche, ma soprattutto con Ancona.
Era il 30 aprile 1367, Urbano V, dopo le insistenti preghiere dei Romani nonché di Santa Brigida, che profetizzava i castighi divini e del Petrarca, aveva deciso di riportare a Roma la sede papale dopo una cattività che durava dall309. Nel frattempo, il suo legato in Italia il Card. Egidio Albornoz, aveva riconquistato con la forza e con la diplomazia le città ribelli delle Marche e Regioni vicine. Tutto era pronto per il ritorno del Papa.
Ed ecco che Urbano V, Papa francese, (come lo saranno tutti i Papi di Avignone), salpa da Marsiglia alla volta di Roma. La nave ammiraglia che lo trasporta è una galea di Ancona, “costruita a spese pubbliche della Marca di Ancona per la sua persona stessa, sotto la guida di Niccolò della Scala, cavaliere anconitano. Tale nave spiegava lo stendardo della romana Chiesa. Era accompagnata da una flotta di 23 galee e molte navi di Venezia, Pisa, Genova, Napoli. Dopo aver toccato e sostato in vari porti del Tirreno, il 3 giugno 1367 la flotta attracca a Corneto; quindi il Papa prosegue per Roma.
Ma dopo soli tre anni, Urbano V inspiegabilmente e repentinamente ritorna ad Avignone. È il 5 settembre 1370, giovedì. Di nuovo da Cometo, la “galea grande” di Ancona, con 12 Cardinali e gran seguito di navi pontificie, francesi, spagnole, napoletane, (in tutto una sessantina), riporta il Papa in Francia, dirigendosi alla volta di Marsiglia. Urbano V vi sbarca e giunge ad Avignone il 24 settembre; dopo tre mesi, muore. Occorre eleggere un altro Papa.
Tutti i Cardinali sono francesi, eccetto 3 italiani ed uno inglese. Viene eletto dopo un solo giorno di Conclave, Gregorio XI, la partenza del Papa aveva provocato in Italia malumore ed indignazione, e le condizioni politiche della Penisola erano per riflesso molto turbate.
Un nuovo ritorno del Papa sembrava improbabile. Troppe le opposizioni e gli interessi francesi. Ma alla fine, cedendo alle insistenti ed infuocate suppliche di Santa Caterina da Siena, il Pontefice decise di tornare, a Roma. Ed ancora una volta, ai primi di ottobre 1376, il Papa s’imbarca a Marsiglia “sulla galea grossa di Ancona comandata da Niccolò Torriglioni e seguita da una scorta di 5 navi francesi, 6 spagnole, una di Genova ed una di Pisa”.
Il viaggio, lungo e tormentato, durò più di tre mesi, e l’ammiraglia anconitana “naviglio ammirabile per fortezza e bellezza, reggente in mare, buon veliero ed in punto di ogni comodità che mai potessero i viaggiatori desiderare”, incontrò varie tempeste.
Un cronista dice che l’equipaggio più volte implorò l’Altissimo e S. Ciriaco (patrono di Ancona) omnes fundunt preces Altissimo et spondunt vota Sancto Quiriaco. Alla fine, lasciando il Tirreno, e risalendo per il Tevere, il 17 gennaio 1377 il Papa entra a Roma. Il “popolo esultante e lacrimando, tendente le braccia prostrato, danzante dietro il destriero del Papa erompe di tripudio e giubilo”. Il Papa, ancora a bordo, di una galea anconetana, ritorna a Roma e ci rimane per sempre! Quest’anno ricorrono 600 anni dall’evento; ci permettiamo ricordarlo, sottolineando ancora una volta il fausto evento, in cui ebbe parte notevole la marineria di Ancona, e delle Marche.
Anno 1355 – Fermo viene assolta…
Oggi, 22 settembre, ricorre l’anniversario della morte di Daniele Manin (1857) e di Faraday (1867) famoso per le sue leggi dell’elettrolisi e nostra vecchia “conoscenza” di Liceo. Ma il 22 settembre 1355 è una data memoranda per Fermo e il Fermano. Da questa città, il Cardinale Egidio Albomoz, mandato dal Papa che si trova in Avignone, convoca i sessanta Comuni che facevano parte dello Stato di Fermo (vi erano anche S. Benedetto, Acquaviva, etc., a sud; Mogliano, Gual¬do, Petriolo, S. Angelo in Pontano, a nord).
In conseguenza della sottomissione di Fermo e suo Stato avvenuta il giorno precedente (per mezzo di Spinuccio di Francesco, delegato dal Comune), l’Albomoz assolve Fermo da tutte le censure in cui era incorsa data la sua ribellione alla Chiesa, specialmente nei periodo in cui era stata soggetta a Gentile da Mogliano.
Interessantissimo il documento della sottomissione conservato nell’Archivio Vaticano, ma non meno interessante il secondo: quello dell’assoluzione.
Il Cardinale Albomoz, come vediamo, prediligeva Fermo e trasferì qui da Macerata la Curia Generale della Marca, nonostante le rimostranze dei Maceratesi.
La ribellione di Fermo e dei castelli era causata dal fatto che volevano essere indipendenti, ciascuno per proprio conto.
Il Papa era lontano, in Avignone, e loro non volevano soggiacere ad alcune autorità. Fermo e il suo Stato furono definiti dall’Albomoz volubilis ut rota et labilis ut anguilla facile latino che indica Fermo “volubile come ruota e labile come anguilla”.
Leggendo i documenti di quel 22 settembre, si rileva che essi im-pongono ai 60 Comuni di prestare giuramento alla Sede Apostolica ed al Comune di Fermo; di obbedire alle sue leggi; di pagare le tasse dovute. Da quello di assoluzione si evince che la Chiesa non scherzava. ..
Contro la città e contado erano state attuate sanzioni economiche e giuridiche. Fermo era stata privata delle rocche e castelli dipendenti, diritti, privilegi, etc., e addirittura colpita dall’interdetto.
Ma l’Albornoz, lieto del ritorno di Fermo e contado alla Sede Apostolica, restituisce rocche, castelli, privilegi, diritti, esenzioni, beni, etc., loda la “pecorella che ritorna all’ovile” ma precisa a tutte lettere che se dovesse nuovamente ribellarsi, ricadrebbe ipso facto cioè immediatamente nelle sanzioni precedenti (compreso l’interdetto) da cui era stata assolta in quel lontano 22 settembre 1355, cioè 636 anni or sono.
Anno 1355 – Tre importanti pergamene – Contengono l’elenco
dei possedimenti di Fermo alla metà del ’300
Era il 22 settembre di 635 anni or sono. Il Papa, da 46 anni risiedeva in Avignone e varie località delle Marche (come del resto l’intero Stato Pontificio) cercavano di sottrasi all’autorità pontificia, tanto più che il “capo” era al di là delle Alpi.
Il ghibellino Gentile da Mogliano, era riuscito a impadronirsi di Fermo e per tutto lo Stato Pontificio correvano fremiti di ribellione. La cosa impensieriva il francese Papa Clemente VI (Pietro Roger) e in modo speciale il suo successore Innocenzo VI (il francese Stefano Aubert) il quale, da Avignone, spedì nelle Marche il Cardinale Egidio Albomoz, spagnolo, che con senno, astuzia, e quando occorreva con la forza, recuperò a poco a poco tutto lo Stato-Pontificio. Nel 1355 poi, il Cardinale giunse a Fermo, vi insediò la Curia e vi rimase a lungo.
Assolse la città dalla scomunica in cui era incorsa per essersi schierata con Gentile da Mogliano; le tolse l’interdetto e la reintegrò nel pos¬sesso delle rocche, castelli e località già di sua pertinenza. Poi, con tre distinte lettere (litterae praecepti) ordinò ai comuni, terre e castelli di inviare a Fermo dei procuratori, per prestare giuramento di fedeltà nelle sue mani e per assolvere ad ogni obbligo dovuto alla città di Fermo.
In questi tre documenti (conservati nell’Archivio di Stato fermano) si scorgono le annotazioni delle avvenute o non avvenute notifiche agli interessati, e sono molto importanti per la storia del Fermano, dato che costituiscono l’elenco ufficiale dei possessi di Fermo. Sono tre pergamene; ognuna raggruppa un discreto numero di Comuni (in totale 60).
Il primo gruppo elenca i Comuni di: Longiano, Torchiaro, Ponzano, S. Maria, Monte Giberto, Petritoli, Montevidon Combatte, Ortezza- no, De Medio, Collina, S. Elpidio Morico, Monte Leone, Monsampietro Morico, Servigliano, Smerillo, Monte Falcone, Castel Manardo, Belmonte, Grottazzolina, Villa Montone.
Il secondo gruppo è costituito da: Monte Secco, Porto S. Giorgio, Torre di Palme, Lapedona, Monte S. Martino, Altidona, Pedaso, Boccabianca, Marano (= Cupramarittima), S. Andrea, Grottammare, S. Benedetto del Tronto, Mercato, Borumpadaro (questi ultimi due erano ca¬stelli siti nei pressi di Acquaviva Picena), Acquaviva Picena stessa, Massignano, Gabbiano, Cossignano, Monte Rubbiano, Moresco.
Il terzo gruppo, convocato con pergamena n. 1850 (le altre sono la 998 e 1347), era composto da: Monturano, Podium Raynaldii, Torre S. Patrizio, Monte S. Pietr (angeli), Rapagnano, Magliano, Ripa Cerreto, Alteta, Mogliano, Petriolo, Loro (Piceno), S. Angelo in Pontano, Gualdo, Falerone, Montappone, Massa, Monte Vidon Corrado, Monte Verde (attualmente frazione di Monte Giorgio), Francavilla d’Ete.
Attraverso la lista dei Comuni convocati, abbiamo l’esatta consistenza di quello che nel 1355 era lo Stato di Fermo, che estendeva il suo dominio da S. Benedetto e Acquaviva Picena a vari Comuni, come Gualdo, Petriolo, S. Angelo in Pontano etc. dell’attuale Provincia di Macerata.
L’anno dopo, l’Albomoz emanò le Costituzioni Egidiane (Aegidianae Constitutiones), che rappresentarono l’ossatura dell’Amministrazione pontificia fino alla metà del secolo scorso. Con esse, fra l’altro, divise le città marchigiane in maggiori, grandi, mediocri, piccole, minori.
Le maggiori erano: Ancona, Fermo, Camerino, Ascoli, Urbino. Pesaro e Macerata seguivano, a distanza, le grandi.
Anno 355 – Un processo agli Ascolani celebrato a Fermo il 31 ottobre 1355.
La scomunica ai cittadini di Ascoli Piceno
Una volta le elezioni non erano così laboriose e meticolose. Basta pensare che nel plebiscito del 1860 a Porto Sant’Elpidio vi furono sette schede in più sul numero dei votanti. Ma noi vogliamo parlare di oltre sei secoli or sono, quando Ascoli fu scomunicata per aver eletto il suo Podestà senza il permesso della Santa Sede. Si era al tempo di Pa¬pa Innocenzo VI (precisamente nel 1355): gli Ascolani, contravvenendo ai loro doveri di sudditi della Santa Sede, elessero Galeotto Malate-sta da Rimini a loro “Signore governatore e difensore e non solo della città ma di tutto il circondario” o, come si chiamava allora, del “distretto” (elegerunt… in defensorem,protectorem, gubernatorem).
Anzi, nei carteggi del processo, si lamenta che quei “birichini” de¬gli Ascolani fecero lega con gli altri nemici della Santa Chiesa, invadendo terre e castelli da veri traditori e si erano alleati con Malatesta Malatesta e Francesco degli Ordelaffi (condannato come eretico) ed a Gentile da Mogliano.
Vani furono gli sforzi del Rettore della Marca. I nostri non vollero ubbidire. Allora si tenne il processo che ebbe luogo a Fermo il 31 otto¬bre del 1355. Nel carteggio che abbiamo trovato nell’Archivio Vaticano, si legge che tali ribelli (rebelles), entro il sei novembre, dovevano presentarsi a chiedere perdono del loro operato. Si sperava ancora in una loro resipiscenza e nello stesso tempo si ingiungeva di abbandona¬re le terre della Santa Sede abusivamente occupate; se avessero perseverato nell’errore, si sarebbe provveduto alla confisca dei loro beni. Il documento nomina ben 81 famiglie ascolane come più avanti indicato. Nel frattempo, cioè fra il 31 ottobre ed il 6 novembre, Ismeduccio da S. Severino e Petrello da Mogliano chiedono perdono e si presentano a Fermo nel palazzo del legato papale (in palatio habitationis legati) ma gli ascolani tennero duro.
Il 25 novembre 1355 viene fulminata la scomunica “al consiglio, al gonfaloniere, ai consoli, agli anziani, agli ufficiali, al popolo ed al Comune di Ascoli ed alle persone colpevoli di ribellione alla Chiesa”.
Fra gli scomunicati c’è Niccolò di Dongiovanni, Cavaliere, e Cola e Zuccio Rossini. Inoltre:
Luca Tommasi Giacomo Luzi
Ciccolo Nuzi Giacobuccio Giacobbi
Domenico Tornassi Vanne Corraduzzi
Ziuccio Francisci Petruccio Marini
(Gio) Vanni Bonagiunta Cervuccio Servidei
Antoniuccio Bongiovanni Angelo Bonagioanni
Nicoluccio Medico Petruccio di Rocca
Corrado Rainaldi Coluccio Di Vanni Saladini
Nuzio di Giovanni Bernardi Giovanni Martelli
Corrado Jacobucci Giovanni Zocchi
Lucio ed Emidio di Nicola di Montecalvo Giulio e Nicola Dominici
Giovanni e Lino Jacobucci di Rocca Cavuccio Ventura
Necco e Vanni Giovannucci Agresta Simeoni
Lippo Ansovelli Giovanni di Mastro Luce
Vannino Vanni Chierico Federici
Giovanni Salvi Simeone Agresta
Giovanni Vinnibene Agresta Simeoni
Massio Cini Giovanni di Mastro Luce
Meo Petri Chierico Federici
Filippo Jacobi Simeone Agresta
Coluzzio Sanzio Massio Francisci
Nicola Timidei Vannetto Bongiovanni
Manno Salvucci Maramonte Guglielmi
Angeluccio Giovannucci Concizzio Massei
Nicola Giovannangeli
ed altre persone della città di Ascoli nella Marca Anconitana (aliaeque singulares personae civitatis Esculanae infra Marchiae Anco-nitanae constitutae).
Questo avveniva molti secoli or sono, allorché era legato della Sede Apostolica per le Province e le terre della Chiesa Romana, il Cardinal Egidio del titolo di S. Clemente il quale, malgrado il suo titolo, fu tutt’altro che clemente “verso la città, consiglio, anziani, consoli e popolo tutto della città e “distretto di Ascoli”.
Anno 1356 – Gentile da Mogliano ordinò “Sia distrutta Santa Croce”
In questi giorni sui vari quotidiani rimbalza ripetutamente il nome della Basilica di Santa Croce, sita in territorio di S. Elpidio a Mare, non molto distante dalla statale Adriatica. In nostri precedenti articoli abbiamo parlato della sua inaugurazione (14 settembre 886) presenti i Ve¬scovi dell’allora Ducato di Spoleto (in tutto 19); abbiamo parlato del privilegio ad essa concesso dall’imperatore Federico II di Svevia e di altre vicende ad essa relative. Oggi, nel clima della prossima solennità dei Santi e dei Defunti, accenniamo al suo incendio e alla sua dissacrazione da parte di Gentile da Mogliano e delle sue soldatesche.
Gentile, signore di Fermo, dopo aver espugnato il porto di Ascoli (A.D. 1348) costruito in dispregio di diritti di Fermo sul litorale dal Tronto al Potenza (come recita il privilegio di Ottone IV del 1 dicembre 1211), ebbe vita avventurosa e raminga perché, messosi in urto col le¬gato pontificio card. Albomoz, venne scomunicato; la scomunica allora aveva effetti “devastanti” su chi ne era colpito.
Allora, spinto da spirito diabolico (diabolico spiritu istigatus), passò al contrattacco e se la prese proprio con la Basilica di S. Croce.
Con anni di offesa e di difesa, piombarono sulla chiesa e monaste¬ro di S. Croce sito nel territorio di S. Elpidio, penetrarono violentemente nella chiesa e nell’abitazione, rubarono tutti i beni esistenti in detto monastero, asportarono gli animali appartenenti alla mensa vescovile, presero prigionieri i famigliari del vescovo, i laici ed i chierici che vi si trovavano. Alcuni di essi vennero cacciati, altri feriti; si impadronirono delle croci, dei paramenti, dei calici, dei buoi, pecore, maiali, giumen¬te, asini (somarios, dice il testo), grano, vino, vettovaglie. La stima dei danni arrecati era di duemila ducati nell’anno 1356.
Il primo dicembre dello stesso anno, Gentile da Mogliano e Ruggero suo figlio furono condannati in contumacia alla pena di morte, con¬fisca dei beni etc. Chi inflisse la condanna si chiamava Angelo Paradiso ed era il giudice generale della Marca d’Ancona. Gentile e suo figlio, data la pena e la scomunica, si saranno salvati? “Orribil furo li peccati miei / Ma la bontà infinita ha si gran braccia / che prende ciò che si ri¬volge a lei” così ci ricorda Dante (II-3-122).
Ma Gentile era soprattutto un ladro. Nonostante la condanna di Paradiso. potrebbe trovarsi col figlio in paradiso e. data la professione, ac¬canto al… buon ladrone.
Dopo tutto non erano così malvagi come recita la bolla di condanna. I2 Novembre, tutti i… Santi del Paradiso!
Anno 1366 – Ancora su Giovanni Visconti d’Oleggio signore di Fermo
Uno dei nostri più famosi poeti, immaginando di trovarsi davanti alla tomba di Alessandro Magno, esclama: (…) “Ond’io raccolgo il cenere infecondo, / e alzando il capo esclamerò, monarchi, / ecco in un pugno il vincitor del mondo..”. Analogamente si potrebbe dire del nostro Giovanni Visconti d’Oleggio, le cui ossa sono contenute in un’urna di vetro, conservata nella Sala del Mappamondo della biblioteca comunale di Fermo. Pochi resti di grande gloria! Ho detto “nostro” perché, sebbene dei Visconti di Milano e “abitator di Oleggio” (Novara), dopo varie vicissitudini ed una vita turbinosa, venne da noi. Prima era stato vicario generale della curia milanese; abbandonò la carriera ecclesiastica; si sposò; fu podestà di Novara e quindi di Asti; luogotenente dei Visconti per il Piemonte e quindi signore di Bologna. Cambiò il dominio su tale città e territorio, ottenendo di diventare signore di Fermo. Qui tuttavia operò con saggezza, mirando esclusivamente al bene di città e contado. Martedì prossimo 8 ottobre 1991, ricorrono 625 anni dalla sua morte, avvenuta a Fermo. Non è facile né semplice trovare atti di morte di più di sei secoli fa; ma siamo stati fortunati! Eccone il testo: “In no¬me di Dio. Così sia. L’anno 1366, indizione quarta, al tempo di Papa Urbano V, l’8 ottobre, giovedì, di mattina, allo spuntare dell’aurora entrò nella vita della carne (ingressus est viam universae carnis), dice il testo latino da cui traduciamo), “il magnifico e potente e nobile milite signor Giovanni Visconti, milanese, di Oleggio, rettore della Marca di Ancona e vicario per la santa Chiesa della città e distretto di Fermo” (…). Seguono alcune parole inintelligibili per corrosione del testo; si rileva solo “avuta… del palazzo della città di Fermo”. Prosegue l’atto: “Io don Rinaldo da Montottone, canonico e mansionario della chiesa maggiore di Fermo, amministrai il sacramento dell’estrema unzione alla presenza di Giovanni de Yspa canonico della cattedrale; di Giovannino… suo nipote; di Dionisio suo cancelliere; di Giorgio da Yspa, provisionato; della moglie Antonia; di parenti, amici, familiari, e di molti altri, provenienti da altri distretti”. E ancora: “E venne sepolto nella Cattedrale suddetta, nell’angolo destro anteriore presso l’altare di S. Giovanni e pres¬so l’altare maggiore di detta cattedrale. La sua anima riposi in pace”.
Anno 1373 – Provincia, scippo che non Scotti troppo
Si nota in questi giorni un vivace scambio di “idee” per la ricostituenda Provincia di Fermo, soppressa nel 1860 dal governo di Vittorio Emanuele II ed unita a quella di Ascoli meno popolata, meno ricca, me¬no colta, meno importante. Fermo e Provincia contavano 110.000 abi¬tanti contro i 90.000 di quella di Ascoli. La Provincia di Fermo aveva 54 Comuni; quella di Ascoli 52. L’estimo catastale di Fermo era di 19.137.948 lire; di Ascoli 12.929.333. Fermo aveva 46 cultori di scienze, lettere ed arti; Ascoli solo quattro. Medici, farmacisti, levatrici di Fermo erano 241; di Ascoli 139; etc. etc. Fu un vero e proprio “scippo” ai danni di Fermo!
(1) Si riferisce al ministro dell’interno del tempo, On. Scotti
Ma anche nel 1373 ci fu un tentato “scippo” da parte di Macerata, che voleva per sé la Curia Generale delle Marche, togliendola a Fermo. Il pericolo era grave e se ne dovette occupare addirittura Papa Gregorio XI (1370-1378) che si trovava ad Avignone.
Reiterate, intense e martellanti erano le richieste e le pressioni di Macerata, per impadronirsi della Curia Generale, che era stata posta a Fermo dal Cardinale Egidio Albomoz in quanto “luogo più nobile e più sicuro per la conservazione dello Stato di Santa Romana Chiesa”.
Fra traslochi, beghe con i Cardinali francesi, col Re di Francia etc. il Papa da Avignone non può occuparsi personalmente della “querelle” Fermo-Macerata. Incarica perciò il Cardinale Ugo di Santa Maria in Portico, che scrive al Rettore della Marca d’Ancona Pietro, Vescovo di Oxford, al tesoriere ed a tutti i dirigenti della curia che quel trasferimento non s’ha da fare. Il passo della bolla, redatto in un latino polito ed armonioso, recita fra l’altro “… la città di Macerata vuole che venga colà trasferita la Curia Generale della Marca, cioè il Supremo Tribunale, ora esistente nella città di Fermo… ma il Papa non vuole ed espressamente si oppone”. Noi – prosegue la bolla – “in considerazione dell’idoneità del luogo, della salubrità dell’aria, della comodità di accesso e di soggiorno, i Porti Marittimi dello Stato di Fermo e l’abbondanza di ogni sorta di vi¬veri e vettovaglie, rigettiamo le richieste di Macerata, facendo presente che nessuno di voi osi tentare di favorire tale richiesta di trasferimento senza un ordine espresso da parte della Sede Apostolica”. Nessuno di voi pertanto, cioè Rettore, Tesoriere, officiali e componenti tutti della Curia, si muova da Fermo e non osi favorire le richieste di Macerata”.
Morto Gregorio XI (che nel frattempo era tornato a Roma nel 1376), subentrò Papa Bonifacio IX, il quale, non solo confermò la permanenza della Curia Generale, ma nominò suo fratello Andrea Tomacelli “signore di Fermo e suo Stato”. Ciò avveniva di questi giorni, nel gennaio 1398, cioè 594 anni or sono. Una curiosità: nella bolla del Cardinale Ugo si indicano i Porti Marittimi, per la cronaca, scritti con l’iniziale maiuscola (Portubus Maritimis).
Sarà un auspicio perché l“‘iter” della ricostituenda o meglio resti-tuenda provincia fermana giunga in “porto”? Allora il Papa e Cardinali si interessarono di Fermo, oggi i nostri Reggenti se ne infischiano. Attenzione che la faccenda, poi, non “scotti” troppo!
Anno 1375 – Un golpe degli otto (santi) anche nel 1375 finì male
E dicono che la teoria dei corsi e ricorsi storici di Vico non è più valida! I mass-media di tutto il mondo, stanno parlando giorno e notte del golpe di Mosca e dei suoi otto artefici. Ma già nel 1375, la Lega fiorentina è capeggiata da otto personaggi, che il popolo chiamerà Otto Santi, nonostante che combattessero contro il Papa. Scenario, personaggi ed interpreti di quel tempo e di oggi sono quasi eguali. Si agisce oggi come allora, in nome della libertà (oh libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome! diceva Madame Jeanne Roland de la Piatière).
Due sono le città protagoniste: ieri Firenze, capo della lega; oggi Mosca, capo della “resistenza”. Due i personaggi chiave: ieri Papa Gregorio XI; oggi Gorbaciov. Due i personaggi comprimari: ieri il Cardinale legato Noellet, oggi Eltsin. Entrambe le operazioni iniziano d’e¬state: la Lega Fiorentina nell’estate del 1375 e, dopo 616 anni, il golpe di Mosca: estate 1991. Altra particolarità è che i due personaggi più importanti sono lontani dal teatro delle operazioni: Papa Gregorio XI è in Avignone; Mikhail Gorbaciov in Crimea.
Gli Otto Santi, nel 1375, hanno la peggio; gli otto di oggi, stiamo vedendo che fine faranno. Determinante per la sconfitta degli Otto Santi è l’opera di uno solo: Papa Gregorio che lancia contro Firenze la scomunica ed i nemici di tale città ne approfittano per andare contro alla scomunicata. Un altro “solo” (e in prospettiva la figura di Bush) prende posizione, sfida i golpisti e fa tornare nelle caserme soldati e carri armati, è Eltsin. Una però la differenza: nella Lega Fiorentina, aderisce quasi tutto il popolo. Al Golpe, ben pochi. A questo punto il lettore si troverà spaesato da queste “analogie” e vorrà saperne di più.
È la Lega Fiorentina cui aderirono quasi tutte le città dello Stato pontificio. Il Papa era ad Avignone; i suoi legati, in Italia, commettevano soprusi e razzie. Il popolo, stanco, insorse e costituì la Lega.
Gregorio allora chiamò i soldati mercenari ed inviò in Italia bretoni e inglesi (quest’ultimi capeggiati da Giovanni Acuto). Essi si dires¬sero verso Firenze e verso il settore adriatico, per dare una “lezione” agli insorti. Questi resistettero e combatterono valorosamente; ma poi, la scomunica fulminata contro essi da Gregorio XI ebbe effetto. Tutti corsero addosso a Firenze; molti ruppero con esso le relazioni diplomatiche per timore di essere a loro volta scomunicati. Firenze rimase isolata. Ma un fatto singolare si inquadra nel contesto di questa Lega. Ascoli avrebbe aderito, ma vi fu immediata repressione del vicario papale Gomez Albomoz, il quale proibiva persino di pronunciare la parola Libertas (Libertà). Ascoli chiese aiuto ai vicini; aiuto disperato, perché contro di essa dalla valle del Tronto venivano le truppe della Regina Giovanna di Napoli in aiuto all’Albomoz.
Il “grido di dolore” fu raccolto da Fermo, che allestì immediatamente un esercito di diecimila uomini e corse a liberare Ascoli, con cui pochi anni prima (1348) era stata in guerra. Coluccio Salutati, il cancelliere del Comune di Firenze, mandò ai fermani una nobilissima lettera di ringraziamento per aver salvato Ascoli, caposaldo importante per la Lega. “Per vostro merito” dice fra l’altro. Alla fine però la Lega ha la peggio! Muore Gregorio nel 1376 e gli succede Urbano VI; si addiviene ad un trattato di pace. Firenze deve sborsare 250.000 fiorini d’oro. Anche Fermo, anche Ascoli debbono versare la loro quota. La Lega è sconfitta, dati gli effetti della scomunica lanciata da Papa Gregorio in nome dell’Altissimo. Oggi la vittoria sul golpe ha la sua omologazione e direi la sua ratifica di un altro Altissimo il nostro parlamentare, giunto per primo a Mosca… Analogie storiche anche queste…?
Anno 1376 – Gioie e dolori il 22 per Fermo
Abbiamo visto che il 21 di taluni mesi ha caratterizzato fatti ed eventi importanti per Fermo. Ma, oltre al 21, c’è da tenere in considerazione anche il 22. Fra questi, il più funesto, fu il 22 dicembre 1860, quando fu emanato il decreto n. 4495 con cui il governo di Vittorio Emanuele II privò Fermo della sua antica e gloriosa provincia, Provincia di seconda classe, unendola a quella di Ascoli, Provincia di terza classe, e che addirittura era stata soppressa non molti anni prima.
Ma risaliamo indietro nei secoli. Il 22 dicembre 1376, Rinaldo da Monteverde si impadronisce di Fermo. Il 22 giugno 1442, il conte Francesco Sforza conduce a Fermo la giovanissima moglie Bianca Maria Visconti. I Fermani l’accolgono con fastoso e festoso corteo. Ma gli Sforza tiranneggiano troppo Fermo. Impadronitisi della rocca sul Gir- falco, da qui effettuavano continue sortite e razzìe e da qui scrivevano editti e loro lettere sfidando il Pontefice. Infatti ogni editto e ogni ordinanza terminavano come detto già con la frase: “Ex Girifalco nostro firmano invito Petro et Paulo” (Dal nostro Girfalco di Fermo a dispetto del Papa).
Ma i Fermani stufi, un bel giorno assaltarono la rocca e la distrussero; e il 22 febbraio 1446, il Cardinale Domenico Capranica, Vescovo di Fermo, celebrò in Santa Maria in Castello (cioè nella cattedrale) una messa di ringraziamento a cui intervennero una folla numerosissima e le autorità cittadine.
Il 22 settembre 1355, da Fermo il Cardinale Egidio Albomoz, che il giorno prima, aveva ricevuto la dedizione di Fermo e del contado, convoca tutti i castelli e terre dello Stato di Fermo per giurare fedeltà alla Sede Apostolica. Sono circa 60 i sindaci convocati.
Il 22 settembre 1355 si ha pure l’assoluzione di Fermo e dei suoi castelli, incorsi nella scomunica per aver parteggiato per Gentile da Mogliano.
Il 22 settembre 1860 viene inaugurato il nuovo governo provvisorio; il 22 novembre successivo Re Vittorio Emanuele accoglie a Napoli i risultati del plebiscito di Fermo e delle città marchigiane. Il 22 dicembre 1860 Fermo perde, come visto, la provincia.
Il 22 maggio 1863 l’allora principe Umberto, il futuro Umberto I, fu ospite acclamatissimo di Fermo e dal balcone di Villa Vinci parlò alla folla entusiasta che stipava il Girfalco.
Anno 1379 – E Fermo si libera dalla tirannide di Rinaldo
“In die festo Sancti Bartholomei facta fuit revolutio”. Latino facile anzi facilissimo, che racconta come il giorno di S. Bartolomeo, cioè il 24 agosto 1379, avvenne a Fermo la “rivoluzione”. Consistette nella cacciata del tiranno Rinaldo da Monteverde, che tre anni prima, il 22 dicembre 1376, si era impadronito della città, spalleggiato da bande mer¬cenarie di inglesi e tedeschi e dal suo potente esercito: in tutto circa diecimila uomini. L’anno successivo, il 4 giugno, mise a ferro e fuoco Sant’Elpidio a Mare e, nello stesso anno, combattè contro S. Ginesio. L’otto settembre 1377 di nuovo mise a ferro e fuoco Sant’Elpidio e tra¬fugò la reliquia della Sacra Spina, che da allora si trova nella chiesa di Sant’Agostino a Fermo, molto venerata dai Fermani.
Rinaldo commise a Fermo molte efferatezze e delitti. Fece decapi¬tare Nicolao e Andreuccio di Andrea Coluccini, Paolo Puctii e Vanne Mattei, rispettabilissimi cittadini. Ma il 24 agosto, Fermo si sollevò contro il tiranno e lo cacciò dalla città. Egli dapprima si rifugiò a Monteverde poi a Montefalcone Appennino. Qui si era asserragliato nella rocca insieme alla moglie Luchina, la Guercia, sua serva, Mercenario e Luchino, figli legittimi, due altri piccoli figli bastardi, Paolino da Massa, Nicola di Maestro Federico e molti altri.
Dietro pagamento di mille ducati da parte dei Fermani e la promessa di altri cinque per ogni mese, Egidio da Monturano e Bonaccorso Ri- guetii da Potenza Picena, aprirono le porte della rocca di Montefalcone, dando così modo ai Fermani di catturare Rinaldo, moglie, figli e seguaci. Catturati, dopo due giorni furono portati a Fermo in sella ad un asi¬no, volti all’indietro, con una corona di spine in capo. Fatti passare per Porta S. Giuliano, furono condotti in piazza davanti al Palazzo dei Priori. Il popolo di Fermo era tutto in tripudio. Finalmente la tirannide era “sconfitta”. Rinaldo e figli furono decapitati; gli altri seguaci, catturati a Montefalcone, vennero in seguito impiccati. Luchina, per intervento del Conte di Virtù, venne risparmiata. Le teste di Rinaldo e dei figli furono poste su una colonna di pietra. Sotto quella di Rinaldo era scritto: “Tiranno fui pessimo e crudele”. Sotto quella dei figli: “Sol per mal fare di me e di Luchina, cari miei figli pateste disciplina”.
Oggi in una delle nicchie nel muro esterno della chiesa della Pietà, si ammira una scultura di S. Bartolomeo; ai suoi piedi giace una testa che molti identificano con quella di Rinaldo. Gli Statuti di Fermo (Rub.VI, Lib. 1) stabilirono che ogni anno la festività di S. Bartolomeo doveva essere celebrata con singolare devozione, dato che in tale giorno Fermo era stata liberata dalla rabbia del tiranno.
Anno 1380 – Boffo da Massa e il Palio di Fermo
Sulla scena della storia nazionale italiana nel 1380 appare Gian Galeazzo Visconti, che mira al dominio della Penisola, dopo aver ottenuto da Venceslao di Boemia, successore dell’imperatore Carlo IV, il Vicariato della Lombardia. Giovanna, Regina di Napoli, riconosce l’antipa¬pa Clemente VII e Papa Urbano VI le fulmina la scomunica, privandola del regno. Questo, giungeva vicino a noi: al Tronto. Ad Arquata del Tronto c’è la Rocca che la tradizione vuole dalla Regina Giovanna.
Ma “zumando” la storia dello Stato di Fermo troviamo che in que¬sto anno 1380 si verificano fatti ed eventi di notevole importanza, con riflessi nella storia nazionale. Nella rocca di Montefalcone Appennino, Rinaldo da Monteverde, tiranno di Fermo
(“… il popolo fermano a’ 22 dicembre si sottomise a Rinaldo”…) è catturato dai Fermani.
Ma oltre a Rinaldo, abbiamo un altro personaggio: Boffo da Massa, distinto capitano di ventura e componente della Lega costituita dal¬la repubblica di Firenze, contro lo Stato della Chiesa. Amico di Coluccio Salutati, celebre segretario della Lega, era divenuto signore dei va¬ri castelli dello Stato di Fermo. In modo speciale dominava i tre “C”, cioè Carassai, Castignano, Cossignano.
E a questo proposito, mentre è ancora viva l’eco del palio dell’Assunta, ci piace dare una notizia finora inedita. Boffo da Massa propose alle autorità fermane che per la festa dell’Assunta del 1380 portasse il palio anche il castello di Cossignano. La proposta venne sul momento accantonata (nulla habita mentione si legge nella delibera relativa, cioè non venne trattata).
È questa una piccola tessera nel grande mosaico del Palio dell’Assunta, che da ricerche in corso sta per rivelare nuovi elementi storici che documentano una datazione più antica ed uno splendore insospettato.
Anno 1384 – I riti pasquali nella Cattedrale di Fermo più grande di quella di Torino
Undici aprile 1993: Pasqua di Resurrezione! È la settantacinquesima Pasqua che cade in tale giorno dal 62 d.C. ad oggi. Le più recenti sono state quelle del 1971 e del 1982; le prossime, in data 11 aprile, saranno nel 2004, poi nel 2066, 2077, 2088, etc.
Argomento religioso quindi per il “cronista”, che tenterà di dire qualcosa, sul più importante tempio di Fermo, il Duomo, dove da secoli si celebrano in questo giorno i riti pasquali. Ho detto importante, ma devo dire anche più grande. E non solo è più grande e vasto della città ma è superiore per lunghezza e larghezza, addirittura al Duomo di Torino.
Pasqua! Nel suo inno “La Resurrezione”, Manzoni ha dei versi stupendi: Via co’ i palii disadorni / lo squallor della viola: / L’oro usato a splender tomi; / sacerdote in bianca stola / esci a i grandi ministeri / tra la luce dei doppieri / il Risorto ad annunziar.
Forse senza volerlo, senza saperlo, Manzoni parla di tre “componenti”: Viola, Oro, Doppieri. E nel nostro Duomo, la viola (vispa campana risalente al 1384), gli ori del tempio del tesoro, i doppieri, stupendi candelabri più volte rubati al tempo della repubblica Romana e di Napoleone e sempre riscattati dall’arcivescovo Minucci, cantano la Resurrezione! Nell’inno manzoniano però non si nomina l’organo… ma quel-
lo che connotava la gioia ed il tripudio pasquale era proprio l’organo.
Ricordo quel vecchio organista che inondava di note il Duomo. Rapiva i fedeli in un’esultanza senza pari. Le canne dell’organo rispondevano gioiose, quasi avide, al tocco delle sue dita. Si facevano deliziose, dolci, vibranti. Ora divenivano impetuose, ora solenni, poi pacate, fievoli come un soffio di brezza arcana: d’improvviso. Flagellanti come uragani, tempestose come un mare in burrasca, poi solenni, squillanti,
possenti. Su tutto e su tutti, spiccava nitido e maestoso il grido della fede, il peana della vittoria: Resurrexi! Sono risorto!
E il Duomo, il nostro bel Duomo, esultava. Sembrava prendere parte anch’esso alle nostre capriole sul prato; ai nostri giochi di “scoccetta” consistenti nell’arietare un uovo contro un altro e aggiudicarsi la vittoria se si riusciva a rompere quello dell’avversario.
Il Duomo, il nostro Duomo! Lo vide Urbano II quando venne qui a predicare la crociata.
Ivi fu battezzato Galeazzo Maria Sforza, quinto a duca di Milano. Vi furono “calibri di santità” come S. Domenico, S. Bernardino da Siena, Giacomo della Marca. Da qui mossero le penne verso il pontificato Pio III e Sisto V; lo visitarono Pio V, Pio IX nel 1857
e il vivente Giovanni Paolo II nel 1988. Lo vide Federico II; Pier delle Vigne; Manfredi; Mercenario; Gentile da Mogliano; Giovanni Visconti d’Oleggio; Garibaldi (1849); Carducci (1875); Cavallotti; i Re d’Italia Umberto I e Umberto II (1925); Carlo e Vittorio Crivelli, etc.
Mentre le campane del suo campanile suonano a festa (comprese la Viola, la Sbirretta, il Campanone, etc.) ripenso a quei versi di Ada Negri con cui ricorda la Pasqua “… a le finestre batto e dico: aprite! / Cristo è risorto e germinan le vite / nove e ritorna con l’april l’amore. /Amatevi tra voi pei sogni belli / Che fioriscono oggi sulla terra / uomini della penna e della guerra. / Uomini delle vanghe e dei martelli / Schiudete i cuori e in essi irrompa intera / di questo dì l’eterna giovinezza / io canto e passo che la vita e bellezza / passa e canta con me la primavera!”.
Anno 1386 – Arquata chiede protezione a Fermo
Fermo e Arquata, località distanti e dissimili; la prima la più im¬portante città delle Marche (sec. XIV) e la più popolata, seguita nella classifica da Camerino, Ancona, Ascoli; la seconda località di circa mille abitanti, classificata dalFAlbomoz civitas mediocris, alla pari di Osi-mo, Cingoli, Tolentino, Montalto, Force.
Alternativamente contesa e soggetta a Norcia, ad Ascoli ed al Regno di Napoli, Arquata subì assedi, ritorsioni, depredazioni. Era rocca importante strategicamente; da qui la mira di conquista da parte dei confinanti. Arquata decise allora di rivolgersi a Fermo e di mettersi sotto la sua protezione. Era stufa di subire angherie e soprusi.
Raduna il Consiglio Comunale, o, come si diceva allora, il Parlamento “ad onore e riverenza dell’Onnipotente Iddio, della sua Madre, la gloriosa Vergine Maria, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e di Papa Urbano VI, del collegio dei Cardinali e ad onore e magnificenza della città di Fermo”. È l’anno 1386. Si designa tale ser Cola Cicchi Rainaldi a rappresentare Arquata a “presentarsi a Fermo, ai Magnifici e Potenti Priori ed al Vassillifero della Giustizia, per raccomandare e mettere il Comune di Arquata e suo Distretto sotto l’ombra delle ali e sotto la protezione e difesa di Fermo, ora e sempre“.
Il passo originale è di una suggestiva descrizione. Ricorre il biblico sub umbra alarum tuarum, motivo più tardi ripreso dal Foscolo (sotto le grand’ali del perdono di Dio etc.). Nell’atto stipulato si precisa che il podestà di Arquata sarà un cittadino di Fermo; avrà lo stipendio di “seicento libre di denari”. Il Comune di Arquata “promecte de non ospitare nella sua terra, nissuna gente inimica di Fermo, di portare il Palio nel giorno dell’Assunta, patrona di Fermo e di accogliere gente da cavallo e da pie’ che lo comuno di Fermo volesse mettere per la de fesa de Arquata e per offensione ad altrui”.
Vi sono poi altre clausole, come quella che Arquata lascerà passare soltanto il sale del monopolio di Fermo; non dichiarerà guerra ad alcuno senza il permesso di Fermo che, a sua volta, si impegna a far sì che “alguna potenza, ciptà terra, conte, barone, nobbele overo seculare possa commettere prepotenze contro Arquata”.
Vi sono poi altri documenti ad esempio quello da cui risulta che Arquata, per fare pace con Ascoli, dovette chiedere il benestare di Fermo ed un altro del 1607. Da questo risulta che Arquata, in lite con paesi vicini, domanda il “favore” della città di Fermo.
Arquata durante il regno di Napoleone Bonaparte fece parte del Dipartimento del Trasimeno; caduto Napoleone, appartenne alla Delegazione Apostolica di Spoleto; solo nel 1818 “tornò” nella Regione marchigiana, come Comune della Delegazione Apostolica di Ascoli.
Anno 1386 – Il Palio e gli ottanta castelli
Palio: taglio di stoffa prezioso che ve niva assegnato al vincitore di gare o competizioni per lo più a cavallo, e in seguito passò ad indicare la competizione stessa.
Nel Medio Evo era molto in voga, ma quello di Fermo, documenti alla mano, era ed è uno dei più antichi, se non il più antico. Non mi risulta che qualche altro possa vantare oltre otto secoli, documentati, di esistenza. Ed aveva dimensione “interprovinciale”. Il 15 agosto di ogni anno lo portavano Monterubbiano insieme ai suoi castelli Cuccure e Montotto. Lo portava Ripatransone (1205), che ad un certo momento ne dovette portare in una sola volta ben 22 arretrati. Lo portavano Potenza Picena (allora Monte Santo) e Monte Cosaro, ora entrambe in Provincia di Macerata; lo portava Monte Giorgio che nel ’400 delegò più volte Collicillo, suo castello dipendente. Nel 1386 lo portò addirittura Arquata del Tronto che continuò a portarlo anche negli anni successivi: nel 1387 e 1388 lo consegnò a Fermo Marino Damiani; nel 1387 Bartolomeo Cicchi, su precisa delega del castello di Arquata. Oltre ai castelli di cui sopra, dovevano sfilare per le vie di Fermo nel giorno dell’Assunta i rappresentanti dei castelli dipendenti (in tutto un’ottantina che andavano da S. Benedetto del Tronto ad Acquaviva Picena a quelli del litorale sino a S. Elpidio e quindi verso i monti, come Gualdo, Montefalcone, Sant’Angelo in Pontano e poi giù, Petriolo, etc.
La sfilata era un tripudio cui partecipavano i magistrati, le contrade, i bifolchi, fomaciari, vasai, mulattieri, osti, macellai, ciabattini, speziali, mercanti, etc. etc. Era tutto uno scintillare di elmi e di corazze, un garrire di gonfaloni ed orifiammi, un incedere ieratico e festoso. Era la Festa dell’Assunta. Fermo ed il suo popolo ne gioivano, fieri della rassegna della loro potenza, della loro religiosità, dei castelli, dei vicari, dei vassalli, dei rappresentanti delle potenze confinanti.
Abbiamo detto sopra che. oltre agli ottanta castelli, sfilavano, ec è questa la connotazione più importante, i Palii di Monterubbiano, Corridonia, Montegiorgio, Montecosaro, Potenza Picena, Ripatransone e persino di Arquata. Perché non ripristinare almeno per i più vicini tale sfilata nella prossima edizione?
Anno 1389 – Il Tribunale di Fermo e le sue vicende
“Dal dì che nozze tribunali ed are / dieder alle umane belve esser pietose / di se stesse e d’altrui…” così Foscolo ne “I sepolcri”.
Oggi, a distanza di due secoli, i mass media, gli ambienti giudizia¬ri, politici ed economici, parlano di soppressioni di tribunali, di ristrutturazioni e vi sono anche oggi “umane belve” che vorrebbero dilaniare istituzioni e realtà, esistenti da secoli.
Tribunale “organo giudiziario che esercita la giurisdizione in materia civile e penale nei modi e nei casi stabiliti dalla legge”. La società, nel corso dei secoli, si è data norme e leggi per uno svolgersi regolato ed ordinato della vita associata. Vi sono i tribunali civili e penali, i tribunali amministrativi (TAR) regionali, i tribunali militari, il tribunale delle acque, il tribunali dei minorenni, i tribunali ecclesiastici, etc.
A proposito di questi ultimi, diciamo che sono 18 (diciotto) in tutta Italia e, per l’intera Regione marchigiana, la sede è proprio Fermo.
Istituito nel 1938 da Papa Pio XI, giudica le cause matrimoniali dell’intera Regione e di alcune località dell’Abruzzo come Colonnella, Martinsicuro, Ancarano, Valle Castellana, S. Egidio alla Vibrata, perché appartengono alle Diocesi di S. Benedetto od a quella di Ascoli.
Già nel 1500, prima di Cristo, esistevano i tribunali per giudicare chi contravveniva al codice di Hammurabbi. Veniva anche giudicato chi contravveniva ai comandamenti di Dio dati da Mosé sul Monte Sinai. In tutto dieci, e tali sono rimasti, perché non sono state ammesse né commissioni né sotto-commissioni per apportare emendamenti.
Roma aveva le famose XII Tavole. Poche erano le leggi, e le cose andavano meglio di adesso. Plurimae leges sed mala respublica, latino molto eloquente, la cui traduzione è superflua. Nel Medio Evo era legge tutto ciò che voleva il Principe (quidquid placuit prìncipi legis habet vigorem) ed il Principe stesso giudicava chi contravveniva a tale (o tali) legge (leggi). Poi ogni stato, ogni ducato, cominciò ad avere il suo tribunale perché il Principe non poteva occuparsi di tutto. La città di Fermo, sin dall’alto medioevo, ebbe lo jus o diritto di mero e misto impero, cioè poteva giudicare le cause penali e civili non solo della città, ma del vastissimo suo territorio che andava dall’Esino al Pescara, dagli Appennini al mare. Ovviamente a Fermo risiedeva il tribuna¬le supremo di quella che era la Marca Fermana; tribunali minori erano disseminati nella vasta area che ricalcava l’antico Piceno. Più tardi, nel sec. XIV, ebbe sede a Fermo’ la Curia della Marca, curia che venne confermata da Papa Bonifacio IX (1389-1404) che nominò Signore di Fermo suo fratello.
Fermo, come detto altrove, era allora la città più importante delle Marche, seguita da Ancona, Urbino, Ascoli, mentre Macerata e Pesaro erano piccole città.
Le Marche erano parte dello Stato della Chiesa e chi amministrava la giustizia erano i tribunali pontifici. Ma con la venuta di Napoleone, Fermo acquistò maggiore importanza. Divenne capoluogo del Dipartimento del Tronto, circoscrizione amministrativa napoleonica, che abbracciava il territorio della odierna Provincia di Ascoli, più l’allora Provincia di Camerino, più la parte meridionale dell’attuale Provincia di Macerata.
Fermo era sede del tribunale e della prefettura e da essa dipendevano le vice-prefetture di Ascoli e quella di Camerino. Dopo la caduta di Napoleone, vennero create le Delegazioni Apostoliche di Fermo e quella di Ascoli; ognuna aveva il suo tribunale.
Ma nel 1824 con mota proprio di Leone XII, in data 5 ottobre, venne soppresso il tribunale di Ascoli poiché quella delegazione venne riunita a quella di Fermo. Il 21 dicembre 1827 venne ricostituito tale tribunale. Tuttavia nel triennio 1824/1827 per i reati più gravi il tribunale di Fermo esercitò la sua giurisdizione anche in territorio ascolano.
Si ha poi nel 1860 l’occupazione delle Marche da parte dell’esercito piemontese e, nel dicembre 1860, venne ingiustamente soppressa la Provincia di Fermo di gran lunga più importante di quella di Ascoli e riunita a questa. Tuttavia il tribunale (la cui giurisdizione in tutto e per tutto ricalca il territorio della soppressa Provincia) rimase.
Nel 1900 vennero diligentemente riordinati tutti i carteggi del Tribunale Fermano che, dopo l’unita d’Italia, venne sistemato dove si trova attualmente, in corso Cavour, nei locali della già Casa dei Padri Filippini, casa confiscata per le leggi eversive dal Governo Piemontese.
Ma nel 1923, con Regio Decreto del 24 marzo n. 601, il Tribunale di Fermo venne soppresso ed il suo territorio compreso nella circoscrizione del tribunale di Macerata. Successivamente, lo stesso territorio fu trasferito dalla giurisdizione del tribunale di Macerata a quella del tribunale di Ascoli.
Le disposizioni governative, però, avevano creato una situazione insostenibile, per cui dovettero costatare con mano, che avevano com¬messo un grave errore. Per cui, con Regio Decreto Legge del 28 settembre 1933, n. 1282, venne ricostituito il Tribunale di Fermo.
Molte personalità di Fermo e del Fermano si attivarono per tale ricostituzione. Mons. Vincenzo Curi, Arcivescovo di Bari (era nativo di Servigliano) aveva interessato personalmente P allora Capo del Gover¬no Benito Mussolini. L’Arcivescovo Curi aveva poi comunicato all’Avvocato Giacomo Properzi, allora Presidente dell’ordine degli avvocati e procuratori di Fermo, che “la cosa era già sicura”. Il telegramma (che fino a poco tempo fa si conservava in casa dei nipoti del Curi) era “molto lungo e vibrante di esultanza”. Mons. Curi, tuttavia, non potè vedere il decreto reale, perché morì il 28 marzo 1933, esattamente sei mesi prima dell’emanazione del decreto stesso. Anche Mons. Ercole Attuoni, Arcivescovo di Fermo (scomparso nel 1942), si diede molto da fare per il ripristino.
Attualmente, il Tribunale di Fermo ha una mole di lavoro cospicua. Nella recente relazione dell’Associazione Nazionale dei Magistrati vi è un passo eloquente. Nel mentre si premette che “alcune città sedi di Tribunale, infatti, saranno promosse capoluogo di Provincia (Biella, Rimini, Crotone, Vibo Valentia, Prato, Lecco, Lodi) e quindi appare opportuno che conservino gli uffici oggi esistenti”, per altri si chiede “l’accoppiamento”… “Bisogna rilevare che, al fine di non gra¬vare eccessivamente gli uffici giudiziari del capoluogo di Provincia, si è ritenuto opportuno proporre i seguenti accoppiamenti: 1) Caltagirone a Gela; 2) Lametia Terme a Vibo Valentia; 3) Rossano a Crotone; 4) Sulmona ad Avezzano; 5) Sala Consilina a Vallo di Lucania”.
Quindi (ed è questo il passo che ci interessa) “per alcuni uffici, si è ritenuto, poi, le condizioni socio-economiche della zona richiedano la presenza di tribunali medi: FERMO, BUSTO ARSIZIO, VERBANIA) anche per non gravare eccessivamente i tribunali e preture dei rispettivi capoluoghi di Provincia...”.
Da tener presente che la relazione di cui sopra, prevede la soppressione di ben 43 (quarantatre) tribunali, tra cui Urbino, Camerino, S. Remo, Vasto, Orvieto, Spoleto, Casale Monferrato, Alba, Rovereto, Melfi, Mondovì, Pinerolo, Saluzzo, Tortona, Lanciano, Voghera.
Significativo, quell’abbinamento del tribunale di Lametia Terme a Vibo Valentia, recentemente elevata a capoluogo di Provincia!
Oggi, il Tribunale di Fermo ha giurisdizione sui seguenti Comuni: Altidona, Campofilone, Cossignano, Cupra Marittima, Falerone, Fer¬mo, Francavilla d’Ete, Grottammare, Grottazzolina, Lapedona, Magliano di Tenna, Massa Fermana, Massignano, Monsampietro Morico, Montappone, Montefalcone Appennino, Montefiore dell’Aso, Monte Giberto, Monte Giorgio, Montegranaro, Monteleone di Fermo, Montelparo, Monte Rinaldo, Monterubbiano, Monte S. Pietrangeli, Monte Ura¬no, Monte Vidon Combatte, Monte Vidon Corrado, Montottone, Moresco, Ortezzano, Pedaso, Petritoli, Ponzano di Fermo, Porto S. Giorgio, Porto Sant’Elpidio, Rapagnano, Ripatransone, Santa Vittoria in Matenano, Sant’Elpidio a Mare, Servigliano, Smerillo, Torre S. Patrizio.
Da notare che Carassai, che si può dire è un passo da Fermo, dipende dal Tribunale di Ascoli, mentre Ripatransone e Cossignano, sebbene più distanti, dipendono dal Tribunale di Fermo.
Anno 1389 – Fermo manda sentinelle a vigilare la Rocca di S. Benedetto del Tronto
Non sembra, ma sono passati più di 6 secoli! Fermo, che aveva sotto di sé il Castello di S. Benedetto del Tronto, il 29 settembre 1389 manda dei soldati in quella località, per la vigilanza della rocca e del castello tutto. Tale rocca, con Monte Falcone Appennino, Smerillo, Moresco, Porto S. Giorgio, Gualdo e S. Angelo in Pontano (questi due ultimi ora in Provincia di Macerata) costituiva la difesa turrita dello Stato Fermano.
Non è facile né semplice poter avere un documento di oltre sei secoli come il nostro, dal momento che S. Benedetto è stata tappa obbligata di passaggi di eserciti, devastazioni, incendi, assedi, etc. Tale atto risulta in un bastardelle del Comune di Fermo, risalente come detto al 1389.
Gli statuti fermani stabilivano che il castellano e i militi preposti alla vigilanza ed alla difesa, dovevano dimorare nella rocca giorno e notte (die noctuque manere) e potevano addirittura portare con sé la propria famiglia e una scorta di provviste bastanti tre mesi, per far fronte ad eventuali assedi.
Dove saranno ora i corpi di quei 17 militi mandati da Fermo, quali sentinelle della zona sambenedettese?
Potevano pensare che dopo sei secoli la prosperità avrebbe conosciuto i loro nomi? Eccoli per la storia; erano: Nicoluccio Nicolai, (Ni)cola Camannucci, Ciccone Gentile, Antonio Nicoluzzi, Massio di Pietro Matteo, Vanne Marini, Bartolomeo Puctii, Giacomo Beneditti, (Ni)cola Carfangi, Vanne Benvenuti, Angeluccio Iacobucci, Angelo Dominici, Cicco Iacobucci, Paluzio Cappella, Nicola Gualtierucci, Mingiuzio Antoni.
A loro gli onori militari per l’assidua missione di vigilanza contro le incursioni interne ed esterne, specie per quelle provenienti dal mare!
Anno 1396 – Assedio e conquista della rocca di Smerillo
Smerillo, piccolo ma pugnace paesino del Fermano, posto a 800 metri di altitudine, gemma incastonata nel verde preappenninico! Gli è a fianco Monte Falcone Appennino, col quale ripete l’etimologia degli accipitriformi o meglio dai falchi: falco columbarius per Smerillo; falco peregrinus per Monte Falcone. Importantissimo nel medioevo, Smerillo contava 27 vassalli. Di esso parlano molte pergamene degli Archivi (di Stato e Arcivescovile) di Fermo.
Fra Smerillo e Monte Falcone, spesso in lotta fra loro, sorge un piccolo convento detto Luogo di Sasso da cui, con Matteo da Bascio (frate marchigiano), nel 1525 partì la scintilla della fondazione dell’Ordine dei Cappuccini che oggi conta 12000 frati, sparsi in tutto il mondo. Fermo, la città di Girfalco (falchi ovunque, oggi!) teneva molto a Smerillo che, con Monte Falcone, erano due rocche imprendibili verso ovest.
Ma “con cùpido sguardo” i Duchi di Camerino, i Varano, agognavano a Smerillo. Verso l’interno, era uno dei più muniti baluardi strategici, ostacolo alla loro espansione. I Varano comprarono i custodi (tali Luzio e Antonio) della rocca; si fecero aprire la fortezza e il ghiotto boccone passò a Camerino.
Figurarsi lo sdegno di Fermo. Smerillo si era ribellato! Smerillo doveva essere riconquistato, e subito. Mobilitò le truppe della città e del comitato (civitatis et comitatus) e al rullo dei tamburi, bandiere al vento, corse ad assediare il castello ribelle; “die XIII mensis maii… coeperunt castrum Smerlli”, annota lo storico Anton di Nicolò. Era il 13 maggio 1396. Fu un veni, vidi, vici! L’assedio fu subitaneo, massiccio e vittorioso; anche se il cassero resisteva, il paese fu subito ripreso e Smerillo tornò nell’orbita fermana.
Ora nel piccolo centro, che nel 1944 all’indomani della Liberazione, si costituì in Territorio Libero di Smerillo, tutto è pace. L’aria pura e incontaminata; le acque, limpide e fresche, invitano i turisti. In alto, il cassero imponente e austero ricorda fremiti di guerra; i falchi “dai silenzi dell’effuso azzurro” intrecciano “in tarde ruote digradanti / il nero volo solenne”. Le mura massicce rievocano, dopo quasi sei secoli, quel sabato fatale e fatidico: l’assedio del 13 maggio 1396, posto dalla città del gir-falco al castello che si fregia pure del nome di un “falco”: lo smeriglio!
1080 – Un tributo da versare il giorno di Pasqua p.
1087 -Gioiello poco valorizzato: antichissima chiesina di Madonna Manù p.
1116 – I doni portati dai Castelli p.
1149 – Del palio si parla già in un documento del XII secolo p.
1149 – Il Palio, espressione della potenza fermana p.
1170 – La Casula di S. Tommaso Becket, Fermo e la massima benedizione di Allah p.
1175 – Fermo distrutta dall’Arcivescovo Cristiano p.
1176 – Fermo distrutta e poi riabilitata p.
1176 – Barbarossa la chiamò Porto San Giorgio p.
1182 – Il drappo dei Castelli p.
1211 – Dal Potenza al Tronto lungo la costa sventolava il vessillo di Fermo p.
1221 – Mal di denti e Pellegrino da Falerone p.
1229 – Quanti privilegi per Montegiorgio p.
1240 – Federico II e S. Elpidio con due diplomi l’imperatore concesse privilegi alle città p.
1240 – Il privilegio concesso da Federico II imperatore p.
1240 – La Vallata del Tronto e Federico II p.
1242 – Epilogo di una Lega di sette secoli fa p.
1242 – Il panno di Federico p.
1245 – La Marca Fermana nominata nel Concilio di Lione p.
1253 – Ranieri Zeno potestà di Fermo eletto doge p.
1250 – I privilegi di Federico II a favore di Torre di Palme p.
1266 – G. 7 a Moresco – Il Doge Tiepolo p.
1267 – La Rocca di Porto S. Giorgio p.
1268 – Una complicata Riforma elettorale, sette secoli fa p.
1272 – Un privilegio ai mercanti Fermani p.
1280 – 16 febbraio 1280: Fermo compera una parte del castello di S. Benedetto p.
1281 – Santa Maria a Mare p.
1288 – Ben dieci i Papi Marchigiani p.
1288 – Ancora di Nicolò IV, Papa p.
1289 – Nicolò IV p.
1292- Quel “crudo sasso” reso famoso dal fermano Beato Giovanni p.
1292-I due Gentili da Mogliano p.
1294- La tradizione dei focaracci nelle pagine e nei versi di scrittori e poeti 1294- Le coordinate: Ancona e Fermo! p.
Anno 1046 – Clemente II: a Fermo di passaggio
Continuando negli stelloncini (non natalizi) ed aspettando Papa Giovanni Paolo II, sottolineamo oggi che le Marche in genere, ebbero a che fare con Papi, i secondi delle serie relative: Clemente II, Urbano II, Pio II, Giulio II ed ora Giovanni Paolo II. Fermo a sua volta ebbe a che fare con Urbano II, Pio II e Giulio II.
Non era facile né semplice nel 1046 essere Papa. Clemente II, ebbe molto da fare a Roma e nell’Italia meridionale. Passò per le Marche, ma dovette fermarsi a Pesaro a causa una violentissima febbre; qui morì nel monastero di S. Tommaso in Foglia.
Ma nonostante tutto, lo ricordiamo in questi giorni con i nostri auguri, perché proprio la Notte di Natale ricorrono 942 anni dalla sua elezione a Pontefice. Vescovo di Bamberga in Sassonia, anche da Papa mantenne tale vescovado. Incoronò imperatore Enrico III e lo accompagnò a Salerno, Benevento ed in Germania.
Clemente II fu da noi solo di passaggio; vedremo Urbano II che fu a Fermo nel 1195; quest’anno ricorrono novecento anni della sua elezione a Papa (1088-1099).
Clemente sebbene morto in terra marchigiana, fu riportato, secondo suo desiderio, a Bamberga ed ivi sepolto.
Nel 1237 gli venne eretto, in quella Cattedrale, un degno monumento sepolcrale. È l’unico Papa sepolto in Germania.
Anno 1055 – I Normanni e la Marchia Firmana
In questi giorni tra le mostre che ciclicamente vengono allestite a Roma, una spicca per importanza ed interesse: quella sui Normanni. Lo documentano le lunghe code di attesa, composte da amatori curiosi, ma anche da qualificati studiosi. I Normanni, questo popolo del nord, che nel secolo VIII per mare e per terra invase l’Europa spingendosi fino alla Groenlandia, si stanziò anche in Francia, occupando per ben tre volte Parigi e dando il nome a quella Regione che da loro prese il nome di Normandia. Da qui invasero l’lnghilterra, sconfiggendo gli abitanti nella famosa battaglia di Hasting (14 ottobre 1066). Si spinsero poi a sud occupando anche tra il 1043 e il 1098 l’Italia meridionale. Sono noti nella storia i nomi di Tancredi d’Altavilla, di Ruggero, di Roberto il Guiscardo, di Boemondo fondatore del principato di Antiochia. Ma nella storia dei Normanni vi è una “connotazione” fermana o meglio della Marca Fermana. Gli abitanti di questa, combatterono a fianco delle truppe papali, allorché Papa Leone IX dichiarò loro guerra per aver occupato terre su cui la Roma papale avanzava diritti. Tremendo fu lo scontro a Civitate in Puglia (18 giugno 1055) e l’esercito pontificio in cui militavano anconetani, fermani, spoletini, venne sconfitto. Tuttavia si verificò qui quanto affermato da Orazio (Epist. 11,1,56). “Grecia capta ferum victorem coepit et artes intulit agresti Latio” (La Grecia pur vinta vinse il rude vincitore e insegnò le arti all’agreste Lazio).
Infatti, il Papa, pur sconfitto, impose la sua autorità e la sua forza morale, talché i Normanni obbedirono ai suoi desiderata.
Guglielmo di Puglia narra che “il biondo Roberto dall’alta ed im-ponente statura, glorioso per tante battaglie, si inginocchiò davanti al Papa e gli baciò il piede. Gregorio (è Gregorio VII) lo fece alzare e lo invitò a sedere accanto a lui”.
Riecheggiando Orazio, uno storico coevo (come ci narra il Muratori) dice che il Papa, pur vinto dai Normanni, dettò legge ai vincitori e vinse con la religione, coloro che non era riuscito a sottomettere con le armi (A Normannis victus leges dedit victoribus et quos armis superare non potuit, religione fregit).
Latino facile di cui il lettore ci perdonerà, ma che abbiamo dovuto citare, perché più splendido apparisse il parallelo con Orazio.
Vi fu poi un’intesa tra Papa Gregorio VII (il famoso Ildebrando, alleato di Matilde di Canossa) e Roberto il Guiscardo. Gregorio gli conferisce l’investitura di parte dell’Italia meridionale “della terra che ti concessero i miei antecessori di santa memoria, cioè Nicola ed Alessandro, Amalfi e parte della Marca Firmana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà, col patto che tu in seguito debba comportarti verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro”. Si noti quella precisazione di “parte della Marca Fermana”. Ruggero, infatti, col suo esercito l’aveva occupata, tutta cioè dal Musone fino al sud di Vasto. Ma poi aveva restituito al Papa la parte a nord del Tronto, tenendosi per sé quella a sud di tale fiume. Così il nome “Marchia Firmana” , già apparso in precedenza sia nel “Chronicon Farfense”, sia in diplomi imperiali, brilla ora in un atto giuridico tra Papa e imperatore, dopo essere apparso anche nella bolla di scomunica che il Papa, in precedenza, aveva lanciato contro i Normanni “videlicet Marchiam Fir-manam universis abbatibus et episcopis in Marchia Firmana, etc.”.
1080 – Un tributo da versare il giorno di Pasqua
Nella storia d’Italia, spesso la data della Pasqua serviva per ricordare la consegna di doni, di regalie, di omaggi, di tributi e di censi… “Nel giorno della Pasqua di Resurrezione offra alla chiesa, tot. numero di polli, di uova, tanti agnelli” etc.
Prosaicità che adombra lo splendore di vita nuova!
E proprio nel giorno della Pasqua di Resurrezione, un condottiero normanno, Roberto il Guiscardo, sin dall’anno 1080 prometteva ad Ildebrando di Soana, o meglio a Papa Gregorio VII, famoso per la vicenda di Enrico IV a Canossa e per la Contessa Matilde, vindice del papato, di versargli un tributo o censo di dodici denari di moneta di Pavia per ogni paio di buoi.
Tale censo era il corrispettivo per avere il Guiscardo invaso Salerno, Amalfi e la Marca fermana. Infatti, in un primo tempo, Roberto il Guiscardo era contro il Papa; poi passò a difenderlo. Era pendente l’occupazione delle due città e della Marca Fermana a sud del Tronto. In un primo tempo l’aveva occupata quasi tutta, ma poi restituì a Gregorio VII la parte a nord del Tronto, tenendo per sé Amalfi, Salerno e la Marca Fermana sud.
Passato dalla parte del Papa Gregorio VII, Roberto riceve l’investitura di terre pontificie. “Io Gregorio papa, conferisco a Te, duca Roberto, l’investitura della terra che ti concessero i miei predecessori di santa memoria Nicolo’ ed Alessandro (sono i Papi Nicolo’ II (1061) e Alessandro II (1071) – ndr). In quanto all’altra terra che tieni ingiustamente, cioè Salerno, Amalfi e parte della Marca Fermana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà in modo che tu debba in seguito comportare verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro senza pericolo dell’anima tua e della mia….”.
A questa investitura fa eco “Roberto, per grazia di Dio e di S. Pietro Duca della Puglia, Calabria e Sicilia…” promettendo a Gregorio e successori “a nome proprio, degli eredi o successori l’annuo tributo di cui sopra da pagarsi in die Resurrectionis Domini”, nel giorno cioè della Resurrezione del Signore. Roberto fu fedele alla promessa e salvò anche Papa Gregorio dall’assedio posto a Castel Sant’Angelo dallo spegiuro Enrico IV che aveva assolto dalla scomunica. Da quella Pasqua ne sono trascorse ben 912!
Oggi gli abitanti di quella che fu la Marca Fermana dovrebbero elevare un pensiero memore e grato verso Gregorio, figura che giganteggia nella storia, quale vindice dei diritti della Chiesa e della libertà della Marca Fermana.
Anno 1087 – Gioiello poco valorizzato, l’antichissima chiesina di Madonna Manù
“Salve chiesetta del mio canto!”, così Carducci nell’ode “La Chiesa di Polenta”; così chi scrive, con minore autorità, ma con non minore affetto, saluta la chiesina di Madonna Manù. Etimologia ebraica: Manù = cos’è questo?
Affonda le sue origini all’alto Medioevo. Risalente il secolo X, come la chiesa di Polenta; è detta anche Madonna delle Noci, perché fino a poco tempo fa, dopo la Messa, vi si giocava a castelletti di noci.
Qualcuno dei “miei venticinque lettori” si domanderà subito dove sorge tale chiesina. Chi imbocca la strada che dall’Adriatica porta a Lapedona (Camping Mirage) a metà strada, in posizione incantevole preceduta da un duplice filare di cipressi, scorge S. Maria de Manù.
Fu donata da Raimburga, badessa del monastero Leveriano presso il fiume Aso, all’Abbazia di Montecassino. Piccola e sconosciuta la chiesetta; grande e celebre la sua storia. Con la chiesa e il castello di S. Biagio in Barbolano, siti in territorio di Altidona (sopra il Camping Mirage) è nominata nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino, fuse al tempo dell’abate Oderisi (1087-1105).
Recitano nell’originale latino… “Nel Fermano abbiamo il castello di Barbolano con la chiesa di S. Maria e S. Biagio con gli annessi pos-sedimenti”. Le lamine che ne parlano, sono la sesta e la settima del battente di destra, miracolosamente indenni nel tremendo bombardamento alleato che distruse il Cenobio e le altre lamine (1944).
Se altre chiese avessero tale privilegio e una documentazione così splendida e bronzea (Aere perennius) lo griderebbero ai quattro venti. Invece, per la nostra chiesetta, si è fatto ben poco.
Romanica, come le “sorelle maggiori” quali S. Maria a Pié di Chienti, S. Claudio a Corridonia, Ss. Stefano e Vincenzo a Monterubbiano, S. Quirico e Lapedona, etc. è un vero gioiello d’arte.
Abbiamo accennato a Lapedona, nel cui territorio sorge, ma la giurisdizione spirituale di essa, è del pievano di Altidona, a cui passarono i beni dell’Abbazia di Montecassino.
Ogni anno, da secoli, l’8 settembre vi si recano pievano e fedeli di Altidona; vi si celebra la Messa e poi si gioca a castelletti di noci.
Semplice e spoglia nelle linee purissime del romanico classico, è stata restaurata nel 1942 per iniziativa del pievano Petroselli di Altidona e riportata alla primigenia bellezza. Fiancheggiata da “ardui cipressi”, campeggia in un’area agreste e campestre di “profondissima quiete”. Fino al 1926 vi si ammirava uno stupendo polittico attribuito in un primo tempo a Pietro da Montepulciano; ora, dopo approfonditi studi, a Cristoforo Cortese (fine secolo XV). Tale polittico spicca ora nell’altare maggiore della parrocchiale di Altidona, alla cui giurisdizione spirituale, come detto, appartiene.
Se Carducci l’avesse celebrata, come la chiesa di Polenta, sarebbe ora su tutte le Guide ed i Baedeker del mondo. Oggi chi canta a lei, è un povero menestrello: “Vixere ante Agamennona multi, sed illacri mabiles… carent quia vate sacro” e cioè “Vissero molti famosi, prima di Agamennone, ma sono ignorati, perché manca un sacro vate”.
Così canta Orazio! “Salve chiesetta del mio canto!”.
Secolo XI – I doni portati dai castelli
Si ha notizia che sin dal secolo XI i signorotti dei castelli soggetti a Fermo dovevano portare per l’occasione della festività dell’Assunta, le loro offerte ed i loro doni.
Il signore (meglio: gastaldo) di Corridonia, allora Montolmo, doveva portare un maiale e cento meloni; quello di Monturano, un maiale; quello di Civitanova (Marche), sei polli e cento uova; Campofilone doveva tre soldi e mille denari; il Monastero di S. Donato al Tronto, pure tre soldi e mille denari. Tutte le località soggette a Fermo da Poggio S. Giuliano alle porte di Macerata, alle località della foce del Tronto, contribuivano con prosciutti, maiali, polli, soldi, cera, uova, ecc.
Fermo partecipava alla novena di preparazione, con vistose offerte in denaro ed in natura. Cospicue le offerte dei macellai, calzolai, osti, albergatori. Gli agricoltori davano tre bolognini a testa per il cero; i bottai ne offrivano due. Osti ed albergatori, oltre al cero, offrivano una taberna in miniatura ricolma di doni; ogni famiglia dei castelli soggetti doveva dare al proprio “scindico” 12 denari e ciascun “scindico” con tali somme, doveva approntare un cero maestoso che sfilasse con i rappresentanti del castello (unum cerum prò quolibet castro).
A loro volta il Podestà, il capitano e gli altri Officiali, offrivano un cero ciascuno come pure il Gonfaloniere di giustizia, i Priori e le altre autorità cittadine, le famiglie di Fermo, ad eccezione di quelle povere, dovevano offrire un cero alla Cattedrale insieme ai componenti della propria contrada.
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Anno 1149 – Il Palio, espressione della potenza fermana
Il documento più antico delle Cavalcate e del Palio risale al 1182, anno in cui Monterubbiano, Cuccure e Montotto (da non confondere con Montottone) si impegnavano a portare ogni anno a Fermo il Palio, in occasione della Festa dell’Assunta.
Da meticolose ricerche nell’Archivio di Stato di Fermo abbiamo rinvenuto un atto del 1449. In tale anno, Fermo lamenta che Monterubbiano non ha portato il palio, cosa che “ha sempre fatto da trecento anni”. Possiamo quindi dedurre che tale usanza risale al 1149, anticipando così di quasi tre lustri il documento del 1182.
La festa dell’Assunta a Fermo ha radici lontane. Risale al 998 un atto con il quale il Vescovo della sede fermana, Uberto, concede un ap-pezzamento di terra sulla strada per Cossignano, in cambio di 400 soldi annui da pagarsi appunto in occasione della festa dell’Assunta. La festa aveva il suo culmine nella Cavalcata, risalente, come detto, al 1182 o meglio al 1149. Essa partiva dalla chiesa di Santa Lucia, passava per Campoleggio, risaliva il colle e faceva sosta nella attuale Piazza del Popolo tra una folla plaudente, lo squillo delle chiarine, lo scampanìo festoso di tutte le campane della città, il rullo dei tamburi, lo sparo dei cannoni della rocca. Le vie e la piazza pavesate a festa, in una gloria di so¬le e di colori, conferivano alla sfilata una nota di policroma festività. Era la festa in onore dell’Assunta, la Patrona di Fermo, ma anche la rassegna della potenza e della grandezza dello Stato Fermano. Tutti quelli che partecipavano alla sfilata dovevano essere elegantemente vestiti, sfoggiare i più ricchi e sontuosi paludamenti come si conviene in una rassegna alla quale partecipavano le autorità fermane, quelle dei castelli dipendenti, ambasciatori, giudici, il Podestà, il Capitano di giustizia, il Gran Gonfaloniere, i Priori, i Regoli, i Cancellieri, i Notai.
Coll’andare del tempo, si apportarono alcune modifiche: alla offerta del tempo (cera, polli, maiali, uova), come già accennato si sostituì l’offerta in denaro; i cittadini di Porto S. Giorgio (allora Porto di Fermo), vestiti di broccato conducevano con sé le loro donne ornate di gioielli e vestite splendidamente; essi potevano introdurre in Cattedrale la tipica loro barca. I mugnai ed i macellai, facevano portare dai loro val¬letti una guantiera d’argento con una rilevante somma di monete d’oro. Chiudevano il corteo gli “scindici” e vicari dei castelli, in groppa a cavalli riccamente bardati. Alcuni giovani (dopo l’invenzione della armi da fuoco) sparavano colpi a salve durante lo snodarsi del corteo, scandendo così le varie fasi della cerimonia.
La cavalcata ebbe vita gloriosa fino ai primi del ’600 e, dopo un periodo di decadenza, venne riportata al primitivo splendore da Mons. Amedeo Conti. Tale Cavalcata abolita nel 1808 durante il Regno Napoleonico (Fermo in tale epoca era capoluogo del Dipartimento del Tronto da cui dipendevano le vice prefetture di Ascoli e Camerino), tornò in vita dopo il Congresso di Vienna, ma senza il primitivo splendore; condusse poi vita grama fino al 1860, anno in cui cessò.
Tornata a rivivere dopo otto secoli, nel 1982, con la sola edizione del Palio, sta riprendendo il primigenio splendore e l’antica fama.
Anno 1149 – Del Palio si parla già in un documento del XII secolo
Quanti sono i documenti che parlano del Palio?
Nel 1182, nei patti di pace tra Fermo e Monterubbiano, quest’ultimo promette di “portare ogni anno un bel palio ornato di tutto punto per la festa dell’Assunta”. È questo il documento ufficiale inequivocabile. Però, la notte prima della Festività dell’Assunta del 1449, i cittadini di Monterubbiano effettuarono una scorreria contro Petritoli, prendendo due prigionieri e rubando quindici buoi.
Fermo per appianare tali “differenze” (così venivano allora chiamate le liti fra paesi) manda un suo delegato impartendogli alcuni ordini. Fra essi c’era il seguente (ovviamente in latino) che recitava: “…in secondo luogo ti lamenterai degli abitanti di Monterubbiano perché quest’anno non ci hanno inviato il palio di seta, cosa che hanno fatto e fanno da trecento anni. Dagli stessi cittadini di Monterubbiano, abbiamo saputo che nella notte precedente la festa dell’Assunta (cioè 15 agosto n.d.r.) il podestà di Monterubbiano e 15 uomini, entrarono nel castello di Petritoli, rubarono quindici buoi… e prelevarono due uomini accusando uno di essi di una colpa già scontata. Comunque noi, per togliere ogni motivo di astio, eravamo contenti di ricevere il palio, vedere libe¬rati i prigionieri e restituiti i buoi, sperando nella mediazione di Ser Andrea, giudice dei malefici…” etc.
Come si vede, qui si parla di trecento anni… Se presi alla lettera, ti portano al 1149, che sarebbe la prima data ora conosciuta del palio. Se presi in maniera indeterminata cioè circa 300 anni sono un’ulteriore conferma del palio che viene nominato e nel patto di pace del 1182 e nella vicenda della scorreria di Monterubbiano contro Petritoli. Una cosa è certa: si parla del palio già nel secolo XII. Come si vede da un furto (nel nostro caso quello del bestiame) possono scaturire elementi storici di altro interesse ed illuminare anni di “silenzio e tenebre”.
Il Palio quest’anno segue il percorso indicato negli Statuti di Fermo, risalenti al trecento.
Con tutto il rispetto per il Palio di Siena (più famoso e più conosciuto ma non più antico) il nostro vanta più di otto secoli di vita.
Anno 1170 – La casula di S. Tommaso Becket, Fermo e la benedizione di Allah
Un mese fa il Prof. Donald King in occasione della presentazione del volume sul piviale di Nicolò IV avvenuta in Ascoli, quando seppe che eravamo di Fermo, ci disse nel suo impeccabile inglese: “You at Fermo have a reai treasury” (avete un autentico tesoro). Il professore alludeva alla casula di S. Tommaso Becker Arcivescovo di Canterbury martirizzato nel 1171 sotto Enrico IL
Tutti ricordano l’opera di T.S. Eliot “Assassinio nella Cattedrale”. Essa narra proprio l’uccisione di Tommaso Becket. Dopo tale misfatto, i seguaci di Tommaso vennero perseguitati e si dispersero. Tuttavia cercarono di mettere in salvo le suppellettili preziose della Cattedrale e lo fecero attraverso Dublino. Da Dublino la casula finì a Fermo (from there it was taken to thè town of Fermo in Italy) Becket aveva avuto a Bologna come compagno di Università Presbitero, che poi diverrà Vescovo di Fermo. La casula finì nelle sue mani ed egli la donò alla cattedrale, dove da secoli è conservata.
Opera di eccezionale bellezza, è composta da 40 medaglioni ricamati in seta ed oro, ognuno del diametro di cm. 20. Tema ricorrente, tra le raffigurazioni di pavoni d’oro, grifoni, leoni alati etc. sono le aquile di chiaro richiamo alle stoffe di Bagdad. Larga m. 5,41, lunga m. 1,60, fu ricamata ad Almeria nell’anno 1116 dell’era cristiana. Il Prof. David Rice dell’università di Londra, la studiò a lungo ed intensamente e non ha esitato di affermare che è il più antico ricamo arabo che si conosca nel mondo.
Inizialmente di forma rettangolare, costituiva una specie di mantello regale. Sebbene conservata da secoli in Cattedrale sul Girfalco, tuttavia essa costituì quasi una rivelazione allorché fu tolta dall’antica cassa che la conservava ed esposta al pubblico e ciò per suggerimento del Card. Merry del Val nel 1925. Stupenda “nelle bizzarre cadenze del giuoco lineare, nelle contrapposizioni ritmiche, nello sfavillìo delle colorazioni quasi illuminate da riflessi magici”, fu ammiratissima nell’esposizione di Roma del 1937; indi in quella di Parigi del 1951; fu esposta nel 1973 a Londra, per iniziativa del giornale Daily Mail nella Exihibition Ideal Home XIX century. L’attuale Regina d’Inghilterra rimase a lungo in estatica ammirazione davanti ad essa.
Il Prof. Rice, nel 1959 riuscì ad identificare la scritta nel rettangolo al centro. Essa, redatta in caratteri cufici, recita: “In nome di Allah, il misericordioso, il compassionevole. Il regno è di Allah”; segue poi quella che è la benedizione per Fermo o meglio per il possessore (o possessori) di tale casula: “Massima benedizione, perfetta salute e felicità al suo possessore. Nell’anno 510 in Maiyya”.
Saddam Hussein, che propugna la guerra santa, che ne direbbe di questa benedizione e massima benedizione del suo Allah verso noi “infedeli”?
Anno 1175 – Fermo distrutta dall’Arcivescovo Cristiano
Nei pressi di Marengo, resa poi celebre dalla vittoria di Napoleone Bonaparte sugli Austriaci (14 giugno 1800), è accampato l’esercito di Federico Barbarossa. Ha assediato per sei mesi e invano Alessandria, la fiera cittadina simbolo della Lega Lombarda. È il 12 aprile 1175: Sabato Santo. Giosuè Carducci nell’ode Sui campi di Marengo, così descrive la scena: “Stretto è il leon di Svevia entro latini acciari / Ditelo, o fuochi a i monti a i colli a i piani ai mari….”
Nell’esercito imperiale, c’è anche l’arcivescovo di Magonza, Cristiano, che sarà funesta “conoscenza” per Fermo. Ecco come lo descrive Carducci: “E dice il magontino Arcivescovo: Accanto / de la mazza ferrata io porto l’olio santo / C’è n’è per tutti. Oh almeno foste de l’al¬pe ai varchi / miei poveri muletti d’italo argento carchi /”. Carducci parla anche del Conte del Tirolo, che teme di essere ucciso dai lombardi: “… io cervo sorpreso dai villani / cadrò sgozzato in questi, grigi lombardi piani…”. Cristiano, Arcivescovo di Magonza! Non sappiamo quanti muletti carichi “d’italo argento” e d’altre suppellettili abbia spedito oltr’Alpe. Tristemente sappiamo che il 21 settembre dell’anno successivo, dalla zona di Campiglione, dove si era accampato, si dirige su Fermo e la mette a ferro e fuoco. …In millesimo 1176 infesto Beati Mathei de mense septembris civitas firmano fuit invasa occupata ac destructa ab Archiepiscopo Maguntie dicto alias Cancellano Christiano, cioè “nel 1176 nella festa di S. Matteo (21 settembre) la città di Fermo fu invasa, occupata e distrutta dall’Arcivescovo di Magonza, Cancelliere dell’Impero”. Ingenti furono i danni, specie alla cattedrale; ma, quel che è peggio nell’incendio perirono miseramente atti e documenti storici di altissimo valore.
L’anno dopo troviamo Cristiano ad Assisi. Da qui, in data 3 gennaio 1177 emana un privilegio con cui “restituisce e conferma la libertà e il godimento di tutti i diritti a Fermo”. Da Sirolo, nel febbraio successivo (forse la coscienza lo rimordeva!), con analogo privilegio, ma più incisivo e decisivo, minaccia severe pene contro chi volesse attentare alla libertà di Fermo e rinnova ai fermani, ampliandola, l’autonomia amministrativa e politica. Testimoni di questo secondo privilegio sono il Duca di Spoleto Corrado Svevus, Leo de Monumento, Simpliciano, Alberto Coni, Alberto Santo, Viberto, Ruggero ed altre personalità tedesche e latine.
L’assalto a Fermo ebbe ripercussioni ad alto livello. Se ne interessò anche Papa Alessandro III: da Venezia ordina di restituire a Fermo le suppellettili sacre asportate in occasione del saccheggio, pena la scomunica.
Anno 1176 – Barbarossa lo chiamò: Porto S. Giorgio
Porto S. Giorgio, cittadina a specchio “dell’Adriaco mare”, antico navale di Fermo, patria di Pio Panfili pittore ed architetto; di Tommaso Salvadori, conosciuto più all’estero che in Patria; di Francesco Trevisani etc. Sede ideale per passarvi la “luna di miele”, incantò poeti e scrittori. D’Annunzio nel 1893 vi trascorse appunto la luna di miele, seguito, dopo decenni, da Luigi Bartolini, l’autore fra l’altro di “Ladri di biciclette”, che vi celebrò il suo matrimonio nel 1928 con una pimpante friulana. Portus Sancti Georgii lo chiamò Federico Barbarossa.
quello della Lega Lombarda e della battaglia di Legnano. Ma anche in documenti di poco posteriori, figura con il toponimo Portus Sancti Georgii. Lo troviamo, in una delle tante pergamene del ricchissimo archivio storico Comunale di Fermo. Essa recita che “essendo la città di Fermo tornata di recente (nuper) all’obbedienza di Federico II, Roberto di Castiglione, Vicario imperiale del Sacro Romano Impero nelle Marche, decretava l’annullamento dei bandi e delle pene per malefici, offese et similia commesse dai cittadini fermani”. Ma nel documento c’è un passo molto importante e riguarda il porto della città. Come è noto, in quel periodo Fermo era un’importante potenza marinara. Un docente universitario l’aveva definita qualche anno fa la “quinta repubblica marinara d’Italia”. Intenso era il suo commercio e basta scorgere una qualsiasi carta nautica del tempo, od i Comuni portolani, per sincerarsene. Aveva soprattutto un intenso commercio con Venezia, verso cui esportava derrate alimentari, vino ed olio, di cui la città lagunare scarseggiava. Fermo poi con il suo porto aveva una funzione anti- anconetana e favoriva la Repubblica di Venezia. Roberto di Castiglione nel documento in data 7 aprile 1242, stabiliva in virtù dell’autorità imperiale di cui era investito che “tutte le navi ed i natanti da qualsiasi parte provenissero, potevano liberamente attraccare alla riva od al Porto di S. Giorgio e rimanervi all’ancora per il tempo che volessero”. La stessa cosa per i naviganti: essi potevano rimanere nella zona portuale od in città per il tempo di loro gradimento; potevano commerciare liberamente con i forestieri, Fermo mirava a conservare e potenziare il porto e proteggere coloro che vi sbarcavano. È questa una’altra prova dell’antica dizione: Porto S. Giorgio che troviamo indiscriminatamente anche come Porto di Fermo (Portus Firmi). Il toponimo quindi Portus Sancti Georgii (= Porto S. Giorgio) non venne dato da un Papa nel 1857 come scritto da qualche pseudo storico, ma il toponimo affonda le sue radici ai tempi di Barbarossa e del vicario imperiale di suo nipote Federico II, cioè Roberto di Castiglione vicario imperiale di tale imperatore e del Sacro Romano Impero nella Marca d’Ancona.
Anno 1176 – Fermo distrutta e poi… riabilitata
Correva l’anno 1176. Poco prima aveva avuto luogo la battaglia di Legnano con la sconfitta del Barbarossa. Le truppe della Lega Lombarda, il cui “nume” era Papa Alessandro III, avevano vinto. Era il 29 maggio 1176. Una parte però dell’esercito imperiale diretta verso sud e comandata dall’arcivescovo (scomunicato) Cristiano di Magonza, si era accampata al di là del fiume Tenna nei pressi della chiesa di Santa Maria di Giacomo, territorio di Monturano.
Cristiano di Magonza, mandò dei messi a Fermo, allora di parte guelfa. Egli, in qualità di comandante, di arcicancelliere dell’impero e delegato del Barbarossa, esigeva da Fermo tributi e contribuzioni. Era piuttosto inferocito. Tre anni prima aveva posto l’assedio ad Ancona e se ne era dovuto allontanare con le pive nel sacco. Recente era la sconfitta imperiale a Legnano. Le cose non andavano bene né per lui, né per il suo “capo”, il Barbarossa. I Fermani, alle richieste esose di Cristiano, risposero picche e (sembra) malmenarono i messi. Inviperito, Cristiano fa dare fiato alle trombe e dal Tenna con l’esercito, muove contro Fermo. La cinge d’assedio, la espugna e la mette a ferro e fuoco. Era il 21 settembre 1176, giorno della festa di S. Matteo. Anton di Nicolo’, sto¬rico fermano, con icasticità tacitiana annota in un latino facile a comprendersi: “In millesimo centesimo septuagesimo sexto, infesto beati Matthei de mense septembris, civitas firmarla fuit invasa, occupata et destructa ab archiepiscopo… Christiano”.
Brevi parole che rivelano una grande tragedia.
Di tale distruzione parlano vari storici, tra cui il Muratori e l’Ughelli (Italia sacra, vol. II) il quale sottolinea… “e quello che più indigna è che furono distrutti tutti gli atti e documenti della storia di Fermo”.
Fermo piombò nella desolazione più nera. L’anno dopo, Cristiano, forse pentito o perché Papa Alessandro aveva fatto pace col Barbarossa, emanò da Assisi un decreto in data 3 gennaio 1177. In esso “l’arci-cancelliere del Sacro Romano Impero, il Legato in Italia e Luogotenente Generale dell’esercito imperiale ammette di aver recato ingentissimi danni a Fermo” e “restituisce e conferma alla città la libertà, diritti, beni, possessi e privilegi”.
L’altro decreto è datato a Sirolo (cfr. Erzbischof Christian I von Mainz: Berlin, 1867) nel febbraio 1177. Con esso ribadisce quello emanato da Assisi, precisando che “nessuno, compreso lo stesso arcivescovo. osi edificare a Fermo e nel suo castello senza il permesso della città, pena cento libre di multa”. Ma la città non si ricostruisce con decreti e Fermo soffrì molto, prima di riacquistare parte del primitivo splendore, e preziosissimi atti e documenti sparirono per sempre.
Anno 1182 – Il drappo dei Castelli
La corsa del Palio riesumata nel 1982. dopo otto secoli esatti da quello che si reputava il primo documento scritto, ha radici più antiche. L’uso di porre come premio di gare un drappo di stoffa preziosa, chiamato palio, era tradizione in molte città nel Medio Evo. Oggi il Palio più famoso è quello di Siena, sebbene meno antico di quello di Fermo. Infatti esisteva nel 1282, ma la sua organizzazione vera e propria risale al 1656. La corsa del palio di Fermo si svolgeva nelle ore antimeridiane “de mane ante prandium”. Al vincitore si dava come premio un palio o drappo di seta prezioso, al secondo veniva dato un falco o astore. La gara si svolgeva, come nelle edizioni attuali, “in via maris”, cioè da Porta S. Francesco lungo la strada che portava al mare. Gli Statuti commi¬navano pene severe a chi creava intralci nello svolgimento e favoriva questo o quel cavallo. I Cavalli della Via maris entravano anche in Cattedrale “intrabant in ecclesiam S. Mariae in Castello”. Aveva poi luogo il gioco dell’anello. Il cavaliere, correndo, doveva infilare con una lancia un anello fisso o mobile.
Vi era pure la Quintana. Il cavaliere si esercitava contro un bersaglio mobile, costituito da una statua gigante con un braccio teso lateralmente. Se il cavaliere non colpiva velocemente o al segno giusto, il braccio della statua, che nel nostro caso si chiamava (e si chiama) Marguttu, colpiva l’incauto cavaliere. Vi era inoltre la Giostra del toro, per molti versi simile alla odierna Corrida spagnola. La corsa al palio, con l’andare dei secoli, decadde e venne sostituita con la corsa degli asini.
Oggi, dopo otto secoli, la corsa al Palio non si svolge più al mattino (ante prandium) ma nel pomeriggio. Quei patti di pace stipulati nel 1182 tra Fermo e Monterubbiano e la inequivocabile documentazione della dotazione da noi scoperta, che riporta ad anni anteriori la corsa del Palio, permeano di profonda consapevolezza la celebrazione. Brilla, nel fulgore del sole agostano, la formula… “e promettiamo di portare ogni anno a Fermo, in occasione della Festa di Santa Maria di Mezz’Agosto, unum pallium bellum et bonum (un palio splendido e ben lavorato)”; notiamo anche il rammarico di Fermo che, nel 1449, lamenta che Monterubbiano non ha portato in quell’anno il Palio, cosa sempre fatta da trecento anni; il grave disappunto dei cittadini di Fermo per la mancata partecipazione, indica quanto e come la città tenesse a tale palio.
Dei tre castelli (Monterubbiano, Cuccure e Montotto) restano il primo e Montotto sua frazione. Cuccure infatti è scomparso, lasciando il posto all’odierno giardino di S. Rocco a Monterubbiano. Monterubbiano, legata a Fermo da allora, oggi toma con i suoi “militi” sbandierato-ri della Sagra dei Piceni, o “Sciò la pica” a sfilare con Fermo; vi partecipano, inoltre, i componenti del Torneo Cavalleresco di Servigliano, gli sbandieratori di Castel Fiorentino e anche i protagonisti della nota “Contesa del Secchio”. In una festa di sole e colori, Fermo e il Fermano celebrano la corsa del Palio, e la lontana Offida. sempre legata a Fer¬mo (talché si oppose a far parte della Diocesi di Ascoli preferendo Fermo), conserva ancora nella chiesa Collegiata un palio, vinto dall’offidano Giuseppe Desideri nel 1840, grazie ad una sua velocissima cavalla. Offida tuttora va fiera di tale palio, o meglio della Madonna del Palio, che è venerata colà con grande devozione e più volte preservò la cittadina da pericoli gravi: ultima la salvezza del paese durante la guerra 1940/’45.
Oggi le antiche contrade di Fermo sono ridimensionate nella corsa al palio con l’aggiunta di Torre di Palme, Marina Palmense. Capodarco, Molini Girola, Campiglione.
Anno 1211 – Dal Potenza al Tronto lungo la costa la Marca Fermana
Siamo al 6 ottobre 1238. Da appena ventisette anni Fermo gode del privilegio dell’imperatore Ottone IV (1182-1218), privilegio rilasciato in data 1 dicembre 1211 da Sant’Angelo di Subterra (Puglia) in virtù del quale, oltre alla concessione della zecca, la città ottiene la giurisdizione sul litorale adriatico dal fiume Potenza al fiume Tronto (a flumine Potentiae usque in flumen Trunti). Nessuno senza il benestare di Fermo può fabbricare edifici e tanto meno fortezze, per la profondità di un chilometro.
Ovviamente ciò precludeva ad Ascoli uno sbocco al mare, sbocco necessario per commerci e traffici della città e dell’intera vallata del Tronto. Cosa del resto non nuova se consideriamo la situazione nell’ex-Jugoslavia, dove infuriano guerre fratricide e dove la sola remora ad un trattato di pace è la negata concessione di uno sbocco al mare per i mussulmani. Ma allora, Ascoli non reclamava il diritto al mare; ed infatti, nella seduta del consiglio comunale generale, radunato in solenne tornata, Magliapane di Reggio, giudice ed ambasciatore di Fermo, delegato dal podestà Ugo Roberti, chiede di poter parlare ai consiglieri ascolani. Egli, presa la parola, ammonisce loro e l’intero consiglio di non compiere azioni di qualsiasi genere che potessero essere di danno o pregiudizio alla città, nel tratto fra il Tronto ed il Potenza e ciò perché esso rientra nella giurisdizione fermana. Anzi, precisa Magliapane, il diritto e la giurisdizione di Fermo si estende anche a sud del Tronto (et etiam ultra Truntum, dice testualmente) perché appartenente alla Diocesi ed al comitato fermano. Ed a tal proposito, chiede al consiglio comunale di Ascoli di esporre il suo punto di vista, mediante una risposta pubblica. “Detto consiglio (traduciamo letteralmente) dopo lungo dibattito e matura deliberazione, fece rispondere per bocca di Giacomo Diotisalvi consigliere di Ascoli al rappresentante di Fermo, che non fu mai loro volontà, proposito od ordinamento di fare alcunché contro i diritti di Fermo”. Non vi furono atteggiamenti o prese di posizione da parte di Ascoli contro tale risposta. L’ambasciatore di Fermo allora ringraziò, ribadì che la giurisdizione di Fermo si estendeva anche a sud del Tronto e due notai, uno di nome Altidona e l’altro Gerolamo Pitio, redassero l’atto relativo “consacrando” il fatto alla storia. Sono passati anni e secoli, ma ancor oggi alcune località del Teramano, site a sud del Tronto come Martinsicuro, Colonnella, Sant’Egidio alla Vibrata appartengono alla Diocesi di S. Benedetto-Ripatransone-Montalto, territorio in gran parte della Diocesi di Fermo, alla quale fu sottratto nel 1571 e successivamente nel 1586, per l’erezione della Diocesi di Ripatransone e poi di Montalto ora riunite e costituenti un tutt’uno con sede vescovile a S. Benedetto del Tronto.
Anno 1221 – Il mal di denti e Pellegrino da Falerone
Medicina e religione si intrecciano in questa prima quindicina di febbraio, forse per esorcizzare gli attuali malanni. C’è la Candelora il 2 febbraio, suggestiva ricorrenza con le candele benedette contro le disgrazie; c’è la festa di S. Biagio, il 3 febbraio, protettore contro le malattie della gola e il 9, S. Apollonia, popolare santa egiziana, protettrice contro il mal di denti. A tale santa, infatti, martirizzata nel 249 d.C., furono spezzati ed estirpati i denti, in odio alla fede cattolica. Il dente? Guai al suo dolore! È un vocabolo significativo di cui è ricco il lessico di ogni lingua: “spuntare i denti”; “battere i denti per il freddo“: “digrignare i denti”; “a denti stretti”; “il dente del giudizio” (a molti dei nostri governanti, manca!).
Reminiscenze scolastiche ci riportano all’episodio del Conte Ugolino (“riprese il teschio misero coi denti...”; al lupo di Gubbio “dai denti aguzzi”; ma detto lupo richiama S. Francesco il quale, fra l’altro, ebbe a che fare con due marchigiani: Pellegrino da Falerone (poi beato) e Riczerio da Muccia.
Narrano i Fioretti (cap. 27) che Pellegrino e Riczerio, allora studenti all’Università di Bologna, dopo una predica di S. Francesco “toccati nel cuore da divina ispirazione, vennero a Santo Francesco dicendo che al tutto volevano abbandonare il mondo ed essere dei suoi frati…”.
S. Francesco li ricevette dicendo loro: “Tu, Pellegrino, tieni nell’ordine l’umiltà e Tu, Riczerio, servi ai frati”… poi, dopo alcune righe, i Fioretti aggiungono: “E finalmente il detto frate Pellegino, pieno di virtù, passò di questa vita a vita beata, con molti miracoli innanzi alla morte e dopo”.
Fra i molti miracoli sono rimaste famose le guarigioni dal mal di denti, verificatesi al contatto con un dente del beato Pellegrino, immesso nella cavità orale, legato ad un’assicella d’argento, in modo da poter toccare i denti cariati o malati.
Folle di fedeli pellegrinavano alla sua tomba per ottenere guarigioni; molti erano gli ex-voto, per lo più in argento, che adornavano le pareti della cappella dove riposa. Numerosi volumi parlano di tali taumaturgiche guarigioni. Sono: Pietro da Tossignano nel 1586; Orazio Civalli 1594; la Historia di Valerio Cancellotti 1630.
H. Keber, nell’opera I Patronati dei Santi, elenca ben 21 protettori contro il mal di denti. Fra questi, oltre a S. Apollonia, ora relegata dalla riforma liturgica “ai soli calendari particolari” eccelle, e non in serie B, il nostro Pellegrino da Falerone che, sebbene morto nel 1233, è vivo nel cuore e nel culto di quanti soffrono del mal di denti. Non so però se, su quanto sopra, sono d’accordo gli odierni dentisti, i quali potrebbero vedere (o intravedere) nel beato Pellegrino un temibile concorrente.
Anno 1229 – Quanti privilegi per Montegiorgio
Mentre la mostra su Federico II e le Marche si è spostata verso Ascoli, per poi approdare a Roma in modo che i Marchigiani colà residenti possano conoscere meglio il grande imperatore svevo, noi continuiamo a parlare di lui. Federico II, date le molteplici mansioni della sua carica, non poteva disporre di tempo ed impegni per tutti i problemi del suo vasto impero, perciò spesso delegava i suoi fidi rappresentanti, approvando in pieno il loro operato e sanzionando, con la sua imperiale autorità, le loro decisioni. In tale contesto, c’è un privilegio, in virtù del quale, esonerava l’allora castello di Monte Santa Maria in Georgio (attuale Montegiorgio) da taluni obblighi ed adempimenti verso la città di Fermo. Ciò in considerazione della fedeltà a Federico, a suo padre ed a suo nonno, cioè al Barbarossa, dei cittadini di Montegiorgio!
Ma veniamo alla lettura del documento. “Rinaldo per grazia di Dio e dell’imperatore, duca di Spoleto, legato imperiale per la Marca di Ancona su preciso mandato di Federico II concede agli abitanti di Montegiorgio l’esenzione d’ora in avanti di tutti i pesi, servi ed obblighi e doveri verso Fermo”.
Tale concessione ha validità perpetua. Rinaldo, non solo concede l’esenzione di quanto sopra, ma decide che gli abitanti del castello di Collidilo (ora scomparso), di Magliano di Tenna con territorio e pertinenza (Ripa Cerreto, Atleta, Rapagnano, Monteverde e Monsampietro Morico) siano considerati abitanti di Montegiorgio.
Rinaldo riduce anche i canoni di affitto e dispone che essi non superino le 30 libbre annuali. Stabilisce inoltre che tutti i cittadini di Montegiorgio possano avere il libero e pacifico possesso dei loro beni, in qualsiasi parte si trovino e che le autorità del castello montegiorgese abbiano la facoltà di richiamare all’osservanza della legge i facinorosi. Ri¬naldo dà per scontato (ed effettivamente lo è) che quanto da lui concesso, automaticamente viene approvato dall’imperatore Federico II. Ma nel privilegio c’è un dato molto importante: tra le esenzioni dei doveri verso la città di Fermo c’è anche quello del servizio militare nell’esercito fermano, della partecipazione al “Parlamento” e quella di portare il Palio il giorno dell’Assunta.
Questa concessione è per noi molto importante, perché documenta ancora una volta che nel 1229 quando non era trascorso mezzo secolo dall’Istituzione, l’offerta del Palio da parte di Castelli dello Stato Fermano nel giorno dell’Assunta era già diffusa e consolidata. E il nostro Palio più antico, anche se meno conosciuto di quello di Siena, di Ferrara ed altri, trova qui la documentazione incontrovertibile della su» esistenza e della sua vasta diffusione.
Anno 1240 – La Vallata del Tronto e Federico II
Mentre in tutta Italia fervono i preparativi per celebrare l’ottavo centenario della nascita di Federico II che vide la luce nelle Marche a Jesi il 26 dicembre 1194, sarà bene ricordare una vicenda che riguarda proprio Federico II, il quale fu nella Vallata del Tronto.
Ce lo narra egli stesso, in una lettera ai cittadini di Cremona, do-cumento che gli storici pongono cronologicamente dopo quello emanato in castris cioè negli accampamenti davanti alla città di Fermo ante civitatem firmanam a favore di Napoleone Monaldeschi. Federico col suo esercito dopo aver devastato e saccheggiato Ascoli (depopulatio precisa il documento) proseguì per Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto.
Qui si fermò per alcuni giorni, dopo di che, si recò con Curia ed esercito a Fermo. Da qui rilascia un privilegio di conferma a favore di Napoleone Monaldeschi e da qui sembra aver scritto la lettera ai suoi sudditi di Cremona lettera che riguarda la Vallata del Tronto. Tale lettera, il cui originale si conserva in Francia, recita testualmente: “È tanto l’amore e la preoccupazione che ci induce a pacificare l’Italia ed è tanta la sollecitudine che ci accompagna e previene le nostre preoccupazioni verso i nostri fedeli per levarli dalla persecuzione dei nemici, che nessun piacere del nostro Regno potrà frenare. Dopo aver disbrigato i grandi impegni nel Regno, con costanza ed ansietà… affrettandoci all’uscita del Regno e lasciate da parte le inattività contrarie alla nostra intraprendenza, siamo incappati nei calori estivi e nella polvere degli accampamenti, non risparmiando pericoli alla nostra persona ed ai fedeli, affinché tra i confini paludosi, circondati da una cerchia di monti, si potessero compiere stragi dei nemici e devastazioni”.
Accadde dunque che tra le occupazioni ed il disbrigo di atti dello Stato, da cui non ci potemmo esimere, la nostra persona, a causa della debolezza fisica e della aria malsana, incorse in una disfunzione umorale (discrasia). Incurvisse discrasiam recita l’originale che poi prosegue nella nostra traduzione: “Noi con la forza d’animo l’abbiamo completamente superata, talché restando negli accampamenti con dignità imperiale, passato il giorno critico non v’era altro impedimento che impedisse il glorioso proseguimento e la felice vittoria imperiale”. E questa affermazione, a nostro avviso, confermerebbe la cronologia degli storici, dopo la sosta a Fermo. Infatti è documentato che, partito da Fermo, Federico si diresse in Romagna e, nel tragitto, compì devastazioni ed efferatezze da far rabbrividire. Ma torniamo al testo della lettera che prosegue: “pertanto con l’aiuto del Signore, il quale da’ la salute ai Re ed ai principi, rimessici in salute come prima, anzi resi più forti, noncuranti dei calori estivi, continuiamo il viaggio dopo aver chiamato a raccolta le nostre forze e le nostre energie, procedendo verso la Romagna pronti a calpestare con la nostra potenza i ribelli, dovunque ci venissero incontro. È affinché singolarmente e collettivamente voi tutti possiate essere maggiormente confortati, tanto per la recuperata salute, quanto per i successi conseguiti, vogliamo comunicarvi ciò’, per allontanare da voi ogni dubbio e perché con l’aiuto del Re dei Re che si comporta con misericordia verso il suo principe, seguirà la desiderata salvezza e la vittoria sui nemici”.
L’atto, come si evince dalla lettura, riguarda la Vallata del Tronto, indicata come terra di confine del regno di Napoli ed i domini papali, ma l’emanazione di esso è posteriore all’assedio di Ascoli ed alla sosta di Federico a Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto. Ci induce a pensarlo un fatto curioso.
L’abate di Montecassino, che si trovava come testimone nell’atto emanato da Federico a Monte Cretaccio, col quale prese nella protezione imperiale, la città di Alessandria, non è più presente quale testimonio nella lettera ai Cremonesi. Facilmente era affetto della stessa malattia di Federico. “Stefano, abate di Monte Cassino – ci narra Riccardo da S. Germano – con il permesso di Federico, dato che era malato, si portò alla sua chiesa di S. Liberatore e vi rimase fino a che guarì”.
Oltre all’abate di Monte Cassino è chiara la frase di Federico: egli afferma che dopo aver ricuperato le forze, muove verso la Romagna (in Romandiolam procedentes). Ciò premesso, la notizia della discrasia, cioè della alterazione dell’equilibrio tra i componenti del sangue ed i liquidi organici, getta una nuova luce sulla storiografia di Federico II non solo, ma anche sulla località di compilazione dell’atto che, a nostro avviso, e per le chiare parole di Federico: “ci dirigiamo verso la Romagna” e per l’assenza per malattia dell’abate di Montecassino, fu quasi sicuramente scritto ante civitatem firmanam, cioè davanti alla città di Fermo.
Anno 1240 – II privilegio concesso da Federico II imperatore
Siamo agli sgoccioli delle ferie, ma è ancora tempo di vacanze e parlare di scuola e di personaggi “conosciuti” ed “incontrati” fra i banchi potrebbe sembrare anacronistico. Tuttavia, non possiamo passare sotto silenzio Federico II imperatore, (nipote del Barbarossa) che 750 anni or sono, di questi giorni, era accampato a Fermo, e non proprio in ferie!
Proveniente dall’assedio di Ascoli, dopo una lunga sosta a Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto (dove aveva accolto sotto la sua protezione imperiale la città di Alessandria che aveva dato tanto filo da torcere a suo nonno, Federico Barbarossa), si era accampato a Fermo, in attesa di proseguimento verso la Romagna, pieno di “furor bellico”. Era accompagnato dal suo esercito e dalla Curia imperiale, nella quale spiccava Pier delle Vigne, non ancora “eternato” da Dante nella Commedia. Vi erano anche Taddeo da Suessa, giudice della Gran Curia, l’Arcivescovo di Palermo, Bernardo, il figlio del Re di Castiglia ecc.
Era la fine di agosto 1240 e Federico II, a Fermo, emanò una bolla a favore di Napoleone Monaldeschi, cittadino fermano, confermandogli privilegio concessogli in precedenza; ora glielo conferma in veste di im-peratore (imperiali munificientia duximus confirmanda).
Se pensiamo che la conferma al Monaldeschi venne fatta in un periodo di preparazione bellica da parte di Federico e del suo esercito, la cosa appare di alta importanza e di alta considerazione per Fermo ed il suo cittadino. L’imperatore tiene molto a questa conferma e nel privilegio ordina:… “nessuno, sia esso delegato, duca, conte, marchese, podestà, rettore, console, nessuna altra autorità, alta o piccola, osi contraddire a tale nostro decreto”. E come se ciò non bastasse, incalza: “nessuna personalità civile o religiosa osi opporsi a quanto abbiamo stabilito” chi lo facesse “sarà multato con 60 libbre di oro e sappia di essere incorso nell’indignazione imperiale”. Il sigillo imperiale (maiestatis nostri sigillo) chiude la bolla, dando maggiore autorevolezza al documento.
Tutto ciò avveniva nel 1240, fine agosto (i diplomi imperiali non mettono quasi mai il giorno) “regnando Federico imperatore per grazia di Dio Re di Gerusalemme e di Sicilia, quindicesimo del regno di Gerusalemme, alla presenza di molti testimoni, “tra cui il nominato Pier delle Vigne” negli accampamenti davanti alla città di Fermo (in castris ante civitatem firmanam). Felicemente, così sia”.
Federico, dopo la conferma, si trattenne ancora un po’ di tempo a Fermo e quindi si diresse alla volta della Romagna. Nel tragitto, “commise tali e tante devastazioni ed efferatezze, che al paragone impallidivano le atrocità perpetrate dai barbari nella loro calata in Italia”. Così Flavio Biondo (1392-1463) insigne umanista e storico di Forlì, nella sua poderosa Historia ab inclinatione Romanorum (Storia della caduta dell’impero romano). Come si vede, la sosta a Fermo durata fino ai primi di settembre di quel lontano 1240 costituì una pausa di pace, prima che il “foco ed il furor d’Odino” s’avventassero, distruttori, su “Romagna solatìa”.
Anno 1240 – Federico II e Sant’Elpidio – In due diplomi l’imperatore
concesse privilegi alla città
Guardandoli sullo scenario della storia medievale italiana ed europea, molti imperatori ci sembrano quasi “divinizzati”, lontani dalla nostra vita, dalle nostre località, tanto più che molti di loro sono stati già immortalati.
Ma Federico II (è di lui che vogliamo parlare) ebbe a che fare con le Marche meridionali, cosa questa non posta in adeguato rilievo dagli storiografi passati ed attuali.
Sappiamo che egli ebbe a che vedersela con Papi, tra cui Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, buscandosi diverse scomuniche, arrivando a far assalire in mare i Cardinali che si recavano al Concilio a Roma-
Ci è noto anche che ebbe a che fare con i Comuni della seconda Lega Lombarda; risulta che si sposò due volte e che le due mogli sono entrambe sepolte nella Cattedrale di Andria.
Lo conosciamo come fondatore della Scuola Siciliana, autore di un manuale sulla caccia degli uccelli, fondatore della città de L’Aquila, dell’Università di Napoli, padre di Manfredi ed “accecatore” di Pier delle Vigne.
Ma pochi, come detto, mettono in risalto i suoi legami con il Piceno (peraltro Federico II era nato nelle Marche, a Jesi, la notte tra Natale e santo Stefano del 1194).
L’imperatore ebbe a che fare con Ascoli che assediò nel luglio del 1240 (non 1242 come tanti storici affermano); fu in territorio di S. Benedetto del Tronto, cioè a Monte Cretaccio, dove ricevette sotto la sua protezione la città piemontese di Alessandria, fiera nemica dei suoi avi, e fu anche a Fermo fra l’agosto e il settembre 1240.
Ma Federico II, lo stupor mundi si interessò anche di Sant’Elpidio a Mare. Prese infatti sotto l’imperiale protezione l’abazia di Santa Croce al Chienti (suscipit clementer in suam imperialem protectionem monasterium S. Crucis in Clente) e l’abate di quel tempo di nome Corrado (et fratrem Corradum abbatem).
A tale abazia donò molti beni tra cui la silva plana, ampi terreni all’epoca incolti, al di qua e al di là del Chienti, concedendo ai frati di utilizzare a loro piacimento l’acqua di tale fiume. Questo avvenne il 12 dicembre del 1219, e la bolla fu emessa da Capua, luogo natale del fido segretario Pier delle Vigne.
Federico II emanò un altro documento sempre relativo a Sant’Elpi- dio a Mare, stavolta da Venosa, nell’ottobre del 1250. Ne diamo la nostra traduzione dal latino: “Federico per grazia di Dio Imperatore sempre augusto, Re della Sicilia e di Gerusalemme. Attraverso questo privilegio rendiamo noto a tutti i nostri fedeli sudditi, presenti e futuri che il Comune del nostro fedele castello di Sant’Elpidio aveva rivolto istanza alla Nostra Maestà, per la conferma di alcuni patti e convenzioni che, a suo tempo, gli aveva fatto il nostro Vicario Generale nella Marca di Ancona Gualtiero di Palearia conte di Manoppello. Tali patti, scritti dal predetto conte Gualtiero portano la sua firma ed il suo sigillo. Noi, in considerazione della grande fedeltà e sincera devozione che nutre verso di Noi il Comune di Sant’Elpidio, e poiché sia detto Comune che i singoli suoi cittadini hanno finora reso graditi servizi sia a Noi sia all’Impero, ed altrettanto potranno fare in futuro, li confermiamo graziosamente (de nostra gratia confirmamus)”.
Dopo alcune forme giuridiche proprie dei privilegi imperiali, continua: “Noi conserveremo e difenderemo il castello di Sant’Elpidio con i suoi beni, i possessi e le tenute che ha, nelle persone e nelle cose sia dentro che fuori le mura, come accadde ai tempi dei nostri predecessori. Noi difenderemo sia i laici che i chierici di tale castello e distretto, e ciò finché rimarranno a noi fedeli”.
Federico effettua altre concessioni tutte relative al bene, alla prosperità ed alla crescita del castello di Sant’Elpidio. Infine chiude minacciando pene severe a chi osasse opporsi a tali concessioni: “di nostra autorità disponiamo che nessuno osi impedire quanto da noi deciso. Chi lo facesse, sappia che incorrerà nel nostro sdegno (quod qui presumpserit indignationem nostram se noverit incursurum)”.
Per dare maggior prestigio ed autorevolezza al privilegio, lo fa redigere dal notaio Rodolfo di Podio Bonici e munire del sigillo imperiale: Ad huius autem rei memoriam et stabilem firmitatem preaesens privilegium per Rodulphum de Padioboniei notarium et fidelem nostrum scribi et maiestatis nostre sigillo iussimus communiri.
Federico II (l’imperatore che Dante colloca nel cerchio degli eretici), morirà poco tempo dopo, il 13 dicembre 1250, colto da febbri intestinali. Riposa nella Cattedrale di Palermo.
Anno 1242 – Epilogo di una Lega più di 7 secoli fa
Aria di elezioni, clima di battaglie elettorali, di schieramenti, di leghe. Quest’ultime, spuntano un po’ dappertutto dopo l’esempio della Lega Lombarda, che si ispira alle Leghe dei Comuni Lombardi, che diedero filo da torcere a Federico Barbarossa; lega che aveva per capo carismatico Papa Alessandro III. I Comuni lombardi fondarono allora quella città che doveva resistere a Barbarossa e per ben sei mesi, città che in onore del Papa venne chiamata Alessandria.
Federico Barbarossa per derisione la chiamava “Alessandria dai tetti di paglia”, ma essa resistette al suo assedio del 1175 e il Barbarossa ritornò a casa con le pive nel sacco. Ma oggi non parliamo tanto di Federico I, quanto del suo nipote Federico II, il quale ebbe a che fare con le Marche, prima perché vi era nato (Jesi 26 dicembre 1194), poi perché vi aveva combattuto assediando Ascoli nel luglio 1240 (non nel 1242 come asserisce qualche storico); quindi, prendendo Fermo ed altre città.
Ma c’è un fatto importante che gli scrittori di storia nazionale non pongono nel dovuto risalto. Proprio nel territorio dell’antico Stato di Fermo e precisamente a Monte Cretaccio, Federico II dopo decenni, riceve la sottomissione della fiera città di Alessandria, la roccaforte della lega che ora, a seguito di varie vicende storiche (fra l’altro non voleva sottostare al Monferrato ed era in preda alle lotte tra Guelfi e Ghibellini) chiedeva protezione al nipote del feroce Barbarossa.
Federico II, lo stupor mundi, attorniato dalla sua corte imperiale dopo l’assedio di Ascoli, aveva posto gli accampamenti a Monte Cretaccio. Siamo nel mese di luglio 1240. Sono con lui Pier Delle Vigne, Taddeo da Sessa, l’arcivescovo di Palermo, i Vescovi di Torino e quelli della Marsica, l’abate di Montecassino e molti altri.
“Noi, Federico per grazia di Dio, imperatore dei Romani, Re di Sicilia e di Gerusalemme – così recita l’atto – rendiamo noto a tutto l’Impero, che la città di Alessandria ha abbandonato la società degli infedeli (i fautori del Papa) ed è passata alla parte imperiale, chiedendo la nostra protezione. Noi guardiamo con occhio benevolo a tal decisione… e la riceviamo nella nostra grazia e nel nostro onore, perdonando le offese passate” … “A conferma di questa protezione e di questo atto – prosegue il documento – ordiniamo di redigere questo privilegio, munendolo della bolla d’oro… Dato negli accampamenti di Monte Cretaccio, dopo la devastazione di Ascoli, luglio 1240”.
Tale documento (che la città di Alessandria conosceva da una copia, redatta in francese, del 1839 ma ignorava il testo originale) è stato da noi rinvenuto in Francia, precisamente a Marsiglia, e fa conoscere come in territorio dell’antico Stato di Fermo ebbe luogo l’emanazione di un atto di grande valore storico, che vedeva l’indomita Alessandria passare all’obbedienza imperiale dopo 65 anni dal fiero assedio postole da Barbarossa.
Anno 1242 – Il panno di Federico:un documento rivela lo stretto legame con i Fermani
È l’anno di Federico IL è la ricorrenza otto volte secolare della sua nascita. Jesi sta vivendo momenti di notorietà e, con essa le Marche, sede operativa di impresa, fatti ed eventi dello stupor mundi.
Ma Jesi può andare orgogliosa del fatto che vi è nato Federico; non può documentare altro. Chi può dire e dare tessere di storia per il mosaico ancora incompiuto della vita di Federico, senza jattanze campanilistiche, è Fermo che ebbe relazioni non trascurabili con Federico, sia nel bene sia nel male. In ogni caso questa città è uno dei “settori” principali della vita e delle opere di Federico.
Ciò nonostante, si vuole ad ogni costo misconoscere l’importanza, poi posponendola ad altre località scelte non quali referenti culturali, ma solo perché centri amministrativi e burocratici.
Per una nostra ricerca, stiamo consultando anche archivi esteri a relative pubblicazioni. Nell’anno 1242 e dintorni, Federico scrive a Fermo (dove era stato due anni prima insieme a Pier della Vigne e Curia), ringraziandola per alcuni doni che i Fermani gli avevano inviato con apposita delegazione (nuncii legationis dice il testo!)-
Egli vi aveva graditi immensamente, così afferma la lettera di ringraziamento, che arieggia passi latini nel Vangelo dove si narra dei re Magi che porto nei doni al Bambino Gesù (apertis thesaurus suis obtulerunt Ei aurum, thus et myrram…).
Federico sottolinea che le ha graditi perché non richiesti, ma dati spontaneamente quale pegno di sincero affetto da parte dei suddetti Fermani . “I doni placano gli uomini e gli dei” affermava l’antica saggezza ed i Fermani a quanto pare, ne erano consapevoli.
Ma Federico si limita semplice grazie. Egli vuole ringraziare concretamente e li invia a mezzo degli stessi membri della delegazione che gli avevano portato i doni, un panno con componenti d’oro “per ornare l’altare maggiore della vostra chiesa madre”. Così recita il documento. Federico faccio volentieri e con gioia (hylariter) invitando i Fermani a proseguire nella fedeltà e solerzia verso l’Impero, in modo (prosegue la lettera) “che possiate sempre bene meritare della nostra maestà imperiale”. Il documento è di difficile lettura e vi sono parti illeggibili come al passo che Federico manda il panno ad honorem beati… Ciò potrebbe indurre a pensare beati (ssimae Virginis).
Sarebbe molto suggestivo pensare ad uno dei tanti palii dell’Assunta. Il documento lascia adito anche a ciò, ma deve essere approfondito.
Anno 1245 – La Marca Fermana nominata nel Concilio di Lione: 1245
Censura, interdetto, anatema, scomunica… vocaboli terribili che denotano pene ecclesiastiche verso chi si è macchiato di colpe. Già al tempo dei Greci si aveva qualcosa di simile, quando si praticava l’ostracismo, ossia l’esilio di dieci anni agli Ateniesi che, per la loro popolarità, destavano sospetti politici. Nel periodo romano, quando le supreme cariche politiche e religiose erano incentrate nell’imperatore che era anche pontefice massimo, si puniva il cittadino colpevole con l’interdizione dell’acqua (lustrale) e del fuoco (sacro del focolare): interdicere aqua et igni, ossia lo si bandiva dalla società civile e religiosa.
Alla caduta dell’Impero Romano e con raffermarsi del Cristianesimo, i vari Concili codificarono vari tipi di pene da irrogare, a seconda della gravità dei reati e così si ebbe l’ammonizione, la censura, che è biasimo e severa critica dell’operato di qualcuno, la sospensione (ricordiamo quella a divinis), l’interdetto con cui in un dato luogo si privano i fedeli dell’uso di alcuni Sacramenti o del godimento di determinati diritti spirituali. Gli poi la scomunica cioè l’esclusione dalla comunità della Chiesa cattolica di un colpevole, cui è anche vietato di accostarsi ai Sacramenti. È l’estromissione dalla comunità dei fedeli, cosa che non si verifica con l’interdetto. Vi è anche l’anatema, cioè l’esclusione dalla comunità dei fedeli, rivolta, soprattutto ad eretici, o comunità sistematiche.
La storia ci parla di scomuniche famose come quella scagliata contro Enrico IV che portò poi a Canossa: quella (anzi quelle, perché erano due) contro Federico Barbarossa da parte del Papa Alessandro III nel 1161 e 1164; quelle inflitte a Ottone IV nel 1210 e 1211; quella fulminata dal Leone X contro Lutero (Exurge Domine); quella di Pio VII contro Napoleone, che dall’allora in poi cominciò a collezionare sfortune fino a Waterloo (18 giugno 1815).
Ma a quanto ci consta nessuno collezionò ben tre scomuniche come Federico II, lo stupor mundi di cui non si è spenta l’eco delle celebrazioni dell’ottavo centenario della nascita e della Mostra (non priva di inesattezze e lacune), che ha toccato varie città delle Marche. Federico II venne scomunicato una prima volta il 21 marzo 1226, la seconda volta il 24 settembre 1239; entrambe le scomuniche gli furono lanciate da Gregorio IX dal I Laterano. La terza gli venne fulminata da Innocenzo IV, Concilio di Lione, il 27 luglio 1245. Me la sono riletta nel suo curiale, ma eloquente latino: è una inquisitoria puntigliosa ed analitica. Federico è accusato di imprigionare Vescovi e prelati: di perseguitare la Chiesa cattolica in Sicilia; di avere imposto tasse gravose missive; rubato suppellettili sacre. E spergiuro, eretico; ha ucciso il duca di Baviera; stipulato alleanze con i saraceni, non paga le tasse dovute alla curia romana. Ma all’inizio della bolla di scomunica c’è una motivazione: Federico è scomunicato anzitutto per aver invaso il dominio della Santa sede cioè, recita l’atto, la marca affermava il ducato di Benevento (videlicet Marchiam et Ducatum Beneventanum), distrutto oggi tra le porte si tiene impunemente occupati e la Marca Fermana e detto Ducato di Benevento. E così anche al Concilio di Lione alla presenza di Papa Innocenzo IV dei rappresentanti di Federico II, tra cui Taddeo la Sessa e di oltre 150 prelati si parlò della Marca Fermana uno dei motivi di scomunica, la terza contro Federico II, la cui potenza da allora cominciò a declinare fino alla morte avvenuta nel 1250.
Anno 1242 – Epilogo di una Lega più di 7 secoli fa
Aria di elezioni, clima di battaglie elettorali, di schieramenti, di leghe. Quest’ultime, spuntano un po’ dappertutto dopo l’esempio della Lega Lombarda, che si ispira alle Leghe dei Comuni Lombardi, che diedero filo da torcere a Federico Barbarossa; lega che aveva per capo carismatico Papa Alessandro III. I Comuni lombardi fondarono allora quella città che doveva resistere a Barbarossa e per ben sei mesi, città che in onore del Papa venne chiamata Alessandria.
Federico Barbarossa per derisione la chiamava “Alessandria dai tetti di paglia”, ma essa resistette al suo assedio del 1175 e il Barbarossa ritornò a casa con le pive nel sacco. Ma oggi non parliamo tanto di Federico I, quanto del suo nipote Federico II, il quale ebbe a che fare con le Marche, prima perché vi era nato (Jesi 26 dicembre 1194), poi perché vi aveva combattuto assediando Ascoli nel luglio 1240 (non nel 1242 come asserisce qualche storico); quindi, prendendo Fermo ed altre città.
Ma c’è un fatto importante che gli scrittori di storia nazionale non pongono nel dovuto risalto. Proprio nel territorio dell’antico Stato di Fermo e precisamente a Monte Cretaccio, Federico II dopo decenni, riceve la sottomissione della fiera città di Alessandria, la roccaforte della lega che ora, a seguito di varie vicende storiche (fra l’altro non voleva sottostare al Monferrato ed era in preda alle lotte tra Guelfi e Ghibellini) chiedeva protezione al nipote del feroce Barbarossa.
Federico II, lo stupor mundi, attorniato dalla sua corte imperiale dopo l’assedio di Ascoli, aveva posto gli accampamenti a Monte Cretaccio. Siamo nel mese di luglio 1240. Sono con lui Pier Delle Vigne, Taddeo da Sessa, l’arcivescovo di Palermo, i Vescovi di Torino e quelli della Marsica, l’abate di Montecassino e molti altri.
“Noi, Federico per grazia di Dio, imperatore dei Romani, Re di Sicilia e di Gerusalemme – così recita l’atto – rendiamo noto a tutto l’Impero, che la città di Alessandria ha abbandonato la società degli infedeli (i fautori del Papa) ed è passata alla parte imperiale, chiedendo la nostra protezione. Noi guardiamo con occhio benevolo a tal decisione… e la riceviamo nella nostra grazia e nel nostro onore, perdonando le offese passate” … “A conferma di questa protezione e di questo atto – prosegue il documento – ordiniamo di redigere questo privilegio, munendolo della bolla d’oro… Dato negli accampamenti di Monte Cretaccio, dopo la devastazione di Ascoli, luglio 1240”.
Tale documento (che la città di Alessandria conosceva da una copia, redatta in francese, del 1839 ma ignorava il testo originale) è stato da noi rinvenuto in Francia, precisamente a Marsiglia, e fa conoscere come in territorio dell’antico Stato di Fermo ebbe luogo l’emanazione di un atto di grande valore storico, che vedeva l’indomita Alessandria passare all’obbedienza imperiale dopo 65 anni dal fiero assedio postole da Barbarossa.
Anno 1242 – Il panno di Federico:un documento rivela lo stretto legame con i Fermani
È l’anno di Federico IL è la ricorrenza otto volte secolare della sua nascita. Jesi sta vivendo momenti di notorietà e, con essa le Marche, sede operativa di impresa, fatti ed eventi dello stupor mundi.
Ma Jesi può andare orgogliosa del fatto che vi è nato Federico; non può documentare altro. Chi può dire e dare tessere di storia per il mosaico ancora incompiuto della vita di Federico, senza jattanze campanilistiche, è Fermo che ebbe relazioni non trascurabili con Federico, sia nel bene sia nel male. In ogni caso questa città è uno dei “settori” principali della vita e delle opere di Federico.
Ciò nonostante, si vuole ad ogni costo misconoscere l’importanza, poi posponendola ad altre località scelte non quali referenti culturali, ma solo perché centri amministrativi e burocratici.
Per una nostra ricerca, stiamo consultando anche archivi esteri a relative pubblicazioni. Nell’anno 1242 e dintorni, Federico scrive a Fermo (dove era stato due anni prima insieme a Pier della Vigne e Curia), ringraziandola per alcuni doni che i Fermani gli avevano inviato con apposita delegazione (nuncii legationis dice il testo!)-
Egli vi aveva graditi immensamente, così afferma la lettera di ringraziamento, che arieggia passi latini nel Vangelo dove si narra dei re Magi che porto nei doni al Bambino Gesù (apertis thesaurus suis obtulerunt Ei aurum, thus et myrram…).
Federico sottolinea che le ha graditi perché non richiesti, ma dati spontaneamente quale pegno di sincero affetto da parte dei suddetti Fermani . “I doni placano gli uomini e gli dei” affermava l’antica saggezza ed i Fermani a quanto pare, ne erano consapevoli.
Ma Federico si limita semplice grazie. Egli vuole ringraziare concretamente e li invia a mezzo degli stessi membri della delegazione che gli avevano portato i doni, un panno con componenti d’oro “per ornare l’altare maggiore della vostra chiesa madre”. Così recita il documento. Federico faccio volentieri e con gioia (hylariter) invitando i Fermani a proseguire nella fedeltà e solerzia verso l’Impero, in modo (prosegue la lettera) “che possiate sempre bene meritare della nostra maestà imperiale”. Il documento è di difficile lettura e vi sono parti illeggibili come al passo che Federico manda il panno ad honorem beati… Ciò potrebbe indurre a pensare beati (ssimae Virginis).
Sarebbe molto suggestivo pensare ad uno dei tanti palii dell’Assunta. Il documento lascia adito anche a ciò, ma deve essere approfondito.
Anno 1245 – La Marca Fermana nominata nel Concilio di Lione: 1245
Censura, interdetto, anatema, scomunica… vocaboli terribili che denotano pene ecclesiastiche verso chi si è macchiato di colpe. Già al tempo dei Greci si aveva qualcosa di simile, quando si praticava l’ostracismo, ossia l’esilio di dieci anni agli Ateniesi che, per la loro popolarità, destavano sospetti politici. Nel periodo romano, quando le supreme cariche politiche e religiose erano incentrate nell’imperatore che era anche pontefice massimo, si puniva il cittadino colpevole con l’interdizione dell’acqua (lustrale) e del fuoco (sacro del focolare): interdicere aqua et igni, ossia lo si bandiva dalla società civile e religiosa.
Alla caduta dell’Impero Romano e con raffermarsi del Cristianesimo, i vari Concili codificarono vari tipi di pene da irrogare, a seconda della gravità dei reati e così si ebbe l’ammonizione, la censura, che è biasimo e severa critica dell’operato di qualcuno, la sospensione (ricordiamo quella a divinis), l’interdetto con cui in un dato luogo si privano i fedeli dell’uso di alcuni Sacramenti o del godimento di determinati diritti spirituali. Gli poi la scomunica cioè l’esclusione dalla comunità della Chiesa cattolica di un colpevole, cui è anche vietato di accostarsi ai Sacramenti. È l’estromissione dalla comunità dei fedeli, cosa che non si verifica con l’interdetto. Vi è anche l’anatema, cioè l’esclusione dalla comunità dei fedeli, rivolta, soprattutto ad eretici, o comunità sistematiche.
La storia ci parla di scomuniche famose come quella scagliata contro Enrico IV che portò poi a Canossa: quella (anzi quelle, perché erano due) contro Federico Barbarossa da parte del Papa Alessandro III nel 1161 e 1164; quelle inflitte a Ottone IV nel 1210 e 1211; quella fulminata dal Leone X contro Lutero (Exurge Domine); quella di Pio VII contro Napoleone, che dall’allora in poi cominciò a collezionare sfortune fino a Waterloo (18 giugno 1815).
Ma a quanto ci consta nessuno collezionò ben tre scomuniche come Federico II, lo stupor mundi di cui non si è spenta l’eco delle celebrazioni dell’ottavo centenario della nascita e della Mostra (non priva di inesattezze e lacune), che ha toccato varie città delle Marche. Federico II venne scomunicato una prima volta il 21 marzo 1226, la seconda volta il 24 settembre 1239; entrambe le scomuniche gli furono lanciate da Gregorio IX dal I Laterano. La terza gli venne fulminata da Innocenzo IV, Concilio di Lione, il 27 luglio 1245. Me la sono riletta nel suo curiale, ma eloquente latino: è una inquisitoria puntigliosa ed analitica. Federico è accusato di imprigionare Vescovi e prelati: di perseguitare la Chiesa cattolica in Sicilia; di avere imposto tasse gravose missive; rubato suppellettili sacre. E spergiuro, eretico; ha ucciso il duca di Baviera; stipulato alleanze con i saraceni, non paga le tasse dovute alla curia romana. Ma all’inizio della bolla di scomunica c’è una motivazione: Federico è scomunicato anzitutto per aver invaso il dominio della Santa sede cioè, recita l’atto, la marca affermava il ducato di Benevento (videlicet Marchiam et Ducatum Beneventanum), distrutto oggi tra le porte si tiene impunemente occupati e la Marca Fermana e detto Ducato di Benevento. E così anche al Concilio di Lione alla presenza di Papa Innocenzo IV dei rappresentanti di Federico II, tra cui Taddeo la Sessa e di oltre 150 prelati si parlò della Marca Fermana uno dei motivi di scomunica, la terza contro Federico II, la cui potenza da allora cominciò a declinare fino alla morte avvenuta nel 1250.
Anno1253 – Ranieri Zeno, podestà di Fermo eletto doge, giunge a Venezia
Era di questi giorni ed in pieno carnevale quando, proveniente da Porto di Fermo (odierna Porto S. Giorgio) Ranieri Zeno, neo eletto doge, giunse a Venezia.
Egli si trovava a Fermo in qualità di podestà, dopo essere stato in precedenza podestà di Treviso, di Piacenza, di Bologna (1239), di Verona, ambasciatore della Serenissima al Concilio di Lione (da cui uscì scomunicato Federico II imperatore) e comandante di una spedizione militare contro Zara, ribellatasi a Venezia.
Zeno, era stato eletto doge il 25 gennaio 1253; appena fu proclamata l’elezione, partirono da Venezia con a bordo 12 patrizi in qualità di ambasciatori, quattro galee. A capo dell’ambasceria era Marco Ziano antagonista nel “conclave” che portò all’elezione di Ranieri.
Questi non poté assumere subito la carica, in quanto dovette provvedere a sbrigare le pratiche inerenti il trapasso dei poteri ed aspettare la piccola flotta che da Venezia veniva a prelevarlo.
Dopo qualche giorno di navigazione, le quattro galee (e non quaranta come finora hanno sostenuto, per errore di lettura, gli storici) giunsero al Porto di Fermo; prelevarono il neo eletto, e ripartirono alla volta di Venezia dove, come detto, giunsero di questi giorni del 1253 cioè 740 anni or sono. Grandiosi i festeggiamenti della Serenissima in onore del nuovo doge e fantasmagoriche le luminarie e le giostre; que- st’ultime ebbero carattere internazionale in quanto vi parteciparono cavalieri veneziani, tedeschi, friulani, istriani, lombardi, trevigiani.
Direttore e giudice dei tornei, era Lorenzo Tiepolo, figlio del doge Jacopo. Una leggenda narra che addirittura S. Antonio da Padova avesse predetto in sogno a Ranieri la sua elezione. Uno dei primi atti del nuovo capo della Serenissima, fu la partecipazione, con il Senato, alla processione in onore di tale santo.
Il dogato di Ranieri, fu caratterizzato dalla guerra contro Genova da cui uscì vittoriosa Venezia. La battaglia davanti a S. Giovanni d’A-cri costò ai Genovesi la perdita di 24 galee e 1700 uomini: la lotta contro i fratelli Ezzelino e Alberico da Romano, etc.
Abbiamo accennato sopra a Lorenzo Tiepolo. Anche’egli fu podestà di Fermo e, per sua iniziativa, fu eretta la Rocca di Porto S. Giorgio (o Rocca Tiepolo); una lapide lo ricorda ai posteri. Anch’egli fu doge di Venezia; anzi, fu l’immediato successore di Ranieri Zeno; questi fu doge dal 1253 al 1268; quello dal 1268 al 1275. Quegli il 45° Doge; questi il 46°!
In quel periodo era tutto un fiorire di “podestà-dogi” sbocciati a Fermo. Anzi, vi fu poi un altro podestà nipote di Ranieri: era .Andrea Zeno. Nell’Archivio di Stato di Fermo vi sono molte lettere dei dogi; tra esse quella di Ranieri Zeno che ringrazia i Fermani per aver eletto il nipote. Nel 1260, per opera di Ranieri, vengono stipulati patti e convenzioni marittime tra Venezia e Fermo. Nel 1252, Ranieri acquista per conto del Comune di Fermo il girone ed il Castello di Torre di Palme per 320 lire ravennate-anconitane; non ci fu “tangentopoli”, sia perché Ranieri Zeno era onesto, sia perché era anche ricco. Il suo pa-trimonio, rapportato al valore odierno, sarebbe di circa 5 miliardi di lire.
A Montegranaro vi sono tutt’oggi discendenti del podestà-doge Ranieri Zeno; sono i Marchesi Luciani Ranier.
Anno 1259 – I privilegi di Federico II a favore di Torre di Palme
Fra una ventina di giorni ricorre l’ottavo centenario della nascita di Federico II e il prossimo 13 dicembre ricorreranno 770 anni dalla morte. Data storica il 13 dicembre! Nello stesso giorno e mese, nel 1466 muore Donatello; nel 1545 si apre il Concilio di Trento (di cui fu segretario un marchigiano di S. Severino); nel 1863 nasce Temistocle Calzecchi Onesti, l’inventore del cocherer e già docente qui a Fermo. Nello stesso mese e giorno, nel 1521, di venerdì, alle ore 16 nasce a Grottammare Sisto V. Singolari queste coincidenze: “Giorni di nascite giorni di duolo, giorni di riso giorni di lutto” direbbe Longfellow. Singolare è soprattutto il denominatore comune: Grottammare, di cui Federico (che Sisto V definirà recolendae memoriae di buona memoria), si occupa esattamente due mesi prima di morire.
Ma Federico non si occupa soltanto’ di Grottammare, ma anche di Torre di Palme, allora molto importante. È il settembre 1250. Federico si trova a Lago Pesole nei pressi di Acerenza, in Basilicata; da qui emana un privilegio, attualmente conservato nell’archivio storico del Comune di Fermo in deposito presso l’Archivio di Stato di tale città. Con esso, conferma a Fermo patti e convenzioni precedentemente stipulati tra la città e Gualtiero di Palearia conte di Manoppello, suo Vicario Generale del Sacro Romano Impero nella Marca. Nel privilegium, si legge che i castelli di Torre di Palme e Grottammare, sono confermati nel possesso di Fermo; gli abitanti di Fermo che si trovano nei castelli debbano rientrare in città, ma se non volessero far ciò devono prestare a Fermo servizi ed ossequi dovuti. Nella conferma, Federico si mostra sagace e perspicace politico: lascia alla città una certa autonomia; non impone leve di soldati per l’esercito imperiale, né manda soldati di guarnigione; non effettua ostracismi di cittadini fermani, a meno che non siano traditori o rei di lesa maestà. Ogni eventuale decisione relativa a Fermo e territorio sarà concordata ed effettuata d’intesa col Comune e cittadini di Fermo. Più tardi, nel 1258, Manfredi conferma l’appartenenza di Grottammare e Torre di Palme alla città di Fermo. È questa un’altra tessera del policromo mosaico delle relazioni tra Fermo e Federico. Oltre ai numerosi documenti originali, conservati nell’Archivio di Stato fermano, vi sono altri originali di Federico II conservati a S. Elpidio a Mare e a Montegiorgio. Se poi dovessimo conteggiare i privilegi di Federico, più quelli del figlio Manfredi e quelli dei Vicari Imperiali suoi nella Marca, la cifra aumenta di molto. Senza tema di smentita, possiamo affermare che Fermo e il Fermano non sono secondi a nessuna città marchigiana per numero e preziosità di originali su Federico. Ecco perché alla mostra che avrà luogo in talune città, partecipa Fermo che la ospiterà per la durata di un mese nel prossimo autunno e la fiancheggerà con una mostra dei testi letterari in volgare dell’epoca.
Anno 1266 – In Europa, a Moresco e il Doge Tiepolo
Moresco, piccolo grazioso Comune ad un passo da Fermo. Moresco delizioso castello dalla struttura medievale quasi intatta, dominato e protetto dalla possente torre eptagonale. Nell’interno, nell’area di quella che era una chiesa, l’ampia piazza (dove fino a poco tempo fa si svolgeva la manifestazione canora “Il merlo di Moresco” vi accoglie e vi indica un grazioso porticato dal quale sono riemersi affreschi. Tra essi, una Madonna con Bambino di Vincenzo Pagani (sec. XVI). Una tradizione lo vuole fondato dai Mori che infestavano le nostre coste; altra tradizione lo dice fondato nel sec. V contro le invasioni di essi. Moltissime pergamene dell’Archivio di Stato di Fermo ne parlano e ben sette, tra imperatori, Papi e Cardinali, si occuparono dei suoi problemi. Si licet parva componere magnis, se è lecito cioè fare un paragone con grandi cose, come a Napoli i sette grandi o meglio i G7 si stanno occupando dei problemi del mondo, per Moresco – come detto – sette grandi personaggi si sono dati da fare per risolvere problemi regionali di cui più volte chiave della bilancia politica, fu proprio il piccolo Moresco.
Nel 1248 il Card. Ranieri vice-gerente del Papa per le Marche, lo restituisce a Fermo a cui era stato tolto dall’imperatore Federico II (in questo 1994 ricorre l’ottavo centenario della nascita). Manfredi figlio naturale di Federico II, nel 1266 lo riconferma a Fermo; Papa Gregorio X nel 1272 da Lione scrive al castellano papale che lo riconsegni a Fermo; quattro anni più tardi, Innocenzo V ne conferma il possesso alla città fermana, mentre nel 1278 Niccolò III (che fra l’altro è nominato da Dante: Inf. 18,31 e ss) ne sancisce l’appartenenza a Fermo. Sisto V lo stacca da tale città e lo aggrega al Presidato di Montalto. Federico II, Manfredi, Gregorio X, Innocenzo V, Niccolò III, Sisto V… Siamo a quota sei dirà qualcuno. E il settimo? Eccolo! È addirittura un doge di Venezia: per l’esattezza Lorenzo Tiepolo, figlio a sua volta del doge Jacopo…
Lorenzo (che fra l’altro ha fatto costruire la rocca di Porto S. Giorgio) era allora Podestà di Fermo. Correva l’anno 1266 ed era venerdì 11 giugno. I proprietari del castello di Moresco, tali Giorgio di Bordone e Felice Crescenzi di Santandrea, dopo vari approcci, vendettero Moresco al Comune di Fermo rappresentato appunto dal futuro Doge per la somma di lire 500 (diconsi cinquecento) del tempo. Erano per la storia 500 lire volterrane. Interessantissima la pergamena relativa. Vi compaiono testimoni, notai, cittadini di città extra Regione. “…Vendettero, consegnarono all’esimio Lorenzo Tiepolo, figlio della buona memoria di Giacomo Tiepolo podestà di Fermo, il girone, il castello e la fortezza di Moresco con tutti i diritti reali e personali riguardanti castello e rocche, i fossati e tutto ciò che è annesso al castello medesimo...”.
Oggi, ancora fiero nella possente mole del suo torrione, Moresco vigila sulla sponda sinistra dell’Aso. Il suo dinamico sindaco Prof. Sacchini ha fatto restaurare la torre che ospita mostre e manifestazioni culturali, mentre nella parrocchiale, nume tutelare, dorme il sonno eterno il Card. Luigi Capotosti (+1937) suo illustre figlio, ultimo anello della catena di imperatori, Papi e Cardinali che si sono interessati di questo gioiello medievale ed …attuale!
Anno 1267 – La Rocca di Porto S. Giorgio
Maestosa e poderosa, a ridosso di Porto S. Giorgio, si erge la rocca di Lorenzo Tiepolo, governatore di Fermo e poi Doge di Venezia.
Quest’anno essa compie settecento anni!
Ancora salda e possente, nonostante le ingiurie del tempo e l’incuria degli uomini, ricorda al visitatore la sua data di nascita in una lapide posta all’ingresso: “Quando currebat Domini millesimus annus, et bis centenus cum septem sex deciesque…” cioè 1267-
Di quante vicende storiche è stata testimone durante questi sette secoli! Vide le flotte degli Stati cattolici veleggiare contro la minaccia turca; mirò i gonfalonieri dei Castelli fermani, salire a Fermo a giurarvi fedeltà nel 1355; fremé di sdegno quando il 15 agosto 1490, duecento fermani scesero a saccheggiare il municipio di Porto S. Giorgio: v ide Sisto V, partire da qui (era vescovo di Fermo) ai fastigi del Pontificato romano; contemplò la Regina Anna Maria col suo corteo di diecimila persone, andare sposa a Ferdinando d’Austria; pianse nella battaglia fra napoletani e francesi, avvenuta quasi sotto le sue mura nel 1798; e vide nel 1815 le truppe della sfortunata impresa del Murat alla Rancia.
Garibaldi passò sotto i suoi bastioni nel 1849 e nel 1857 anche Pio IX, in visita al suo Stato; gioì nel vedere nell’ottobre 1860 Vittorio Emanuele II galoppare alla testa del suo esercito di trentamila uomini per recarsi a Grottammare (ove sostò per cinque giorni) e quindi alla volta di Teano.
Pianse l’onta di Lissa (è quasi sullo stesso parallelo) nel 1866: e come dové gemere nel vedere natanti sangiorgesi e marchigiani inghiottiti dai fortunali durante le tempeste dell’Adriatico, e di quali trepide carezze allietare la luna di miele di Gabriele d’Annunzio e della Duchessa di Gallese, Maria Hardouin, ospiti a S. Giorgio nel 1883…
Sono passati sette secoli!
Non c’è più oggi il Castellano, che Fermo vi mandava ogni sei mesi. Non si ha più memoria dei due anconetani, Giovanni Benincasa e Andrea Buscaretti, qui impiccati e seppelliti nel 1534 per ordine del Legato della Marca…
Non marciano più a lento passo, le truppe che Fermo manda a S. Benedetto del Tronto o arruola dai suoi ottanta Castelli per la lotta contro gli spagnoli.
Dove saranno ora la polvere da sparo, il piombo, le vettovaglie e soprattutto i soldati, di cui doveva essere munita per fronteggiare ogni evenienza?
(Per eam tenere munita plumbo, pulvere, hominibus et farina, vino et aliis necessariis tutelam et securitatem dictae arcis).
Chissà dove saranno i vari castellani ivi succedutisi, che avevano onori ed anche oneri, non ottemperando ai quali, rischiavano pene da mille fiorini d’oro al taglio della testa?
E chissà dove sarà ora la bella castellana? Sì, anche la castellana, perché la Rocca ha una sua leggenda, tramandata da padre in figlio, dal tempo delle incursioni dei Turchi.
Si racconta che sul finire del secolo XIV i Turchi sbarcarono lungo la costa di Porto S. Giorgio. Contro di essi accorsero unanimi molti volontari sangiorgesi, con in testa il giovane castellano Pierfrancesco. Si combatté ferocemente da ambo le parti, con alterna vicenda.
Nella parte meridionale del Castello, i difensori dopo accanita resistenza furono sopraffatti. Con urla selvagge, roteando le loro scimitarre, i Turchi irrompono nelle mura del paese mentre dall’alto flutti di olio ardente e lancio di sassi sono l’ultima disperata resistenza dei sangiorgesi.
Nel frattempo molti vecchi, donne e bambini, si erano rifugiati entro la rocca, mentre sulla torre più alta la bella Rossana, la giovane sposa di Pierfrancesco, segue in ansia le fasi della lotta.
Ad un tratto un manipolo di Turchi riesce a forzare le mura interne e salire sulla torre più alta.
La castellana si vede perduta.
Che fare? Le urla degli invasori salgono al cielo. Ma ecco un urlo più acuto, quasi selvaggio, un tonfo e poi silenzio…
Che succede? Rossana, la bella castellana, prima che i Turchi si impadronissero di lei. si è gettata nel vuoto ed ora giace sfracellata.
Pierfrancesco, saputo che i Turchi si sono impadroniti della rocca, ansante, trafelato accorre a salvare il suo amore; ma ahimè! troppo tardi! Vedendo la sua Rossana esanime, morta, ai piedi della torre, lancia un grido disperato, ammazza quanti Turchi gli sono vicini, poi afferrato il pugnale se lo immerge nel petto e si uccide…
Tale è la leggenda.
Ora tutto tace…
Del Castello rimane solo la Rocca salda e poderosa, pronta ad accogliere nella prossima estate i turisti. Il Comune e l’Azienda di Soggiorno si stanno adoperando per ripulirla e darle un degno e comodo accesso, da parte della piazza della Chiesa.
Agli ospiti ed ai turisti della Rocca parlerà della sua vicenda e ripeterà sommessamente i suoi splendidi distici: “Urbs – o firmana – tibi – servo – litora – sana / facta – tibi – clavis – portis – tutela – que –dans – felix –omen – sumo de martire – nomen /hoc – opus – est – castri – actum – tutela – que claustri – /quando – currebat – Domini – millesimus – annus / et bis – centenus – cum septem – sex –deciesque – /tempore – quo venetus – Dnus – Laurentius – olim – progenies – memoranda – duci Jacopi – quoque – Templi / Urbem – firmanam – rexit – per – prospera – sanam”.
Che suonano in italiano: “O città di Fermo io ti conservo salvi i lidi, fatta pera la chiusura del Porto e protezione delle navi. Dal martire S. Giorgio prendo il nome che dà buon augurio. Quest’opera è stata fatta a guardia del Castello e della palizzata del porto, nell’anno del Signore 1267, al tempo in cui il veneto Lorenzo Tiepolo, progenie del Doge Iacopo, resse la città di Fermo, attraverso prosperi eventi.
Ora pochi sanno del tuo compleanno sette volte secolare, o storica Rocca, che protendi verso l’azzurro i bastioni e le torri!
Come suona rudimentale quel computo dei tuoi anni nell’epoca dei calcolatori elettronici (millesima annus et bis centenus cum septem sex deciesque).
Come appaiono anacronistiche le armi della tua fanciullezza, l’olio bollente, il piombo, la polvere da sparo, nell’epoca delle armi termonucleari!
Come è stridente la lenta marcia delle truppe che vanno a difesa del litorale, con la velocità supersonica degli aviogetti moderni. Quando sei nata non erano ancora conosciuti ed esplorati tutti i continenti, ed ora non solo si conoscono tutti, ma ci cimentiamo nei voli astrali (coelum ipsum petimus) ed alla conquista della luna.
Ma nonostante ciò, quale pace si gode dentro le mura di questa incipiente primavera, a pochi passi dall’Adriatico, fiorito di vele, mentre le macchine sfrecciano veloci nell’asfalto sottostante!
Quale alone di poesia emanano dalla leggenda della castellana!
Quale calma riposante, nel frenetico esagitarsi della vita moderna… E com’è dolce bearsi nell’epoca dei tecnicismi e della materia in cui i tuoi deliziosi distici
“Urbs – o firmana – tibi – servo – litora – sana / facta – tibi – clavis – portis
– tutela – que –dans – felix –omen – sumo de martire – nomen”.
Buon compleanno o rocca Sangiorgese!
Anno 1268- Una complicata riforma elettorale.
È ormai varata la riforma elettorale. Si sente nell’aria il “rinnovamento”. “Basta con i politici professionisti”: è lo slogan del momento.
Il mandato parlamentare non deve durare più di tre legislature.
Ma anche nel lontano 1268, cioè 725 anni or sono, si era verificata una riforma elettorale per l’elezione del doge ed il primo ad essere eletto col nuovo sistema fu un podestà di Fermo: Lorenzo Tiepolo, assunto alla suprema carica della Serenissima, mentre era ancora alle prese con le mansioni podestarili di Fermo e suo vasto territorio. Allora, diversa- mente da adesso, i podestà duravano in carica solo un anno. Potevano però essere rieletti, come avvenne per Ranieri Zeno, che fu due volte po-destà di Fermo e poi fu doge di Venezia prima di Tiepolo. Anzi, in quel periodo, il 452 ed il 46° doge, rispettivamente Zeno e Tiepolo, erano stati podestà di Fermo. Morto Ranieri Zeno (1268), venne varata la riforma elettorale che durò fino alla caduta della Repubblica di Venezia (1797).
Consisteva in una complicata votazione. Il consigliere più giovane scendeva nella Basilica di S. Marco e prendeva un bambino (8/10 anni) detto “ballottino” per estrarre le “ballotte” per le votazioni. Queste erano tante quante erano i membri del Maggior Consiglio, ma solo trenta di esse contenevano il famoso bigliettino con la scritta “elector”. Il ballottino, bendato, estraeva le palle (ballotte) da un cappello di panno, che fungeva da urna e la passava ai membri del maggior Consiglio che sfilavano davanti a lui. I trenta estratti, dovevano appartenere a famiglie diverse, senza legami di parentela. I non estratti, abbandonavano l’aula. Una volta rimasti in trenta, c’era un’altra votazione con lo stesso sistema del ballottaggio fino a rimanere in nove; questi avevano l’incarico di votare i 40 membri del Maggior Consiglio. I primi quattro sceglievano cinque nomi ciascuno. Per essere eletti occorrevano 7 voti. Con i quaranta si tornava ancora all’estrazione per eleggerne 25 che, sempre sorteggiati, erano ridotti poi a 9, incaricati a loro volta di altre complicate operazioni. Il doge neo eletto doveva avere non meno di 25 voti. Complicatissima procedura, come si vede, che mirava a eliminare “partitocrazia” e “clientelismo”.
Una volta eletto, Lorenzo Tiepolo, che aveva nostalgia di Fermo (tra l’altro fece costruire la famosa Rocca a Porto S. Giorgio detta appunto Rocca Tiepolo) scrive ai Fermani dando notizia della sua elezione. Sentiamolo: “Lorenzo Tiepolo, per grazia di Dio, Doge di Venezia, della Dalmazia, della Croazia, Signore della quarta parte e mezzo dell’Impero Romano d’Oriente, al podestà, Comune e Consiglio di Fermo, suoi diletti amici, salute ed affetto”. Spiega poi che, sebbene senza suo merito, ma per volontà del Creatore da cui tutto dipende sia stato eletto doge a seguito di una elezione condotta con un nuovo sistema (quod ordinata noviter forma de novi ducis electione così recita l’originale da cui traduciamo). Comunicata tale notizia al popolo, questo esultante, con grida di giubilo e mani levate verso il cielo, ringraziò Dio, entusiasta dell’elezione.
La lettera prosegue dicendo che vi fu un momento di esitazione nell’accettare, ma poi confidando nella protezione del protettore di Venezia, S. Marco apostolo ed evangelista, la carica fu accettata. Tiepolo si rivolge ora ai Fermani suoi ex-amministrati, sia per chiedere preghiere perché insieme si goda (una nobiscum congaudentes) si ringrazi Iddio e si implori di governare la Repubblica di Venezia in tranquillità e pace. La lettera fu spedita dopo 14 giorni dall’elezione; il ritardo non era dovuto al¬le… Poste, ma al fatto che non era pronto il sigillo di piombo della bolla.
Anno 1272 – Un privilegio ai mercanti fermani
Chi non lo ricorda? Sembra di vederlo ancor oggi! Il nostro professore di liceo, quando ne declamava il passo dantesco, ci metteva tutta l’anima, tutto il suo pathos, che te lo faceva quasi vedere e quelle che erano le nostre “compagne nell’età più bella”, se ne innamorarono, anche se lui era vissuto sette secoli prima. Noi del sesso “forte”, quasi quasi ne eravamo gelosi!
“Biondo era e bello e di gentile aspetto / ma l’un dei cigli un colpo avea diviso / quand’ io mi fui umilmente disdetto / d’averlo visto mai mi disse; or vedi / e mostrommi una piaga al sommo il petto / poi sorridendo disse: Io son Manfredi!”.
Manfredi (1232-1266) figlio naturale di Federico II, come già suo padre si interessò di Fermo e del Fermano. Nel 1258 confermò alla città di Fermo la giurisdizione sui castelli di Marano (odierna Cupra Marittima), Boccabianca, Torre di Palme, Monturano, Moresco, Massignano, Lafreno, Torre S. Patrizio, Grottammare, Castel Monte S. Giovanni, Monte S. Pietro, Monte S. Martino, Petritoli, Montefalcone, Monterubbiano.
In quel periodo, il Vescovo di Fermo, Gerardo, che occupò la cattedra vescovile dal 1250 al 1272 fu dapprima fervido assertore dei diritti del Pontefice contro Manfredi, ma in un secondo tempo, si allontanò dal Pontefice, passando dalla parte di Manfredi, che favorì grandemente o, almeno, sembrò farlo (“quam impense favit vel saltem favere visus est”, dice un cronista.
Quando il nostro professore declamava i versi danteschi relativi a Manfredi, proseguiva: “io mi rendei piangendo a quei che volentier perdona” (Purg. III).
Anche il Vescovo Gerardo si pentì e fu riammesso. Ma l’interessa-mento di Manfredi non si limitò solo a ciò. Nel 1263, con altro privilegio datato 6 marzo ed emanato da Foggia, si interessò di Rinaldo da Brunforte e Rinaldo da Falerone. Pure da Foggia, nello stesso anno spedì una ratifica e conferma a Sant’Elpidio a Mare della concessione fatta a tale castello dal padre Federico II (ratificamus et de speciali grafia confirmamus).
Nel novembre 1264, da Lucerà, spedì un privilegio a favore di Fermo; con esso concedeva ai mercanti (mercatores) di tale città di potersi recare liberamente nel Regno di Napoli con le loro mercanzie; effettuare ivi i commerci e tornare poi a Fermo senza che nessuno potesse esigere da loro diritti di pedaggio, dogana e dazi relativi.
Come si vede, Manfredi aveva precorso l’abbattimento delle frontiere doganali di cui si parla in vista del 1992.
Anno 1279 – Monte Urano ricorre al Papa
Non è da tutti scomodare un Papa e per giunta Papa Gregorio XIII (famoso tra l’altro per la riforma del calendario) per una questione di confini, ma Monturano, allora piccolo paese della Diocesi fermana, ci riuscì e come!!!
Stanchi ed esasperati dal fatto che i paletti che delimitavano i confini del loro territorio venivano di continuo rimossi, i Monturanesi deciderò di rivolgersi direttamente a sua Santità Gregorio XIII. Il Papa, pur tra le occupazioni e cure del suo pontificato, si interessò della faccenda. Anzi la prese così a cuore che addirittura il giorno 13 aprile del 1579, anno settimo del suo pontificato (idibus Aprilis pontificatus nostri anno septimo) inviò al Vescovo di Fermo una bolla in pergamena con tanto di sigillo di piombo, raccomandandogli di interessarsi personalmente della cosa.
Molto probabilmente i cittadini di Monturano avevano inviato a chi di dovere ricorsi e doglianze in proposito ma, a quanto sembra, senza alcun esito, tanto è vero che scavalcando la “via gerarchica” si rivolgono al Papa in persona.
Gregorio allora, investe della faccenda il Vescovo di Fermo scrivendogli testualmente: “Gregorio Vescovo, servo dei servi di Dio, al venerabile fratello e diletto figlio il Vescovo di Fermo od al suo vicario generale per gli affari spirituali salute ed apostolica benedizione. Ci è stato fatto presente dai diletti figli, sindaci ed officiali del castello di Monturano della Diocesi fermana che vi sono dei figli di iniquità di entrambi i sessi (quindi pure le donne) che svellono i termini che indicano i confini portandoli di luogo in luogo, creando confusione e gravi danni al Comune di Monturano, causando altresì un pericolo per le loro anime e grande detrimento a detto castello”. Essi – continua la bolla – hanno invocato aiuto a questa Sede Apostolica. Per la quale cosa ti scriviamo invitandoti ad intervenire nella faccenda ordinando di ammonire dal pulpito, in presenza del popolo, i trasgressori a riparare il male fatto e stabilire un congruo lasso
di tempo, trascorso il quale quelli che hanno usurpato beni e possessi o li detengano fraudolentemente pongano riparo. “Se non lo faranno tu devi scomunicarli“.
Noi non sappiamo come andò a finire la faccenda. Dobbiamo tuttavia notare che i cittadini di Monturano erano intraprendenti anche allora, se non nel commercio calzaturiero, nel ricorrere personalmente al Papa e riuscendo ad ottenere il suo personale interessamento per una questione di confini “nell’anno di grazia 1579, idi di aprile, anno settimo del nostro pontificato”.
Anno 1280 – 16 febbraio 1280: Fermo compera una parte del Castello di S. Benedetto
Anticamente vi si insediarono Siculi e Libumi. Plinio scrive che fu 1’ultimo insediamento di quest’ultimi in Italia. Nel 49 avanti Cristo vi si fermò Giulio Cesare, dopo il passaggio del Rubicone. Fu sede di Diocesi nel secolo V e, nel Medio Evo, al centro di donazioni, prestane, precarie, permute, prima con l’Abbazia di Farfa (centro benedettino in Provincia di Rieti che aveva beni e possessi nelle Marche) poi con i vescovi di Fermo. Fu appunto uno di questi, Liberto, che nel 1145 concede ad Attone e Berardo la terra necessaria per la costruzione di un castello, con orti annessi, case per i coloni e quant’altro necessario per la vita.
Sorse così il castello di S. Benedetto, variamente denominato nel corso dei secoli; dapprima si chiamò S. Benedetto in Albula, dal nome del torrente che vi scorre; poi S.
Benedetto della Marca; S. Benedetto presso il mare; S. Benedetto di Fermo.
La denominazione S. Benedetto del Tronto, verrà data nel 1862, dopo l’unità d’Italia e ciò per distinguerlo da località omonime come S. Benedetto Val di Sambro, S. Benedetto Po, etc.
Quest’ultima denominazione arieggia e richiama il nome di una chiesa S. Benedetto al Tronto (si noti quel: al Tronto) che sorgeva (e sorge) in territorio di Monsampolo e che era così importante da figurare nelle porte di bronzo della celebre Abbazia di Montecassino, dove sono elencati beni e possessi che aveva nelle nostre zone, come Fermo, S. Biagio di Altidona, etc. (Anno Domini 1090 c.).
Abbiamo accennato sopra a donazioni, permute, etc., ma vi furono anche acquisti e vendite. Una, esattamente, avvenne il 16 febbraio del 1281.
Il nobil uomo, Gualtiero di Acquaviva e sua moglie donna Isabella, vendono a Fermo l’ottava parte del castello di S. Benedetto in Albula, della Marca d’Ancona, Diocesi e Distretto di Fermo. I predetti vendono tale ottava parte di loro proprietà, al sindaco di Fermo per la somma di lire 1000 (mille) ravennate o volterrane-anconitane.
L’atto di vendita è molto interessante, perché già da allora si parla del porto, di giuspatronato sulla chiesa di S. Benedetto ed altre utili notizie storiche: …“Vendiamo cediamo con i diritti, il porto, i vassalli, i redditi, i servizi reali e personali, gli affitti, le tenute, le terre coltivate e quelle incolte, le selve, i boschi, gli onori e giurisdizioni. L’esercizio del mero e misto impero (cioè poteva giudicare nelle cause penali e civili e addirittura irrogare la pena di morte)”.
Oggi, 16 febbraio, ricorrono 712 anni da quella vendita, S. Benedetto, che rimase sotto la giurisdizione di Fermo fino al 1827. quando vi fu uno “scambio” tra il Distretto di Montalto e la Delegazione di Fermo, è oggi vivo centro marittimo, ricco di premesse per un futuro luminoso.
Conta oltre 45.000 abitanti; è pulsante di attività industriali ed agricole; ha di gran lunga superato il valore di mille lire ravennate volterrane-anconitane, anche se relative alla sua ottava parte…
Anno 1281 – Santa Maria a Mare
Alla foce del torrente Ete, in territorio di Fermo, vi è una chiesa denominata Santa Maria a Mare. Di per sé sarebbe una località di modesta importanza, ma famosissima dal punto di vista storico. E infatti l’“erede” dell’antico navale fermano di cui parlano Strabone, Plinio il Vecchio (che morì nell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.), Pomponio Mela, la Tabula Peutingeriana, l’Itinerario dell’Imperatore Antonino (Itinerarium Antonini) tutti autori ed opere, di poco posteriori alla nascita di Cristo. Nodo stradale importantissimo, Santa Maria a Mare, l’antico Castellum Firmanorum (castello dei Fermani), è posto alla confluenza tra la Castiglionese, la statale 16 e l’autostrada A-14.
Se ne interessò Federico Barbarossa; vi si accamparono Alfonso d’Aragona e il conte Francesco Sforza (sec. XV) e durante le guerre di successione, vi stazionarono per alcuni giorni 38 mila austriaci, al comando del generale Lobkowitz. Nei pressi, il 28 novembre 1798, si combatté una sanguinosa battaglia tra Francesi e Napoletani e, nella seconda guerra mondiale, fu oggetto di reiterati bombardamenti alleati, miranti a colpire i due ponti (quello della ferrovia e quello stradale). Non vi furono però vittime e la popolazione della zona lo attribuì (ed attribuisce tuttora) alla protezione di Santa Maria a Mare, la cui effigie campeggia da molti secoli nell’omonimo santuario. Questo è ora officiato dai Padri della Consolata di Torino. Uno di essi, già docente all’Uni-versità Cattolica di Milano, è un latinista di fama internazionale, il Prof. P. Olindo Pasqualetti “eminenza grigia” nel mondo del latino.
Il santuario ha un rettore, come lo aveva nel 1281. A tal proposito, ci siamo imbattuti in un documento inedito, risalente a tale anno, che parla dell’elezione del Rettore. Un tale Roberto, aveva rinunciato e si doveva procedere alla nomina del successore. L’atto, conservato nell’archivio di Stato di Fermo, descrive le urne elettorali (buxolae) e sigilli e ballottaggi, gli interessi del Comune di Fermo e quelli del vescovo. La Chiesa infatti era giuspatronato del Comune, ma la nomina del rettore doveva essere approvata dal vescovo. Lotte ed elezioni, reitera-te per irregolarità vere o presunte. È un quadro vivo che sembra più un reportage che un atto notarile (era rogato da Bartolomeo di Guarcino). Nonostante che nel documento si dica che Fermo doma i suoi nemici e rende agevoli le cose difficili (hostes firmano, urbs domat; facit aspera plana) il Comune non ne uscì vincitore. Infatti era stato eletto il pupillo dell’Amministrazione, ma il Vescovo di Fermo (era Filippo III che governò la Diocesi dal 1272 al 1297) non approvò tale nomina. Intrighi, scontro di interessi, gelosie, procedure elettorali viziate: tutto questo anche allora caratterizzava le elezioni.
Oggi, il santuario ha vicino un porto turistico, la zona è ancora importante nodo stradale e nei pressi vi è un’area di stoccaggio di prodotti petroliferi. La chiesa di Santa Maria a Mare ha tuttora un rettore. Anzi, data l’occasione, diremo subito che domenica prossima 7 ottobre il rettore guiderà a Roma un folto gruppo di fedeli. Infatti Papa Wojtyla, proclamerà beato il fondatore dei Padri della Consolata che, come detto, officiano il Santuario.
Anno 1288 – Ben dieci i Papi marchigiani
È di attualità parlare ora di Papi, Cardinali e di conclavi, ed è viva ovunque la notizia dell’elezione di Giovanni Paolo I, per cui, pensiamo, sarà gradito ai lettori del “Carlino” avere qualche notizia sui Papi e la nostra Regione e sui Papi della nostra Regione. Le Marche, primeggiano tra le Regioni italiane, per aver dato alla Chiesa fulgide figure di sommi Pontefici. Alcune nazioni ne hanno avuto uno solo, come l’Inghilterra con Adriano IV (1153-1159). E qualche Regione italiana, come il Piemonte, non ha avuto nemmeno un Papa (Pio V è nato sì a Bosco, ma allora, questa località apparteneva al Ducato di Milano); le Marche invece hanno avuto ben dieci Papi, fra cui risaltano le figure di Sisto V e Pio IX. Prima di accennare ai pontefici nati nelle Marche, ricorderemo che Papa Clemente II, tedesco, morì e fu sepolto nell’abbazia di S. Marco in Foglia (Pesaro) il 9 ottobre 1047.
Ivi rimase sepolto per circa due anni, dopo di che le sue spoglie furono traslate nella Cattedrale di Bamberga, in Baviera, dove, nel 1237, gli venne eretto un monumento sepolcrale.
Un altro particolare storico curioso: quando sia Urbano V che Gregorio XI fecero ritorno da Avignone, vollero essere trasportati su “galee frabbricate (sic) in Ancona”.Ricorderemo pure che un altro Papa, Gregorio XII, (Gabriele Condumer, veneziano) è sepolto a Recanati, dove morì in 18 ottobre 1417. Tralasciando i minori, rammentiamo pure che il celebre Pio II spirò ad Ancona, il 15 agosto 1464, dove si era recato per assistere alla partenza della flotta cristiana nella crociata contro i Turchi. Lo
stesso nipote, Pio III, Papa dal 1534 al 1549, era stato amministratore apostolico della città di Fermo.
Anche Papa Benedetto XIV, il celebre Prospero Lambertini, morto nel 1758, prima di accedere al soglio pontificio era stato vescovo di Ancona, mentre la famiglia di Pio XII era originaria di S. Angelo in Vado, che gli ha intitolato una piazza.
Il periodo in cui le Marche sembrarono avere l”esclusiva” del pontificato, fu quello antecedente l’Unità d’Italia.
Nei secoli passati avevamo avuto Papa Giovanni XVII da Rapagnano (AP) che, eletto nel 1003, regnò dal giugno al dicembre dello stesso anno: Niccolò IV da Lisciano di Ascoli Piceno (+ 1292), fondatore tra l’altro delle Università di Macerata e Montpellier, e celebre per la sua attività missionaria e per aver posto la prima pietra del Duomo di Orvieto.
Marcello II di Montefano (Me), che regnò per soli 22 giorni nel 1555 pSisto V di Grottammare, la cui fama è nota in tutto l’orbe terracqueo, che portò a termine la cupola di S. Pietro, eresse in palazzo late-ranense, il Quirinale, innalzò, l’obelisco in piazza S. Pietro, costruì palazzi, acquedotti, stroncò il banditismo, etc.
Clemente VIII di Fano (+ 1605), che doveva incoronare in Campidoglio Torquato Tasso; Clemente XI di Urbino (1700-1721), gran mecenate.
Clemente XIV nato da genitori di Sant’Angelo in Vado (Ps), che soppresse i Gesuiti
(+ 1774). Ma dopo il pontificato di Pio VI e Pio VII, entrambi di Cesena, eccoci a Leone XII nato a Genga di Fabriano, che pontificò dal 1823 al 1829, a cui subentra un altro marchigiano: Pio Vili (Francesco Saverio Castiglioni) nato a Cingoli nel 1761, durante il pontificato del quale venne restituita ai cattolici inglesi la libertà di culto.
Breve parentesi di Gregorio XVI di Belluno, che del resto ha per segretario di Stato il Cardinal Tommaso Bemetti (+1852) di Fermo, ed eccoci ad un altro ed illustre marchigiano, Pio IX di Senigallia, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla morte. Pio IX è troppo famoso per poter parlare adeguatamente di lui. Ricorderemo tuttavia la connessione del suo pontificato con la storia d’Italia, l’uccisione di Pellegrino Rossi, la presa di Roma, la caduta del potere temporale, la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, la Pubblicazione del “Sillabo”, etc.. Fu il Papa che regnò più a lungo di tutti i Papi, raggiungendo oltre(32 anni di pontificato e sfatando la leggenda che nessuno avrebbe superato gli anni del pontificato di S. Pietro (25 anni). Non videbis annos Petri si diceva, ma Pio IX li superò di gran lunga. Nella Basilica Vaticana sopra la statua bronzea di S. Pietro campeggia una sua immagine che fra l’altro dice: qui annos Petri unus aequavit, il solo che superò gli anni di S. Pietro. Dopo Pio IX non abbiamo più Papi marchigiani, ma ricorderemo che il successore Leone XIII ha per segretario di Stato un marchigiano di Recanati: il Cardinal Lorenzo Nina, sostituito poi col Rampolla. Segue Pio X, quindi Benedetto XIV che ha per segretario di Stato il Cardinal Pietro Gasparri di Ussita (Me). Eccoci al conclave del 1922: sono sessanta i Cardinali di Santa Romana Chiesa. La sera del 2 febbraio 53 Cardinali entrano in conclave per l’elezione del successore di Benedetto XIV. È uno dei conclavi più combattuti e si delineano subito due correnti: quella capeggiata dal Card. Merry del Val, già segretario di Pio X (+1914) e l’altra dal nostro Cardinal Gasparri (che, è noto; fu uno degli artefici della Conciliazione tra Stato e Chiesa nel 1929).
Si hanno vari scrutini; al quarto si ha la seguente situazione: Merry del Val voti 17; Gasparri 13; La Fontaine 1; Ratti 4; all’ottavo scrutinio le posizioni sono: Gasparri 24; La Fontaine 21; Ratti 5; Merry del Val 0; al nono: Gasparri 19; La Fontaine 18; Ratti 11. Successivamente, Gasparri fece convergere i suoi voti su Ratti che venne eletto col nome di Pio XI e prese per segretario di Stato il Gasparri fino a che, per acciacchi dell’età, non venne sostituito da Pacelli.
Nel conclave che portò all’elezione di Pio XII (oriundo come detto, di Sant’Angelo in Vado) nel marzo 1939, tra i candidati appare ben quotato il tuttora vivente (88 anni) Cardinal Alfredo Ottaviani, nato da genitori della Provincia di Macerata. Nell’elezione di Papa Giovanni XXIII coagula attorno a sé un buon numero di voti anche il Cardinal Francesco Roberti di Pergola (Ps), prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica. Roberti configurava una candidatura di compromesso allorché si erano formati due blocchi: uno capeggiato dal Cardinal Lercaro, che aveva totalizzato 20 voti, uno dal Cardinal Ildebrando Antoniutti anch’egli con 20 voti, mentre il gruppo di Montini era salito a quota 30. Ma le successive votazioni convogliarono i voti del gruppo Lercaro su Montini, che venne eletto Papa col nome di Paolo VI.
Anno 1288 – Ancora di Nicolò IV, Papa
Gli piacevano le città che iniziavano con la M perché fondò le università a Macerata, a Montpellier, a Montepulciano.
Senatore di Roma a vita, pose la prima pietra del Duomo di Orvieto, abbellì a Roma Santa Maria Maggiore, incoronò a Rieti il figlio di Carlo d’Angiò e mandò in dono alla sua città, un magnifico piviale di sciamito di seta. Fu successore di S. Bonaventura, nel generalato e primo Papa francescano della storia; sfortunato con le Crociate, fortunato nelle missioni ai Mongoli, è sepolto con Sisto V (altro Papa francescano e piceno), in quella Santa Maria Maggiore che aveva abbellito ed adornato. Chi è costui? Non certo Carneade, ma un nostro “vicino”: Nicolò IV nato a Lisciano di Ascoli, eletto Papa sette secoli or sono (1288-1292). A differenza dei suoi predecessori, non è nominato affatto da Dante nella Divina Commedia; ma se il poeta lo avesse saputo, non lo avrebbe posto nei gironi infernali; tutt’al più in qualche cantuccio del Purgatorio, dato che i suoi peccati sono di amore; beninteso amore verso la sua città natale! Infatti favorì Ascoli, anche riducendo una pena pecuniaria inflitta da Tommaso di Foligno, giudice generale della Marca nel 1280.
Un decreto dell’Imperatore Ottone IV del 1211, consentiva a Fermo il dominio sulla spiaggia dal Tronto al Potenza; da qui, le lotte secolari tra Ascoli e Fermo. Nel 1280 Ascoli si alleò con Ripatransone e con Riccardo d’Acquaviva; assaltarono e distrussero i castelli di Mercato e di Bommpadaro di giurisdizione fermana, siti nei pressi di Acquaviva e attaccarono S. Benedetto del Tronto, senza però riuscire ad espugnarlo perché, sopraggiunte le milizie fermane, i “valorosi” assediano se l’erano data a gambe. Ma avevano commesso enormi misfatti (enormia scelera).
A Mercato e Bommpadaro avevano ucciso donne, fanciulli e passati a fil di spada anche chierici, bruciando tutto, per cui vennero condannati al pagamento di 40 mila marche d’argento sia Ripatransone che Riccardo di Acquaviva. Nicolò litigò pure con il Re di Sicilia Carlo IL Questi pretendeva che il castello di Monte Calvo fosse suo, in quanto, a suo dire, era compreso nel territorio abruzzese.
Nicolò rivendicò energicamente l’appartenenza di esso alle Marche e, di conseguenza, al comprensorio di Ascoli e con due specifiche, distinte bolle, una emessa a Rieti il 9 ottobre 1289 e l’altra a Roma presso Santa Maria Maggiore; ribadiva, precisava e rivendicava l’appartenenza di Monte Calvo alla Diocesi di Ascoli (Castrum Montis Calvi esculane diocesis). Come detto, Dante non lo mise né all’Inferno né in Purgatorio. Tutt’al più se vi è qualche colpa, potrebbe essere quella d’interesse privato in atti (papali!) d’ufficio o abusi di potere; ma qui si tratta del Papa in persona che è extra ius, super ius; in parole povere, in piena immunità (come i nostri ineffabili parlamentari!).
D’altra parte, le eventuali colpe potrebbero essere coperte dal manto o meglio dallo stupendo piviale (anche esso spedito da Rieti… oh questa Rieti!) in dono ad Ascoli. Squisitamente ricamato e colorito tra il 1265 e il 1268, trafugato e riottenuto, costituisce il vivo, visibile ricordo di un Papa che abbonò pene pecuniarie, fece vendere proprietà farfensi acquistandole per interposta persona e cedendole ad Ascoli ed altro… “il cui tacere è bello”.
Coperto col manto del piviale, il famoso piviale (ora esposto nella riaperta Pinacoteca), chi potrà incolparlo di eccesso di potere o di interesse privato in atti (papali) d’ufficio? Addirittura, con gli interessi della pena pecuniaria condonata nel 1290, Ascoli potrebbe erigergli il progettato monumento! Con la buona pace di Ripatransone che, speriamo, non ricorra al T.A.R. per la disparità di trattamento ad essa riservata: multa 40 mila d’argento! Ascoli prima 20 mila, poi nulla…
Anno 1289 – il oaoa piceno Nicolò IV
Mons Pessulanus… Chi era costui? Potrebbe ripetere qualcuno, dato il clima dei Promessi Sposi ammannitici dalla televisione in maniera molto inferiore al romanzo. Nocita nuoce al romanzo manzoniano e non si “salva”…
Ma rassicuriamo subito il lettore. Mons Pessulanus non è una per¬sona ma una città, esattamente Montpellier, importante centro agricolo marittimo e culturale della Francia meridionale, dove riposa la Regina Elena di Savoia. Sì, culturale perché vi prospera una celebre università, fondata il 26 ottobre 1289 da un nostro comprovinciale, Papa Nicolò IV nativo di Lisciano di Ascoli, lo stesso paese di Sciabolone.
Nicolò (o Niccolò) fondò anche l’Università di Macerata ma l’anno successivo, per cui nel 1990 sono sette secoli, mentre sono già passati sette secoli dalla fondazione di quella di Montpellier eretta appunto il 26 ottobre 1289. Quando il nostro Nicolò emanò la bolla di fondazione, definì Montpellier locus pessulanus valde aptus prò studio: luogo cioè straordinariamente adatto allo studio.
Da allora, l’università non ha conosciuto momenti di stasi. Attorno al 1320 ebbe come studente Francesco Petrarca; nel 1520 vi si immatricolò Francesco Rabelais e vi conseguì la laurea in medicina (è però più famoso come scrittore che come medico, ricordiamo Gargantua e Pantagruel).
Nel corso dei secoli fu frequentata da catalani, italiani, tedeschi, francesi, etc., costituendo una università internazionale ante litteram. Sin dal suo sorgere, prese a modello gli statuti dell’Università di Bologna, preferendoli a quelli di Parigi e di Oxford, ed assunse subito la caratteristica di università più di studenti che di professori (magis universitas scholarium quam doctorum). Fu influenzata da quella, pure di medicina, di Salerno, già famosa sin dal secolo IX, come famosissimi ed attuali ne sono anche oggi i Precetti che sin da allora raccomandavano il moto, l’esercizio fisico, una parca mensa e di non prendersela troppo: si tibi deficìant medici, medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata dieta.
L’inglese Hasting Rashdall, storico delle università europee, ha definito l’università di Montpellier an off-shot of Salerno, una promanazione, una gemmazione di quella di Salerno. Fondata come università pontificia, nel 1808 (al tempo di Napoleone) divenne università imperiale e quindi repubblicana. Recentemente ha visto integrarsi nel vecchio ceppo le scienze biologiche, chimiche e fisiche, la facoltà di odontoiatria, i vari centri di ricerca ad alto livello nel campo dell’agronomia. Il “luogo molto adatto allo studio” si sta rinnovando e potenziando vertiginosamente. Tornando al nostro Niccolò diremo che oltre alla fondazione delle università di Montpellier e Macerata, pose la prima pietra del Duomo di Orvieto, mandò missionari in Cina, promosse la crociata, coronò a Rieti Carlo II d’Angiò. Successe a S. Bonaventura nel generalato dei francescani e fu il primo Papa francescano della storia (gli altri Papi francescani sono quasi tutti marchigiani). È sepolto a Santa Maria Maggiore a Roma, in un monumento erettogli dal comprovinciale Sisto V. A Nicolò successe Celestino V quello del “gran rifiuto”, e a questi, il non meno famoso Bonifacio VIII.
Anno 1292 – Quel “crudo sasso” reso famoso dal fermano Beato Giovanni
Quanti, in questi giorni di canicola sognano i monti, le alte cime dove si possa respirare aria pura e balsamica, lontani dall’afrore della bassura. Un “obiettivo” del sogno, potrebbero essere i nostri Monti Sibillini, il Vettore, e più a sud, il Gran Sasso d’Italia. Anzi per i Romani ed i Toscani, quel “crudo sasso infra Tevero ed Arno” (Dante 3, XI) sito in Provincia di Arezzo, cioè il Monte della Verna, alto metri 1283. Qui, l’aroma dei prati si mescola alla pace silente dei boschi; qui è dolce dav-vero sognare, lontani dal frastuono delle città e delle spiagge affollate, vicino al Creatore. Ma nel 1292 (sono sette secoli) anziché sognarlo, Giovanni Elisei di Fermo vi si recò realmente, per darsi alla vita contemplativa, alla penitenza, alla mortificazione.
La Verna aveva già una “connotazione” marchigiana in quanto donata a S. Francesco nel 1213 dal Conte Orlando Catani, a S. Leo, cittadina in Provincia di Pesaro, famosa per il “forte” e successivamente, per Cagliostro. San Francesco vi mandò due frati per una specie di ricognizione. Essi trovarono il luogo adattissimo alla vita religiosa e S. Francesco accettò il dono. Dal 1214 al 1244 vi si recò sei volte ed egli che aveva “folgorato” il conte Catani (il quale stupito dalle virtù del Santo gli aveva donato il monte), fu in quel monte “folgorato” da Cristo e ricevé le stimmate. Dante, in sordina, ricorda… “Di Cristo prese l’ultimo sigillo / Che le sue membra due anni portarno”…
Ma mezzo secolo dopo, nella Verna, si ha la “connotazione” fermana. Infatti, vi si reca “Frate Joanni da Fermo dicto de la Verna” e vi rimane per oltre un trentennio, diventando famoso e rendendo così famoso il luogo, che ormai tutti lo conoscono come Beato Giovanni della Verna. Fu amico di Jacopone da Todi, che lo volle vicino in punto di morte e solo da lui volle ricevere gli ultimi sacramenti. Era la notte di Natale del 1306! Giovanni che era distante, quasi miracolosamente, giunse in tempo per raccoglierne l’ultimo respiro. Di “Giovanni de Firmo dicto de la Verna” parlano spesso, i Fioretti di S. Francesco di cui è autore Fra Ugolino da Montegiorgio. Gli apparve Cristo mentre Giovanni pregava nel bosco. “.. di che frate Giovanni ancora con maggiore fervore e desiderio seguita Cristo e giunto ch’ei fu a lui, Cristo benedetto si rivolge verso di lui e riguarda col viso allegro e grazioso e aprendo le sue santissime braccia l’abbraccia dolcissimamente”.
Chi si reca alla Verna può vedere nella chiesa il corpo del Beato Giovanni. Egli morì il giorno 9 agosto 1322; il 24 giugno 1880 Leone XIII ne approvò il culto. Domenica sono ricorsi 670 anni esatti dalla sua scomparsa!
1292 –Due condottieri tutt’altro che gentili: Gentile da Mogliano del sec. XIII e
Gentile da Mogliano del sec. XIV
Un detto latino recita che “spesso i nomi sono appropriati a chi li porta” (Conveniunt rebus nomina saepe suis). Ma non sempre è così! La prova l’abbiamo in due condottieri: stesso, identico nome e provenienza, ma vissuti in secoli diversi. L’uno nel sec. XIII; l’altro nel XIV.
Intendiamo parlare dei due: Gentile da Mogliano, entrambi condottieri dell’esercito fermano: l’uno distruttore del Porto di Civitanova; l’altro di quello di Ascoli. Quindi la gentilezza va a farsi benedire. Quest’ultimo era nipote del precedente.
Nel 1292 Civitanova, e nel 1348 Ascoli, a dispetto di Fermo, costruirono attrezzature portuali, difese da fortezze. Fermo, lesa nei suoi diritti, ricorse alle armi. Si alleò, nella prima fase, con Ancona e Recanati ai quali il porto di Civitanova dava fastidio ed insieme spedirono contro Civitanova un esercito che assediò e distrusse il porto, saccheggiando per otto giorni la cittadina. Tale esercito era comandato da Gentile da Mogliano..
Dopo oltre mezzo secolo Ascoli, anche qui a dispetto di Fermo, costruì un porto (il Porto di Ascoli) munendolo di torri e di mura merlate. Una vera fortezza!
Fermo vide, si preparò, e nel mese di marzo 1348, inviò un esercito per espugnare la fortezza eretta dagli Ascolani. L’assedio durò quaranta giorni. Il 28 aprile 1348 espugnarono la fortezza impiccando ai merli i difensori superstiti, capitano compreso; prelevarono due pietre ben squadrate, le portarono a Fermo come trofeo di guerra e le mura¬rono ad altezza d’uomo nella lesena del campanile di Sant’Agostino. dove sono tuttora. Su di esse campeggia una scritta latina che in italiano suona: “Al tempo di Gentile da Mogliano, nel 1348, questa pietra del Porto di Ascoli resta fermata nella fabbrica di questo tempio, con un onore molto più grande di prima”.
Oggi della fortezza del Porto di Ascoli rimane una torre, detta Torre Guelfa, che campeggia a ridosso della Caserma Guelfa; la lasciarono così, i Fermani, a ricordo dell’impresa.
Molti storici hanno confuso i due Gentile da Mogliano attribuendo tutto al vincitore del Porto di Ascoli. Ma non è così! Il primo, il vincitore di Civitanova, nel 1306 risultava defunto; il secondo, il nipote, il vincitore del Porto di Ascoli, dopo aver combattuto contro i Malatesta e, dopo essersi scontrato col potente Cardinale Albomoz, moriva nel 1356. Civitanova e il Porto di Ascoli vennero distrutti in modo tutt’altro che gentile (à la guerre comme à la guerre) da due Gentili, ma qui, più che di gentilezza, si dovrebbe parlare di una componente gentilizia.
Anno 1294 – Le coordinate: Ancona e Fermo!
Sfogliando l’Agenda della Regione Marche, anno 1991, pagina 402, balza agli occhi il Palazzo dei Priori di Fermo, già residenza della Magistratura. Sotto, la didascalia recita: “Fermo Provincia di Ancona: Palazzo dei Priori”. Ogni commento al lettore!!! Un’affermazione del genere in un’Agenda della Regione, compilata dagli “addetti ai lavori”, è la prova della sublime conoscenza, pardon, ignoranza, storica e geografica dei redattori.
Non così avveniva nel sec. XV. Infatti, l’umanista Aurelio Simmaco De Jacobiti, giurista napoletano (1400c – 1500c), nel suo “Liber Miraculorum” edito a Napoli nel 1490, descrivendo la venuta della Santa Casa di Loreto nelle Marche (strofa 79), dà queste coordinate: Ancona e Fermo. Come è noto la Santa Casa venendo da Tersatto, si posò in una selva posseduta da una donna di nome Loreta, dalla quale il sacello prende il nome. La sua indicazione geografica, come detto, è “tra Ancona e Fermo”. Ed eccoci al passo relativo: “Finché in Piceno presso il mar se pusse / tra Anchona e Fermo et più lochi patenti / presso lo Adriano litto se condusse / ad un boschetto che era veramenti / ed una donna, Loreta fama fusse / unde el nome prese fra le genti / et loco demorò finché fuo viva / la detta donna et poi de vita priva /” (canto XV, strofa, come detto, 79).
La citazione del De Jacobiti, conferma ancora una volta l’importanza di Fermo, presa come indicazione geografica con Ancona. Ma tornando alla carente scienza geografica dei compilatori dell’Agenda della Regione Marche, dobbiamo dare un’“attenuante”. C’è di peggio. Un istituto specializzato in geografia con sede nella “brumai Novara”, nonostante i conclamati aggiornamenti (basterebbe solo quanto ha reclamizzato nella Stampa di Torino: “Il mondo cambia gli atlanti si aggiornano”. “Gli Atlanti D.A. i più aggiornati del mondo” nonostante, dicevamo, i conclamati aggiornamenti in tutte le edizioni del suo atlante storico (compresa la recentissima edizione) si ostina a dire che capoluogo del Dipartimento del Tronto voluto da Napoleone Bonaparte sarebbe stato Ascoli, mentre lo era Fermo. Tale dipartimento si estendeva come noto a buona parte della Provincia di Macerata, oltre al territorio della attuale Provincia di Ascoli.
Diciamo questo solo per amore di verità e non per campanile. Rileviamo infatti che il “sullodato” Istituto geografico, in altra pubblicazione dice (Tuttitalia: Cronologia storico-artistica) che “nel 1357 il Cardinale Egidio Albomoz che ha riordinato la Marca, promulga a Fermo le sue celebri Costituzioni”. Ringraziamo, ma non è Fermo bensì a Fano. Unicuique suum! E quanti altri errori vi sono… in molti libri!
Anno 1294 – La tradizione dei focaracci nelle pagine e nei versi di scrittori e poeti.
Tutti conoscono Loreto, il suo Santuario, la sua storia, ma non tutti sanno che in gran parte essa è scandita all’insegna del numero 10. Il 10 maggio 1291, dato che i Turchi avevano invaso la Palestina, gli Angeli portarono via la casetta della Madonna, posandola a Tersatto vicino a Fiume (ex Jugoslavia). Ma qui, la Vergine non venne onorata come si conveniva, per cui il 10 dicembre 1294, nuovamente la casetta fu trasportata dagli Angeli nella zona di Recanati e posta in una selva appartenente alla nobildonna recanatese di nome Loreta. Sul posto subito si riversò una folla di pellegrini e fedeli ma si verificarono furti e scippi ai loro danni, per cui il 10 aprile 1295 fu portata per mano dagli Angeli su una collina di cui erano proprietari due fratelli. Ma questi, ben presto litigarono per motivi di interesse e la casetta venne ritrasportata nel luogo dove si trova tuttora.
Poeti, scrittori, storici, parlarono e parlano del fausto evento. Fra essi Flavio Biondo da Forlì famoso umanista e storico (1392-1463) nella sua Italia Illustrata (1451) scriveva: “Fra Recanati ed il mare Adriatico… sta in un villaggio aperto e indifeso, la chiesuola della Vergine Maria, detta di Loreto, celeberrima in tutta Italia” e prosegue dicendo che alle pareti sono appesi doni votivi in “oro, argento, cera e vesti di lino e lana, di gran prezzo, si’ da riempire tutta la basilica”.
Venendo a tempi a noi più vicini, ricorderemo che Giorgio Umani di Ancona, celebre scrittore e scienziato morto nel 1965, nel descrivere le nostre Marche, elenca i geni di casa nostra: Raffaello, Rossini, Per- golesi, Bramante, Leopardi, etc. Poi ha come un sussulto e per documentare che le Marche sono la Regione più bella d’Italia, scrive:
“.. ma se persino Maria santissima / Dopo aver dato in segreto / uno sguardo al creato / E venuta di casa a Loreto’’. Sì in quella Loreto, città cara ed a cuore di ogni marchigiano specie se si trova all’estero.
Loreto: 10 dicembre festa della Madonna e focaracci! Più volte ho visto scritta questa parola tra virgolette come se di dubbia “cittadinanza”. A parte l’etimologia diretta (focus, foci) il vocabolo focaracci è usato da scrittori di valore come Pasolini (.. .erano saliti sul monte del Pe¬coraro a fare focaracci con dei mucchi di platani); Cardarelli (Le ragazze… vanno giù alla Marina ad accendere i focheracci in onore della Madonna); Sinisgalli (spazza il vento faville / di focaracci sulla neve).
Nelle deliberazioni del Consiglio comunale di Fermo relative al 1585 si legge che, in occasione dell’elezione a Papa di Sisto V, sulle nostre colline, di notte, si fecero molti focaracci.
Continuando negli stelloncini (non natalizi) ed aspettando Papa Giovanni Paolo II, sottolineamo oggi che le Marche in genere, ebbero a che fare con Papi, i secondi delle serie relative: Clemente II, Urbano II, Pio II, Giulio II ed ora Giovanni Paolo II. Fermo a sua volta ebbe a che fare con Urbano II, Pio II e Giulio IL
Non era facile né semplice nel 1046 essere Papa. Clemente II, ebbe molto da fare a Roma e nell’Italia meridionale. Passò per le Marche, ma dovette fermarsi a Pesaro a causa una violentissima febbre; qui morì nel monastero di S. Tommaso in Foglia.
Ma nonostante tutto, lo ricordiamo in questi giorni con i nostri auguri, perché proprio la Notte di Natale ricorrono 942 anni dalla sua elezione a Pontefice. Vescovo di Bamberga in Sassonia, anche da Papa mantenne tale vescovado. Incoronò imperatore Enrico III e lo accompagnò a Salerno, Benevento ed in Germania.
Clemente II fu da noi solo di passaggio; vedremo Urbano II che fu a Fermo nel 1195; quest’anno ricorrono novecento anni della sua elezione a Papa (1088-1099).
Clemente sebbene morto in terra marchigiana, fu riportato, secondo suo desiderio, a Bamberga ed ivi sepolto.
Nel 1237 gli venne eretto, in quella Cattedrale, un degno monumento sepolcrale. È l’unico Papa sepolto in Germania.
Anno 1055 – I Normanni e la Marchia Firmana
In questi giorni tra le mostre che ciclicamente vengono allestite a Roma, una spicca per importanza ed interesse: quella sui Normanni. Lo documentano le lunghe code di attesa, composte da amatori curiosi, ma anche da qualificati studiosi. I Normanni, questo popolo del nord, che nel secolo VIII per mare e per terra invase l’Europa spingendosi fino alla Groenlandia, si stanziò anche in Francia, occupando per ben tre volte Parigi e dando il nome a quella Regione che da loro prese il nome di Normandia. Da qui invasero l’lnghilterra, sconfiggendo gli abitanti nella famosa battaglia di Hasting (14 ottobre 1066). Si spinsero poi a sud occupando anche tra il 1043 e il 1098 l’Italia meridionale. Sono noti nella storia i nomi di Tancredi d’Altavilla, di Ruggero, di Roberto il Guiscardo, di Boemondo fondatore del principato di Antiochia. Ma nella storia dei Normanni vi è una “connotazione” fermana o meglio della Marca Fermana. Gli abitanti di questa, combatterono a fianco delle truppe papali, allorché Papa Leone IX dichiarò loro guerra per aver occupato terre su cui la Roma papale avanzava diritti. Tremendo fu lo scontro a Civitate in Puglia (18 giugno 1055) e l’esercito pontificio in cui militavano anconetani, fermani, spoletini, venne sconfitto. Tuttavia si verificò qui quanto affermato da Orazio (Epist. 11,1,56). “Grecia capta ferum victorem coepit et artes intulit agresti Latio” (La Grecia pur vinta vinse il rude vincitore e insegnò le arti all’agreste Lazio).
Infatti, il Papa, pur sconfitto, impose la sua autorità e la sua forza morale, talché i Normanni obbedirono ai suoi desiderata.
Guglielmo di Puglia narra che “il biondo Roberto dall’alta ed im-ponente statura, glorioso per tante battaglie, si inginocchiò davanti al Papa e gli baciò il piede. Gregorio (è Gregorio VII) lo fece alzare e lo invitò a sedere accanto a lui”.
Riecheggiando Orazio, uno storico coevo (come ci narra il Muratori) dice che il Papa, pur vinto dai Normanni, dettò legge ai vincitori e vinse con la religione, coloro che non era riuscito a sottomettere con le armi (A Normannis victus leges dedit victoribus et quos armis superare non potuit, religione fregit).
Latino facile di cui il lettore ci perdonerà, ma che abbiamo dovuto citare, perché più splendido apparisse il parallelo con Orazio.
Vi fu poi un’intesa tra Papa Gregorio VII (il famoso Ildebrando, alleato di Matilde di Canossa) e Roberto il Guiscardo. Gregorio gli conferisce l’investitura di parte dell’Italia meridionale “della terra che ti concessero i miei antecessori di santa memoria, cioè Nicola ed Alessandro, Amalfi e parte della Marca Firmana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà, col patto che tu in seguito debba comportarti verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro”. Si noti quella precisazione di “parte della Marca Fermana”. Ruggero, infatti, col suo esercito l’aveva occupata, tutta cioè dal Musone fino al sud di Vasto. Ma poi aveva restituito al Papa la parte a nord del Tronto, tenendosi per sé quella a sud di tale fiume. Così il nome “Marchia Firmana” , già apparso in precedenza sia nel “Chronicon Farfense”, sia in diplomi imperiali, brilla ora in un atto giuridico tra Papa e imperatore, dopo essere apparso anche nella bolla di scomunica che il Papa, in precedenza, aveva lanciato contro i Normanni “videlicet Marchiam Fir-manam universis abbatibus et episcopis in Marchia Firmana, etc.”.
1080 – Un tributo da versare il giorno di Pasqua
Nella storia d’Italia, spesso la data della Pasqua serviva per ricordare la consegna di doni, di regalie, di omaggi, di tributi e di censi… “Nel giorno della Pasqua di Resurrezione offra alla chiesa, tot. numero di polli, di uova, tanti agnelli” etc.
Prosaicità che adombra lo splendore di vita nuova!
E proprio nel giorno della Pasqua di Resurrezione, un condottiero normanno, Roberto il Guiscardo, sin dall’anno 1080 prometteva ad Ildebrando di Soana, o meglio a Papa Gregorio VII, famoso per la vicenda di Enrico IV a Canossa e per la Contessa Matilde, vindice del papato, di versargli un tributo o censo di dodici denari di moneta di Pavia per ogni paio di buoi.
Tale censo era il corrispettivo per avere il Guiscardo invaso Salerno, Amalfi e la Marca fermana. Infatti, in un primo tempo, Roberto il Guiscardo era contro il Papa; poi passò a difenderlo. Era pendente l’occupazione delle due città e della Marca Fermana a sud del Tronto. In un primo tempo l’aveva occupata quasi tutta, ma poi restituì a Gregorio VII la parte a nord del Tronto, tenendo per sé Amalfi, Salerno e la Marca Fermana sud.
Passato dalla parte del Papa Gregorio VII, Roberto riceve l’investitura di terre pontificie. “Io Gregorio papa, conferisco a Te, duca Roberto, l’investitura della terra che ti concessero i miei predecessori di santa memoria Nicolo’ ed Alessandro (sono i Papi Nicolo’ II (1061) e Alessandro II (1071) – ndr). In quanto all’altra terra che tieni ingiustamente, cioè Salerno, Amalfi e parte della Marca Fermana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà in modo che tu debba in seguito comportare verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro senza pericolo dell’anima tua e della mia….”.
A questa investitura fa eco “Roberto, per grazia di Dio e di S. Pietro Duca della Puglia, Calabria e Sicilia…” promettendo a Gregorio e successori “a nome proprio, degli eredi o successori l’annuo tributo di cui sopra da pagarsi in die Resurrectionis Domini”, nel giorno cioè della Resurrezione del Signore. Roberto fu fedele alla promessa e salvò anche Papa Gregorio dall’assedio posto a Castel Sant’Angelo dallo spegiuro Enrico IV che aveva assolto dalla scomunica. Da quella Pasqua ne sono trascorse ben 912!
Oggi gli abitanti di quella che fu la Marca Fermana dovrebbero elevare un pensiero memore e grato verso Gregorio, figura che giganteggia nella storia, quale vindice dei diritti della Chiesa e della libertà della Marca Fermana.
Anno 1087 – Gioiello poco valorizzato, l’antichissima chiesina di Madonna Manù
“Salve chiesetta del mio canto!”, così Carducci nell’ode “La Chiesa di Polenta”; così chi scrive, con minore autorità, ma con non minore affetto, saluta la chiesina di Madonna Manù. Etimologia ebraica: Manù = cos’è questo?
Affonda le sue origini all’alto Medioevo. Risalente il secolo X, come la chiesa di Polenta; è detta anche Madonna delle Noci, perché fino a poco tempo fa, dopo la Messa, vi si giocava a castelletti di noci.
Qualcuno dei “miei venticinque lettori” si domanderà subito dove sorge tale chiesina. Chi imbocca la strada che dall’Adriatica porta a Lapedona (Camping Mirage) a metà strada, in posizione incantevole preceduta da un duplice filare di cipressi, scorge S. Maria de Manù.
Fu donata da Raimburga, badessa del monastero Leveriano presso il fiume Aso, all’Abbazia di Montecassino. Piccola e sconosciuta la chiesetta; grande e celebre la sua storia. Con la chiesa e il castello di S. Biagio in Barbolano, siti in territorio di Altidona (sopra il Camping Mirage) è nominata nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino, fuse al tempo dell’abate Oderisi (1087-1105).
Recitano nell’originale latino… “Nel Fermano abbiamo il castello di Barbolano con la chiesa di S. Maria e S. Biagio con gli annessi pos-sedimenti”. Le lamine che ne parlano, sono la sesta e la settima del battente di destra, miracolosamente indenni nel tremendo bombardamento alleato che distruse il Cenobio e le altre lamine (1944).
Se altre chiese avessero tale privilegio e una documentazione così splendida e bronzea (Aere perennius) lo griderebbero ai quattro venti. Invece, per la nostra chiesetta, si è fatto ben poco.
Romanica, come le “sorelle maggiori” quali S. Maria a Pié di Chienti, S. Claudio a Corridonia, Ss. Stefano e Vincenzo a Monterubbiano, S. Quirico e Lapedona, etc. è un vero gioiello d’arte.
Abbiamo accennato a Lapedona, nel cui territorio sorge, ma la giurisdizione spirituale di essa, è del pievano di Altidona, a cui passarono i beni dell’Abbazia di Montecassino.
Ogni anno, da secoli, l’8 settembre vi si recano pievano e fedeli di Altidona; vi si celebra la Messa e poi si gioca a castelletti di noci.
Semplice e spoglia nelle linee purissime del romanico classico, è stata restaurata nel 1942 per iniziativa del pievano Petroselli di Altidona e riportata alla primigenia bellezza. Fiancheggiata da “ardui cipressi”, campeggia in un’area agreste e campestre di “profondissima quiete”. Fino al 1926 vi si ammirava uno stupendo polittico attribuito in un primo tempo a Pietro da Montepulciano; ora, dopo approfonditi studi, a Cristoforo Cortese (fine secolo XV). Tale polittico spicca ora nell’altare maggiore della parrocchiale di Altidona, alla cui giurisdizione spirituale, come detto, appartiene.
Se Carducci l’avesse celebrata, come la chiesa di Polenta, sarebbe ora su tutte le Guide ed i Baedeker del mondo. Oggi chi canta a lei, è un povero menestrello: “Vixere ante Agamennona multi, sed illacri mabiles… carent quia vate sacro” e cioè “Vissero molti famosi, prima di Agamennone, ma sono ignorati, perché manca un sacro vate”.
Così canta Orazio! “Salve chiesetta del mio canto!”.
Secolo XI – I doni portati dai castelli
Si ha notizia che sin dal secolo XI i signorotti dei castelli soggetti a Fermo dovevano portare per l’occasione della festività dell’Assunta, le loro offerte ed i loro doni.
Il signore (meglio: gastaldo) di Corridonia, allora Montolmo, doveva portare un maiale e cento meloni; quello di Monturano, un maiale; quello di Civitanova (Marche), sei polli e cento uova; Campofilone doveva tre soldi e mille denari; il Monastero di S. Donato al Tronto, pure tre soldi e mille denari. Tutte le località soggette a Fermo da Poggio S. Giuliano alle porte di Macerata, alle località della foce del Tronto, contribuivano con prosciutti, maiali, polli, soldi, cera, uova, ecc.
Fermo partecipava alla novena di preparazione, con vistose offerte in denaro ed in natura. Cospicue le offerte dei macellai, calzolai, osti, albergatori. Gli agricoltori davano tre bolognini a testa per il cero; i bottai ne offrivano due. Osti ed albergatori, oltre al cero, offrivano una taberna in miniatura ricolma di doni; ogni famiglia dei castelli soggetti doveva dare al proprio “scindico” 12 denari e ciascun “scindico” con tali somme, doveva approntare un cero maestoso che sfilasse con i rappresentanti del castello (unum cerum prò quolibet castro).
A loro volta il Podestà, il capitano e gli altri Officiali, offrivano un cero ciascuno come pure il Gonfaloniere di giustizia, i Priori e le altre autorità cittadine, le famiglie di Fermo, ad eccezione di quelle povere, dovevano offrire un cero alla Cattedrale insieme ai componenti della propria contrada.
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Anno 1149 – Il Palio, espressione della potenza fermana
Il documento più antico delle Cavalcate e del Palio risale al 1182, anno in cui Monterubbiano, Cuccure e Montotto (da non confondere con Montottone) si impegnavano a portare ogni anno a Fermo il Palio, in occasione della Festa dell’Assunta.
Da meticolose ricerche nell’Archivio di Stato di Fermo abbiamo rinvenuto un atto del 1449. In tale anno, Fermo lamenta che Monterubbiano non ha portato il palio, cosa che “ha sempre fatto da trecento anni”. Possiamo quindi dedurre che tale usanza risale al 1149, anticipando così di quasi tre lustri il documento del 1182.
La festa dell’Assunta a Fermo ha radici lontane. Risale al 998 un atto con il quale il Vescovo della sede fermana, Uberto, concede un ap-pezzamento di terra sulla strada per Cossignano, in cambio di 400 soldi annui da pagarsi appunto in occasione della festa dell’Assunta. La festa aveva il suo culmine nella Cavalcata, risalente, come detto, al 1182 o meglio al 1149. Essa partiva dalla chiesa di Santa Lucia, passava per Campoleggio, risaliva il colle e faceva sosta nella attuale Piazza del Popolo tra una folla plaudente, lo squillo delle chiarine, lo scampanìo festoso di tutte le campane della città, il rullo dei tamburi, lo sparo dei cannoni della rocca. Le vie e la piazza pavesate a festa, in una gloria di so¬le e di colori, conferivano alla sfilata una nota di policroma festività. Era la festa in onore dell’Assunta, la Patrona di Fermo, ma anche la rassegna della potenza e della grandezza dello Stato Fermano. Tutti quelli che partecipavano alla sfilata dovevano essere elegantemente vestiti, sfoggiare i più ricchi e sontuosi paludamenti come si conviene in una rassegna alla quale partecipavano le autorità fermane, quelle dei castelli dipendenti, ambasciatori, giudici, il Podestà, il Capitano di giustizia, il Gran Gonfaloniere, i Priori, i Regoli, i Cancellieri, i Notai.
Coll’andare del tempo, si apportarono alcune modifiche: alla offerta del tempo (cera, polli, maiali, uova), come già accennato si sostituì l’offerta in denaro; i cittadini di Porto S. Giorgio (allora Porto di Fermo), vestiti di broccato conducevano con sé le loro donne ornate di gioielli e vestite splendidamente; essi potevano introdurre in Cattedrale la tipica loro barca. I mugnai ed i macellai, facevano portare dai loro val¬letti una guantiera d’argento con una rilevante somma di monete d’oro. Chiudevano il corteo gli “scindici” e vicari dei castelli, in groppa a cavalli riccamente bardati. Alcuni giovani (dopo l’invenzione della armi da fuoco) sparavano colpi a salve durante lo snodarsi del corteo, scandendo così le varie fasi della cerimonia.
La cavalcata ebbe vita gloriosa fino ai primi del ’600 e, dopo un periodo di decadenza, venne riportata al primitivo splendore da Mons. Amedeo Conti. Tale Cavalcata abolita nel 1808 durante il Regno Napoleonico (Fermo in tale epoca era capoluogo del Dipartimento del Tronto da cui dipendevano le vice prefetture di Ascoli e Camerino), tornò in vita dopo il Congresso di Vienna, ma senza il primitivo splendore; condusse poi vita grama fino al 1860, anno in cui cessò.
Tornata a rivivere dopo otto secoli, nel 1982, con la sola edizione del Palio, sta riprendendo il primigenio splendore e l’antica fama.
Anno 1149 – Del Palio si parla già in un documento del XII secolo
Quanti sono i documenti che parlano del Palio?
Nel 1182, nei patti di pace tra Fermo e Monterubbiano, quest’ultimo promette di “portare ogni anno un bel palio ornato di tutto punto per la festa dell’Assunta”. È questo il documento ufficiale inequivocabile. Però, la notte prima della Festività dell’Assunta del 1449, i cittadini di Monterubbiano effettuarono una scorreria contro Petritoli, prendendo due prigionieri e rubando quindici buoi.
Fermo per appianare tali “differenze” (così venivano allora chiamate le liti fra paesi) manda un suo delegato impartendogli alcuni ordini. Fra essi c’era il seguente (ovviamente in latino) che recitava: “…in secondo luogo ti lamenterai degli abitanti di Monterubbiano perché quest’anno non ci hanno inviato il palio di seta, cosa che hanno fatto e fanno da trecento anni. Dagli stessi cittadini di Monterubbiano, abbiamo saputo che nella notte precedente la festa dell’Assunta (cioè 15 agosto n.d.r.) il podestà di Monterubbiano e 15 uomini, entrarono nel castello di Petritoli, rubarono quindici buoi… e prelevarono due uomini accusando uno di essi di una colpa già scontata. Comunque noi, per togliere ogni motivo di astio, eravamo contenti di ricevere il palio, vedere libe¬rati i prigionieri e restituiti i buoi, sperando nella mediazione di Ser Andrea, giudice dei malefici…” etc.
Come si vede, qui si parla di trecento anni… Se presi alla lettera, ti portano al 1149, che sarebbe la prima data ora conosciuta del palio. Se presi in maniera indeterminata cioè circa 300 anni sono un’ulteriore conferma del palio che viene nominato e nel patto di pace del 1182 e nella vicenda della scorreria di Monterubbiano contro Petritoli. Una cosa è certa: si parla del palio già nel secolo XII. Come si vede da un furto (nel nostro caso quello del bestiame) possono scaturire elementi storici di altro interesse ed illuminare anni di “silenzio e tenebre”.
Il Palio quest’anno segue il percorso indicato negli Statuti di Fermo, risalenti al trecento.
Con tutto il rispetto per il Palio di Siena (più famoso e più conosciuto ma non più antico) il nostro vanta più di otto secoli di vita.
Anno 1170 – La casula di S. Tommaso Becket, Fermo e la benedizione di Allah
Un mese fa il Prof. Donald King in occasione della presentazione del volume sul piviale di Nicolò IV avvenuta in Ascoli, quando seppe che eravamo di Fermo, ci disse nel suo impeccabile inglese: “You at Fermo have a reai treasury” (avete un autentico tesoro). Il professore alludeva alla casula di S. Tommaso Becker Arcivescovo di Canterbury martirizzato nel 1171 sotto Enrico IL
Tutti ricordano l’opera di T.S. Eliot “Assassinio nella Cattedrale”. Essa narra proprio l’uccisione di Tommaso Becket. Dopo tale misfatto, i seguaci di Tommaso vennero perseguitati e si dispersero. Tuttavia cercarono di mettere in salvo le suppellettili preziose della Cattedrale e lo fecero attraverso Dublino. Da Dublino la casula finì a Fermo (from there it was taken to thè town of Fermo in Italy) Becket aveva avuto a Bologna come compagno di Università Presbitero, che poi diverrà Vescovo di Fermo. La casula finì nelle sue mani ed egli la donò alla cattedrale, dove da secoli è conservata.
Opera di eccezionale bellezza, è composta da 40 medaglioni ricamati in seta ed oro, ognuno del diametro di cm. 20. Tema ricorrente, tra le raffigurazioni di pavoni d’oro, grifoni, leoni alati etc. sono le aquile di chiaro richiamo alle stoffe di Bagdad. Larga m. 5,41, lunga m. 1,60, fu ricamata ad Almeria nell’anno 1116 dell’era cristiana. Il Prof. David Rice dell’università di Londra, la studiò a lungo ed intensamente e non ha esitato di affermare che è il più antico ricamo arabo che si conosca nel mondo.
Inizialmente di forma rettangolare, costituiva una specie di mantello regale. Sebbene conservata da secoli in Cattedrale sul Girfalco, tuttavia essa costituì quasi una rivelazione allorché fu tolta dall’antica cassa che la conservava ed esposta al pubblico e ciò per suggerimento del Card. Merry del Val nel 1925. Stupenda “nelle bizzarre cadenze del giuoco lineare, nelle contrapposizioni ritmiche, nello sfavillìo delle colorazioni quasi illuminate da riflessi magici”, fu ammiratissima nell’esposizione di Roma del 1937; indi in quella di Parigi del 1951; fu esposta nel 1973 a Londra, per iniziativa del giornale Daily Mail nella Exihibition Ideal Home XIX century. L’attuale Regina d’Inghilterra rimase a lungo in estatica ammirazione davanti ad essa.
Il Prof. Rice, nel 1959 riuscì ad identificare la scritta nel rettangolo al centro. Essa, redatta in caratteri cufici, recita: “In nome di Allah, il misericordioso, il compassionevole. Il regno è di Allah”; segue poi quella che è la benedizione per Fermo o meglio per il possessore (o possessori) di tale casula: “Massima benedizione, perfetta salute e felicità al suo possessore. Nell’anno 510 in Maiyya”.
Saddam Hussein, che propugna la guerra santa, che ne direbbe di questa benedizione e massima benedizione del suo Allah verso noi “infedeli”?
Anno 1175 – Fermo distrutta dall’Arcivescovo Cristiano
Nei pressi di Marengo, resa poi celebre dalla vittoria di Napoleone Bonaparte sugli Austriaci (14 giugno 1800), è accampato l’esercito di Federico Barbarossa. Ha assediato per sei mesi e invano Alessandria, la fiera cittadina simbolo della Lega Lombarda. È il 12 aprile 1175: Sabato Santo. Giosuè Carducci nell’ode Sui campi di Marengo, così descrive la scena: “Stretto è il leon di Svevia entro latini acciari / Ditelo, o fuochi a i monti a i colli a i piani ai mari….”
Nell’esercito imperiale, c’è anche l’arcivescovo di Magonza, Cristiano, che sarà funesta “conoscenza” per Fermo. Ecco come lo descrive Carducci: “E dice il magontino Arcivescovo: Accanto / de la mazza ferrata io porto l’olio santo / C’è n’è per tutti. Oh almeno foste de l’al¬pe ai varchi / miei poveri muletti d’italo argento carchi /”. Carducci parla anche del Conte del Tirolo, che teme di essere ucciso dai lombardi: “… io cervo sorpreso dai villani / cadrò sgozzato in questi, grigi lombardi piani…”. Cristiano, Arcivescovo di Magonza! Non sappiamo quanti muletti carichi “d’italo argento” e d’altre suppellettili abbia spedito oltr’Alpe. Tristemente sappiamo che il 21 settembre dell’anno successivo, dalla zona di Campiglione, dove si era accampato, si dirige su Fermo e la mette a ferro e fuoco. …In millesimo 1176 infesto Beati Mathei de mense septembris civitas firmano fuit invasa occupata ac destructa ab Archiepiscopo Maguntie dicto alias Cancellano Christiano, cioè “nel 1176 nella festa di S. Matteo (21 settembre) la città di Fermo fu invasa, occupata e distrutta dall’Arcivescovo di Magonza, Cancelliere dell’Impero”. Ingenti furono i danni, specie alla cattedrale; ma, quel che è peggio nell’incendio perirono miseramente atti e documenti storici di altissimo valore.
L’anno dopo troviamo Cristiano ad Assisi. Da qui, in data 3 gennaio 1177 emana un privilegio con cui “restituisce e conferma la libertà e il godimento di tutti i diritti a Fermo”. Da Sirolo, nel febbraio successivo (forse la coscienza lo rimordeva!), con analogo privilegio, ma più incisivo e decisivo, minaccia severe pene contro chi volesse attentare alla libertà di Fermo e rinnova ai fermani, ampliandola, l’autonomia amministrativa e politica. Testimoni di questo secondo privilegio sono il Duca di Spoleto Corrado Svevus, Leo de Monumento, Simpliciano, Alberto Coni, Alberto Santo, Viberto, Ruggero ed altre personalità tedesche e latine.
L’assalto a Fermo ebbe ripercussioni ad alto livello. Se ne interessò anche Papa Alessandro III: da Venezia ordina di restituire a Fermo le suppellettili sacre asportate in occasione del saccheggio, pena la scomunica.
Anno 1176 – Barbarossa lo chiamò: Porto S. Giorgio
Porto S. Giorgio, cittadina a specchio “dell’Adriaco mare”, antico navale di Fermo, patria di Pio Panfili pittore ed architetto; di Tommaso Salvadori, conosciuto più all’estero che in Patria; di Francesco Trevisani etc. Sede ideale per passarvi la “luna di miele”, incantò poeti e scrittori. D’Annunzio nel 1893 vi trascorse appunto la luna di miele, seguito, dopo decenni, da Luigi Bartolini, l’autore fra l’altro di “Ladri di biciclette”, che vi celebrò il suo matrimonio nel 1928 con una pimpante friulana. Portus Sancti Georgii lo chiamò Federico Barbarossa.
quello della Lega Lombarda e della battaglia di Legnano. Ma anche in documenti di poco posteriori, figura con il toponimo Portus Sancti Georgii. Lo troviamo, in una delle tante pergamene del ricchissimo archivio storico Comunale di Fermo. Essa recita che “essendo la città di Fermo tornata di recente (nuper) all’obbedienza di Federico II, Roberto di Castiglione, Vicario imperiale del Sacro Romano Impero nelle Marche, decretava l’annullamento dei bandi e delle pene per malefici, offese et similia commesse dai cittadini fermani”. Ma nel documento c’è un passo molto importante e riguarda il porto della città. Come è noto, in quel periodo Fermo era un’importante potenza marinara. Un docente universitario l’aveva definita qualche anno fa la “quinta repubblica marinara d’Italia”. Intenso era il suo commercio e basta scorgere una qualsiasi carta nautica del tempo, od i Comuni portolani, per sincerarsene. Aveva soprattutto un intenso commercio con Venezia, verso cui esportava derrate alimentari, vino ed olio, di cui la città lagunare scarseggiava. Fermo poi con il suo porto aveva una funzione anti- anconetana e favoriva la Repubblica di Venezia. Roberto di Castiglione nel documento in data 7 aprile 1242, stabiliva in virtù dell’autorità imperiale di cui era investito che “tutte le navi ed i natanti da qualsiasi parte provenissero, potevano liberamente attraccare alla riva od al Porto di S. Giorgio e rimanervi all’ancora per il tempo che volessero”. La stessa cosa per i naviganti: essi potevano rimanere nella zona portuale od in città per il tempo di loro gradimento; potevano commerciare liberamente con i forestieri, Fermo mirava a conservare e potenziare il porto e proteggere coloro che vi sbarcavano. È questa una’altra prova dell’antica dizione: Porto S. Giorgio che troviamo indiscriminatamente anche come Porto di Fermo (Portus Firmi). Il toponimo quindi Portus Sancti Georgii (= Porto S. Giorgio) non venne dato da un Papa nel 1857 come scritto da qualche pseudo storico, ma il toponimo affonda le sue radici ai tempi di Barbarossa e del vicario imperiale di suo nipote Federico II, cioè Roberto di Castiglione vicario imperiale di tale imperatore e del Sacro Romano Impero nella Marca d’Ancona.
Anno 1176 – Fermo distrutta e poi… riabilitata
Correva l’anno 1176. Poco prima aveva avuto luogo la battaglia di Legnano con la sconfitta del Barbarossa. Le truppe della Lega Lombarda, il cui “nume” era Papa Alessandro III, avevano vinto. Era il 29 maggio 1176. Una parte però dell’esercito imperiale diretta verso sud e comandata dall’arcivescovo (scomunicato) Cristiano di Magonza, si era accampata al di là del fiume Tenna nei pressi della chiesa di Santa Maria di Giacomo, territorio di Monturano.
Cristiano di Magonza, mandò dei messi a Fermo, allora di parte guelfa. Egli, in qualità di comandante, di arcicancelliere dell’impero e delegato del Barbarossa, esigeva da Fermo tributi e contribuzioni. Era piuttosto inferocito. Tre anni prima aveva posto l’assedio ad Ancona e se ne era dovuto allontanare con le pive nel sacco. Recente era la sconfitta imperiale a Legnano. Le cose non andavano bene né per lui, né per il suo “capo”, il Barbarossa. I Fermani, alle richieste esose di Cristiano, risposero picche e (sembra) malmenarono i messi. Inviperito, Cristiano fa dare fiato alle trombe e dal Tenna con l’esercito, muove contro Fermo. La cinge d’assedio, la espugna e la mette a ferro e fuoco. Era il 21 settembre 1176, giorno della festa di S. Matteo. Anton di Nicolo’, sto¬rico fermano, con icasticità tacitiana annota in un latino facile a comprendersi: “In millesimo centesimo septuagesimo sexto, infesto beati Matthei de mense septembris, civitas firmarla fuit invasa, occupata et destructa ab archiepiscopo… Christiano”.
Brevi parole che rivelano una grande tragedia.
Di tale distruzione parlano vari storici, tra cui il Muratori e l’Ughelli (Italia sacra, vol. II) il quale sottolinea… “e quello che più indigna è che furono distrutti tutti gli atti e documenti della storia di Fermo”.
Fermo piombò nella desolazione più nera. L’anno dopo, Cristiano, forse pentito o perché Papa Alessandro aveva fatto pace col Barbarossa, emanò da Assisi un decreto in data 3 gennaio 1177. In esso “l’arci-cancelliere del Sacro Romano Impero, il Legato in Italia e Luogotenente Generale dell’esercito imperiale ammette di aver recato ingentissimi danni a Fermo” e “restituisce e conferma alla città la libertà, diritti, beni, possessi e privilegi”.
L’altro decreto è datato a Sirolo (cfr. Erzbischof Christian I von Mainz: Berlin, 1867) nel febbraio 1177. Con esso ribadisce quello emanato da Assisi, precisando che “nessuno, compreso lo stesso arcivescovo. osi edificare a Fermo e nel suo castello senza il permesso della città, pena cento libre di multa”. Ma la città non si ricostruisce con decreti e Fermo soffrì molto, prima di riacquistare parte del primitivo splendore, e preziosissimi atti e documenti sparirono per sempre.
Anno 1182 – Il drappo dei Castelli
La corsa del Palio riesumata nel 1982. dopo otto secoli esatti da quello che si reputava il primo documento scritto, ha radici più antiche. L’uso di porre come premio di gare un drappo di stoffa preziosa, chiamato palio, era tradizione in molte città nel Medio Evo. Oggi il Palio più famoso è quello di Siena, sebbene meno antico di quello di Fermo. Infatti esisteva nel 1282, ma la sua organizzazione vera e propria risale al 1656. La corsa del palio di Fermo si svolgeva nelle ore antimeridiane “de mane ante prandium”. Al vincitore si dava come premio un palio o drappo di seta prezioso, al secondo veniva dato un falco o astore. La gara si svolgeva, come nelle edizioni attuali, “in via maris”, cioè da Porta S. Francesco lungo la strada che portava al mare. Gli Statuti commi¬navano pene severe a chi creava intralci nello svolgimento e favoriva questo o quel cavallo. I Cavalli della Via maris entravano anche in Cattedrale “intrabant in ecclesiam S. Mariae in Castello”. Aveva poi luogo il gioco dell’anello. Il cavaliere, correndo, doveva infilare con una lancia un anello fisso o mobile.
Vi era pure la Quintana. Il cavaliere si esercitava contro un bersaglio mobile, costituito da una statua gigante con un braccio teso lateralmente. Se il cavaliere non colpiva velocemente o al segno giusto, il braccio della statua, che nel nostro caso si chiamava (e si chiama) Marguttu, colpiva l’incauto cavaliere. Vi era inoltre la Giostra del toro, per molti versi simile alla odierna Corrida spagnola. La corsa al palio, con l’andare dei secoli, decadde e venne sostituita con la corsa degli asini.
Oggi, dopo otto secoli, la corsa al Palio non si svolge più al mattino (ante prandium) ma nel pomeriggio. Quei patti di pace stipulati nel 1182 tra Fermo e Monterubbiano e la inequivocabile documentazione della dotazione da noi scoperta, che riporta ad anni anteriori la corsa del Palio, permeano di profonda consapevolezza la celebrazione. Brilla, nel fulgore del sole agostano, la formula… “e promettiamo di portare ogni anno a Fermo, in occasione della Festa di Santa Maria di Mezz’Agosto, unum pallium bellum et bonum (un palio splendido e ben lavorato)”; notiamo anche il rammarico di Fermo che, nel 1449, lamenta che Monterubbiano non ha portato in quell’anno il Palio, cosa sempre fatta da trecento anni; il grave disappunto dei cittadini di Fermo per la mancata partecipazione, indica quanto e come la città tenesse a tale palio.
Dei tre castelli (Monterubbiano, Cuccure e Montotto) restano il primo e Montotto sua frazione. Cuccure infatti è scomparso, lasciando il posto all’odierno giardino di S. Rocco a Monterubbiano. Monterubbiano, legata a Fermo da allora, oggi toma con i suoi “militi” sbandierato-ri della Sagra dei Piceni, o “Sciò la pica” a sfilare con Fermo; vi partecipano, inoltre, i componenti del Torneo Cavalleresco di Servigliano, gli sbandieratori di Castel Fiorentino e anche i protagonisti della nota “Contesa del Secchio”. In una festa di sole e colori, Fermo e il Fermano celebrano la corsa del Palio, e la lontana Offida. sempre legata a Fer¬mo (talché si oppose a far parte della Diocesi di Ascoli preferendo Fermo), conserva ancora nella chiesa Collegiata un palio, vinto dall’offidano Giuseppe Desideri nel 1840, grazie ad una sua velocissima cavalla. Offida tuttora va fiera di tale palio, o meglio della Madonna del Palio, che è venerata colà con grande devozione e più volte preservò la cittadina da pericoli gravi: ultima la salvezza del paese durante la guerra 1940/’45.
Oggi le antiche contrade di Fermo sono ridimensionate nella corsa al palio con l’aggiunta di Torre di Palme, Marina Palmense. Capodarco, Molini Girola, Campiglione.
Anno 1211 – Dal Potenza al Tronto lungo la costa la Marca Fermana
Siamo al 6 ottobre 1238. Da appena ventisette anni Fermo gode del privilegio dell’imperatore Ottone IV (1182-1218), privilegio rilasciato in data 1 dicembre 1211 da Sant’Angelo di Subterra (Puglia) in virtù del quale, oltre alla concessione della zecca, la città ottiene la giurisdizione sul litorale adriatico dal fiume Potenza al fiume Tronto (a flumine Potentiae usque in flumen Trunti). Nessuno senza il benestare di Fermo può fabbricare edifici e tanto meno fortezze, per la profondità di un chilometro.
Ovviamente ciò precludeva ad Ascoli uno sbocco al mare, sbocco necessario per commerci e traffici della città e dell’intera vallata del Tronto. Cosa del resto non nuova se consideriamo la situazione nell’ex-Jugoslavia, dove infuriano guerre fratricide e dove la sola remora ad un trattato di pace è la negata concessione di uno sbocco al mare per i mussulmani. Ma allora, Ascoli non reclamava il diritto al mare; ed infatti, nella seduta del consiglio comunale generale, radunato in solenne tornata, Magliapane di Reggio, giudice ed ambasciatore di Fermo, delegato dal podestà Ugo Roberti, chiede di poter parlare ai consiglieri ascolani. Egli, presa la parola, ammonisce loro e l’intero consiglio di non compiere azioni di qualsiasi genere che potessero essere di danno o pregiudizio alla città, nel tratto fra il Tronto ed il Potenza e ciò perché esso rientra nella giurisdizione fermana. Anzi, precisa Magliapane, il diritto e la giurisdizione di Fermo si estende anche a sud del Tronto (et etiam ultra Truntum, dice testualmente) perché appartenente alla Diocesi ed al comitato fermano. Ed a tal proposito, chiede al consiglio comunale di Ascoli di esporre il suo punto di vista, mediante una risposta pubblica. “Detto consiglio (traduciamo letteralmente) dopo lungo dibattito e matura deliberazione, fece rispondere per bocca di Giacomo Diotisalvi consigliere di Ascoli al rappresentante di Fermo, che non fu mai loro volontà, proposito od ordinamento di fare alcunché contro i diritti di Fermo”. Non vi furono atteggiamenti o prese di posizione da parte di Ascoli contro tale risposta. L’ambasciatore di Fermo allora ringraziò, ribadì che la giurisdizione di Fermo si estendeva anche a sud del Tronto e due notai, uno di nome Altidona e l’altro Gerolamo Pitio, redassero l’atto relativo “consacrando” il fatto alla storia. Sono passati anni e secoli, ma ancor oggi alcune località del Teramano, site a sud del Tronto come Martinsicuro, Colonnella, Sant’Egidio alla Vibrata appartengono alla Diocesi di S. Benedetto-Ripatransone-Montalto, territorio in gran parte della Diocesi di Fermo, alla quale fu sottratto nel 1571 e successivamente nel 1586, per l’erezione della Diocesi di Ripatransone e poi di Montalto ora riunite e costituenti un tutt’uno con sede vescovile a S. Benedetto del Tronto.
Anno 1221 – Il mal di denti e Pellegrino da Falerone
Medicina e religione si intrecciano in questa prima quindicina di febbraio, forse per esorcizzare gli attuali malanni. C’è la Candelora il 2 febbraio, suggestiva ricorrenza con le candele benedette contro le disgrazie; c’è la festa di S. Biagio, il 3 febbraio, protettore contro le malattie della gola e il 9, S. Apollonia, popolare santa egiziana, protettrice contro il mal di denti. A tale santa, infatti, martirizzata nel 249 d.C., furono spezzati ed estirpati i denti, in odio alla fede cattolica. Il dente? Guai al suo dolore! È un vocabolo significativo di cui è ricco il lessico di ogni lingua: “spuntare i denti”; “battere i denti per il freddo“: “digrignare i denti”; “a denti stretti”; “il dente del giudizio” (a molti dei nostri governanti, manca!).
Reminiscenze scolastiche ci riportano all’episodio del Conte Ugolino (“riprese il teschio misero coi denti...”; al lupo di Gubbio “dai denti aguzzi”; ma detto lupo richiama S. Francesco il quale, fra l’altro, ebbe a che fare con due marchigiani: Pellegrino da Falerone (poi beato) e Riczerio da Muccia.
Narrano i Fioretti (cap. 27) che Pellegrino e Riczerio, allora studenti all’Università di Bologna, dopo una predica di S. Francesco “toccati nel cuore da divina ispirazione, vennero a Santo Francesco dicendo che al tutto volevano abbandonare il mondo ed essere dei suoi frati…”.
S. Francesco li ricevette dicendo loro: “Tu, Pellegrino, tieni nell’ordine l’umiltà e Tu, Riczerio, servi ai frati”… poi, dopo alcune righe, i Fioretti aggiungono: “E finalmente il detto frate Pellegino, pieno di virtù, passò di questa vita a vita beata, con molti miracoli innanzi alla morte e dopo”.
Fra i molti miracoli sono rimaste famose le guarigioni dal mal di denti, verificatesi al contatto con un dente del beato Pellegrino, immesso nella cavità orale, legato ad un’assicella d’argento, in modo da poter toccare i denti cariati o malati.
Folle di fedeli pellegrinavano alla sua tomba per ottenere guarigioni; molti erano gli ex-voto, per lo più in argento, che adornavano le pareti della cappella dove riposa. Numerosi volumi parlano di tali taumaturgiche guarigioni. Sono: Pietro da Tossignano nel 1586; Orazio Civalli 1594; la Historia di Valerio Cancellotti 1630.
H. Keber, nell’opera I Patronati dei Santi, elenca ben 21 protettori contro il mal di denti. Fra questi, oltre a S. Apollonia, ora relegata dalla riforma liturgica “ai soli calendari particolari” eccelle, e non in serie B, il nostro Pellegrino da Falerone che, sebbene morto nel 1233, è vivo nel cuore e nel culto di quanti soffrono del mal di denti. Non so però se, su quanto sopra, sono d’accordo gli odierni dentisti, i quali potrebbero vedere (o intravedere) nel beato Pellegrino un temibile concorrente.
Anno 1229 – Quanti privilegi per Montegiorgio
Mentre la mostra su Federico II e le Marche si è spostata verso Ascoli, per poi approdare a Roma in modo che i Marchigiani colà residenti possano conoscere meglio il grande imperatore svevo, noi continuiamo a parlare di lui. Federico II, date le molteplici mansioni della sua carica, non poteva disporre di tempo ed impegni per tutti i problemi del suo vasto impero, perciò spesso delegava i suoi fidi rappresentanti, approvando in pieno il loro operato e sanzionando, con la sua imperiale autorità, le loro decisioni. In tale contesto, c’è un privilegio, in virtù del quale, esonerava l’allora castello di Monte Santa Maria in Georgio (attuale Montegiorgio) da taluni obblighi ed adempimenti verso la città di Fermo. Ciò in considerazione della fedeltà a Federico, a suo padre ed a suo nonno, cioè al Barbarossa, dei cittadini di Montegiorgio!
Ma veniamo alla lettura del documento. “Rinaldo per grazia di Dio e dell’imperatore, duca di Spoleto, legato imperiale per la Marca di Ancona su preciso mandato di Federico II concede agli abitanti di Montegiorgio l’esenzione d’ora in avanti di tutti i pesi, servi ed obblighi e doveri verso Fermo”.
Tale concessione ha validità perpetua. Rinaldo, non solo concede l’esenzione di quanto sopra, ma decide che gli abitanti del castello di Collidilo (ora scomparso), di Magliano di Tenna con territorio e pertinenza (Ripa Cerreto, Atleta, Rapagnano, Monteverde e Monsampietro Morico) siano considerati abitanti di Montegiorgio.
Rinaldo riduce anche i canoni di affitto e dispone che essi non superino le 30 libbre annuali. Stabilisce inoltre che tutti i cittadini di Montegiorgio possano avere il libero e pacifico possesso dei loro beni, in qualsiasi parte si trovino e che le autorità del castello montegiorgese abbiano la facoltà di richiamare all’osservanza della legge i facinorosi. Ri¬naldo dà per scontato (ed effettivamente lo è) che quanto da lui concesso, automaticamente viene approvato dall’imperatore Federico II. Ma nel privilegio c’è un dato molto importante: tra le esenzioni dei doveri verso la città di Fermo c’è anche quello del servizio militare nell’esercito fermano, della partecipazione al “Parlamento” e quella di portare il Palio il giorno dell’Assunta.
Questa concessione è per noi molto importante, perché documenta ancora una volta che nel 1229 quando non era trascorso mezzo secolo dall’Istituzione, l’offerta del Palio da parte di Castelli dello Stato Fermano nel giorno dell’Assunta era già diffusa e consolidata. E il nostro Palio più antico, anche se meno conosciuto di quello di Siena, di Ferrara ed altri, trova qui la documentazione incontrovertibile della su» esistenza e della sua vasta diffusione.
Anno 1240 – La Vallata del Tronto e Federico II
Mentre in tutta Italia fervono i preparativi per celebrare l’ottavo centenario della nascita di Federico II che vide la luce nelle Marche a Jesi il 26 dicembre 1194, sarà bene ricordare una vicenda che riguarda proprio Federico II, il quale fu nella Vallata del Tronto.
Ce lo narra egli stesso, in una lettera ai cittadini di Cremona, do-cumento che gli storici pongono cronologicamente dopo quello emanato in castris cioè negli accampamenti davanti alla città di Fermo ante civitatem firmanam a favore di Napoleone Monaldeschi. Federico col suo esercito dopo aver devastato e saccheggiato Ascoli (depopulatio precisa il documento) proseguì per Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto.
Qui si fermò per alcuni giorni, dopo di che, si recò con Curia ed esercito a Fermo. Da qui rilascia un privilegio di conferma a favore di Napoleone Monaldeschi e da qui sembra aver scritto la lettera ai suoi sudditi di Cremona lettera che riguarda la Vallata del Tronto. Tale lettera, il cui originale si conserva in Francia, recita testualmente: “È tanto l’amore e la preoccupazione che ci induce a pacificare l’Italia ed è tanta la sollecitudine che ci accompagna e previene le nostre preoccupazioni verso i nostri fedeli per levarli dalla persecuzione dei nemici, che nessun piacere del nostro Regno potrà frenare. Dopo aver disbrigato i grandi impegni nel Regno, con costanza ed ansietà… affrettandoci all’uscita del Regno e lasciate da parte le inattività contrarie alla nostra intraprendenza, siamo incappati nei calori estivi e nella polvere degli accampamenti, non risparmiando pericoli alla nostra persona ed ai fedeli, affinché tra i confini paludosi, circondati da una cerchia di monti, si potessero compiere stragi dei nemici e devastazioni”.
Accadde dunque che tra le occupazioni ed il disbrigo di atti dello Stato, da cui non ci potemmo esimere, la nostra persona, a causa della debolezza fisica e della aria malsana, incorse in una disfunzione umorale (discrasia). Incurvisse discrasiam recita l’originale che poi prosegue nella nostra traduzione: “Noi con la forza d’animo l’abbiamo completamente superata, talché restando negli accampamenti con dignità imperiale, passato il giorno critico non v’era altro impedimento che impedisse il glorioso proseguimento e la felice vittoria imperiale”. E questa affermazione, a nostro avviso, confermerebbe la cronologia degli storici, dopo la sosta a Fermo. Infatti è documentato che, partito da Fermo, Federico si diresse in Romagna e, nel tragitto, compì devastazioni ed efferatezze da far rabbrividire. Ma torniamo al testo della lettera che prosegue: “pertanto con l’aiuto del Signore, il quale da’ la salute ai Re ed ai principi, rimessici in salute come prima, anzi resi più forti, noncuranti dei calori estivi, continuiamo il viaggio dopo aver chiamato a raccolta le nostre forze e le nostre energie, procedendo verso la Romagna pronti a calpestare con la nostra potenza i ribelli, dovunque ci venissero incontro. È affinché singolarmente e collettivamente voi tutti possiate essere maggiormente confortati, tanto per la recuperata salute, quanto per i successi conseguiti, vogliamo comunicarvi ciò’, per allontanare da voi ogni dubbio e perché con l’aiuto del Re dei Re che si comporta con misericordia verso il suo principe, seguirà la desiderata salvezza e la vittoria sui nemici”.
L’atto, come si evince dalla lettura, riguarda la Vallata del Tronto, indicata come terra di confine del regno di Napoli ed i domini papali, ma l’emanazione di esso è posteriore all’assedio di Ascoli ed alla sosta di Federico a Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto. Ci induce a pensarlo un fatto curioso.
L’abate di Montecassino, che si trovava come testimone nell’atto emanato da Federico a Monte Cretaccio, col quale prese nella protezione imperiale, la città di Alessandria, non è più presente quale testimonio nella lettera ai Cremonesi. Facilmente era affetto della stessa malattia di Federico. “Stefano, abate di Monte Cassino – ci narra Riccardo da S. Germano – con il permesso di Federico, dato che era malato, si portò alla sua chiesa di S. Liberatore e vi rimase fino a che guarì”.
Oltre all’abate di Monte Cassino è chiara la frase di Federico: egli afferma che dopo aver ricuperato le forze, muove verso la Romagna (in Romandiolam procedentes). Ciò premesso, la notizia della discrasia, cioè della alterazione dell’equilibrio tra i componenti del sangue ed i liquidi organici, getta una nuova luce sulla storiografia di Federico II non solo, ma anche sulla località di compilazione dell’atto che, a nostro avviso, e per le chiare parole di Federico: “ci dirigiamo verso la Romagna” e per l’assenza per malattia dell’abate di Montecassino, fu quasi sicuramente scritto ante civitatem firmanam, cioè davanti alla città di Fermo.
Anno 1240 – II privilegio concesso da Federico II imperatore
Siamo agli sgoccioli delle ferie, ma è ancora tempo di vacanze e parlare di scuola e di personaggi “conosciuti” ed “incontrati” fra i banchi potrebbe sembrare anacronistico. Tuttavia, non possiamo passare sotto silenzio Federico II imperatore, (nipote del Barbarossa) che 750 anni or sono, di questi giorni, era accampato a Fermo, e non proprio in ferie!
Proveniente dall’assedio di Ascoli, dopo una lunga sosta a Monte Cretaccio, attuale territorio di S. Benedetto del Tronto (dove aveva accolto sotto la sua protezione imperiale la città di Alessandria che aveva dato tanto filo da torcere a suo nonno, Federico Barbarossa), si era accampato a Fermo, in attesa di proseguimento verso la Romagna, pieno di “furor bellico”. Era accompagnato dal suo esercito e dalla Curia imperiale, nella quale spiccava Pier delle Vigne, non ancora “eternato” da Dante nella Commedia. Vi erano anche Taddeo da Suessa, giudice della Gran Curia, l’Arcivescovo di Palermo, Bernardo, il figlio del Re di Castiglia ecc.
Era la fine di agosto 1240 e Federico II, a Fermo, emanò una bolla a favore di Napoleone Monaldeschi, cittadino fermano, confermandogli privilegio concessogli in precedenza; ora glielo conferma in veste di im-peratore (imperiali munificientia duximus confirmanda).
Se pensiamo che la conferma al Monaldeschi venne fatta in un periodo di preparazione bellica da parte di Federico e del suo esercito, la cosa appare di alta importanza e di alta considerazione per Fermo ed il suo cittadino. L’imperatore tiene molto a questa conferma e nel privilegio ordina:… “nessuno, sia esso delegato, duca, conte, marchese, podestà, rettore, console, nessuna altra autorità, alta o piccola, osi contraddire a tale nostro decreto”. E come se ciò non bastasse, incalza: “nessuna personalità civile o religiosa osi opporsi a quanto abbiamo stabilito” chi lo facesse “sarà multato con 60 libbre di oro e sappia di essere incorso nell’indignazione imperiale”. Il sigillo imperiale (maiestatis nostri sigillo) chiude la bolla, dando maggiore autorevolezza al documento.
Tutto ciò avveniva nel 1240, fine agosto (i diplomi imperiali non mettono quasi mai il giorno) “regnando Federico imperatore per grazia di Dio Re di Gerusalemme e di Sicilia, quindicesimo del regno di Gerusalemme, alla presenza di molti testimoni, “tra cui il nominato Pier delle Vigne” negli accampamenti davanti alla città di Fermo (in castris ante civitatem firmanam). Felicemente, così sia”.
Federico, dopo la conferma, si trattenne ancora un po’ di tempo a Fermo e quindi si diresse alla volta della Romagna. Nel tragitto, “commise tali e tante devastazioni ed efferatezze, che al paragone impallidivano le atrocità perpetrate dai barbari nella loro calata in Italia”. Così Flavio Biondo (1392-1463) insigne umanista e storico di Forlì, nella sua poderosa Historia ab inclinatione Romanorum (Storia della caduta dell’impero romano). Come si vede, la sosta a Fermo durata fino ai primi di settembre di quel lontano 1240 costituì una pausa di pace, prima che il “foco ed il furor d’Odino” s’avventassero, distruttori, su “Romagna solatìa”.
Anno 1240 – Federico II e Sant’Elpidio – In due diplomi l’imperatore
concesse privilegi alla città
Guardandoli sullo scenario della storia medievale italiana ed europea, molti imperatori ci sembrano quasi “divinizzati”, lontani dalla nostra vita, dalle nostre località, tanto più che molti di loro sono stati già immortalati.
Ma Federico II (è di lui che vogliamo parlare) ebbe a che fare con le Marche meridionali, cosa questa non posta in adeguato rilievo dagli storiografi passati ed attuali.
Sappiamo che egli ebbe a che vedersela con Papi, tra cui Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, buscandosi diverse scomuniche, arrivando a far assalire in mare i Cardinali che si recavano al Concilio a Roma-
Ci è noto anche che ebbe a che fare con i Comuni della seconda Lega Lombarda; risulta che si sposò due volte e che le due mogli sono entrambe sepolte nella Cattedrale di Andria.
Lo conosciamo come fondatore della Scuola Siciliana, autore di un manuale sulla caccia degli uccelli, fondatore della città de L’Aquila, dell’Università di Napoli, padre di Manfredi ed “accecatore” di Pier delle Vigne.
Ma pochi, come detto, mettono in risalto i suoi legami con il Piceno (peraltro Federico II era nato nelle Marche, a Jesi, la notte tra Natale e santo Stefano del 1194).
L’imperatore ebbe a che fare con Ascoli che assediò nel luglio del 1240 (non 1242 come tanti storici affermano); fu in territorio di S. Benedetto del Tronto, cioè a Monte Cretaccio, dove ricevette sotto la sua protezione la città piemontese di Alessandria, fiera nemica dei suoi avi, e fu anche a Fermo fra l’agosto e il settembre 1240.
Ma Federico II, lo stupor mundi si interessò anche di Sant’Elpidio a Mare. Prese infatti sotto l’imperiale protezione l’abazia di Santa Croce al Chienti (suscipit clementer in suam imperialem protectionem monasterium S. Crucis in Clente) e l’abate di quel tempo di nome Corrado (et fratrem Corradum abbatem).
A tale abazia donò molti beni tra cui la silva plana, ampi terreni all’epoca incolti, al di qua e al di là del Chienti, concedendo ai frati di utilizzare a loro piacimento l’acqua di tale fiume. Questo avvenne il 12 dicembre del 1219, e la bolla fu emessa da Capua, luogo natale del fido segretario Pier delle Vigne.
Federico II emanò un altro documento sempre relativo a Sant’Elpi- dio a Mare, stavolta da Venosa, nell’ottobre del 1250. Ne diamo la nostra traduzione dal latino: “Federico per grazia di Dio Imperatore sempre augusto, Re della Sicilia e di Gerusalemme. Attraverso questo privilegio rendiamo noto a tutti i nostri fedeli sudditi, presenti e futuri che il Comune del nostro fedele castello di Sant’Elpidio aveva rivolto istanza alla Nostra Maestà, per la conferma di alcuni patti e convenzioni che, a suo tempo, gli aveva fatto il nostro Vicario Generale nella Marca di Ancona Gualtiero di Palearia conte di Manoppello. Tali patti, scritti dal predetto conte Gualtiero portano la sua firma ed il suo sigillo. Noi, in considerazione della grande fedeltà e sincera devozione che nutre verso di Noi il Comune di Sant’Elpidio, e poiché sia detto Comune che i singoli suoi cittadini hanno finora reso graditi servizi sia a Noi sia all’Impero, ed altrettanto potranno fare in futuro, li confermiamo graziosamente (de nostra gratia confirmamus)”.
Dopo alcune forme giuridiche proprie dei privilegi imperiali, continua: “Noi conserveremo e difenderemo il castello di Sant’Elpidio con i suoi beni, i possessi e le tenute che ha, nelle persone e nelle cose sia dentro che fuori le mura, come accadde ai tempi dei nostri predecessori. Noi difenderemo sia i laici che i chierici di tale castello e distretto, e ciò finché rimarranno a noi fedeli”.
Federico effettua altre concessioni tutte relative al bene, alla prosperità ed alla crescita del castello di Sant’Elpidio. Infine chiude minacciando pene severe a chi osasse opporsi a tali concessioni: “di nostra autorità disponiamo che nessuno osi impedire quanto da noi deciso. Chi lo facesse, sappia che incorrerà nel nostro sdegno (quod qui presumpserit indignationem nostram se noverit incursurum)”.
Per dare maggior prestigio ed autorevolezza al privilegio, lo fa redigere dal notaio Rodolfo di Podio Bonici e munire del sigillo imperiale: Ad huius autem rei memoriam et stabilem firmitatem preaesens privilegium per Rodulphum de Padioboniei notarium et fidelem nostrum scribi et maiestatis nostre sigillo iussimus communiri.
Federico II (l’imperatore che Dante colloca nel cerchio degli eretici), morirà poco tempo dopo, il 13 dicembre 1250, colto da febbri intestinali. Riposa nella Cattedrale di Palermo.
Anno 1242 – Epilogo di una Lega più di 7 secoli fa
Aria di elezioni, clima di battaglie elettorali, di schieramenti, di leghe. Quest’ultime, spuntano un po’ dappertutto dopo l’esempio della Lega Lombarda, che si ispira alle Leghe dei Comuni Lombardi, che diedero filo da torcere a Federico Barbarossa; lega che aveva per capo carismatico Papa Alessandro III. I Comuni lombardi fondarono allora quella città che doveva resistere a Barbarossa e per ben sei mesi, città che in onore del Papa venne chiamata Alessandria.
Federico Barbarossa per derisione la chiamava “Alessandria dai tetti di paglia”, ma essa resistette al suo assedio del 1175 e il Barbarossa ritornò a casa con le pive nel sacco. Ma oggi non parliamo tanto di Federico I, quanto del suo nipote Federico II, il quale ebbe a che fare con le Marche, prima perché vi era nato (Jesi 26 dicembre 1194), poi perché vi aveva combattuto assediando Ascoli nel luglio 1240 (non nel 1242 come asserisce qualche storico); quindi, prendendo Fermo ed altre città.
Ma c’è un fatto importante che gli scrittori di storia nazionale non pongono nel dovuto risalto. Proprio nel territorio dell’antico Stato di Fermo e precisamente a Monte Cretaccio, Federico II dopo decenni, riceve la sottomissione della fiera città di Alessandria, la roccaforte della lega che ora, a seguito di varie vicende storiche (fra l’altro non voleva sottostare al Monferrato ed era in preda alle lotte tra Guelfi e Ghibellini) chiedeva protezione al nipote del feroce Barbarossa.
Federico II, lo stupor mundi, attorniato dalla sua corte imperiale dopo l’assedio di Ascoli, aveva posto gli accampamenti a Monte Cretaccio. Siamo nel mese di luglio 1240. Sono con lui Pier Delle Vigne, Taddeo da Sessa, l’arcivescovo di Palermo, i Vescovi di Torino e quelli della Marsica, l’abate di Montecassino e molti altri.
“Noi, Federico per grazia di Dio, imperatore dei Romani, Re di Sicilia e di Gerusalemme – così recita l’atto – rendiamo noto a tutto l’Impero, che la città di Alessandria ha abbandonato la società degli infedeli (i fautori del Papa) ed è passata alla parte imperiale, chiedendo la nostra protezione. Noi guardiamo con occhio benevolo a tal decisione… e la riceviamo nella nostra grazia e nel nostro onore, perdonando le offese passate” … “A conferma di questa protezione e di questo atto – prosegue il documento – ordiniamo di redigere questo privilegio, munendolo della bolla d’oro… Dato negli accampamenti di Monte Cretaccio, dopo la devastazione di Ascoli, luglio 1240”.
Tale documento (che la città di Alessandria conosceva da una copia, redatta in francese, del 1839 ma ignorava il testo originale) è stato da noi rinvenuto in Francia, precisamente a Marsiglia, e fa conoscere come in territorio dell’antico Stato di Fermo ebbe luogo l’emanazione di un atto di grande valore storico, che vedeva l’indomita Alessandria passare all’obbedienza imperiale dopo 65 anni dal fiero assedio postole da Barbarossa.
Anno 1242 – Il panno di Federico:un documento rivela lo stretto legame con i Fermani
È l’anno di Federico IL è la ricorrenza otto volte secolare della sua nascita. Jesi sta vivendo momenti di notorietà e, con essa le Marche, sede operativa di impresa, fatti ed eventi dello stupor mundi.
Ma Jesi può andare orgogliosa del fatto che vi è nato Federico; non può documentare altro. Chi può dire e dare tessere di storia per il mosaico ancora incompiuto della vita di Federico, senza jattanze campanilistiche, è Fermo che ebbe relazioni non trascurabili con Federico, sia nel bene sia nel male. In ogni caso questa città è uno dei “settori” principali della vita e delle opere di Federico.
Ciò nonostante, si vuole ad ogni costo misconoscere l’importanza, poi posponendola ad altre località scelte non quali referenti culturali, ma solo perché centri amministrativi e burocratici.
Per una nostra ricerca, stiamo consultando anche archivi esteri a relative pubblicazioni. Nell’anno 1242 e dintorni, Federico scrive a Fermo (dove era stato due anni prima insieme a Pier della Vigne e Curia), ringraziandola per alcuni doni che i Fermani gli avevano inviato con apposita delegazione (nuncii legationis dice il testo!)-
Egli vi aveva graditi immensamente, così afferma la lettera di ringraziamento, che arieggia passi latini nel Vangelo dove si narra dei re Magi che porto nei doni al Bambino Gesù (apertis thesaurus suis obtulerunt Ei aurum, thus et myrram…).
Federico sottolinea che le ha graditi perché non richiesti, ma dati spontaneamente quale pegno di sincero affetto da parte dei suddetti Fermani . “I doni placano gli uomini e gli dei” affermava l’antica saggezza ed i Fermani a quanto pare, ne erano consapevoli.
Ma Federico si limita semplice grazie. Egli vuole ringraziare concretamente e li invia a mezzo degli stessi membri della delegazione che gli avevano portato i doni, un panno con componenti d’oro “per ornare l’altare maggiore della vostra chiesa madre”. Così recita il documento. Federico faccio volentieri e con gioia (hylariter) invitando i Fermani a proseguire nella fedeltà e solerzia verso l’Impero, in modo (prosegue la lettera) “che possiate sempre bene meritare della nostra maestà imperiale”. Il documento è di difficile lettura e vi sono parti illeggibili come al passo che Federico manda il panno ad honorem beati… Ciò potrebbe indurre a pensare beati (ssimae Virginis).
Sarebbe molto suggestivo pensare ad uno dei tanti palii dell’Assunta. Il documento lascia adito anche a ciò, ma deve essere approfondito.
Anno 1245 – La Marca Fermana nominata nel Concilio di Lione: 1245
Censura, interdetto, anatema, scomunica… vocaboli terribili che denotano pene ecclesiastiche verso chi si è macchiato di colpe. Già al tempo dei Greci si aveva qualcosa di simile, quando si praticava l’ostracismo, ossia l’esilio di dieci anni agli Ateniesi che, per la loro popolarità, destavano sospetti politici. Nel periodo romano, quando le supreme cariche politiche e religiose erano incentrate nell’imperatore che era anche pontefice massimo, si puniva il cittadino colpevole con l’interdizione dell’acqua (lustrale) e del fuoco (sacro del focolare): interdicere aqua et igni, ossia lo si bandiva dalla società civile e religiosa.
Alla caduta dell’Impero Romano e con raffermarsi del Cristianesimo, i vari Concili codificarono vari tipi di pene da irrogare, a seconda della gravità dei reati e così si ebbe l’ammonizione, la censura, che è biasimo e severa critica dell’operato di qualcuno, la sospensione (ricordiamo quella a divinis), l’interdetto con cui in un dato luogo si privano i fedeli dell’uso di alcuni Sacramenti o del godimento di determinati diritti spirituali. Gli poi la scomunica cioè l’esclusione dalla comunità della Chiesa cattolica di un colpevole, cui è anche vietato di accostarsi ai Sacramenti. È l’estromissione dalla comunità dei fedeli, cosa che non si verifica con l’interdetto. Vi è anche l’anatema, cioè l’esclusione dalla comunità dei fedeli, rivolta, soprattutto ad eretici, o comunità sistematiche.
La storia ci parla di scomuniche famose come quella scagliata contro Enrico IV che portò poi a Canossa: quella (anzi quelle, perché erano due) contro Federico Barbarossa da parte del Papa Alessandro III nel 1161 e 1164; quelle inflitte a Ottone IV nel 1210 e 1211; quella fulminata dal Leone X contro Lutero (Exurge Domine); quella di Pio VII contro Napoleone, che dall’allora in poi cominciò a collezionare sfortune fino a Waterloo (18 giugno 1815).
Ma a quanto ci consta nessuno collezionò ben tre scomuniche come Federico II, lo stupor mundi di cui non si è spenta l’eco delle celebrazioni dell’ottavo centenario della nascita e della Mostra (non priva di inesattezze e lacune), che ha toccato varie città delle Marche. Federico II venne scomunicato una prima volta il 21 marzo 1226, la seconda volta il 24 settembre 1239; entrambe le scomuniche gli furono lanciate da Gregorio IX dal I Laterano. La terza gli venne fulminata da Innocenzo IV, Concilio di Lione, il 27 luglio 1245. Me la sono riletta nel suo curiale, ma eloquente latino: è una inquisitoria puntigliosa ed analitica. Federico è accusato di imprigionare Vescovi e prelati: di perseguitare la Chiesa cattolica in Sicilia; di avere imposto tasse gravose missive; rubato suppellettili sacre. E spergiuro, eretico; ha ucciso il duca di Baviera; stipulato alleanze con i saraceni, non paga le tasse dovute alla curia romana. Ma all’inizio della bolla di scomunica c’è una motivazione: Federico è scomunicato anzitutto per aver invaso il dominio della Santa sede cioè, recita l’atto, la marca affermava il ducato di Benevento (videlicet Marchiam et Ducatum Beneventanum), distrutto oggi tra le porte si tiene impunemente occupati e la Marca Fermana e detto Ducato di Benevento. E così anche al Concilio di Lione alla presenza di Papa Innocenzo IV dei rappresentanti di Federico II, tra cui Taddeo la Sessa e di oltre 150 prelati si parlò della Marca Fermana uno dei motivi di scomunica, la terza contro Federico II, la cui potenza da allora cominciò a declinare fino alla morte avvenuta nel 1250.
79 – d.C.- Plinio il Giovane a Sabino: “Sarò avvocato dei Fermani”
251 – Quanti Santi nella storia Fermana – Lungo elenco…………………………
522 – La Regina Amalasunta in cerca di serenità trova rifugio a Fermo
538 – In tempo di guerra invasione di vocaboli
598 – Una lettera di Papa Gregorio Magno al Vescovo di Fermo, Passivo
825 – I Carolingi concessero lo Studio Generale a Fermo p.
886 – Il complesso architettonico sta andando in rovina p.
972 – Le prove dell’esistenza della Marca Fermana p.
1003 – Un Papa dimenticato: Giovanni XVII di Rapagnano \\\\\\\\\
Anno 79 dopo Cristo – Plinio il Giovane a Sabino:“Sarò avvocato dei Fermani”
Chi in questi giorni ha visitato a Roma la mostra su Pompei (Redi- scovering Pompeii) che ha fatto il giro del mondo ed è stata prorogata di una settimana, ha potuto leggere (o rileggere) la descrizione dell’eruzione avvenuta il 24 agosto del 79 dopo Cristo, eruzione che seppellì, oltre a Pompei, Ercolano e Stabia. In tale eruzione, morì Plinio il Vecchio, nato a Como nel 23 dopo Cristo ed autore fra l’altro di una poderosa storia naturale (Naturalis Historia), in cui descrive anche il nostro Piceno (Truentum, Cupra, Castellum Firmanorum) cioè l’odierno Porto San Giorgio, Cluana (Porto Civitanova) Potentia etc. La descrizione della sua morte ce la fece il nipote, Plinio il Giovane (Como 61 d.C. – Bitinia 114 c). Nel suo Epistolario (VI, 16), narra che durante l’eruzione, lo zio Plinio il Vecchio, si trovava nei pressi, in quanto comandante della flotta romana di Miseno. Egli volle rimanere al suo posto per soccorrere i fuggitivi e per osservare da vicino il fenomeno eruttivo. Era un eminente scienziato ed il fenomeno lo interessava altamente. Morì però soffocato dalle ceneri dell’eruzione.
Ma del Piceno e di Fermo in particolare, si interessò non soltanto il Plinio della Naturalis Historia, ma anche il nipote, Plinio il Giovane. Questi era anche un famoso avvocato ed a lui ricorse Sabino, giureconsulto fermano, pregandolo di difendere Fermo in una causa contro di cittadini di Falerio Picenus, odierno Falerone. Plinio, è lusingato dell’in¬carico e così scrive, accettando la difesa:
“Caio Plinio al diletto Sabino, salute! Tu mi preghi di assumere la pubblica difesa di quelli di Fermo: benché oberato da mille occupazioni, lo farò. A dire il vero, desidero rendermi obbligata una illustre colonia col farmi suo avvocato e anche te, rendendoti un servizio che ti sta a cuore. Poiché, se la mia amicizia – come tu dici – ti è di difesa ed onore, niente debbo negarti dato che lo chiedi per la patria. Infatti che vi è di più onesto che la preghiera di un cittadino? Perciò ai tuoi, anzi più giustamente ormai, ai nostri Fermani, da’ la mia parola d’onore e che questi siano degni delle mie cure e fatiche; me lo impone la loro reputazione e, più ancora, il considerare che devono essere ottimi come lo sei tu. Stammi bene!”.
Da quanto sopra si evince quanto era famosa Fermo, colonia ornatissima di Roma e importantissima città del Piceno.
0251 – Molti i Santi nella Diocesi Fermana – Lungo elenco, da Girio a Vissia
Abbiamo di recente parlato delle avventure amorose del condottiero conte Francesco Sforza (tra l’altro aveva dieci figli illegittimi), di Sigismondo Malatesta e dei suoi molteplici amori, ma che tuttavia privilegiò Isotta, in onore della quale eresse il tempio Malatestiano a Rimini. Ma ora siamo nel clima della commemorazione dei defunti e nella solennità di tutti i santi, per cui “scriviamo in sintonia”.
È noto che la pietà popolare onora i defunti nel giorno dedicato a tutti i santi, accomunando quest’ultimi ai trapassati.
La devozione ai defunti è uno dei valori che rimangono saldi, mentre si va affievolendo o tramontando una serie di valori etici, sociali, civili e nel giorno dei morti scorgiamo lumi, fiori ed assistiamo a preci in ogni camposanto. Ricordiamo in proposito le commoventi poesie apprese sui banchi di scuola, i sentiti versi di Pascoli, il giorno dei morti in Myricae “o madre il cielo si riversa in pianto / oscuramente sopra il camposanto”, la poesia di Achille Campanile e di altri, tutti preceduti da Dante che fra l’altro invita alla preghiera “Chè qui per quei di là molto s’avanza” (Purg. 3,145).
Ma oggi non possiamo trascurare i santi, coloro che hanno scandito la storia della civiltà, della vita sociale di nazioni e continenti, che hanno salvato la cultura europea. In ogni città, in ogni paese vi è un santo protettore. Fermo e la sua vasta archidiocesi (che, ripetiamo, è la più grande e popolata delle Marche) annovera molti santi. Oltre a S. Savino e a S. Claudio, comprotettori della città. Diocesi e Stato (la protettrice principale è l’Assunta) ne ha una sorprendente fioritura. C’è S. Adamo Abate, il cui corpo riposa in cattedrale; S. Alessandro: S. Filippo; il beato Beltramo, venerato a S. Marco alle Paludi: S. Elpidio abate, da cui il nome alla cittadina; S. Fermano, venerato a Montelupone, che fino af 1586 apparteneva alla Diocesi di Fermo; S. Girio. morto a Potenza Picena; S. Gualtiero; S. Giacomo della Marca, che tanto amò Fermo; il beato Giovanni della Verna, santo fermano che riposa in quel luogo, sacro a S. Francesco; Si Liberato a Loro Piceno; il beato Pellegrino da l ‘alerone: il beato Pietro da Mogliano; S. Marone venerato a Civitanova Marche; S. Serafino da Montegranaro, che riposa in Ascoli; Santa Vissia; Santa Vittoria, che ha dato il nome alla località omonima; S. Nicola da Tolentino, nato a S. Angelo in Pontano, allora dello Stato di Fermo e tuttora, come allora, in Diocesi di Fermo; il beato Giovanni da Penna S. Giovanni, etc.
Dalla storia apprendiamo che vi furono persino scontri armati e vere guerre per avere i corpi o le reliquie dei santi. Ad esempio a Colonia sono conservate le reliquie dei Magi, che nel 1161 furono portate via da Milano sconfitta dal Barbarossa. Il corpo dell’evangelista S. Marco nell’828 fu trafugato da Alessandria da Buono di Malamocco e Rustico da Tornello e portato a Venezia.
Fermo portò via a S. Elpidio a Mare la Sacra Spina che si conserva ora nella chiesa di S. Agostino. Vi sono altri esempi eclatanti. I Greci, i Romani, gli Egizi credevano nell’oltretomba e veneravano le immagini degli scomparsi, identificando spesso il defunto con la divinità. Forse da qui quella comune venerazione ai defunti e ai santi delle popolazioni delle nostre zone.
Anno 522- La Regina Amalasunta in cerca di serenità trova rifugio a Fermo
Sono oggi di scena tre personaggi famosi della storia d’Europa e d’Italia, vissuti nel periodo delle invasioni barbariche e che hanno caratterizzato quel segmento di storia le cui fasi principali si svolgono a Fermo e nel Fermano. Li presentiamo, cominciando per dovere di cavalleria da una donna: Amalasunta la figlia di Teodorico (454-525) Re degli Ostrogoti; Belisario generale bizantino (505-565); Narsete anch’egli generale bizantino (sec. VI).
Amalasunta aveva sposato il visigoto Eutarico; nel 522 ne rimase vedova e assunse la reggenza del regno in nome e per conto del figlio Atalarico, all’epoca decenne. Abile e colta, preferiva l’elemento romano a quello goto: per tal motivo i nobili goti le crearono opposizioni e pretesero che il figlio venisse educato alla maniera gotica, anziché romana. Ma Atalarico ben presto morì ed Amalasunta, per garantirsi da ulteriori opposizioni e difficoltà, si associò al trono il cugino Teodato.
Questi per sete di potere, dopo poco tempo la fece uccidere in un castello sito presso il lago di Bolsena. Amalasunta, durante la reggenza, aveva stabilito per lungo tempo la sua dimora a Fermo, forse per sottrarsi alle camarille della capitale, forse per godere maggiore serenità. A Fermo fece eseguire molte opere pubbliche, edifici, bagni, etc.
Intanto Giustiniano, che da tempo mirava a muovere guerra agli Ostrogoti, prese pretesto dall’uccisione di Amalasunta e, quale imperatore d’Oriente, spedì in Italia Belisario, che dopo aver conquistato varie terre si trovò ad affrontare un formidabile dispositivo difensivo composto dalle fortezze di Perugia, Urbino, Orvieto, Osimo. La flotta venne spostata nei porti dell’Adriatico e i due comandanti Narsete e Belisario unirono le rispettive truppe a Fermo. Ce lo narrano le stupende pagine della “Guerra Gotica” di Procopio da Cesarea, scritte in un limpido greco da cui traduciamo: “Belisario e Narsete con i loro eserciti si riunirono presso la città di Fermo, la quale giace vicina alla costa del Golfo Ionio (Adriatico) ad un giorno di cammino dalla città di Osimo. Colà, insieme a tutti i capi dell’esercito, tennero consiglio sul posto dove meglio convenisse attaccare i nemici…”. Fu deciso di aggirare Osimo e Belisario ordinò che il generale Arasio “doveva restare a Fermo, con un buon nerbo di truppe e qui svernare, badando però che in seguito i barbari. facendo scorrerie a loro piacimento, non molestassero impunemente quei paesi“. L’esercito al comando dei due condottieri Narsete e Belisario, dovette combattere molto, ma alla fine riuscì a conquistare la stessa Ravenna che cadde nel 540. A Fermo e nel Fermano si erano decise le sorti dell’impero romano d’oriente.
Tornando poi ad Amalasunta, ci piace ricordare che il grande pittore Osvaldo Licini di Monte Vidon Corrado, nel 1958 con le “Amalasunte e gli Angeli Ribelli” vinse la XXIX Biennale di Venezia e fu premiato personalmente dall’allora presidente della Repubblica Gronchi. Con lui, i grandi sono quattro: Narsete, Belisario, Amalasunta e, modernamente, Osvaldo Licini.
Anno 555 – In tempo di guerra invasione di vocaboli
Quando ero chierichetto e servivo la Messa ed altri riti liturgici, sentivo cantare anche le Litanie dei Santi. Entravano in scena angeli, arcangeli, tutti i santi e sante di Dio, i martiri, i confessori, etc. Erano le Quarantore ed i sacerdoti cantavano con voce pastosa e solenne. Fra l’altro ricordo: A peste, fame et bello etc. Nella mia ingenuità, intende¬vo “Ha la peste, la fame ed è bello”, ma non riuscivo a capacitarmi co¬me pur essendo appestati ed affamati, si poteva essere belli. Più tardi, con il latino, imparai che bellum significa guerra, cosa confermata, quando fui alle prese col De Bello Gallico di Cesare e col latino di Orazio che parla di guerre “detestate dalle madri” bella matribus detestata. Ora, riflettendo, noto che dal tempo di Caino ed Abele ad oggi ci sono state sempre guerre, come attualmente ve ne sono nei Balcani, in Cecenia, etc. Ci sono state guerre durate 30, 100 anni; guerre mondiali con milioni di morti. Una statistica ei fa conoscere che fino al 1860 ci sono stati nel mondo 227 anni di pace contro i 3.357 anni di guerra; in media per 33 secoli: 1 anno di pace e 13 di guerra. John Carthy e Francis Ebling, ricercatori americani, hanno riscontrato che dal 1820 al 1945 ci sono stati 89 milioni di morti in guerra, di cui 51 nella seconda guerra mondiale. Ecco perché si sospira sempre alla Pace, ecco perché l’annuncio nella grotta di Bethlemme è Pace.
Ma nel corso dei secoli si ebbero scontri armati anche nelle nostre zone. Ci rifacciamo però a quelli avvenuti secoli e secoli orsono. Nel Lido di Fermo, al tempo della guerra gotica narrataci da Procopio, e precisamente nel 538, Narsete e Belisario, generali bizantini, tennero un consiglio di guerra e qui ebbero stanza le truppe bizantine per resistere ai barbari. Da qui a Narsete e Belisario partirono per assediare e conquistare le città della Regione e Rimini stessa, rimanendo a Fermo la base militare per le operazioni belliche. Per dare un’idea delle devastazioni, citiamo un episodio ricordato da Procopio nel De Bello Gothico, opera in greco, che narra le vicende di tale guerra. All’irrompere dei barbari, tutti fuggirono. Ovunque era desolazione e morte. Un bambino rimasto solo in mezzo a tante distruzioni, fu allattato da una capra. Quando, dopo l’uragano dell’invasione, gli abitanti ritornarono alle loro abitazioni, videro dopo mesi e mesi, il bambino vivo e grida¬rono al miracolo. Lo chiamarono Egisto dal nome greco di capra (aix, aigòs).
Quello che però a noi interessa nel periodo di occupazione bizantina (si ricordi che nell’esercito di Narsete v’erano isaurici, armeni, bulgari, eruli, traci, illirici, etc.) sono i vocaboli entrati nella nostra lingua e dotta e vernacola. Anzi ci fu un momento che l’assimilazione era tale che tali bizantini scrivevano il latino con caratteri greci. Tuttavia molte loro parole entrarono nel nostro lessico. Ad esempio parlare da parlacium luogo dove si parlava e si discuteva. Il latino loqui come si vede, dista mille miglia dal vocabolo Parlare. Abbiamo inoltre mattara, che nel nostro dialetto è uguale al bizantino Mactra; foglietta che deriva da Fiola; ganascia; brocco (vaso per acqua e liquidi etc.). ma ciò che più sorprende è il vocabolo ponticana o pentecana per indicare un grosso topo. Deriva da topo del Ponto. Tale vocabolo usato da Montale e che compare anche in elzeviri di quotati quotidiani, è molto usato oltre che nelle Marche, anche nel Veneto, Emilia Romagna e nella Lombardia orientale. Altro vocabolo da non dimenticare e che è tutt’ora vivo nel nostro vernacolo è pantafana. Indica una persona che si presenta od appare spesso. Deriva da bizantino panta = tutto e faino = apparire. E così, le guerre che dividono i popoli, sono spesso amal¬gama di vocaboli che divengono patrimonio comune di nazioni e continenti.
Anno 598 – Una delle lettere di Papa Gregorio Magno al Vescovo di Fermo Passivo
Leggendo troviamo spesso l’aggettivo magno. Nelle Università ed in genere in istituti di istruzione abbiamo l’aula magna. C’è la cappa magna, veste solenne di dignitari; c’è la pompa magna, la Magna Grecia; la laus magna nelle votazioni di laurea; il mare magnum; la turba magna. Il tutto, per denotare grandezza o potenza. C’è addirittura la magnitudo, per indicare l’intensità dei terremoti.
Ma nella storia, abbiamo personalità di spicco a cui i posteri hanno dato l’appellativo di magno. Così abbiamo Alessandro Magno, vissuto nel terzo secolo avanti Cristo; Pompeo Magno (I sec. a.C.) che combatté a Fermo insieme a Cicerone durante la guerra sociale; Carlo Magno, il celeberrimo imperatore, morto nell’814; Gregorio Magno, Papa dal 590 al 604 rifondatore della liturgia e padre del canto gregoriano. Con’, erti i Longobardi e diffuse il cristianesimo in Inghilterra e nella Spagna . Celebre la sua esclamazione: Non Angli sed Angeli. Figura poliedrica, dotto e saggio, protesse i Romani durante le invasioni barbariche, vindice ed assertore di Roma. Carducci con icastica espressione ce lo scolpisce nella “Chiesa di Polenta”. “Quei che Gregorio invidiava (liberava) a servi / ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma”.
Gregorio (poi santo), ebbe ad interessarsi di Fermo e, pur assillato dalle cure del governo della Chiesa e dalla malferma salute, scrisse sei lettere a Passivo, Vescovo di Fermo. Esse ci danno uno “spaccato” della storia del tempo, delle invasioni longobarde, del perdurare delle leggi romane dopo la prima fase della calata dei barbari.
La prima è diretta al Vescovo di Ancona. Gregorio lo invita a sollecitare dal suo diacono Sereno la restituzione degli ori ed argenti al Vescovo di Fermo. Tali tesori erano stati affidati temporaneamente a Sereno per sottrarli alle depredazioni dei barbari.
La seconda è indirizzata a due chierici di Fermo: Demetriano e Valeriano. Gregorio li assicura che non dovranno rimborsare alla Chiesa le somme a suo tempo spese dal Vescovo di Fermo Fabio, per la loro liberazione e per quella del loro genitore Passivo, ora Vescovo di Fermo. Infatti erano stati fatti schiavi dai Longobardi.
Le restanti sono tutte indirizzate al Vescovo di Fermo Passivo.
La terza lo invita a consacrare un oratorio in onore di S. Savino,
eretto fuori delle mura di Fermo, e precisamente sul colle Vissiano (oggi: Montagnola) da Valeriano, notaio della chiesa fermana.
La quarta gli chiede di consacrare un oratorio che Anione, Conte
Castri Aprutiniensis (= Teramo), ha eretto nel teramano territorio di Fermo (testualmente: fìrmensis territorii) in onore di S. Pietro Apostolo.
La quinta lo prega di consacrare un monastero autonomo fondato da Procolo, diacono della Diocesi di Ascoli Piceno, in onore di S. Savino martire ed ubicato nel fondo Gressiano (fra Ascoli e Teramo).
La sesta chiede di trovare una persona degna, irreprensibile, amante della preghiera, per affidargli, dopo opportuni esami, la Diocesi di Teramo, allora vacante. Anzi, Papa Gregorio indica un nome: Opportuno.
Esse indicano, oltre al perdurare delle leggi romane nel nostro Piceno, anche la circoscrizione territoriale di Fermo, che comprendeva anche il Teramano. S. Gregorio scrisse molte altre lettere. Una che è diretta a un Vescovo della Dalmazia lo rimproverava di essere troppo dedito ai piaceri della mensa. Il Vescovo ribatté: “Ma anche il Figlio dell’Uomo (cioè Cristo) mangiava e beveva”. Gregorio di rimando: “Ma tu segui i precetti di Cristo solo quando parla di mensa, ma non quando parla di astinenza”.
Anno 825 – I Carolingi concessero l’ateneo di Fermo per ampia territorialità
“In questa tomba riposa il corpo di Carlo, grande imperatore; ac¬crebbe nobilmente il regno dei Franchi e lo governò felicemente per 47 anni. Morì settantenne l’anno del Signore 814, settima indizione, quinto giorno dalle calende di febbraio”.
Questo l’epitaffio sulla tomba di Carlo Magno ad Aquisgrana. Non si è ancora spenta l’eco del colossale film proiettato dalla Tv, film costato 17 miliardi e tale epitaffio sembra riecheggiare l’acclamazione della folla nella basilica di S. Pietro quando, nella notte di Natale dell’anno 800, Papa Leone III lo incoronava imperatore: “A Carlo, Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria” e le volte del tempio riecheggiavano poderosamente nel latino originale vitam et victoriam. Leggende e tradizioni orali parlerebbero di atti e documenti di Carlo Magno relativi alla Marca. Tutto falso! Di vero, c’è il fatto narratoci da Anastasio Bibliotecario (817-877 c.) che dopo la sconfitta dei Longobardi per opera di “Carlo Magno alle Chiuse (anno 773), quando Carlo scese in Italia in aiuto di Papa Adriano (772-795), gli abitanti del ducato di Fermo, gli Anconetani e i cittadini di Osimo e gli Spoletani, si diedero spontaneamente al Papa, gli giurano fedeltà e per documentare questa sudditanza si tagliarono barba e capelli secondo il costume romano (more romano tonsurati sunt).
Non ci risulta che Carlo Magno sia venuto a Fermo, mentre il suo secondogenito, Pipino, proclamato Re d’Italia nel 791, venne in questa città alla testa del suo esercito, accompagnato dal duca di Spoleto Vinigisio e vi soggiornò prima di marciare contro Grimoaldo, duca di Benevento. Pipino a Fermo reclutò molti soldati per il suo esercito. Fermo deve ad uno dei carolingi, cioè all’imperatore Lotario I (795- 855), nipote di Carlo Magno, la fondazione dello studium generale, università del tempo avvenuta nell’anno 825. In tutta Italia ve n’erano soltanto nove (Torino, Ivrea, Cividale del Friuli, Pavia, Cremona, Vicenza, Verona, Firenze, Fermo). Come si vede, Firenze e Fermo erano i soli bacini di utenza per l’Italia centrale. Nel capitolare di Lotario, emanato a Corte Olona, si specifica tra l’altro che dovevano recarsi a studiare a Fermo tutti quelli del Ducato di Spoleto, ducato vastissimo che comprendeva Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, spingendosi fino al ducato di Benevento. Nel 1165 Federico Barbarossa farà proclamare santo il nostro Carlo Magno e ciò dall’antipapa Pasquale II. dato che egli era in rotta col vero Papa. La Chiesa, tuttavia, non riconobbe mai tale canonizzazione, anche se permise il culto in qualche Diocesi di Francia e di Germania. Oggi, con decreto della Congregazione dei Riti del 1932, Carlo è venerato soltanto ad Aquisgrana. Il Barbarossa che volle la proclamazione di Carlo Magno a santo, si interessò anche di Fermo e del suo Porto esattamente l’anno precedente cioè nel 1164.
Anno 886 – Testimonianze storiche dimenticate. Il complesso architettonico, che sta andando in rovina
E’ trascorso ben più di un millennio da quella data e la basilica è ancora lì, anche se ridotta a misera casa colonica. Serba ancora il suo fascino, invita al raccoglimento e alle “cose di lassù”. È la basilica di Santa Croce al Chienti, novella chiesa di Polenta di carducciana memoria, consacrata proprio il 14 settembre dell’anno di grazia 886. Sita in territorio di Sant’Elpidio a Mare, alla confluenza dell’Ete Morto col Chienti, oggi muta e disadorna, commemora i suoi undici secoli di vita. Undici secoli.
Teodicio Vescovo di Fermo si era dato molto da fare per la sua costruzione, e con l’aiuto dell’imperatore Carlo il Grosso era riuscito nell’intento. Il 14 settembre 886 tale basilica alla presenza di 19 Vescovi (tutti del Ducato di Spoleto) e di 27 canonici, venne consacrata al culto. Spiccano nel fasto e nella solennità della consacrazione, l’imperatore Carlo il Grosso, che morirà due anni dopo, il Vescovo di Fermo, Teodicio ed i diciannove vescovi. Vediamoli: sono quello di Ascoli, Giovanni; di Ancona, Enolerico; di Camerino, Celso; di Senigallia, Benvenuto; di Spoleto, Armerico; di Fano, Romano; di Pesaro, Lorenzo; di Numana, Roberto; di Perugia, Teobaldo; di Rieti, Riccardo; di Osimo, Pietro; di Cagli, Adelardo; di Rimini, Niccolò; di Todi, Uberto; di Urbino, Alberto; di Nocera (Umbra), Severino; di Forlì, Bartolomeo; di Teramo, Ruggero. Oltre a Carlo il Grosso sono presenti numerosi principi e gastaldi.
Nello spiazzo antistante la basilica è tutto un rimescolarsi di palu-damenti vescovili e di armature guerresche; conti, vescovi, gastaldi, dame, bardature variopinte, cavalieri. Giorno festoso e fastoso! Giorno in-dimenticabile da iscrivere albo lapillo nella storia di Fermo e di Sant’El-pidio a Mare. Nel 1749, cioè 240 anni or sono, l’arcivescovo di Fermo, Alessandro Borgia, fece apporre una lapide a ricordo del fausto avvenimento.
“Or tutto tace”… La Basilica è lì, sconsacrata, malridotta… La sua storia gloriosa giace solo nelle pergamene degli archivi. Dopo il restauro effettuato dall’arcivescovo Borgia nel 1749 è stata miseramente ab-bandonata. Non si potrebbe costituire un comitato per il suo recupero alla funzione primigenia ed al suo antico splendore? E l’interrogativo, o meglio, l’invito, che ci permettiamo rivolgere a chi a ama e storia e monumenti della bella Regione “che siede tra Romagna e quel di Carlo”.
Anno 972 – Le prove dell’esistenza della Marca Fermana
Questa rubrica, redatta giornalisticamente ma sempre scrupolosamente ancorata ad atti e documenti, sta suscitando l’“ira funesta” di “taluno”. Moltissimi però i consensi e reiterati gli inviti (orali e scritti) a raccogliere poi tutto in un volume.
Ora quei “taluno” addirittura ha negato che fosse esistita la Marca Fermana, perché lui non ha rinvenuto tale denominazione nelle due opere di Gregorio di Catino (un cronista dell’Abazia di Farfa vissuto nel sec. XI) Chronicon Farfense e Regestum Farfense. La Marca Fermana si estendeva dal Foglia al Pescara, non per realtà geografiche e storiche e tale espressione non fu di uso limitatissimo ma venne usata dall’anno 972… fino alle soglie della Rivoluzione Francese (vedi Monumenta Germaniae Historica).
Nel 1076 Papa Gregorio VII (quello a cui si umiliò a Canossa Enrico IV nella scomunica lanciata contro di lui e contro i Normanni per aver invaso nel 1047 le terre della chiesa) nomina la Marca Fermana: Marchiam Firmanam et Ducatum Spoletanum. Nel 1078, lo stesso Papa scrisse da Roma all’arcivescovo di Ravenna ed a tutti i Vescovi ed abati della Marca Fermana (universis episcopis et abbatibus in Marchia Firmana).
Lo stesso Gregorio VII nell’assolvere Roberto il Guiscardo dalle censure per aver invaso le terre pontificie “in quanto alle altre terre che tieni ingiustamente occupate, cioè Salerno, Amalfi e parte della Marca Fermana per il momento ti tollero” (lettera del 29 giugno 1080 scritta da Ceprano nei pressi dell’Abazia di Monte Cassino). Marca Fermana è ripetutamente nominata dal Platina (De vita et moribus, Lione 1512), da Flavio Biondo {Italia Illustrata, Venezia 1543), dal Sigonio, ripetutamente, in Storia del Regno d’Italia, libro IX, Venezia 1574.
Inoltre il nostro interlocutore apra un atlante storico, anche il più elementare e troverà che da allora – sec. X – fino al sec. XVIII la Marca Fermana figura in tutte le carte.
Un’indicazione bibliografica potrebbe essere quella degli atlanti storici editi dalla De Agostini Novara, Zanichelli di Bologna, l’Atlas Historique di Larousse, quello di Georges Duby e prima di dire che nel “Chronicon” e nel “Regestum Farfense” non figura la Marca Fermana, ci pensi bene e lo legga bene. Ad esempio nella pag. 146 B del “Chronicon” si legge testualmente ad Marchiam Firmanam. Anzi, tra “Chronicon” e “Regestum” tale Marchia è nominata per un totale di 38 (diconsi trentotto) volte; il che dimostra che non è “una espressione geografica” per dirla col Metternich.
Anno 1003 – Un Papa dimenticato: Giovanni XVII da Rapagnano
Se c’è una regione che abbia dato alla Chiesa molti Papi, questa è la Regione marchigiana che prima in graduatoria, tolto il Lazio. Bene dieci sono i pontefici marchigiani, mentre alcune regioni non ne hanno nemmeno uno, ad esempio il Piemonte. È vero che essi hanno S. Pio V. Ma quando egli nacque a Boscomarengo, la cittadina apparteneva al Ducato di Milano. E poi …. se è divenuto papa lo deve al fatto che ha studiato a Fermo.
Amoto ludo, vediamo chi è questo Papa sconosciuto. Si tratta di Giovanni XVII. Papa Siccone, nato a Rapagnano ed eletto papa il 9 giugno 1003. La cronologia pontificia lo elenca tra i Papi degli anni 1000, ma lo indica come. In quel periodo, molti furono i Papi col nome Giovanni. Ci sono: Giovanni XI , romano (+ 935); Giovanni XII Ottaviano dei Conti di Tuscolo (964): Giovanni XIII, romano (+972); Giovanni XIV di Pavia (+984); Giovanni XV, romano (+996); Giovanni XVI (+998) cioè Giovanni Filagato di Rossano e quindi il nostro Giovanni XVII, eletto, come detto, il 9 giugno e morto il 31 ottobre 1003. Ce lo attesta una lapide rinvenuta nella chiesa collegiata di Rapagnano nel 1750. Essa redatta in latino, così suona in nostra traduzione: “Giovanni figlio di Siccone e di Colomba, nacque a Rapagnano, vicino al fiume Tenna. Ancora adolescente si recò a Roma accolto nella casa del console Petronio. Si dedicò allo studio delle lettere e con l’applauso di tutta Roma, il 9 giugno 1003 fu creato pontefice. Ma lo fu per poco tempo: infatti il 31 ottobre seguente si addormentò in pace, volando a regnare in cielo”.
Tale lapide in pietra e in gotico minuscolo, riporta lo stemma con il triregno e chiavi decussate ed altro stemma della casa Piccolomini, con una mitra vescovile.
Alessandro Borgia, Arcivescovo di Fermo, vista l’importanza di tale lapide, la fece conoscere, porre il luogo ben visibile e sotto di essa collocò una iscrizione che recita: “A Dio Ottimo Massimo, questa lapide di Giovanni di Rapagnano Pontefice romano, nascosta per secoli, ora per interessamento di Alessandro Borgia Arcivescovo e Principe di Fermo, il parroco di Santa Maria Franco Grifoni la restituisce alla posterità”.
Papa Giovanni XVII, a causa del suo breve regno, non ebbe modo di dare una propria impronta al Pontificato. È l’ultimo della serie di papi eletti dalle famiglie romane in funzione antigermanica. Fu però romano solo di adozione. E qui spiace rilevare come l’Annuario Pontificio lo indichi come romano, senza tenere conto della sua patria: Rapagnano. Ma tale Annuario ha perso la nostra Regione altre “imprecisioni”. Ad esempio che Papa Marcello II sarebbe di Montepulciano, mentre (Pastor, Storia dei Papi, Vol. ed altri) è arcinoto che è nato a Montefano (MC); di Papa Clemente VIII lo dice fiorentino, invece è nato a Fano, etc. ma oggi, purtroppo, dobbiamo constatare un preoccupante “inquinamento culturale”.
Giorni fa, una nota Editrice riportava una cartina geografica dove Amandola figurava come Amendola: Cupramarittima come scalo di Cupramontana che si trova in Provincia di Ancona: che Gaeta è stata l’ultima fortezza borbonica (a cadere invece dopo di essa caddero Messina 12 marzo 1861 e più tardi, quando era già stato proclamato il Regno d’Italia, Civitella del Tronto, che si arrese il 20 marzo 1861).
Capoluogo del Dipartimento del Tronto nel periodo napoleonico per decenni hanno detto che era Ascoli Piceno, mentre lo era Fermo. Come già accennato la recentissima guida di Roma (T.C.I.) non parla di Pericle Fazzini e della sua Resurrezione nella Sala Nervi in Vaticano. E che dire delle pubblicazioni turistiche della Regione? Carità di patria consiglia il silenzio. Ma spesso fanno più male che bene per la conoscenza delle Marche. Videant consules di eliminare tali “perle”.
<C’è chi pensa che l’Agro Rapaniano era nella provincia di Roma>
Anno 1046 – Clemente II: a Fermo di passaggio
Continuando negli stelloncini (non natalizi) ed aspettando Papa Giovanni Paolo II, sottolineamo oggi che le Marche in genere, ebbero a che fare con Papi, i secondi delle serie relative: Clemente II, Urbano II, Pio II, Giulio II ed ora Giovanni Paolo II. Fermo a sua volta ebbe a che fare con Urbano II, Pio II e Giulio IL
Non era facile né semplice nel 1046 essere Papa. Clemente II, ebbe molto da fare a Roma e nell’Italia meridionale. Passò per le Marche, ma dovette fermarsi a Pesaro a causa una violentissima febbre; qui morì nel monastero di S. Tommaso in Foglia.
Ma nonostante tutto, lo ricordiamo in questi giorni con i nostri auguri, perché proprio la Notte di Natale ricorrono 942 anni dalla sua elezione a Pontefice. Vescovo di Bamberga in Sassonia, anche da Papa mantenne tale vescovado. Incoronò imperatore Enrico III e lo accompagnò a Salerno, Benevento ed in Germania.
Clemente II fu da noi solo di passaggio; vedremo Urbano II che fu a Fermo nel 1195; quest’anno ricorrono novecento anni della sua elezione a Papa (1088-1099).
Clemente sebbene morto in terra marchigiana, fu riportato, secondo suo desiderio, a Bamberga ed ivi sepolto.
Nel 1237 gli venne eretto, in quella Cattedrale, un degno monumento sepolcrale. È l’unico Papa sepolto in Germania.
Anno 1055 – I Normanni e la Marchia Firmana
In questi giorni tra le mostre che ciclicamente vengono allestite a Roma, una spicca per importanza ed interesse: quella sui Normanni. Lo documentano le lunghe code di attesa, composte da amatori curiosi, ma anche da qualificati studiosi. I Normanni, questo popolo del nord, che nel secolo VIII per mare e per terra invase l’Europa spingendosi fino alla Groenlandia, si stanziò anche in Francia, occupando per ben tre volte Parigi e dando il nome a quella Regione che da loro prese il nome di Normandia. Da qui invasero l’lnghilterra, sconfiggendo gli abitanti nella famosa battaglia di Hasting (14 ottobre 1066). Si spinsero poi a sud occupando anche tra il 1043 e il 1098 l’Italia meridionale. Sono noti nella storia i nomi di Tancredi d’Altavilla, di Ruggero, di Roberto il Guiscardo, di Boemondo fondatore del principato di Antiochia. Ma nella storia dei Normanni vi è una “connotazione” fermana o meglio della Marca Fermana. Gli abitanti di questa, combatterono a fianco delle truppe papali, allorché Papa Leone IX dichiarò loro guerra per aver occupato terre su cui la Roma papale avanzava diritti. Tremendo fu lo scontro a Civitate in Puglia (18 giugno 1055) e l’esercito pontificio in cui militavano anconetani, fermani, spoletini, venne sconfitto. Tuttavia si verificò qui quanto affermato da Orazio (Epist. 11,1,56). “Grecia capta ferum victorem coepit et artes intulit agresti Latio” (La Grecia pur vinta vinse il rude vincitore e insegnò le arti all’agreste Lazio).
Infatti, il Papa, pur sconfitto, impose la sua autorità e la sua forza morale, talché i Normanni obbedirono ai suoi desiderata.
Guglielmo di Puglia narra che “il biondo Roberto dall’alta ed im-ponente statura, glorioso per tante battaglie, si inginocchiò davanti al Papa e gli baciò il piede. Gregorio (è Gregorio VII) lo fece alzare e lo invitò a sedere accanto a lui”.
Riecheggiando Orazio, uno storico coevo (come ci narra il Muratori) dice che il Papa, pur vinto dai Normanni, dettò legge ai vincitori e vinse con la religione, coloro che non era riuscito a sottomettere con le armi (A Normannis victus leges dedit victoribus et quos armis superare non potuit, religione fregit).
Latino facile di cui il lettore ci perdonerà, ma che abbiamo dovuto citare, perché più splendido apparisse il parallelo con Orazio.
Vi fu poi un’intesa tra Papa Gregorio VII (il famoso Ildebrando, alleato di Matilde di Canossa) e Roberto il Guiscardo. Gregorio gli conferisce l’investitura di parte dell’Italia meridionale “della terra che ti concessero i miei antecessori di santa memoria, cioè Nicola ed Alessandro, Amalfi e parte della Marca Firmana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà, col patto che tu in seguito debba comportarti verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro”. Si noti quella precisazione di “parte della Marca Fermana”. Ruggero, infatti, col suo esercito l’aveva occupata, tutta cioè dal Musone fino al sud di Vasto. Ma poi aveva restituito al Papa la parte a nord del Tronto, tenendosi per sé quella a sud di tale fiume. Così il nome “Marchia Firmana” , già apparso in precedenza sia nel “Chronicon Farfense”, sia in diplomi imperiali, brilla ora in un atto giuridico tra Papa e imperatore, dopo essere apparso anche nella bolla di scomunica che il Papa, in precedenza, aveva lanciato contro i Normanni “videlicet Marchiam Fir-manam universis abbatibus et episcopis in Marchia Firmana, etc.”.
1080 – Un tributo da versare il giorno di Pasqua
Nella storia d’Italia, spesso la data della Pasqua serviva per ricordare la consegna di doni, di regalie, di omaggi, di tributi e di censi… “Nel giorno della Pasqua di Resurrezione offra alla chiesa, tot. numero di polli, di uova, tanti agnelli” etc.
Prosaicità che adombra lo splendore di vita nuova!
E proprio nel giorno della Pasqua di Resurrezione, un condottiero normanno, Roberto il Guiscardo, sin dall’anno 1080 prometteva ad Ildebrando di Soana, o meglio a Papa Gregorio VII, famoso per la vicenda di Enrico IV a Canossa e per la Contessa Matilde, vindice del papato, di versargli un tributo o censo di dodici denari di moneta di Pavia per ogni paio di buoi.
Tale censo era il corrispettivo per avere il Guiscardo invaso Salerno, Amalfi e la Marca fermana. Infatti, in un primo tempo, Roberto il Guiscardo era contro il Papa; poi passò a difenderlo. Era pendente l’occupazione delle due città e della Marca Fermana a sud del Tronto. In un primo tempo l’aveva occupata quasi tutta, ma poi restituì a Gregorio VII la parte a nord del Tronto, tenendo per sé Amalfi, Salerno e la Marca Fermana sud.
Passato dalla parte del Papa Gregorio VII, Roberto riceve l’investitura di terre pontificie. “Io Gregorio papa, conferisco a Te, duca Roberto, l’investitura della terra che ti concessero i miei predecessori di santa memoria Nicolo’ ed Alessandro (sono i Papi Nicolo’ II (1061) e Alessandro II (1071) – ndr). In quanto all’altra terra che tieni ingiustamente, cioè Salerno, Amalfi e parte della Marca Fermana, per il momento ti tollero, fidando in Dio e nella sua bontà in modo che tu debba in seguito comportare verso di me come richiede l’onore di Dio e di S. Pietro senza pericolo dell’anima tua e della mia….”.
A questa investitura fa eco “Roberto, per grazia di Dio e di S. Pietro Duca della Puglia, Calabria e Sicilia…” promettendo a Gregorio e successori “a nome proprio, degli eredi o successori l’annuo tributo di cui sopra da pagarsi in die Resurrectionis Domini”, nel giorno cioè della Resurrezione del Signore. Roberto fu fedele alla promessa e salvò anche Papa Gregorio dall’assedio posto a Castel Sant’Angelo dallo spegiuro Enrico IV che aveva assolto dalla scomunica. Da quella Pasqua ne sono trascorse ben 912!
Oggi gli abitanti di quella che fu la Marca Fermana dovrebbero elevare un pensiero memore e grato verso Gregorio, figura che giganteggia nella storia, quale vindice dei diritti della Chiesa e della libertà della Marca Fermana.
Anno 1087 – Gioiello poco valorizzato, l’antichissima chiesina di Madonna Manù
“Salve chiesetta del mio canto!”, così Carducci nell’ode “La Chiesa di Polenta”; così chi scrive, con minore autorità, ma con non minore affetto, saluta la chiesina di Madonna Manù. Etimologia ebraica: Manù = cos’è questo?
Affonda le sue origini all’alto Medioevo. Risalente il secolo X, come la chiesa di Polenta; è detta anche Madonna delle Noci, perché fino a poco tempo fa, dopo la Messa, vi si giocava a castelletti di noci.
Qualcuno dei “miei venticinque lettori” si domanderà subito dove sorge tale chiesina. Chi imbocca la strada che dall’Adriatica porta a Lapedona (Camping Mirage) a metà strada, in posizione incantevole preceduta da un duplice filare di cipressi, scorge S. Maria de Manù.
Fu donata da Raimburga, badessa del monastero Leveriano presso il fiume Aso, all’Abbazia di Montecassino. Piccola e sconosciuta la chiesetta; grande e celebre la sua storia. Con la chiesa e il castello di S. Biagio in Barbolano, siti in territorio di Altidona (sopra il Camping Mirage) è nominata nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino, fuse al tempo dell’abate Oderisi (1087-1105).
Recitano nell’originale latino… “Nel Fermano abbiamo il castello di Barbolano con la chiesa di S. Maria e S. Biagio con gli annessi pos-sedimenti”. Le lamine che ne parlano, sono la sesta e la settima del battente di destra, miracolosamente indenni nel tremendo bombardamento alleato che distruse il Cenobio e le altre lamine (1944).
Se altre chiese avessero tale privilegio e una documentazione così splendida e bronzea (Aere perennius) lo griderebbero ai quattro venti. Invece, per la nostra chiesetta, si è fatto ben poco.
Romanica, come le “sorelle maggiori” quali S. Maria a Pié di Chienti, S. Claudio a Corridonia, Ss. Stefano e Vincenzo a Monterubbiano, S. Quirico e Lapedona, etc. è un vero gioiello d’arte.
Abbiamo accennato a Lapedona, nel cui territorio sorge, ma la giurisdizione spirituale di essa, è del pievano di Altidona, a cui passarono i beni dell’Abbazia di Montecassino.
Ogni anno, da secoli, l’8 settembre vi si recano pievano e fedeli di Altidona; vi si celebra la Messa e poi si gioca a castelletti di noci.
Semplice e spoglia nelle linee purissime del romanico classico, è stata restaurata nel 1942 per iniziativa del pievano Petroselli di Altidona e riportata alla primigenia bellezza. Fiancheggiata da “ardui cipressi”, campeggia in un’area agreste e campestre di “profondissima quiete”. Fino al 1926 vi si ammirava uno stupendo polittico attribuito in un primo tempo a Pietro da Montepulciano; ora, dopo approfonditi studi, a Cristoforo Cortese (fine secolo XV). Tale polittico spicca ora nell’altare maggiore della parrocchiale di Altidona, alla cui giurisdizione spirituale, come detto, appartiene.
Se Carducci l’avesse celebrata, come la chiesa di Polenta, sarebbe ora su tutte le Guide ed i Baedeker del mondo. Oggi chi canta a lei, è un povero menestrello: “Vixere ante Agamennona multi, sed illacri mabiles… carent quia vate sacro” e cioè “Vissero molti famosi, prima di Agamennone, ma sono ignorati, perché manca un sacro vate”.
Così canta Orazio! “Salve chiesetta del mio canto!”.
Secolo XI – I doni portati dai castelli
Si ha notizia che sin dal secolo XI i signorotti dei castelli soggetti a Fermo dovevano portare per l’occasione della festività dell’Assunta, le loro offerte ed i loro doni.
Il signore (meglio: gastaldo) di Corridonia, allora Montolmo, doveva portare un maiale e cento meloni; quello di Monturano, un maiale; quello di Civitanova (Marche), sei polli e cento uova; Campofilone doveva tre soldi e mille denari; il Monastero di S. Donato al Tronto, pure tre soldi e mille denari. Tutte le località soggette a Fermo da Poggio S. Giuliano alle porte di Macerata, alle località della foce del Tronto, contribuivano con prosciutti, maiali, polli, soldi, cera, uova, ecc.
Fermo partecipava alla novena di preparazione, con vistose offerte in denaro ed in natura. Cospicue le offerte dei macellai, calzolai, osti, albergatori. Gli agricoltori davano tre bolognini a testa per il cero; i bottai ne offrivano due. Osti ed albergatori, oltre al cero, offrivano una taberna in miniatura ricolma di doni; ogni famiglia dei castelli soggetti doveva dare al proprio “scindico” 12 denari e ciascun “scindico” con tali somme, doveva approntare un cero maestoso che sfilasse con i rappresentanti del castello (unum cerum prò quolibet castro).
A loro volta il Podestà, il capitano e gli altri Officiali, offrivano un cero ciascuno come pure il Gonfaloniere di giustizia, i Priori e le altre autorità cittadine, le famiglie di Fermo, ad eccezione di quelle povere, dovevano offrire un cero alla Cattedrale insieme ai componenti della propria contrada.
ANNO ANTERIORE ALL’ERA CRISTIANA pagina del libro edito
900 a.C. – E vennero i Piceni, popolo forte e gentil p.162
752 a.C. – Lucio Taruzio e il Natale di Roma p.218
536 a.C. – I Fermani a scuola di Pitagora nella Magna Grecia Anno 535 a.C pag. 296
220 a.C. – Colli di anfore p.246
217 a.C. – Annibale si riposò nel nostro litorale p.172
216 a.C. – Morirono a Canne per essere fedeli a Roma p.212
191 a.C. – Il valore dei Fermani alla battaglia delle Termopili 299
89 a.C. -17 novembre dell’89 a.C.: Catilina e Cicerone 173
79 a.C. -I prelibati vini dell’Ager Picenus 210
49 a.C. – Giulio Cesare, dal Rubicone al Piceno 146
Secolo X a.C. – E si formarono i Piceni, popolo forte e civile
Questa di oggi è la pagina più genuina e più splendida della nostra storia, della storia picena, perché oggi (come si è fatto ininterrottamente da secoli) si celebra la venuta dei Piceni. È la sagra di Sciò la Pica, fatta slittare alla data odierna dai referendum (si celebra sempre il giorno di Pentecoste), sagra che tuttavia viene celebrata con tutta la magnificenza delle edizioni passate, con tutto l’entusiasmo di sempre. Ab immemorabili ha luogo a Monterubbiano, dove oggi si danno ideale convegno i Piceni provenienti da ogni parte della regione, quasi a vedere o rivedere la culla della loro origine.
Vennero gli antichi piceni della Sabina, guidati da un picchio (pica ave duce). Attraversarono la faglia di Arquata; sciamarono lungo il Tronto e si diressero a nord e a sud di esso, ponendo ivi le loro dimore. Così nacquero Firmum Picenum, Potentia, Interamnia (Teramo). Atri. Asculum Picenum, etc. I nuovi venuti adempivano al voto di “Primave-
ra Sacra” (voto vere sacro). E ciò non è leggenda! Una pleiade di autori classici, greci e latini, parlano di essa. Sono Strabone, Eusebio di Cesarea, Diodoro Siculo, Tito Livio, Silio Italico, Festo Rufo, Paolo Dia¬cono, quasi tutti vissuti prima di Cristo. Dei Piceni parlano inoltre Orazio, Giovenale, Marziale etc. Popolo valoroso e guerriero, tenne testa e più volte, a Roma specialmente durante la Guerra Sociale (quest’anno ricorrono 2080 anni!). La loro civiltà fu splendida: la loro facies culturale, stupenda; la loro arte, meravigliosa! Mentre scriviamo, non possiamo non pensare a quanto diciamo di loro in un’opera storica di imminente pubblicazione e focalizzata a Colli del Tronto, i cui reperti piceni faranno conoscere aspetti sconosciuti di tale civiltà.
Monterubbiano, antico centro piceno, ricorda oggi come ha fatto da secoli, la loro venuta. Da alcuni giorni garriscono sulle torri monterubbianesi vessilli ed orifiammi, oggi, in un tripudio di sole, di colore, di canti, si rievoca quella venuta, mentre il clangore delle chiarine, gli squilli delle campane, il rullo dei tamburi conferiscono alla celebrazione, mista di sacro e profano, un entusiasmo possente ed eloquente, una esaltazione della nostra stirpe. Le quattro corporazioni (Bifolchi, Mulattieri, Artisti, Zappaterra), sfileranno nei loro variopinti paludamenti, su focosi destrieri, accompagnati da splendide dame e damigelle da con-fratelli.
“Poiché Iddio potente viene placato con l’omaggio ed il culto dei Santi, e poiché per intercessione della beata Vergine del Soccorso la nostra Monterubbiano continui ad essere assistita dalla fortuna, cresca in dimensione, aumenti in prosperità, stabiliamo che, annualmente, arrivando la festa, i Magnifici priori, insieme al Podestà, provvedano a rendere noto nelle località consuete e con le modalità solite che tutti, sia maschi che femmine, si raccolgano nella piazza di Santa Maria dei Letterati, per poi procedere in solenne processione alla volta di Santa Maria del Soccorso insieme ai magnifici Priori, Podestà, ai Salariati, a Sacerdoti, Chierichi e ai loro pari grado. E un Monterubbiano d’Argento sia portato da un famiglio ed ognuno porterà le candele accese che verranno date in elemosina a S. Maria del Soccorso”. Così i patrii Statuti!
Andiamo a Monterubbiano ad assistere a Sciò la Pica. Sarà un ritorno alle sorgenti, alle fonti primigenie della vita, alla georgica contemplazione della Natura. Gli spiriti degli antichi nostri padri, aleggeranno all’intorno, rievocando la loro venuta, guidata dal Picchio che diede il nome alla Regione (unde nomen genti!).
Anno c. 752 a.C. – Lucio Taruzio e il Natale di Roma
“Sole che sorgi libero e giocondo / sul colle nostro i tuoi cavalli doma / Tu non vedrai nessuna cosa al mondo / maggiore di Roma”.
Così si cantava un tempo e spero di non essere tacciato di “nostalgia”; se mai, potrei esserlo di “classicismo”, perché tale inno non è una peculiarietà del ventennio, ma opera del poeta latino Orazio vissuto molti secoli prima, Alme sol… possis nihil Urbe Roma visere maius Lo ricordo in occasione della ricorrenza del 21 aprile, Natale di Roma.
Noi datiamo i nostri atti dalla nascita di Cristo; ma nell’antichità il tempo era scandito in vari modi: dalle Olimpiadi, che cadevano ogni 4 anni; c’erano poi gli anni del Consolato; l’era di Diocleziano; l’era della fondazione di Roma; le indizioni ecc…
Nel periodo prima di Cristo, gli storici datavano fatti ed eventi ab Urbe condita, cioè dalla fondazione di Roma, avvenuta nel 753 avanti Cristo. Nel fissare tale data, un nostro “concittadino” fermano, Lucio Taruzio, svolse il molo più importante. Già Catone il Vecchio si era interessato di fissare il giorno della nascita di Roma, facendolo risalire al 752 a.C.; Varrone invece, con l’approvazione di illustri storiografi, quali Plinio il Vecchio, Tacito, Dione ed altri, la fissò al 21 aprile, su indicazione di Lucio Taruzio.
Ce lo dice Plutarco nella “Vita di Romolo”, scritta in greco, ove si dice anche che il natalis urbis si identificava con la festa delle Palilie. Chi toglie ogni dubbio (se dubbi ci fossero), è nientemeno che Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro 2, cap. XLXVII del De divinatione, dice testualmente: “Pure Lucio Taruzio di Fermo, amico nostro, uomo molto erudito nelle arti d’astrologia, faceva derivare il giorno natalizio della città, dalle feste di Pale. Si narra che Romolo la fondò durante tali feste. Taruzio affermava che Roma venne fondata quando la luna era nella costellazione della Bilancia e non esitava a cantare le imprese del fondatore”. L. Tarutius firmanus, familiaris noster, in primis caldaicis rationibus eruditus Urbis edam nostrae natalem diem repetebat ab ipsis Palilibus, quibus etiam a Romulo conditam accepimus ecc.
Successivamente, con Dionigi il piccolo, si incominciò a datare atti e documenti partendo dalla nascita di Cristo; anche se i calcoli su ta¬le data non sono perfetti, tuttavia fu adottata universalmente.
Particolare curioso: l’era della fondazione di Roma, tanto usata dagli storici, non venne adoperata dai Romani nella datazione di leggi ed atti pubblici, ma soltanto nelle liste e nei fasti consolari. A Fermo, una via dedicata a Lucio Taruzio. ricorda ai posteri colui che fissò al 21 aprile il Natale di Roma, caput mundi.
Anno 536 a.C. – I Fermani a scuola di Pitagora nella Magna Grecia
Da poco è ricominciato l’anno scolastico; si “torna al lavoro usato”. Ovunque si respira aria di studio e di cultura.
Fermo, “città degli studi” o “degli studenti”, ogni mattina è invasa da folle di giovani e si perpetua così una tradizione di apprendimento e di cultura, viva sin dal sec. VI avanti Cristo.
Lo scrittore greco Diogene Laerzio (III sec. d.C.) (da non confondere col “Diogene di Lubrano”), nella sua poderosa opera: “Vita e sentenze dei più illustri filosofi e compendio breve delle opinioni di ciascuna setta”, afferma che durante la 60a Olimpiade, cioè 536 anni prima di Cristo, nella Magna Grecia, a Crotone, affluivano cittadini di varie parti d’Italia per imparare da Pitagora (allora trentacinquenne) la filosofia, le lettere greche e la medicina. Fra essi vi erano dei cittadini di Fermo (Vita di Pitagora, libro 8). Ciò è confermato da Giacinto Gimma in “Idee della Storia dell’Italia Letterata” (1723).
A tali Fermani interessava la conoscenza della filosofia e, ovviamente, della lingua greca, talché poi parlavano e scrivevano corretta- mente e correntemente sia il greco che il latino. Vos exemplaria graeca nocturna versate manu versate diurna, dirà poi Orazio nell’Arte Poetica: consultate notte e giorno i modelli greci!
Dell’apprendimento e della conoscenza del greco, sono rimaste tracce nel dialetto del contado fermano,- dovute ai traffici commerciali con la Grecia e la Magna Grecia e per la tradizionale conoscenza bilingue (greca e latina) dei Fermani. Così abbiamo mattara cioè la madia dal greco mattra; gramarò (mestolo) dal greco cammaros; cutumu (stivale) da còtornos; fratte (siepi) da frattei; naulu (pigione noleggio) da naulos; téca (baccello): una téca de fava oppure di piselli da teke; fitturu (cavicchio per far buchi nel terreno per piantagioni) da fiteuo, cioè piantare, etc. Ciò per non parlare delle voci dotte di cui è piena la nostra lingua: ritmo: greco: rithmos; prosopopea gr. prosopopoia; ittico da ictùs: pesce, etc.
Anche nello Studìum Generale di Fermo, fondato nell’anno 825 da Lotario I, era in auge lo studio del greco. Qui si dovevano recare per studiarlo tutti quelli del Ducato di Spoleto, oltre che dalla Marca Fermana. Tale studìum, potenziato nel 1398 ed elevato a rango di vera e propria università (quando le odierne università di Urbino, di Camerino, Macerata non erano ancora nate) tenne in auge lo studio del greco e ciò fino al 1827. Oggi a Fermo prosperano ben due licei classici, “A. Caro” e “Paolo VI”, parificato e, nonostante certi ostracismi governativi, in tutta Italia la lingua greca… vive e prospera.
Gli studenti che si cimentano nelle scuole fermane nell’apprendimento della lingua greca, sappiano che le radici di tale studio risalgono a Pitagora, quello che ci ha fatto tribolare con la Tavola Pitagorica e col Teorema che un mio professore di matematica aveva così formulato: “Per consolarti il cuore la scienza ha la sua musa. / Pitagora ti dice con me con me ripeti / Il quadrato costrutto sopra l’ipotenusa / è somma dei quadrati costruiti sui cateti”.
Non era certo un’ode di Pindaro o una anacreontica, ma serviva per ricordare…
Anno c. 300 a. C. – Colli di anfore
L’articolo della settimana scorsa su Madonna Manù ha suscitato interesse, specie tra i turisti e villeggianti dei campings che costellano la nostra riviera, da Porto Sant’Elpidio a Cupra Marittima. Molti hanno telefonato; qualcuno ha scritto chiedendo ulteriori notizie; qualcu¬no è venuto a trovarmi. Diversi si sono recati a vedere la chiesina romanica, specie quelli del camping Mirage, il più vicino.
L’occasione è propizia per tornare sull’argomento e per dire che proprio nella zona del Mirage (Fosso S. Biagio) il sottosuolo è pieno zeppo di anfore romane. Già dal tempo di Augusto (se non prima) esistevano qui delle fornaci. Gli sbancamenti di terra, operati dalle ruspe quando è stata costruita l’autostrada, hanno portato alla luce parte del¬l’area archeologica. Letteralmente “scapitozzate” dal lavoro di livellamento dei mezzi meccanici, affiorarono per largo tratto numerosissime anfore vinarie con incise c.lu ply, marchio della “impresa” o famiglia Poli. Intorno, resti di focolari di cottura. Ne furono scavate oltre cento; erano tutte bene allineate, dalle anse eleganti, piede ad imbuto rovesciato per fissaggio sulle navi da trasporto. Zona archeologica quindi, quella di S. Biagio e vicinanze e componente non trascurabile di turismo culturale che si va affermando, perché il villeggiante, oltre al mare, al sole ed al paesaggio, vuole conoscere, vuole imparare. Qui poi abbiamo cultura che spazia verticalmente e orizzontalmente: ancore nel sottosuolo; in alto, i resti della chiesa e del castello di S. Biagio; sopra il camping Riva Verde, sorgeva la chiesa farfense di S. Angelo Vecchio; nel centro di Altidona, il castello di Garzania, tutti nominati, come detto, nelle porte di bronzo della Basilica di Montecassino. Ma c’è di più.
Procedendo verso sud, cioè verso Pedaso, ma sempre in territorio di Altidona (che sulla costa si estende dal fiume Aso al Fosso di S. Biagio), nell’area dove sorge ora Altidona Marina, fu rinvenuta nel 1900 una statua di Esculapio di fattura greca, risalente al III secolo avanti Cristo, ora “emigrata” in Francia. Poco sopra, in località Villa Montana prospiciente il mare, si ammira tuttora una costruzione romana a seminterrato. Sembra servisse per la conservazione delle derrate alimentari al tempo delle guerre puniche. Tutt’intomo. vennero alla luce anfore, suppellettili ed oggetti vari, di epoca romana ed alcune la¬pidi riportate da Teodoro Mommsen nel volume Inscriptiones Calabriae, Apuliae Samni, Sabinorum, Piceni, stampato a Berlino nel 1883.
Anno 217 a.C. – Annibale si riposò nel litorale Piceno
Era il 21 giugno del 217 avanti Cristo! Oggi si compiono 2204 anni! Tale data ce la indica Ovidio nei Fasti, dove si parla della battaglia e della sconfitta romana al lago Trasimeno.
Era una mattina nebbiosa; presso il Trasimeno 40.000 Cartaginesi accerchiarono ed annientarono il romano Flaminio ed il suo esercito, avventuratisi sconsideratamente, e contro il parere dei tribuni, in un terre- no circondato intorno da truppe cartaginesi. I Romani attaccati in testa, di fianco e di spalle, non ebbero modo di difendersi e ne sega: un orrenda carneficina. “I caduti romani furono oltre 10.000 e molti prigionieri” racconta Tito Livio. Fra i caduti, lo stesso comandante Flaminio. trafitto dalla lancia di un soldato gallo di nome Ducasio. I Cartaginesi lasciarono sul campo solo 1.600 fra morti e feriti. La vittoria punica era schiacciante!
Tale battaglia (cui accenna anche Carducci ne “Le Fonti del Clitunno”) ci interessa per le implicanze che ne derivarono e per il fatto che Annibale, anziché dirigersi verso Roma, come era da prevedere, venne nel nostro litorale piceno: “Annibale si diresse verso il Piceno, abbondante di ogni ben di Dio e di ghiotta preda di cui avidamente si impadronirono le sue truppe”. Così Tito Livio (A.U.C. XXII) e Polibio Storie, lib. Ili, 85). Il viaggio durò 10 giorni, perché i Cartaginesi a mala pena riuscivano a trasportare il bottino di cui si erano impadroniti. “Giunte le truppe nel litorale piceno, Annibale le fece riposare: ristorò i soldati con cibi squisiti e con del vino vecchio, di cui tale era l’abbondanza che ci lavò persino le zampe dei cavalli per guarirli dalla scabbia” (Polibio, ibidem 88).
Secondo una consolidata tradizione e secondo le indicazioni di Tito Livio e Polibio, l’area di sosta di Annibale doveva essere tra Cupra e Potentia. Lo ricorda il toponimo “Campo di Annibale” che fa eco alle “Gorghe di Annibale”, toponimo che indica il luogo dello scontro al Trasimeno. Per dare una indicazione più sicura, potremmo dire che il Cartaginese sostò in un’area territoriale che corrisponde alla fascia marittima della attuale Diocesi di Fermo. Infatti, dal Piceno Annibale spedì navi a Cartagine per annunciare la vittoria; ma porti attrezzati, in quel tempo, all’infuori del Navale Firmanum non ve n’erano. Dal contesto della narrazione di Polibio, che parla di “piccole tappe”, “Annibale si mosse a piccole tappe attraverso le terre Pretuziane (odierno Teramano) e la città di Atri. Poi i Marruccini ed i Frentani…”, si evince che il viaggio ebbe inizio dalla nostra zona, altrimenti Polibio avrebbe descritto altre areee geografiche od altre località.
Dopo questo trionfo e quello dell’anno successivo a Canne, Annibale verrà sconfitto dai Romani a Zama (202 a.C.). Dopo tanta gloria nel 183 a.C. si toglierà la vita col veleno per non cadere in mano ai Romani.
Anno 216 a.C. – Morirono da eroi a Canne per essere fedeli a Roma
I corpi dei soldati caduti giacevano inerti, sparsi ovunque sul campo di battaglia ed il sole dardeggiante ne favoriva la celere decomposizione. La località presentava un aspetto apocalittico. I Cartaginesi, vincitori, si aggiravano per il campo cercando di individuare qualche commilitone caduto. Siamo a Canne all’indomani della famosa battaglia. Nella pianura, il 2 agosto 216 a.C. si era svolta la famosa battaglia. Sono passati 2108 anni!
I Romani, forti di 80.000 fanti e 4.000 cavalieri (alleati compresi), si erano scontrati con il Cartaginesi il cui esercito consisteva in 40.000 fanti e 10.000 cavalieri. Al loro comando, c’era il terribile Annibale. I Romani erano comandati dai consoli Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. Il genio militare di Annibale rifulse ancora una volta: con una mossa a tenaglia, aveva circondato le truppe romane facendone un’orrenda carneficina. I morti romani ed alleati erano 25.000 (Polibio però parla di 70.000; Tito Livio di 45.000); i prigionieri diecimila. I Cartaginesi ebbero soltanto 6.000 morti.
Fermo ed il Fermano in questo periodo storico ebbero una parte non certo di secondo piano. Già nella prima guerra punica avevano fornito marinai per la flotta di Cajo Duilio ed Attilio Regolo. Ora, nella seconda guerra punica, mentre varie colonie latine si erano rifiutate di inviare contributi in truppe e denaro, Fermo fu tra le diciotto colonie che inviarono sostanziosi aiuti, opponendo a sua volta fiera resistenza ad Annibale sceso nel Piceno. E di ciò fa fede Tito Livio (XXVII, 10). Alla battaglia di Canne erano presenti i soldati fermani che si batterono a fianco di Roma; oltre a loro altre truppe picene. Ce lo ricorda Silio Italico, poeta latino, il quale ci descrive una fase della famosa battaglia… “Curione tremendo per le squame e la cresta equina… sprona gli abitanti della terra picena. Qui vedi i coltivatori dei campi della sassosa Numana e quelli i cui altari fumano nel litorale di Cupra, nonché quelli che difendono le torri sul fiume Tronto. Sta in armi Ancona, celebre come Sidone nel tingere la porpora. Sta in armi Atri, bagnata dal Vomano e lo spietato portabandiera Ascoli… Una volta, come narra la tradizione, la terra era dominata dai Pelasgi sui quali regnava Asi, che lasciò il nome al fiume e da lui i popoli vennero detti Asili”. Chiaro riferimento al fiume Aso e non, come taluno vuole, all’Esino che definiva soltanto il confine nord del Piceno. Oggi turisti e bagnanti, che si godono le vacanze tra S. Benedetto del Tronto e Porto Sant’Elpidio, ricordino che 2108 anni or sono, dalle varie località del litorale, dove fumavano gli altari per i sacrifici offerti alla dea Cupra (et queis litorae fumant altaria Cuprae), partirono per Canne soldati Piceni a combattere a fianco di Roma e morirono da eroi sul campo per mantenere fede all’alleanza romana. Da allora venne coniato il motto Firmum firma fides Romanorum Colonia: Fermo ferma fedeltà colonia dei Romani.
Anno 191 a. C. – Il valore dei Fermani alla battaglia delle Termopili.
“… E sul col dell’Antela, dove morendo / si sottrasse da morte il santo stuolo / Simonide salìa… Beatissimi voi / che offriste il petto alle nemiche lance / … voi che la Grecia cole e il mondo ammira.”
Così il nostro Leopardi, celebrando l’eroismo di Leonida e dei 300 Spartani, immolatisi alle Termopili, combattendo contro lo sterminato esercito di Serse.
Nei secoli risuona: “O viandante va’ e annuncia a Sparta, che noi siamo qui morti per obbedire alle sue leggi”.
Tali leggi, infatti, non consentivano al soldato, impegnato nella difesa di una posizione, di ritirarsi per aver salva la vita. Era il 480 avanti Cristo!
Ma le Termopili furono teatro di un altro scontro, nel quale rifulse il valore dei Fermani, contro l’esercito di Antioco III, Re di Siria. Questi, alla testa di un potente esercito (c’erano anche elefanti e poderose macchine da guerra) attaccò i Romani, inferiori di numero e di mezzi. L’esercito romano che era comandato dal Console Acilio Glabrione, coadiuvato dai tribuni Lucio Valerio Fiacco e Marco Porcio Catone, doveva mandare avanti un “commando” per conquistare un valico strategico. Era impresa altamente rischiosa e difficile. Per riuscire, occorreva un ardito colpo di mano. Conoscendo il valore e l’audacia dei Fermani che militavano nel suo esercito, chiamò a sé un reparto di essi e tentò l’impresa.
Sentiamo cosa ci narra in proposito nelle Vite Parallele lo storico greco Plutarco, vissuto al tempo di Traiano: Chiamati a sé i Fermani di cui conosceva la virtù e il valore, disse loro: “Desidero avere vivo un soldato nemico per sapere quanti sono, quale la loro strategia, il loro armamento”. Catone aveva appena detto ciò, che i Fermani si precipitarono nell’accampamento avversario, seminando terrore e mettendo in fuga i nemici.
Presero un soldato e lo condussero a Catone. Questi fornì utili informazioni sulla consistenza nemica. Grazie al colpo di mano dei Fermani, i Romani vinsero.
Antioco fuggì lasciando sul campo numerosi morti e feriti. Moltissimi furono i prigionieri: del suo esercito di oltre 8.000 uomini rimasero solo 500 soldati.
Altri eventi bellici ebbero luogo alle Termopili: a) nel 279 a.C. la battaglia fra Greci e i Galli di Brenno; b) nel 1821, durante la guerra per l’indipendenza della Grecia 18.000 Turchi sono sconfitti da soli 2.500 Greci; c) nel 1941 (notare la periodicità dei numeri 191-1821- 194 L1991) vi si combatte fra Tedeschi e Anglo-Greci con la vittoria dei primi. Ma su tutti i fatti d’arme, spiccano l’eroismo di Leonida ed il valore di quel pugno d’audaci, tutti Fermani, la cui impresa fu determinante per la vittoria romana.
Da quell’annoallora 191 a.C. sono trascorsi oltre 20 secoli. Da allora, accanto alla gloria di Leonida (che rifulgeva già da 300 anni), brilla anche quella dei Fermani. La storia ne ha tramandato la fama attraverso i secoli, fama che – sebbene in misura diversa – “ancor nel mondo dura / e durerà quanto il mondo lontana” (Inferno, II, 60).
Anno 89 a. C. -Catilina e Cicerone 17 novembre dell’89 a. C.
Era il 17 novembre dell’89 a.C. Gneo Pompeo Strabone, generale romano, si trovava con quattro legioni all’assedio di Ascoli.
Si stava per compiere l’ultimo “atto” della guerra sociale, iniziata due anni prima. Gli Italici (Vestini, Marsi, Marruccini, Sanniti, Irpini, Frentani, Peligni) ed Ascoli, erano insorti contro Roma. Essi con forza reclamavano la cittadinanza romana e la loro “insurrezione” aveva scopi separatistici ed autonomistici. I Pretuzi, cioè i Teramani non vi partecipavano. Ascoli era isolata all’interno della Regione picena, in quanto Fermo era rimasta fedele a Roma; Ancona si disinteressava.
Roma inviò subito un esercito al comando di Gneo Pompeo Strabone (padre di Pompeo Magno) per reprimere l’insurrezione e dare una lezione ad Ascoli. La si voleva punire per prima, avendo essa scatenato la rivolta. Gli Italici ed i Romani, arruolarono subito i rispettivi eserciti, forti di circa centomila uomini ciascuno. Ad un primo scontro, avvenuto presso Falerone (e non a Falerno come erroneamente sostiene Laffi (Asculum I – pag. XXV) le truppe romane sono sconfitte dagli insorti comandati da Gaio Vidacilio, Tito Lafrenio, Publio Ventidio. Strabone ed il suo esercito si rifugiano a Fermo, che viene circondata d’assedio da Lafrenio. Tale assedio, si protrasse dalla primavera all’autunno del 90 a.C.
Roma mandò rinforzi che presero gli assedianti alle spalle. Strabone allora tentò una sortita e gli Italici, presi tra due fuochi, o meglio tra tre fuochi, per un incendio fatto scoppiare nei loro accampamenti, fuggirono terrorizzati, lasciando sul campo il loro comandante Lafrenio, ferito in combattimento.
“Nullo militari ordine carpentes iter” dice lo storico Appiano Marcellino (1, 47) cioè in disordine, si rifugiano in Ascoli e da assedianti passano ad essere assediati. I Romani infatti, iniziano l’assedio che durerà circa un anno. Gli insorti opposero lunga resistenza. Ad un certo momento per ingannare i Romani, dislocarono sugli spalti delle mura donne e vecchi per dare ad intendere che erano allo stremo e tentarono quindi, ma senza esito, una sortita. Così narra Frontino (III, 17).
Ma alla fine, Ascoli cadde e il 25 dicembre dell’89 a.C. Strabone celebrò il trionfo de Asculaneis Picentibus cioè sugli Ascolani Piceni. Ma in questa vicenda è emerso un fatto nuovo finora sconosciuto e sfuggito agli storici della guerra sociale.
Nel 1908, il Prof. Giuseppe Gatti di Roma, ebbe casualmente notizia di un frammento epigrafico di bronzo, in possesso di un privato. Ne diede notizia ad Ernesto Nathan, in quel tempo presidente della commissione archeologica italiana, nonché sindaco di Roma. Era l’editto di concessione della cittadinanza romana alla turma salluitiana, cioè ai trenta cavalieri spagnoli che militavano nell’esercito romano all’assedio di Ascoli. Oltre alla cittadinanza, Strabone conferiva onorificenze militari a tale turma.
Due anni dopo, nel 1910, fu scoperto il secondo frammento della lamina, frammento che combaciava perfettamente col primo (misure cm. 52×28). Dall’esame comparativo dei due pezzi (che si seppe poi erano stati rinvenuti durante i lavori di sterro sotto il Campidoglio), vennero fuori oltre ai nomi dei cavalieri spagnoli, anche quelli del consilium cioè dello staff del contingente militare romano.
Viene nominato innanzi tutto il consul Pompeo Strabone, eletto a tale carica il l2 gennaio dell’89 a.C. per cui fu sostituito per breve tempo al comando dell’assedio da Sex J. Cesar e poi da C. Bebio. Veniva-no poi: 5 legati, un questore; 16 tribuni militum; 33 equites, cioè cavalieri (in gran parte del Piceno) e 4 centurioni primipli.
Il documento, ora sotto bacheca nei Musei Capitolini, porta la data del 17 novembre (oggi ricorrono 2.082 anni) ed è rilasciato in castreis (sic!) apud Asculum cioè negli accampamenti presso Ascoli.
Esso ci fa conoscere una presenza importante. Fra gli equites c’è Lucio Sergio Catilina, che aveva appena 19 anni. Egli passerà poi alla storia, a motivo della famosa congiura (63 a.C.), contro cui tuonò Cicerone nella celebre invettiva “Quousque tandem Catilina abutere patientia nostra?”. Fino a quando Catilina abuserai della nostra pazienza?
Ma in tale assedio, oltre Catilina, che la lamina ci dice appartenente alla tribù tromentina, c’erano (come accennato), anche il figlio di Strabone, il futuro Pompeo Magno appena diciasettenne e Cicerone e, come noto, sventò la congiura di Catilina. La presenza di Cicerone non è indicata nell’editto del 17 novembre a.C. ma ce ne parla lui stesso nella Filippica XII. Infatti prima dell’ultimo assalto, gli Italici mandarono ai loro, truppe di rinforzo al comando di Vezio Scatone. Questi propose a Strabone un abboccamento. Risparmiare un ulteriore spargimento di sangue; ma né il senato italico né quello romano approvarono e fu l’ultimo scontro.
Più tardi, dopo 40 anni, precisamente nel 49 a.C. sarà pure presente Caio Giulio Cesare il quale dopo aver preso Fermo e dopo una sosta a Castro Truentino (zona di S. Benedetto del Tronto) si diresse in Asco¬li e vi si trattenne un giorno per fare rifornimento di frumento ibique (in Ascoli) unum diem rei frumentariae causa moratus. Così egli stesso afferma nel De Bello Civili, 1, XV.
Anno 79 a.C. – Prelibati i vini dell’Ager Picenus
Novembre… “per le vie del borgo / dal ribollir dei tini / va l’aspro odor dei vini / Vanime a rallegrar / … La notissima poesia carducciana così descrive questo periodo, in cui si beve il vino nuovo.
Il vino è un elemento che accompagna la vita deH’uomo. Se ne parla nella Bibbia (et vinum laetificat cor hominis), Odissea, etc.
Plinio, morto durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., parla di vini d’Italia. Nel libro XIV, IV della sua famosa Naturalis Historia accenna a quelli della costa adriatica: ai vini pretuziani (area del Teramano), a quelli di Ancona ed a quelli Palmensi.
Andrea Bacci medico di Sisto V e famoso in tutto il mondo occidentale per l’opera De Naturali Vinorum Historia, de vinis Italiae (Roma 1596, Francoforte 1607), descrive l’area del Fermano come la più ricca di vini gustosi e prelibati. Era nativo di Sant’Elpidio a Mare, conosceva tutta Italia e l’Europa e non ha dubbi nell’indicare l’area fermana come la zona più ricca di vini a cominciare da Ripatransone, Acquaviva, Montegiorgio, Santa Vittoria in Matenano, Montelparo, Mon-tegranaro, Magliano, ma soprattutto Falerone i cui abitanti durante le invasioni barbariche si rifugiavano a Cupra Montana portandovi i loro vitigni. Oggi Falerone è la capitale del vino Falerio!
Ma c’è di più: l’imperatore Diocleziano, morto nel 313 d.C., emanò un editto (Edictum Diocletiani) che altro non è, se non il calmiere dei prezzi dei cereali, delle merci di lusso, dei compensi per prestazioni d’opera. Vi sono indicati anche i vini. I più pregiati (quelli che oggi chiameremmo Doc) sono il vino rosso piceno (nominato per primo), il Tiburtino, il Sabino, l’Amminneo, il Saitino, il Sorrentino, il Falerno (ne parlano anche Orazio e Varrone). Ebbene dato che l’Ager picenus era a nord del Tesino (Plinio, Naturalis Hist 1333) il vino Piceno era prodotto proprio nella zona del Fermano. Lo stesso Diocleziano faceva esportare i vini da Civitanova e dintorni per la sua Dalmazia. Com’è noto, era di Spalato… E il vino piaceva anche a lui, e molto.
Anno 49 a.c. -Giulio Cesare, dal Rubicone al Piceno
Fiumicino, nome conosciuto nel mondo per il suo aeroporto internazionale. Fiumicino, nome di un piccolo, esile torrentello, dal 1933 identificato, o meglio, riconosciuto ufficialmente, come l’antico Rubicone, noto in tutto l’orbe terracqueo. Era la tarda sera dell’undici febbraio del 49 a.C. e Caio Giulio Cesare lo attraversò in armi. Ciò significava contravvenire a quanto disposto dal Senato di Roma, cioè che nessuno lo potesse attraversare senza l’espressa sua autorizzazione. Costituiva infatti il confine tra l’Italia propria e la Gallia Cisalpina, confine che in precedenza – sembra al tempo dei Gracchi (II sec. avanti Cristo) – era rappresentato dal fiume marchigiano Esino. Cesare, in dispregio del divieto del Senato, che gli aveva ingiunto di licenziare le truppe, lo attraversò. ‘Il dado è trattò echeggia da secoli, anche se Cesare non disse proprio così, ma: ‘il dado sia tratto. Non “alea jacta est’’, ma “alea jacta esto”.
Ce lo precisa l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) e ce lo conferma il testo greco di Plutarco (Vita di Cesare e Pompeo). Cesare dunque, alla testa di un piccolo esercito varca il fiume. Erano solo 300 cavalieri e 5.000 fanti. Occupa successivamente Pesaro, Fano, Ancona, Osimo e tutto l’agro piceno, che gli si dà spontaneamente, anzi (è lui stesso che ce lo narra nel De Bello Civili, I, XV) tutte le “praefecturae” del Piceno lo accolgono con entusiasmo, compreso Cingoli, patria del suo luogotenente Tito Labieno (lo abbiamo ‘incontrato’ molte volte nel De Bello Gallico) ora passato a Pompeo, che si mette ai suoi ordini.
Da Osimo, Cesare marcia su Fermo, la occupa. “Recepto Firmo ex- pulsoque Lentulo”, ci narra Cesare stesso, cioè presa Fermo ed espulso Lentulo ordina una leva militare e poi ingrossato ulteriormente l’esercito, cui, nel percorso si erano aggiunti molti volontari, si dirige su Castro Truentino e quindi in Ascoli. A confermare la presa di Fermo ci dà una mano Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro Vili, 12 delle Lettere ad Attico riporta un passo della lettera di Pompeo al proconsole Domizio: “Hai avuto notizia che Giulio Cesare dopo essere partito da Fermo è venuto a Castro Truentino” (“quod audieris Caesarem Firmo progressum in Castrum Truentinum venisse” ).
Giulio Cesare non dice altro; del resto, non nomina nemmeno il Rubicone ce ne parlano altri storici. Dopo la icastica frase “recepto Firmo” (presa Fermo) e dopo aver accennato alla leva militare, scrive che si re¬ca in Ascoli, dove si trattiene un giorno per fare rifornimento di frumento (rei frumentariae causa) e poi prosegue per Corfinio. Il dado gettato 2039 anni or sono, l’undici febbraio, ci ricorda che per l’identificazione del Rubicone vi furono molte lotte. Chi sosteneva che fosse l’attuale Pisciatello in quel di Cesena; chi Fiumicino in territorio di Savignano (dal 1932 Savignano sul Rubicone); chi l’Uso nei pressi di Sant’Arcangelo di Romagna. Prevalse Fiumicino, dal 1933 ufficialmente “battezzato” Rubicone. Nel secolo passato si giunse persino a chiedere un pronunciamento a tal riguardo alla Sacra Romana Rota, ma, inutilmente.
Anno 49 a.C. -Giulio Cesare, dal Rubicone al Piceno
Fiumicino, nome conosciuto nel mondo per il suo aeroporto internazionale. Fiumicino, nome di un piccolo, esile torrentello, dal 1933 identificato, o meglio, riconosciuto ufficialmente, come l’antico Rubicone, noto in tutto l’orbe terracqueo. Era la tarda sera dell’undici febbraio del 49 a.C. e Caio Giulio Cesare lo attraversò in armi. Ciò significava contravvenire a quanto disposto dal Senato di Roma, cioè che nessuno lo potesse attraversare senza l’espressa sua autorizzazione. Costituiva infatti il confine tra l’Italia propria e la Gallia Cisalpina, confine che in precedenza – sembra al tempo dei Gracchi (II sec. avanti Cristo) – era rappresentato dal fiume marchigiano Esino. Cesare, in dispregio del divieto del Senato, che gli aveva ingiunto di licenziare le truppe, lo attraversò. ‘Il dado è trattò echeggia da secoli, anche se Cesare non disse proprio così, ma: ‘il dado sia tratto. Non “alea jacta est’’, ma “alea jacta esto”.
Ce lo precisa l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) e ce lo conferma il testo greco di Plutarco (Vita di Cesare e Pompeo). Cesare dunque, alla testa di un piccolo esercito varca il fiume. Erano solo 300 cavalieri e 5.000 fanti. Occupa successivamente Pesaro, Fano, Ancona, Osimo e tutto l’agro piceno, che gli si dà spontaneamente, anzi (è lui stesso che ce lo narra nel De Bello Civili, I, XV) tutte le “praefecturae” del Piceno lo accolgono con entusiasmo, compreso Cingoli, patria del suo luogotenente Tito Labieno (lo abbiamo ‘incontrato’ molte volte nel De Bello Gallico) ora passato a Pompeo, che si mette ai suoi ordini.
Da Osimo, Cesare marcia su Fermo, la occupa. “Recepto Firmo ex- pulsoque Lentulo”, ci narra Cesare stesso, cioè presa Fermo ed espulso Lentulo ordina una leva militare e poi ingrossato ulteriormente l’esercito, cui, nel percorso si erano aggiunti molti volontari, si dirige su Castro Truentino e quindi in Ascoli. A confermare la presa di Fermo ci dà una mano Marco Tullio Cicerone. Egli nel libro Vili, 12 delle Lettere ad Attico riporta un passo della lettera di Pompeo al proconsole Domizio: “Hai avuto notizia che Giulio Cesare dopo essere partito da Fermo è venuto a Castro Truentino” (“quod audieris Caesarem Firmo progressum in Castrum Truentinum venisse” ).
Giulio Cesare non dice altro; del resto, non nomina nemmeno il Rubicone: ce ne parlano altri storici. Dopo la icastica frase “recepto Firmo” (presa Fermo, accolto) e dopo aver accennato alla leva militare, scrive che si reca in Ascoli, dove si trattiene un giorno per fare rifornimento di frumento (rei frumentariae causa) e poi prosegue per Corfinio. Il dado gettato 2039 anni or sono, l’undici febbraio, ci ricorda che per l’identificazione del Rubicone vi furono molte lotte. Chi sosteneva che fosse l’attuale Pisciatello in quel di Cesena; chi Fiumicino in territorio di Savignano (dal 1932 Savignano sul Rubicone); chi l’Uso nei pressi di Sant’Arcangelo di Romagna. Prevalse Fiumicino, dal 1933 ufficialmente “battezzato” Rubicone. Nel secolo passato si giunse persino a chiedere un pronunciamento a tal riguardo alla Sacra Romana Rota, ma, inutilmente.
Marco Armellini da sempre seguita a far conoscere nuovi documenti storici su Falerone anche nel libro edito nel 2017 =Falerone storia e cronaca di una comunità= in 160 pagine di storiografia mette la vita paesana faleronese in sintonia con la vita nazionale italiana. In copertina la foto di un dipinto di Piero Antonelli “Castrum Falleronis”. Si notano i temi della solidarietà di antica radice francescana e benedettina, tra l’altro nella Società Operaia di Mutuo Soccorso che dava aiuto alla classe dei lavoratori con vari apporti tra cui l’istruzione e la promozione di nuove iniziative produttive. Il senso spirituale di unione solidale è stato vissuto anche ad opera del culto alla “Madre del buon consiglio” a cui questo autore ha in precedenza dedicato un volume. In particolare, consideriamo la documentazione che egli ha reperito. Celebre l’antica sede vescovile di “Falerio Piceno” con la chiesa di San Paolino. La chiesa del popolo, detta ‘pieve’ (plebe) di Santo Stefano è parimenti segno degli insediamenti più antichi nella località Piane di Falerone vicino al fiume Tenna. Il francescano Fra’ Giovanni da Penna San Giovanni era frequentatore di questa pieve. I Francescani erano nelle chiese di Santa Maria degli Angeli e di San Giovanni alle Piagge, con propri conventi. L’autore ricorda la Chiesa di Santa Rosa, il teatro, la statua di Venere, il dipinto opera dal Crivelli, le lapidi per Garibaldi, per Giordano Bruno ed altre più recenti.
Un’organizzazione del tutto speciale e non reperibile altrove era la compresenza di quattro ecclesiastici, Priore, Prevosto e due altri Parroci che praticavano insieme il servizio pastorale con la presidenza settimanale a turno. Per la memoria della vita civile e religiosa dei Faleronesi sono ricordati i momenti ecclesiali ed anche quelli anticlericali. L’appendice del libro spazia su alcuni aspetti culturali come la gastronomia con l’olio, con il vino cotto e con dolci speciali. Vari i Blasoni locali e i momenti animati dal folclore.
Per gli studiosi non sia inutile indicare la bibliografia usata gli scrittori faleronesi e internazionali: Pompilio Bonvicini; Raffaele Foglietti; Raffaele e Gaetano De Minicis; Walter Scotucci; Amico Ricci; Gustavo Parisciani; Claudio Giovalè; Charles Clement; Giovanni Ginobili; Stefano De Angeli; Michele Feloci Pulignani; Giuseppe Colucci; Gian Battista Compagnoni; Luigi Vinci; Michele Catalani; e altre citazioni, anche da periodici come La Rivista Marchiana illustrata (1910); L’Osservatore Romano (1933); Rivista della Beneficenza Pubblica (1881); La Terra (1927); la Voce delle Marche e La Voce della Verità. Ha compulsato anche negli archivi gli Atti del Consiglio Comunale faleronese; dei Commissari; del Podestà e dei Sindaci; atti del Parlamento Italiano, della Banca d’Italia, della Curia diocesana e di altri enti e famiglie come Armellini, Telloni, Scafà. Interessante la citazione di siti documentali in internet. L’editore più specializzato è stato Menicucci per la sua tipografia locale.
Non sia inutile dare la raccolta edita delle illustrazioni:
1= Sigillo della parrocchia di Santo Stefano.
2 = Chiesa della Madonna degli Angeli 1545 e secolo XVIII
3 = Dipinto “Vergine in gloria con i santi Rocco e Lucia” di Vincenzo Pagani 1547.
4 e 5 = Resti di Chiesa e monastero di San Giovanni alle Piagge 1371 e secolo XVIII.
6 = Chiostro del convento
7 = Catasto Gregoriano secolo XIX – Falerone
8 = Largo Ferrer già Borgo Santa Rosa
9 = Manifestino della tombola, teatro, fiera 1859
10 = Manifesto dell’assemblea musicale 1868
11 = Piazza e teatro a Falerone secolo XX
12 = Manifesti per la morte di Garibaldi 1882
13 = Lapide per Garibaldi 1884
14 = Statua ‘Venere di Falerone’ e altre al museo Louvre
15 = Incisione francese: ‘Venere’ di Falerone 1874
16 = Cartolina postale al Sindaco del Comune di Falerone 1910
17 = Articolo con foto del dipinto di Crivelli 1927
18 = “Vita di San Francesco d’Assisi” nel manoscritto di Falerone edito 1910
19 = Incisione di Giuseppe Colucci fine secolo XVIII.
20 = Foto della visita C.A.I. 1889
21 = Manifestino per la Guardia Nazionale 1849 circa
22 = Modulo convocazione della Guardia Nazionale 1865
23 = Banda musicale 1886 anniversario 25° dell’Italia unita
24 = Sottoprefettura di Fermo per la banda 1891
25 = Carteggio della Banda Municipale 1910
26 = Soci della Società Operaia di Mutuo Soccorso 1868
27 = Prestito della Biblioteca Agraria Comunale
28 = Certificato medico nella Società Operaia 1904
29 = Targa della Società Operaia e lapide a G. Garibaldi
30 = Modulo del prestito volontario del grano anno1868
31 = “L’eco del Tronto” articolo sulla Società Operaia
32 = Istituzione della Cassa di Risparmio 1874
33 = Soci fondatori della Cassa di Risparmio (fine secolo XIX)
34 = Bilanci della Cassa di Risparmio dal 1874 al 1887
35 = Cartolina: Cassa di Risparmio anno1923
36 = Lapide a Sisto V (anno 1585)
37 = Petizione del Comune alla Camera dei Deputati, 1862
Sesto centenario: traslazione della S. Casa 1894 881
Settimo centen. traslazione della S. Casa 1994 882
Seume Johan Gottfried XVIIIs 887
Sfaldelli Raniero venerabile XVI 887
Sforza Alessandro XV 887
Sforza Drusiana XV 887
Sforza Francsvo XV 888
Sforzoloini Scassellati Forzolo XX 888
Sgarbi Vittorio XXs 889
Sgreccia Elio XXs 889
Shan Kuo-Hsi Paul XXs 889
Sheppers Vittore venerabile XIX 889
Sicuro Quintino servo di Dio XX 890
Sidarous Stefanos XX 890
Sieliska Maria Francesca beata 890
Sigalini Domenico XXs 890
Signorelli Luca XVs 890
Silenzi Augusto XXs 891
Silone Ignazio XX 892
Silvestrelli Beranardo Maria beato XIXs 892
Silvestrini Achille XXs 892
Simposio per i Penitenzieri XX 893
Sinapi Luigina serva di Dio XX 893
Sindone 893
Sinodo dei Vescovi sulla famiglia XXI 893
Sisto IV; XV 894
Sisto V; XVI 894
Slipyi Josyf servo di Dio XXs 896
Sobishi Clementina XVII 896
Sobieski Giovanni XVII 896
Soccio Laura XXI 897
Società Mariologica italiana XX 897
Sodano Angelo XXs 898
Soderini Pietro XVs 898
Soffitto della santa Casa XIV 899
Solari Adalberto 899
Solari Gianuario XVIIIs 899
Solari Girolamo XIX 899
Solari M. Cristina XXs 900
Solchetti in gradini attorno alla S. Casa XVI 901
Soldati Francesi XVI 902
Soldati Spagnoli XVII 902
Sorbellini Fabrizio XVIII 902
Sordy Katy XXs 902
Sorelle Francescane delle Vocazioni XX 903
Sorelle Minori di Maria Immacolata XXI 903
Southwell Roberto santo XVI 903
Sovrano Ordine Milatare di Malta XI 903
Spada Filippo Carlo XVII 904
Spada Lionello XVIs 904
Spadoni Reginaldo XVI 905
Spagnoli Giovanni Batt. “Mantovano” XVs 905
Spallanzani Lazzaro XVIIIs 906
Spallanza Lorenzo servo di Dio XX 906
Sparacio Domenico XIXs 906
Spazio e Cultura XXI 906
Speranza di Gesù beata XIXs 906
Spezieria XV 907
Spina Arcangelo XVII 908
Spinaci Settimio XX 908
Spirituaità della Santa Casa 12
Spinucci Domenico XVIIIs 908
Stael, Madame de XVIIIs 908
Staffolani Americo XX 909
Starace XIX 909
Statua della Cupola XIX 909
Statua della Madonna di Loreto XV 909
Statua in bronzo della Madonna di Loreto XV 912
Statuto della delegrazione Pontificia XX 912
Steffanina Beppe XX 912
Stella Battista XVIII 913
Stella Beniamino XXs 913
Stella Francesco XVI 914
Stella Luigi XIX 914
Stella luminosa XX 914
Stendardo della Congregazioen XIX 915
Stendha, de, Henri XIX 915
Stenone Nicola beato XVII 916
Stepinac Luigi Vittorio XIXs 916
Sterzinski Geor maximiliam XXs 916
Stoppni Antonio XIX 916
Strada Attilio XIXs 917
Strada pubblica XIII 917
Strambi Vincenzo Maria santo XVIIIs 918
Strossmayer Josip Jurai XIXs 918
Struttura della Santa Casa 10
Stuart Henry Benedict Marc Clement XVIIIs
Stucchi della chiesa 63Suarez Giovanni XVI 919
Suarez Giuseppe Maria XVII 919
Suenes Leo Josef XX 919
Sughi Alberto XXs 920
Suore del Buon Pastore XIX 920
Suore del Giglio v. Suore Francescane Missionarie
Suore della Carità vedi Istituto delle Suore della C.
Suore della Madre del Signore di Loreto XX 920
Suore della sacra Famiglia di Nazareth XX 920
Suore della Santa Famiglia di Savigliano XIX 921
Suore del Protettorato di San Giuseppe XIX 921
Suore dim Nostra Signora della carità XIX 921
Suore di San Francesco di sales XX 922
Suore di S. Maria – Divina Provvidenza XIX 922
Suore di santa Maria di Loreto XIX 922
Suore Figlie della Carità vedi Figlie della Carità
Suore Figlie di Sant’Anna XX 923
Suore Francescane Missionarie di Assisi XX 923
Suore Orsoline di Gesù XX 924
Suore Ospedaliere della Misericordia XIX 924
Suore Poverelle di Bergamo XX 924
Suriano Pina beata XX 924
Svampa Domenico XIXs 924
Szewczyk Magherita Lucia XIX 925
Tabrnacolo della cappella di San Giuseppe XIX 927
Tabernacolo di Cappella di San Luigi IX: XX 927
Tabernacolo delle santa Casa XX 927
Tabernacolo dell’ Altare Maggiore XVI 928
Tadei Gerolamo XVI 929
Tadini Emilio XXs 929
Tagle Luis Anton Gokim XXs 829
Tajani Antonio XXS 929
Talleoni Marcantonio XIXs 929
Talleyrand-Perigord Carlo Maurizio XVIIIs 929
Tamara Susanna XXs 930
Tambroni Fernando XX 930
Tanoni Italo XXs 931
Tarantola Anna Maria XXs 931
Tarkouskij Andrej XX 931
Taroni Giuseppe XVIIIs 931
Tarrés y Claret Pedro XX 932
Tarsie XV 932
Tasso Torquato XVI 932
Tassotti Dante XX 933
Tatuaggi 933
Taruan Jean Louis XXs 934
Tavani Francesco XIXs 934
Tavolette votive XV 934
Tazze della Santa Casa XVIIs 735
Teatro di Loreto XVIII 736
Tabaldini Giovanni XIXs 737
Tecnostampa XX 737
Tedeschini Fdederico XIXs 737
Tele della basilica 64
Televisione nella Santa Casa XX 738
Tempio dello Spirito Santo 13
Templari XII 738
Teofilo da Offida XX 939
Teramano XV 939
Terenzi Terenzio XVI 940
Teresa di Calcutta santa XX 941
Teresa di Lisieux santa XIX 941
Teresina di Gesù obbediente, serva di Dio XX 942
Terrazas sandoval Julio XXs 943
Tersatto XIII 943
Tesei Alessandro XXs 944
Tesoro XIV 944
Testa Emanuele XXs 946
Testaguzza Adrio XXs 946
Tettamanzi Dionigi XXs 946
Thédenat Henri XIXs 947
The Shrine of the Holy House-Loreto XX 947
Thiene Gaetano santo XVs 948
Thomas de Saint Etienne XIXs 948
Tiarini Alessandro XVs 948
Tibaldi Pellegrino XVIs 948
Tiberi Luigi XIX 949
Tiburtina Sibilla XVI 949
Tiburzio da Inzago XIXs 949
Tiepolo Giambattista XVIIs 950
Tinarelli Giulio Venerabile XIX 950
Tinelli vedi Sala del Tinello
Togni Giuseppe XX 950
Tolomei Antonio di Paola XV 950
Tolomei Nascimbeni XIV 950
Tolomei Pietro di Giorgio vedi Teramano
Tomacelli Andrea XIV 951
Tomasi Giuseppe Maria beato XVIIs 952
Tomasoni Antonio XVIs 952
Tombari fabio XIX 952
Tombolini Ancilla XXs 952
Tomko Jozef XXs 953
Tommaso d’Ancona XVIs 953
Tommaso da Novara XVIs 953
Tommaso da Olera beato XVI 954
Tommaso di San Gabriele XV 954
Tommaso Veneto XV 954
Tonini Ersilio XXs 954
Tonucci Giovanni XXs 954
Toppi Franceco Saverio servo di Dio XXs 955
Tornelli Girolamo XVIII 956
Torrentius Laevinius XVI 956
Torresi SilvioXXs 956
Torrioni vedi Bastioni
Torsellini Orazio XVI 956
Tortella Cino XXs 957
Tòtaro Brrnardino XX 957
Tournon, di Claudia XVI 957
Tradizione Lauretana XIII 957
Traglia Luigi XIXs 958
Trani Bendetto XXs 958
Trapattoni Giovanni XXs 958
Tribolo Nicolò XVI 958
Trigli Francesca del Serrone venerabil XVI 959
Trissino Gian Giorgio XVs 959
Trollope Thomas Alphonsus XIX 959
Trubbiani Valeriano XXs 959
Truchsess di Walbur Otton XV 959
Trujllo Lopez XXs 960
Tulli Giulio Ascanio XVI 960
Tucci Nicolao XVs 760
Tulliani Antonio beato XV 960
Ubalducci Guidobaldo XVIIs 961
Ufficio Accoglienza o Informazioni XX 961
Ufficio della Beata Vergine di Loreto vedi Messa
Ufficio di Comunicazioni Sociali XXI 961
Ufficio Medico di constatazione XX 962
Unesco XX 962
Unitalsi a Loreto XXs 963
Uovo di struzzo XIII 965
Urbani Carlo XXs 965
Urbani Fabiano XXs 965
Urbani Giovanni XX 966
Urbano IV; XIII 966
Urbano VI; XIV 966
Urbano VII; XVI 966
Urbano VIII; XVIs 766
Urfé, d’, Honoré XVIs 967
Uspenskij Porfirj XIX 967
Vaccari Wainer XXS 969
Vacchi Sergio XXs 969
Vagnonne di Corrado XIV 969
Valcora vedi Diotallevi di Angeluccio
Valenti Silvio XVII 969
Valerio Lorenzo XIX 969
Valignani Alessandro XVIs 970
Valle Giuseppe XXI 971
Vallini Agostino XXs 971
Vallombrosa,da, Bartolomeo vedi Bartolomeo
Van de Beken vedi Torrentiu
Van Dick Giovanni XVI 971
Vanhoye Albert XXs 971
Van Laer Pieter XVIs 971
Vannetti Marco XVIIs 972
Vannini Maria Giuseppina santa XIXs 972
Vannini Teodoli Ludovico XVI 972
Van Thuan Nguyen Francois Xavier ven. XXs 972
Vanvitelli Luigi XVIII 973
Varano Camilla Battista XVs 974
Varano Gentile Pandolfo XV 974
Varano Giulio Cesare XVs 974
Varlè Gioacchino XVI 974
Vasari Giorgio XVI 974
Vasi Giuseppe XVIII 975
Vastavillani Filippo XVI 976
Vattasso Marco XIXs 976
Vaughan Herbert Alfred XIXs 976
Vecchioni Ciriaco XVIII 976
Vecchiotti Luigi XIX 977
Vecerrica Giancarlo XXs 977
Vegas Modesto beato XX 977
Vegliò Antonio Maria XXs 978
Velasquez Pietro XVIs 978
Velo reliquia XVII 978
Venanzio da Fabriano XVs 979
Venerini Rosa santa XVIIs 979
Ventura Lattanzio XVII 979
Ventura Ventura XVI 980
Venturini Marco XIXs 980
Venuta vedi Festa della Venuta
Verdon Thimoty XXS 980
Vergani Orio XIXs 980
Verelli Tiburzio XVIs 981
Vergerio Pietro Paolo XVI 982
Veregeri Teresa santa XIX 982
Vescovo Tedesco XVI 983
Vespa Bruno XXs 983
Veste della Madonna 983
Vetrata della facciata della Basilica 983
Vetrate vedi Cappella (sei cappelle) 984
VeuillotLouis Francois XIX 984
Viabile Giuliano XXs 984
Via Crucis XXI 985
Via Lauretana XV 985
Vicente Ramos Dionisio beato XIXs 987
Vici Andrea XVIIIs 987
Vico Antonio XIXs 988
Vico di Matteo XIVs 98
Violo degli Stemmi XX 989
Vidal Ricardo J. XXs 989
Vidau Corrado XXs 990
Video-cassette sul santuario di Loreto XX 990
Vidoni Pietro XVIIIs 990
Viel Placida beata XIX 991
Viesse Marmont Auguste F. L. XVIIIs 991
Vigilio da Valstagna XIXs 991
Vignozzi Piero XXs 992
Villa di Santa Maria di Lo
Villa Pio XII XX 993
Villot Giovanni XX 993
Vincenzoni Francsco XIX 993
Vio Ettore XXs 993
Viola Ignazio XX 999
Violante Beatrice di Baviera XVIIs 994
Violi Mirella XXs 994
Violoni Angelico XX 994
Visconti Alfonso XVIs 995
Visconti Bianca Maria XV 995
Visconti Filippo Maria XIVs 996
Visconti Uberto Maria XVIs 996
Vita Stefano XXs 996
Vitaleoni Alessandro XVII 997
Vitali Antonio XIX 997
Vitali Giancarlo XXs 997
Vitali Giovanni Battista XVIs 997
Vitelleschi Giovanni XIVs 997
Vitelli Giambattista servo di Dio XVs 998
Viviani Antonio XVIIIs 998
Viviano Aldo XX 998
Vogel Antonio Giuseppe XVIIIs 998
Vogel Francesco XIXs 999
Volpi Adamo XX 999
Volpi Remo XX 999
Volta della basilica 63
Voltaire XVIIs 1000
Vouet Simon XVIs 1000
Wamala Emmanuel XXs 1003
Ward Mary venerabile XVIs 1003
Wettin MariaAmalia vedi Maria Amalia regina
Wey William XV 1003
Willibrands Johannes XXs 1004
Wittelsbach, di, Guglielmo v. Guglielmo di W.
Wrigtht John Josepf XX 1004
Zynski Stefan beato XX 1004
Yeon Soo-yung Andrew XXs 1005
You Tube XX 1005
Zaccaria profeta XVI 1007
Zandrino Adelina XIX 1007
Zanussi Krzysztof XXs 1007
Zavagli Tresa Faustina serva di Dio XIX 1007
Zec Safet XXs 1008
Zechini Graziosa venerabile 971s 1008
Zelatori e zelatrici della Santa Casa XX 1008
Zelli Gregorio XVIIIs 1009
Zeri Federico XX 1009
Zichetti Carla XXs 1010
Zichichi Antonio XXs 1010
Zigaina Giuseppe XXs 1010
Zohrabian Cirillo G. serco di Dio XIXs 1010
Zoilo Annibale XVI 1011
Zoungrana Paul XX 1011
Zuccari Federico XVIs 1011
Zucchi Bartolomeo XVIs 1011
Zuppi Matteo Maria XXs 1012
Zweibrucken, von,Friederich Michael XVIII 1012
Argomenti specifici della Basilica pag. 14
VEDI alle voci
*SANTA CASA: Affreschi – Altare degli Apostoli – Altare – Armadio -Camino – Credenza -Finestra – Immagine antica – Incendio – Iconostasi – Iscrizione esterna – Lampade – Legni -Misure — Muro dei Recanatesi – Nicchia – Paliotto – Pavimento – Pietre – Porte – Portico – Rivestimento Marmoreo – Santa Maria in fundo Laureti – Scodelle – Soffitto – Solchetti nel gradino del rivestimento – Statua della Madonna – Tabernacolo.
**TERRITORIO: Banderuola – Colle dei due fratelli – Monte Prodo – Strada pubblica –
*** STUDI e RICERCHE: Questione Lauretana – Tradizione – Scavi archeologici a Nazareth – Scavi archeologici a Loreto – *** STUDI e RICERCHE: Questione Lauretana – Tradizione – Scavi archeologici a Nazareth – Scavi archeologici a Loreto –
*** STUDI e RICERCHE: Questione Lauretana – Tradizione – Scavi archeologici a Nazareth – Scavi archeologici a Loreto –
Di tutti li preziosi Doni, che si conservano nel suo
Tesoro; e si conservano e risplendono nella
Santa Cappella, ed in fine le Porte
per diverse parti del Mondo.
In questa ultima impressione ornate di varie
Figure e diligentemente corrette
LORETO MDCCXCII
Nella Stamperia Srtorj con licenza de’ Sup.,
e Privilegio di Sua Santità Regnante.
NOTIZIE
DELLA S. CASA
CAPITOLO PRIMO
Della Città di LORETO, e sua Regione.
La città di Loreto, è posta ai confini della Marca Anconitana, presso le rive dell’Adriatico Mare, ed alla giusta metà del Piceno, la di cui lunghezza dai Geografi, e Cosmografi è tenuta di cento miglia come uni italiane dalla Foglia di Pesaro al Tronto d’Ascoli, e di larghezza cinquanta, dall’Appennino all’Adriatico, riguardando da Levante l’Illirico, a Mezzodì il Reame di Napoli, a Settentrione la Romagna, ed a Ponente l’Umbria. La Marca tutta è paese fertilissimo al parere di molti, che tale la descrissero, e come anche a nostri dì chiaramente si vede. Abramo Ortelio così ne scrive: Habet haec Regio ahrum fertilem, omnos generis frugum copiam producentem etc. è ripartita in pianure coltivate fra Inter posti ameni Colli, che la rendono insieme vaga, ed abbondante di viveri, talmente che ne somministra anche agli Stranieri, e molto ne scrivono Leandro Alberti nella sua Italia, e nella sua geografia Antonio Magni.
La sua riviera è giocondissime, e vaga per giardini, colma di Viti, e fruttiferi Alberi; abbonda pure di Aranci, Limoni, ed Olive, che ne trasmette altrove, come il Maggino afferma, e lo stesso pure lo Storico Lauretano, dicendo: Picenum regio Italiae satis opulenta etc. fu chiamata da Appiano Giardino d’Italia, e da Boezio maestosa Idea, che fa mostra di sé al Colle Lauretano. Nei tempi andati fu ornata di più città, e più magnifiche, che al presente, ed ora nella Marca novella contansi da trenta Città con i suoi Vescovi popolata del pari, che adorna di moltissime Terre, e Castelli, delle quali ne scrivono Tito Livio, Tolomeo, Plinio, Pietro Mario, Silio Italico, e Giulio Cesare. Evvi di Ducato di Civitanova, e vi è Fermo con quarantotto Luoghi di suo antico dominio. Vi è il Presidato di Montalto celebre per aver dato alla Chiesa Sisto V, Francescano.
Vi si contano i Governi di Ascoli, Fano, Ancona, ora ornata del Porto franco, Jesi, San Severino, Fabriano, Camerino, e Macerata,ov’è la Pubblica Rota, e Gran Tribunale di tutta la Provincia come ancora la Tesoreria della Marca, e pubblico emporio della regione: Città doviziosa, e comoda, ove continuamente concorrono i Popoli al suo Governo soggetti con ogni sorta di vettovaglie, senza verun dazio delle robbe, e merci; dei quali privilegj godé sempre Loreto, per ordine proprio di Giulio II; Leone X, e Sisto V, i quali la propagarono di Abitazioni, la cinsero di Mura, e la fornirono di Baloardi, e Terrapieni. Nel 1765, poli sono stati i medesimi restaurati per ordine di Roma, e presidiata la Città di Soldati, e ben provveduta di ogni sorta d’armi per schermirsi da qualunque nemico insulto, oltre l’Armeria pubblica per difesa di S. Casa, suo Tempio, e Palazzo, da lungo tempo eretti, per contestazione di che descrisse Ortelio: Lauretum muris, fossis, etc. Turribus cinctum, atque propulsatariis armis instructum.
In tal modo assicurata la città con le armi, Clemente VII procurò di abborracciar l’aere, facendo seccare le acque stagnanti, e recider le selve che eranvi intorno: la qual’opera fu poi Pio V proseguita.
Fu parimenti da Clemente VII suddetto atterrato in gran parte il vicin Colle , che sovrastava al Loreto, e continuata tal’opera da Sisto V, apertavi in esso la via Romana da Gregorio XIII fra i Monti Appennini, per comodo di venire da Roma a Loreto in carrozza.
CAPITOLO II
SANTA CASA di Loreto, e suo antico culto.
Il santuario più celebre, è frequentato fra quanti se ne ve n’erano nella Chiesa, Cattolica da’ suoi fedeli più favorito dal Cielo con non mai interrotti prodigi, e miracoli è quello, che si venera in Loreto, piccola, ma felice città del Piceno. Non è altro questo, che la S. Casa, ora detta di Loreto, la quale fabbricata in Nazaret, fu propria ed abitata dai Ss.Coniugi Gioacchino, e di Anna, l’uno di Nazaret, e l’altra di Bettelemme. Qui fù conceputa, data alla luce, ed è allevata MARIA Ss. Loro unica, e di un’inigenia Figliola fino al terz’anno della di lei età, dopo la quale condotta da loro, e consegrata a Dio nel Tempio di Gerusalemme. Morti quivi i S. Genitori, Ella ne restò erede; e data poi in Isposa all’uomo castissimo S. Giuseppe vennero insieme ad abitarla, e vi dimorarono fino alla partenza di Bett. Fu ella ancora in questa med, Casa visitata dall’Arc. S. Gabr, annunciando l’Incarnazione del Verbo nel di lei purissimo Seno; e ricevuto da lei il consenso divenne vera Madre di Dio, e il Divino Verbo d’umana spoglia ammantato suo vero Figlio; e conseguentemente in questo sacrosanto Albergo si dié principio, anzi si gettò il fondamento all’umana Redenzione. Ritornata poi dall’Egitto la tornò ad abitare con di lei S. Sposo Giuseppe, finché questi in essa compì i suoi giorni; e col Santissimo Figliol suo fino all’in cominciamento della predicazione, cioè al trentesimo anno della sua età, il quale appunto per sì lungoa dimora fatta in questa S. CASA, ancorché nato forse in Betlemme, fù poi sempre chiamato Gesù Nazareno. Tornò Ella più volte ancora ad abitarla con S. Giovanni; e con S. Luca, dopo l’Ascensione del Signore, dove i Ss. Apostoli si congregavano per conferire e decretare cose spettanti alla nuova legge di grazia alla presenza di lei lasciata loro dal Redentore direttrice, e maestra.
Per tali, e tante maraviglie, misterj operati in questa S. CASA fu tenuta da’ Ss. Apostoli, e dai primi Fedeli in grande venerazione, e consagrata in Tempio per celebrarvi i Divini Ufficj. È però dentro di essa innalzato da’ medesimi un’Altare con l’Immagine del Redentore Crocifisso vi celebravano la Santa Messa, vi dispensavano l’Eucaristico Pane, e vi facevano orazione. Che se in altri luoghi ove Gesù Cristo aveva operata qualche azione singolare, sanno molti Sagri Autori, che vi furono edificate Chiese, ed Altari; quanto più si dovrà credere, che i Santi Apostoli la consacrasse, e l’avessero come Chiesa, non essendo altra Chiesa, che più meriti d’essere così chiamata quanto questa, ove lo stesso Iddio prendendo umana spoglia volle essere conceputo dalla sua Vergine e Madre Santissima; esser nudrito, allevato, ed abitare corporalmente con gli Uomini: ove con umiltà impareggiabile soggettossi non solamente a’ voleri della sua Genitrice, e del putativo suo Padre: erat subditus illis: ma ancora ai sudori, alle fatiche, erat quasi annorum reiginta ut putabatur filius Joseph. Laonde que’ primi Fedeli vedendola così onorata, e frequentata dai Ss. Apostoli se ne affezionarono talmente, che per molti anni seguirono anco essi a frequentarla, e venerarla, chiamando la Casa dell’Incarnazione del Verbo Domus Incarnationis.
Benché nell’anno 137, della nostra Redenzione Adriano imperatore facese profanare i principali luoghi di Terra Santa ponendovi Statue, ed Altari de’ falsi Dei, acciò che in avvenire i Fedeli non potessero più in essi piegar le ginocchia, e farvi orazioni; tuttavia la S. CASA non può mai come quelli profanata, ma sempre continua, e stabile vi perseverò la dovozione, e la frequenza. Anzi l’anno 300 quando S. Elena Madre del gran Costantino si portò a venerare quei luoghi Santi, e a toglier loro l’abominazione, giunta a Nazaret la vennerò, e la fece circondare d’un magnifico Tempio, nella fronte del quale, fece porre questa iscrizione: Haec est ara in qua primun jactum est humanae salutis fundamentum. Quindi ha bene, che vieppiù si accrebbe la divozione, ed il concorso non sono di Asia, e di Africa, ma ancora della nostra Europa, e per molti secoli si conservò. Indi non poche rivoluzioni successero in quelle parti, possedendo la Palestina diversi Principi. Finalmente l’anno 1245, essendo restata tutta in potere de’ Parti, S. Lodovico, l’ottavo di questo nome, Re di Francia, vi andò con poderoso Esercito per liberarla, ma non riuscito nell’intento, a cagione della peste, che indebolì il suo Esercito, vi restò schiavo. Perloché venuto a composizione cogl’Infedeli, recuperò la libertà. Prima però di allontanarsi da quelle parti volle portarsi in Nazaret e a venerare la S, CASA.
Era quel giorno la vigilia della Festa dell’Annunciazione della Ss. Vergine, la quale passò in digiuno di pane, e acqua.Pigliata la via del monte Tabor appena da lontano la vidde, che sceso da Cavallo si prostrò in terra ed umile l’adorò.
La mattina giorno della Festa, vestito di cilizio si portò appiedi alla S. Abitazione, ove con segni di Cristianissima Religione ascoltata la Messa, che fece cantare con gran solennità, ed apparato, si cibò dell’Eucaristico Pane. Serva tutto questo di chiarissima prova in qual concetto, e venerazione fosse stata sempre appresso de’ Fedeli, la S. CASA:. L’esempio del Santo Re fu tale, che non sono efficacemente mantenne la frequenza, e la divozione ad essa; ma vieppiù l’accrebbe, e la dilatò.
CAPITOLO III
Traslazione della SANTA CASA
restato libero agl’Infedeli il possesso della Palestina, che fu l’anno 1291, mancò la frequenza a quei Santi luoghi per timore della fierezza dei Turchi, tuttavia non mai si spense affatto; poiché trovandosi quelli o in Gerusalemme, oppur vicini a qualche città principale, alla quale era l’accesso se non sicuro, almeno non tanto pericoloso per cagion del commercio, la S. CASA solamente come quella ch’era lontana, nella Galilea, e fuor di mano restò del tutto abbandonata, ed esposta alle abominazioni qual gemma. In mezzo al loto;Sicché le fù impedito affatto l’accesso non solo de’ lontani, ma degli stessi Galilei. Io però come quelli, che sempre veglia all’onor della sua Genitrice, a favore della quale non cessa di mostrarsi ora terribile ai nemici di essa, ed ora agli amici soave, e benefico, prevedendo le innumerabili scelleraggini, che si sarebbono commesse in quella Ss, Abitazione, nello stesso anno la fece spiccare dagli angeli dal suol nativo di Nazaret, e trasferire, come Elia nel Paradiso Terrestre, ed Abacuc nel lago di Babilonia, in luogo ove fedeli la potessero come prima con libertà frequentare. Nell’anno adunque di nostra redenzione 1291 ai 9 maggio, del pontificato di Niccolò V, da Nazaret e fu trasportata nella Schiavonia vicino alle rive del Mare Adriatico sopra un Colle, fra le due Terre allora di Tersatto, e di Fiume. Appena si accorsero gli abitatori della casa non mai ivi per l’addietro veduta, che in gran numero concorsero a contemplarla prima esternamente, poi nell’interno ancora: E fissando lo sguardo nelle antiche pareti, nell’Altare, nell’Immagine della gran Madre di Dio si sentirono sorprendere da un insolito sacro orrore, e tenerezza, che prostrati nel suolo, e compunti vi adoravano la Maestà Divina. E benché eglino non sapessero di chi fosse, d’onde fosse venuta, e come ivi portata; tuttavia restavano attoniti ringraziando Dio, e la gran Vergine del benefizio. Con molti segni, e prodigj la medesima Vergine di giorno in giorno faceva loro intendere, che quella era la di lei S. CASA.
Fra gli altri, due furono i principali. L’uno l’istantanea guarigione di Alessandro Priore di San Giorgio di Tersatto, il quale sin da tre anni si trovava idropico confinato in letto già gonfio, e quasi immarcito senza alcuna speranza di corporale salute. Inteso da’ Domestici il portentoso arrivo di quella Casetta, e che la Madre di Dio, di cui v’era l’Immagine faceva grazie particolari, di vero cuore se le raccomandò. Ella gli apparve la notte pietosamente consolandolo; e gli rivelò cos’era quella Casa, i misteri ineffabili in essa operati, in che modo fosse stata portata, e da che parte: e in questo mentre si sentì perfettamente guarito. Stupefatto si alzò dal letto, e la mattina manifestò al suo popolo il gran prodigio; e perché era Uomo di autorità con prontezza creduto. L’altro fu che Niccolò Frangipani Nobile Romano, allora Governatore di quella Regione detto Ban di Croazia, e Schiavonia per l’imperatore Ridolfo I, e insieme Signor di Tersatto, appena avvisato del prodigio vi si portò, la vidde, la considerò attentamente, e ancor egli prostrato vi adorò l’Imperatrice dell’Universo. Ma oltre la relazione d’Alessandro di San Giorgio, e la di lui guarigione istantanea, e manifesta, volle maggiormente accertarsi. Perlocché scelte quattro persone le più prudenti, e fedeli del Paese, e fra queste lo stesso Alessandro, le spedì a Nazaret e colle misure, acciò dal confronto di queste, dalla contemplazione del luogo, e dalle relazioni dei Nazareni medesimi venissero in cognizione del lor Tesoro. Partono subito, e giunti felicemente colà trovato il sito ove era la S. CASA mirano il pavimento restato, e i fondamenti, come appunto fossero stati tagliati a pian di suolo; e scontrate le misure le trovano giuste, e uniforme. Poi dalle informazione di que’ sconsolati pochi Fedeli, che ancora non avevano abbandonato Nazaret, e dal compiuto seco loro fatto della partenza di quella Casa vengono in cognizione della di lei ammirabile Traslazione fra loro. Sì che giubilanti tornati in patria, accertano il loro Signore, e il popolo tutto, che quella Casa fra loro portata è la Casa di Maria Vergine, ov’Ella concepì l’Eterno Verbo per noi fatto Uomo. La qual cosa divulgata, si aumentò in que’ popoli, ed è in queste vicine Province la divozione alla gran Madre di Dio, ed il concorso alla di lei S. CASA.
Ma siccome nell’eterna Sapienza aveva disposto, che la Schiavonia, e Tersatto fosse unicamente come la casa di Obedenon depositaria dell’Arca, e non mai posseditrice; così dopo tre anni, e mezzo di dimora in quelle parti fu trasferito con lo stesso Ministerio Angelico questo sacrosanto Albergo dalla Schiavonia nella Marca d’Ancona, e da Tersatto in Loreto. Accadde nel 1294 ai 10 Dicembre, nel Pontificato di S. Celestino V, cioè tre giorni prima che egli rinunziasse il Pontificato. Gli successe Bonifacio VIII. Il sito dove fu posato fu il lido dello stesso mare Adriatico per contro alla Schiavonia in una selva del Territorio di Recanati, di cui era padrona una Nobil Donna della Città medesima chiamata Laureta, dalla quale poi derivò il nome della S. CASA di Loreto. Ma perché quivi concorrendo in gran numero i divoti mossi o dall’insolito prodigio, o dalle continue grazie, che si ottenevano dalla gran Madre di Dio, erano molestati da’ Ladroni, che nascosti nelle vicine selve incendiavano le loro vite; dopo la dimora in questo luogo di otto mesi, cioè nel 1295 fù trasferita con lo stesso prodigio più verso Recanati sopra di un Colle di due Cittadini Fratelli. Ancora quì fù breve la dimora; poiché venuti fra di loro a contese, volendo ciascun di loro appropriarsi l’offerte, che si facevano da’ divoti, fu all’improvviso, non più ivi veduta, ma bensì trasferita al solito prodigiosamente non più d’un tiro di frezza lontano posata in mezzo della pubblica via, che da Recanati conduceva al suo Porto. E benché fosse così spesso trasferita, non partì mai dal territorio di Recanati: ed è la prima posata, che pur nella selva, ritenne mai sempre il nome della S. CASA di Loreto.
CAPITOLO IV
SANTA CASA, e sue vestigie.
E’ cosa veramente ammirabile come l’increata Sapienza abbia voluto, che ovunque è stata la S. CASA sia restato notabile vestigio di lei, e memoria particolare. Quando stava nel primo suolo di Nazaret, S. Elena, come si disse, le fece fabbricare intorno un magnifico Tempio, di cui presentemente si vedono le vestigia, ed i frantumi; e dopo che gli Angeli la staccarono dai suoi fondamenti, e la posarono nella Schiavonia, vi rimasero, ed ancora vi sono, il pavimento e i fondamenti, che giungono fino al piano del suolo. Nel Colle di Tersatto, in mezzo alla cui cima in vaga pianura, chiamata in loro lingua da quella gente raunizza, ove fu posata, e poi tolta la S. CASA, Niccolò Frangipani per memoria, e consolazione de’ sconsolati suddetti sopra le di lei vestigie vi innalzò una piccola Cappelletta simile a lei; e vi fu aggiunta a questa poi da’ suoi discendenti una Chiesa, ed un Convento dei Padri dell’Osservanza Riformati di S. Francesco, nella quale fù posta questa iscrizione incisa in pietra, che fino al presente si legge, cioè: Hic est locus in qua olim fuit Sanctissima Domus Beatae Virginis de Laureto, quae nunc in Recineti partibus colitur.
Nel luogo, dove nel Piceno la prima volta fu posata; e vi dimorò; come si disse otto mesi, finché vi durò la Seiva di Laureta, che fu fino all’anno 1275 sempre vi si sono vedute le di lei vestigie nel suolo. Anzi entro lo spazio delle quattro parti non vi nascevano spine, né ortiche, come ivi d’intorno, e per tutto solevano nascere, ma solamente erbette tenere, e fiori. Chiamasi questo luogo sin da quel tempo la Bandirola, e i Pellegrini andavano per devozione a visitarloi. Questo prodigio dei fiori si vedeva sin dal tempo di Girolamo Angelita, com’egli stesso afferma scrivendo al Pontefice Clemente VII. Inoltre è fama universale, che quando gli Angeli, portando la S. CASA si avvicinarono alla Selva, che noi diciamo Tufa, di color castagno rozzamente riquadrate in forma di mattoni nostrani, ma ineguali talmente fra loro, o per lunghezza, per altezza, che l’una mai confronta con l’altra. La forma quadrangolare, ma lunga, e non ha altro pregio, che nell’antichità. Misurata internamente è lunga 42 palmi romani, e 10 oncie, larga 18, e 4 oncie, ed alta 19, e 4 oncie. Prima che esternamente fosse adornata de’ marmi, e sculture avea il suo tetto aguzzo, sopra del quale si vedeva un semplice Caminetto, ed un piccolo Campanile, con due campanelle, come si vede in alcune povere Chiesole. Internamente sotto questo v’era una tavola come per volta, che noi diciamo soffitto dipinto di color azzurro, e partito in piccoli quadretti, ciascuno dei quali aveva nel mezzo una Stelletta di legno dorato. Sotto questo immediatamente seguivano attorno le S. Mura lunette informate di stucco di mezzana grandezza, le quali si toccavano insieme, ed avevano ne’ lor mezzi incastrati alcuni vasi di terracotta vetrati. È opinione, che questi vasi fossero stati ad uso della S. Famiglia, adoperati dalla Ss. Vergine a preparar il cibo a Gesù Cristo Figliuolo suo, e al suo casto sposo S. Giuseppe, e che i Ss. Apostoli come S. Reliquie di li collocasse a il luogo così eminente.
Le S. Mura, come dalla pianta che qui si pone, sono di grossezza 2 palmi, e 7 oncie, ma fatti non molto a misura, e a perpendicolo, nelle quali dalla metà all’alto, si vedono certi vestiti si di pittura assai antica, e dalla metà al basso le nude pietre, essendo stata dalla gran frequenza dell’affollato popolo consumata la calce.Nel S. Muro volto a Tramontana, che parmi dovesse essere la facciata della S. Abitazione, vi era quasi in mezzo una porta, ed era l’unica, alta 10 palmi, e larga 6, e 3 oncie, simile a quelle, che da poveri si usano, e per architrave aveva un rozzo Legno, che tuttora si mira in esso muro incorrotto e senza tarlo. A mano sinistra era un piccolo Armario che ancora sussiste, alto 3 palmi, e 6 oncie. È fama, che in questo Armario tenesse la Ss. Vergine la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Nel vicino muro a Ponente v’era una finestra alta 4 palmi, e palmi 9 alta da terra. Dirimpetto nel muro volto ad Oriente vi era basso, e piccolo camino alto 6 palmi, e 2 oncie, largo 3, e 5 oncie, di manifattura come le altre case, povera, ed ordinaria. Finalmente nel muro volto a Mezzo-Giorno dirimpetto alla suddetta Porta (ora chiusa con muro) v’era l’Altare alto 5 palmi, e il lungo 6, e 3 oncie con l’Immagine del Redentor Crocifisso dipinta da S. Luca, che per maggior consolazione de’ fedeli qui viene dimostrata; sul cui Altare è fama che celebrassero i S. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, e per ordine di Clemente VII fu trasferito in mezzo alla S. CASA verso il Camino, e il quadro fu posto sopra la finestra. Entro lo stesso muro verso l’angolo destro, v’era incavata una nicchia ove era collocata la S. Statua della gran Madre di Dio col suo Bambino in braccio, ora trasferita in mezzo al muro d’Oriente sopra il S. Camino. Ella è tutta di rilievo intagliata in legno di Cedro, alta 4 palmi, e il Bambino un palmo, e 8 oncie. Stà dritta in piedi, e tiene con la sinistra il suo Figliuolo verso la cinta, e con la destra, fatto un piccolo gruppo con le pieghe del manto, le sostiene. La faccia della Madre, e del Figliuolo è miniata di incerta mistura, che pare argento, ma pel tempo, e per continuo fumo de’ lumi è divenuta affatto bruna. In capo, intagliato nello stesso legno, come un velo, o panno bianco, sopra il quale posa una corona fatta a punte. I capelli sono lunghi ondeggianti, divisi, e sciolti, che discendono alle spalle alla Nazarena come ancora è la veste lunga sino a piedi di color rubino lumeggiata d’oro, stretta ai fianchi da una cinta di fondo dorato ornata di vari fioretti rossi, e verdi di figura piana, e larghetta parte della quale pende dal nodo, e va a nascondersi sotto il manto, che è di colore azzurro con fodera di color carminio, sparso di stellette dorate. Posa diritto in piedi il Bambino sopra il gruppo del Manto sostenuto dalla destra materna. È vestito ancor Egli alla Nazarena, con veste, e manto, conforme a’ colori di quello della sua Genitrice. Colla sinistra sostiene un piccolo globo significante il Mondo, e con la destra stà in atto di benedire col pollice, indice, medio alzati, e le due altre dita strette alla palma. Ambidue nella positura, e ne’ sembianti mostrano un’amabilissima Maestà, che sorprendendo, danno insieme conforto, e tenerezza. Si trovava in questo stato la S. CASA quando da Nazaret in Schiavonia, e da essa in Loreto fu traslata. Dell’altra disposizione, che poi le fù data d’ordine di Clemente VII se ne tratterà diffusamente a suo luogo, ed ora per compimento del capitolo presente, e per maggiore soddisfazione de’ divoti, si pone qui la Tavola dello spaccato, ossia interno della S.CASA, acciò i lontani la possino avere in qualche modo sotto gli occhi, e dei presenti da loro medesimi possino confrontare le cose, e i siti esposti in questo capitolo, e così confermare, ed accrescere la loro divozione.
DICHIARAZIONE DELLA PARTE INTERIORE DELLA S. CASA
Santo Muro a Settentrione
N.1 Volta della S. CASA fa d’ordine di Paolo III, col suo occhio in mezzo, e grata di ferro, la quale posa solamente sopra le mura, che sostengono i marmi esteriori, distinte affatto dalle S. Mura.
N. 2 Piccolo Armario fabbricato con lo stesso muro con traversa di legno incorrotto, e senza ombra di tarlo. È fama come si è detto, che qui la Ss. Vergine conservasse la S. Bibbia, e i Ss. Apostoli l’Eucarestia.
N. 3 Porta unica ora serrata, che aveva la S. CASA, col suo architrave sopra senza Carlo, e di incorrotto. Fu ferrata per ordine di Clemente VII con aprirne altre, che fossero più atte al numeroso Popolo.
N. 4 Porta moderna corrispondente ad altra aperta per più comodo del Popolo.
N. 5 Sasso portato via, e miracolosamente da sé ritornato al suo luogo. Per segno a una grappa di ferro.
N. 6 pitture antiche fatte in Nazaret e dipinte a fresco su S. Muro.
N. 7 cornicione della volta, che posa ne’ muri de’ marmi.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato delle S Muro incorrotto, e senza tarlo.
, Santo Muro a Mezzo-Giorno
N. 1 Credenzino, ove si conservano recentemente le reliquie. E’ tradizioni come si disse, che questo fosse il sito e parte della Nicchia, ove fu trovata la B.ma Vergine; e l’altra parte fosse levata nell’aprirsi la nuova Porta del Santuario, comunemente chiamata del S. Camino.
N. 2 Porta del Santuario, o S. Camino a perdita d’ordine di Clemente VII, per comodo dei Sacerdoti, e per ritiro de’ Personaggi.
N. 3 Altra porta corrispondente all’altra, fatta aprire dallo stesso S. éontefice per comodo del popolo.
N. 4 Pila di pietra per uso dell’Acqua Santa fermata nel S. Muro, venuta con essa da Nazaret.
N. 5 Armario dell’Ampolline per le Messe.
N. 6 Pietra del S. Muro fatta estrarre con breve di Pio V da Giovanni Soarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, il quale della Ss.Vergine fu obbligato restituirla, per segno è circondata da una picciola lama di ferro.
N. 7 Immagine di S. Ludovico VIII, Re di Francia dipinta in Nazaret nel S. Muro.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato nel S. Muro tuttavia senza tarlo, e incorrotto. Da questi legni così incastrati, e poi segati si suppone, che anticamente nella S. CASA vi fosse qualche divisione, per cui si formassero due stanze.
N. 9 Cornicione della volta, che posa sopra i muri, che sostengono i marmi.
N.10 Altre pitture antiche fatte a fresco in Nazaret.
Santo Muro d’Occidente.
N. 1 La Croce di Legno con l’Immagine dipinta sopra di essa del Crocifisso alta 5 palmi, ed altrettanto larga, l’asta, e le teste 2 palmi. Venne questa da Nazaret colla S. CASA, ed era il Quadro dell’Altare. I Principi d’Aragona gli fecero una Cappella nel Tempio, ove fu trasportata più volte, e sempre miracolosamente ritornò in questo sito. È fama, che tanto questa, quanto la statua della Ss. Vergine, siano opere di S. Luca Evangelista.
N. 2 Unica finestra della S. Casa ora d. della Nunziata.
N. 3 Legno incastrato nel S. Muro, e poi segato senza tarlo, e di incorrotto.
N. 4 Volta della S, CASA sostenuta dal muro de’ marmi.
Santo Muro d’Oriente.
N. 1 Statua di Cedro della B. Vergine col suo Bambino venuta da Nazaret colla S. CASA, la quale tuttavia dopo anni 498 della sua venuta in Loreto si mantiene incorrotta, e senza nemmeno ombra di tarlo.
N. 2 Il S. Camino tanto ad uso della S. Famiglia di Gesù, Giuseppe, e Maria.
N. 3 Credenzino, ove si conserva la veste della S. Vergine, e nel disotto una delle S. Scudelle.
Nel Mezzo
Altare formato della stessa materia delle S. Mura, ove celebravano la Messa i Ss. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, detto altare di S. Pietro. L’antico sito era nel S. Muro posto a Mezzo-Giorno, come si disse, dirimpetto all’antica Porta, trasferito ora nel mezzo per ordine di Clemente VII con l’aggiunta della grata, la quale divide la parte del Santuario detta del S. Camino dal resto della S. CASA.
CAPITOLO V
S.CASA riconosciuta nella Marca.
Osservate i Recanatesi le varie mutazioni fatte dalla S. CASA in così poco spazio di tempo, benché niuno di loro sapesse, che Stanza o Chiesa fosse mai quella; nulladimeno restavano stupefatti, riverenti, ed insieme divoti della gran Madre di Dio, nella quale vedevano la di lei Immagine, ed ogni giorno diverse grazie, e miracoli farsi a quelli, che, piamente visitandola di vero cuore se le raccomandavano. Ancora di tempo in tempo veniva a visitarla alcuni della Schiavonia o collocazione di traffico, oppure mossi dalla fama sparsa di tali miracoli, di quelli che trovavano presenti sospirando, e con lacrime dicevano,ch’eglino di quella S. CASA erano stati i fortunati possessori, indi da Dio privati. Queste, ed altre cose dicevano, ma non v’era chi loro ponesse mente, o credesse. Quando un divoto romito, che ivi spesso si tratteneva in orazione, sentendo un dì tali cose narrare, ed osservando la loro affliizione, o per desiderio di saperne la cagione, o per caritativamente consolarli minutamente l’interrogò. E da quelli intendendo, che quella sacra Abitazione era stata da loro posseduta, e venerata in Tersatto, trasferita miracolosamente da Nazaret, e che era la stessa Casa, ove nacque la Ss. Vergine, ove vi concepì l’Eterno Verbo, lo allevò, e lo nutrì, entrò in desiderio di saperne dalla medesima Vergine la verità. Dopo molti digiuni, ed orazioni fu consolato. Gli apparve Ella, gli rivelò come aveva fatto ad Alessandro di Teriata, i misteri operati in essa Casa trasferita dalla Galilea, e dalla Schiavonia in quel luogo per ministero Angelico, senza dimora si portò in Recanati a manifestare il prodigio, e la inesplicabile sorte a’ Maggiori della Città. Nel principio a cagione dell’insolito portento, e per la grandezza della cosa, non fu creduto: ma poi a poco a poco animando molti particolari, operò in modo, che fu risoluto di spedire nella Schiavonia, a Tersatto, indi nella Galilea a Nazaret Persone non men fine, prudenti per certificarsi della verità. Furono adunque spediti sedici uomini scelti dalla Provincia della marca a pubbliche spese colle misure della S. CASA, fu l’anno 1296. Giunti in Tersatto, sono appieno informati da quei Abitatori ancor mesti della venuta fra loro, della dimora, e della partenza della S. CASA; e condotti al luogo, osservate le vestigie, sopra delle quali i Frangipani avea fatta innalzare una Cappelletta, con la quale confrontare le misure, e fatto il calcolo dei tempi in tutto corrispondente partono tutti lieti per Nazaret. Quivi giunti, furono da quei Popoli fedeli rimasti, appieni informati, e condotti al luogo. Ivi vedono in frantumi, le rovine del Tempio di S. Elena ruinato dagli Infedeli, e tra queste mirano il pavimento, i fondamenti della S.CASA restati nel suolo, e adattate le misure seco loro portate, le trovano giuste, e conformi, e della stessa materia della Casa loro miracolosamente trasferita, onde tieni di giubilo ritornarono in Recanati. Informarono tutti di quanto trovato aveano in Tersatto, e in Nazaret, e che dai segni, e dalle relazioni avute non avevano alcun dubbio, anzi certezza, che quella tra loro fosse la vera Casa della Madre di Dio già stata a Nazaret. Si accrebbe comunemente negli animi dei Marcheggiani la divozione, e lo zelo verso la S. Abitazione, e la Regina del Cielo, che la costituirono Protettrice, e Padrona di lor stessi, e della loro Provincia. Sparsa appena la voce, e il nome della S.CASA, Abitazione di Gesù Cristo, prima Chiesa della legge di grazia, consagrata con tanti misteri, che non solo i Recanatesi, e i Popoli vicini, ma ancora i lontani a cento , o mille venivano processionalmente con Musiche, ed abiti diversi a venerarla, e riconoscerla. Crescevano per mezzo di lei le grazie, e i miracoli, e con questi ancora la divozione, ed il concorso. Tantopiù che talora si vedevano sopra la S. Abitazione di notte alcune fiamme, che tutto quello spazio d’intorno empivano di meraviglioso splendore. Il vescovo di Recanati ne informò il Pontef. Bonifacio VIII, coll’ordine del quale fabbricò il Borgo di Loreto. Il medesimo Pontefice persuaso del celeste prodigio, ed acceso di tanto zelo, conferì molto alla devozione, e al concorso, poiché nel 1300 fece pubblicare la prima volta l’anno Santo per impetrare da Dio la pace. Questa santa novità diede ai Fedeli un grand’animo di andare a Roma per sì grand’Indulgenze, e quelli che potevano passare per Loreto, con allegrezza particolare visitavano la S.CASA.
Intanto i Recanatesi, nel dominio dei quali era il Borgo di Loreto temendo che la S. Magione, per essere qui sola, senza fondamento, ed appoggio col tempo potesse rovinare, pensarono al provvedimento. Vi fecero un muro di mattoni contro i fondamenti così vicini alle S. Mura, che in qualunque accidente di pericolo le sostenesse. È fama antichissima come afferma il P. Battista Mantovano, che quasi elle contente del divino appoggio, sdegnassero quello dell’arte umana; e per divina virtù fecero da loro stesse allontanare le nuove mura.Il P- Torsellino aggiugne di avere udito lo stesso del P. Raffaele Riera, Uomo di singolare autorità, ed informato di questa verità da chi aveva il tutto coi propri occhi veduto. La distanza era, che fra il nuovo muro, e quello della S. CASA vi poteva comodamente passare un Putto con una torcia in mano, e così restarono fino al tempo di Clemente VII, quando fu innalzato il nuovo muro pe’ marmi, il quale al presente ancora il lontano dalle S. Mura, come pazientemente, si vede da una fessura vicina alla porta di tramontana, nella quale si suole porre una piccola candela accesa, a di cui lume apparisce questa distanza. Crescevano intanto con la frequenza dei Popoli i doni, e le limosine
V’era più luogo ad altri Voti ancor preziosi. Forse (stimano alcuni autori) per dar luogo a questi, che si risolvesse di elevare dalla sacra cappella l’antico Crocefisso Quadro dell’Alt., e ne seguisse il Miracolo d’essere trovato all’antico loco. Gli stessi Recanatesi per la medesima cagione, e per comodo al gran concorso di fabbricarono attorno ampi portici, ornandole di pitture, che esprimevano le traslazioni, ed insieme innalzarono un Altare appoggiato al S. Muro di Ponente nella parte esteriore sotto la finestra, detto poi dell’Annunziata, perché non potendo tutti per la gran moltitudine entrare nel A. Recinto ad ascoltare la Messa, almeno udir la potesse in altra parte.
Sebbene ogni giorno era quasi festivo, e solenne per il concorso dr’ Divoti, tuttavia la Ss. Vergine volle mostrare qualche giorno le fosse più grato, che ivi con maggior Solennità si celebrasse. E fu che Paolo di Montorso Romito, che abitava in un vicino Bosco, e che questo si intratteneva orando nella S. CASA, osservata per lo spazio di dieci anni continui, che sulla mezza notte delli 8 Settembre scendeva dal Cielo una fiamma, e si posava sopra di lei; perlocché si pose a supplicare la Vergine, che la cagione le manifestasse: Ella apparendogli, disse, che siccome in quel giorno si celebrava il Natale di lei succeduto in quella casa, così voleva che nella medesima solennemente si celebrasse. Ne diede parte al Vescovo, e ai Maggiori di Recanati, i quali lietamente, e prontamente ubbidirono con far solenne quel giorno: tanto più che ogni anno seguitava a vedersi tal fiamma. Era questa così palese, che non restava persona, che oro dalle mura della Città, o dalle finestre, e dai tetti delle loro Case non mirasse spettacolo così divoto. Durò, dicono i Scrittori, a vedersi fino al tempo di Paolo III. Accertati in questo mentre i Pontefici della verità, con Privilegi, ed Indulgenze particolari accrebbero la Solennità, ed il concorso. Passa la fama delle prodigiose fiamme, dalle città vicine alle lontane, si aumentò il concorso de’ divoti, per lo che i Recanatesi stimando convenirsi accrescere le Abitazioni per ricevere i Pellegrini, e Confluenti, e per accrescimento di comodo de’ Sacerdoti Ministri, circa all’anno 1322, fabbricarono una Chiesa, e molte case, talmenteché il Borgo finora di Loreto, fù innalzato all’essere di Castello.
CAPITOLO VI.
Del Tempio Lauretano.
Era cresciuta molto la diminuzione dei Popoli verso la S. CASA, ma non mai tanto come quando dai principali Personaggi del Mondo fu solennemente visitata. Furono questi moltissimi sì Ecclesiastici, che Secolari, le memorie dei quali hanno formato un Tesoro. Non riferisco i loro nomi, e le grazie, poiché il mio assunto è di narrare brevemente, e semplicemente la Storia Loretana per comodo de’ Pellegrini divoti. Chi desiderasse una piena notizia ricorra al Torsellino, Seragli, e gli altri, che copiosamente ne trattano. Io solamente ne scelgo due Sommi Pontefici, che fra gli altri molti vennero personalmente a visitare la S. CASA. Sia il primo Pio II, prima chiamato Enea Piccolomini Senese, il quale assalito da una ostinata febbre mentre che doveva portarsi in Ancona, a facilitare l’impresa contro del Turco, ove s’adunava l’Armata, mosso dalla fama dei miracoli, e grazie, che continuamente la Ss. Vergine otteneva da Dio nella S. Casa, se le raccomandò. E come fosse stato un certo di avere integrata la salute, le spedì un Calice d’Oro. Fatto il voto, cessò la febbre, e talmente ricuperò le perdute forze, che con gran comitiva di Cardinali, e gran Signori si pose in viaggio, e giunse a Loreto perfettamente guarito. Entrato nella Sagrosanta Abitazione, e prostrato avanti la sua Liberatrice, soddisfece il voto, e fù nel 1464. Non viddesi mai nella sS Cappella così vago spettacolo per esser ricolma di Principe, Cavalieri, e Baroni prostrati avanti alla gran Madre di Dio.
Molti erano venuti da Roma col Pontefice ad ammirare la grande Armata; altri molti, e particolarmente i primi Uffiziali d’Ancona ad incontrarlo. Intanto la salute di Pio ammirata da gran Signori di diverse Nazioni, e da tanti provdi Guerrieri fù cagione, che si dilatasse la fama del Santuario Loretano per tutta l’Europa. Fu il secondo Pietro Barbo Veneto Card. Di San Marco il quale colpito dalla Peste in Ancona, non potendo come gli altri portarsi in Roma all’Elezione del nuovo Pontefice, ricordevole della potente intercessione di Maria, tanto efficace a Pio, si fece portare in Loreto, e giunto alla S. Casa, volle quivi rimanere solo, e placidamente si addormentò. Fù fama, che dormendo, non solo fosse assicurato della corporale salute, ma altrisì del futuro innalzamento al Pontificato. Se fosse illusione ovvero rivelazione, lo decide l’evento. Destatosi perfettamente guarito, colmo d’allegrezza con istupore universale, e particolarmente de’ suoi famigliari, che erano appieno informati, uscì dalla S. Cappella. Fece subito chiamare il Rettore della Chiesa, a cui palesò il suo pensiero di voler ivi innalzare un nuovo, e magnifico Tempio alla Regina del Cielo. Ordinogli intanto, che a suo conto facesse scelta dei Muratori, e preparasse i materiali bisognevoli.
Giunto in Roma, cadde in lui il Pontificato, ed è innalzato alla gran dignità col nome di Paolo II, ricordevole della ricoperata salute, ordinò senza indugio, che atterrata l’antica Chiesa fatta fabbricare dai devoti di Recanati, si fabbricasse il magnifico Tempio, che al presente si ammira. È vero ch’egli non lo poté compire; tuttavia il P. Battista Mantovano ci assicura, che fù da lui quasi a perfezione condotto. Sisto IV, e Giulio II, successori, ed imitatori di Paolo, non tanto nel pontificato, quanto nella particolar divozione della Vergine Loredana, furono quelli, che compirono l’opera, l’adornamento. Terminò il primo non solo la fabbrica, ma ancora tornato, e provvidela d’ottimi Sacerdoti, e di eccellenti Cantori. Il secondo la fortificò esternamente, e in tal guisa, che la fece divenire una ben ordinata, e fortissima Rocca, sì per la varietà delle mura, come per la struttura di esse, che a guisa di bastioni, con corridori coperti, che alla di lei sommità e intorno girano per uso di presidio, e comodo alla città. Provvidela ancora a nell’interno con fondarvi un muro di Musici, e di due grandi Organi dorati, ed ornati di vaghe pitture. Fece fondere due vaste Campane, e di ordinò li amplissimi fondamenti del Campanile.gli otto di lastroni, che sostenevano la grande cupola, non reggendo a tanto peso, rlassatisi in parte, minacciavano ruina: perloché.ispedì subito il suo Architetto Antonio Sangallo per rimedio a tanto pericolo. Fece questo immediatamente ai lati del Pilastroni profondi, e ampi cavi, ne quali fece fabbricare nuovi muri di rinforzo con unire ai grandi Archi laterali un nuovo ordine d’archi minori frapposti alli maggiori, coi quali assicurò mirabilmente la Cuppola, ed insieme accrebbe al Tempio come tuttavia si osserva, nuovo ornamento e decoro.
Richiedevasi per compimento dell’opera la facciata de’ marmi bianchi. Gregorio XIII, con la sopraintendenza di Lattanzio Ventura Architetto l’incominciò, e Sisto V la compì perfettamente. Questi appena assunto alla dignità Pontificia, come nato, e allevato, e per lo più vissuto nella Marca, ben si avvidde quanto gli conveniva non solamente di imitare gli Antecessori, ma lungamente superarli. Ed in fatti fù tale la di lui divozione, e nell’impegno, che pare non volesse lasciare ai suoi Successori luogo ad ulteriori ingrandimenti.
La chiesa da principio fu semplicemente offiziata, ed è amministrata da Pietro di Gregorio Prepositp Teremano, e da altri pochi Sacerdoti Ministri, pel sostentamento de’ quali, e per gli infermi, Mons. Niccolò degl’Asti Vesc. Di Recanati, e Macerata comprò terreno del proprio ed assegnollo per fondo. Leone X, la fece Collegiata con fondarvi 12 Canonicati, 12 Mansionarìe,o Benefiziati, e 6 Chiericati di Coro, assegnando loro il mantenimento dall’entrate del Santuario. Sisto V, la dichiarò cattedrale, ed oltre l’aver confermati i 22 Canonicati,e Mansionarìe, aggiunse 4 Dignità, cioè: l’Arcidiaconato, l’Arcipretatato, Primiceriato, e Tesorierato: ed oltre ai sopradetti 6 Chiericati Corali, ne aggiunsero altri sei. Gli assegnò per suo primo vescovo Mons. Francesco Cantucci Perugino Uomo celebre non meno in pietà, che in dottrina. Stabilì la Diocesi con tre riguardevoli Terre, cioè Castelfidardo, ch’era della Diocesi di Ancona; M. Lupone di Fermo; e M. Cassiano d’Osimo. Confermò vieppiù l’uso delle funzioni introdotte fino dalla Protettoria del Cardin. Morone per ordine Pontificio, cioè: che si facessero nella Chiesa di Loreto, come appunto si fanno in Cappella Papale. Innalzò il Castello di Loreto all’esser di Città deputando Magistrati, ed ornando leggi pel suo Governo, ed acciò la nuova città non fosse solamente di nome, fece comprare il Colle che le sovrasta, detto Montereale, e fatto a sufficienza appianare, obbligò ciascuna Comunità della Provincia secondo il disegno a fabbricarvi una Casa; concedendo alle Persone, che venissero ad abitarla, o vi fabbricassero, favori, e Privilegi particolari. Fece tuttociò con tanto gradimento della Provincia, che a di lui memoria eresse la magnifica Statua di Bronzo posta su pavimento della Regia Scalinata fuor del Tempio.
CAPITOLO VII.
Facciata del Tempio.
Poiché mi sono proposto oltre la breve Istoria Loretana di narrare ancora qualche altra cosa fu lo stesso soggetto, che possa recar diletto al Forastiere divoto che si porta in questo gran Santuario, e nel tempo stesso non lo allontani, e non lo frastorni dalla divozione anzi vieppiù lo incoraggisca, e l’infiammi; incominceremo a descrivere minutamente ciascuna parte del Tempio, e le opere particolari, che lo costituiscono, e l’adornano. E siccome tutte queste sono eccellenti, e magnifiche sì per lavoro, come per la materia, e conseguentemente per il notabil travaglio, e spesa, onde potrà riflettere a qual segno sia cresciuta, e dilatata la divozione; e l’affetto dell’Imperatrice dell’Universo in questa sua S Casa. Tutti gli ornamenti, e qualsivoglia altra cosa, sono stati fatti con l’elemosine, e doni de’ Divoti, oppure con le entrate; e sì gli uni che le altre o hanno ovvero ebbero lo stesso principio, cioè la divozione, la gratitudine dell’affetto: e così nel considerarli rifletta ancora agli innumerabili benefizi, che di continuo, e largamente si concedono in questo luogo. Daremo principio da quella parte, che prima delle altre ci si presenta allo sguardo, cioè la facciata del Tempio. Ella è posta ad Occidente, fabbricata di pezzi di pietra di Istria così diligentemente squadrati, e con tanto artificio uniti insieme, che sembra fatta d’un pezzo solo. Ha innanzi disse una maestosa scalinata di otto gradini divisa a 4 a 4 da un frapposto pianetto. Sopra questa vi è il pavimento di lastra della medesima pietra, che insieme con la Scalinata occupa tutta la facciata. Nel piano del pavimento sopra li scalini a mano destra vi è una base ottangolare attorniata di nicchie, con figure rappresentanti le Virtù, e Tavole istoriate a mezzo rilievo, e Cartelloni, il tutto fatto di Bronzo, sopra del quale posa la Statua gigantesca del gran Pontefice Sisto V, parimenti di Bronzo, sedente in abito Pontificio col Triregno in capo, in atto di dare al Popolo la Benedizione: opera del Bernardini fatta a spese della Provincia della Marca nel 1587, in memoria di sì degno Pontef., benemerito della stessa Provincia.
Tutta la facciata è divisa in due ordini. Il primo è formato di 4 pilastroni ciascuno dei quali è composto di 4 pilastri, due di fronte e due di fianco con basi, capitelli, cornicioni, e scolature d’ordine Corinto. Fra questi pilastroni si formano tre vuoti, o piani,nei quali, vi sono tre Porte con sue colonne, ed adornamenti. Sopra la Porta di mezzo, che è la maggiore vi è una nicchia, entro la quale posa una vaga Statua di bronzo della Ss.Vergine col suo figliuolo in braccio, a similitudine della Statua Loretana, opera di Girol. Lombardi ciascuna delle due Porte minori laterali ha sopra di sé un Cartellone di Marmo nero con Iscrizione di lettere incise, e dorate. Nel primo. SIXTUS V. P. M. Picenus Ecclesiam hanc ex Collegiata Cathedram constituit XIV, Kal, Apr.MDLXXXV. P. A. P. Nel secondo.
SIXTUS V. P. M. Picenus Episcopali dignitate ornatumCivitas jure donavit An.
MDLXXXVI. P. A. P. Ciascuna di queste iscrizioni ha sopra di se una finestra,
con vaghi ornamenti, la quale corrisponde, e porge lume alla sua nave laterale.
Sopra lo scolatore incomincia il secondo ordine ch’è diviso in due pilastroni, ciascuno dei quali parimenti è composto di 4 pilastri due di fronte, e due di fianco, con sue basi e capitelli, e cornicione di ordine Corinto, tra quali si forma un solo volto, o piano. In questo si apre una gran finestra, che corrisponde, ed illumina la navata maggiore nel mezzo, ornata di Archi, Colonne, Conchiglie, Rosoni, e di altri ornamenti, ed ingegnosissimi rari capricci. Sopra questa sede un cartellone di marmo nero con iscrizione andrà alle lettere incavate, e dorate, che da lontano ben si distinguono; iscrizione, più veneranda e magnifica, cioè: Deiparae Domus, in qua Verbum caro factum est: ai lati della sopraddetta si aprono due ale, che vanno a terminare in due grandi volte, appresso alle quali sorgono due Torrioncini, che hanno in faccia le sfere, e sopra le Campane degli Orologi, uno Astronomico, e l’altro Italiano. Sopra il Cornicione segue il timpano, termine della Facciata, sull’acuto del quale vi è una gran Croce con due Candelieri ai lati di bronzo con basi, ed ornamenti di pietra. Il disegno di questa facciata, e palazzo è del Bramante, ed alla esecuzione ebbe sopraintendente il Ventura. Nel pontificato di Gregorio XIII, sotto la protezione del Card.Vastavillani fu cominciata in quello di Sisto V sotto la protezione del Car. Gallo fu terminata. Le misure di sì vaga facciata, come del nuovo Campanile innalzato sotto il Pontificato di Benedetto XIV, e compiuto l’anno 1753, sù disegno del Vanvitelli; che si espongono qui impresse a vista delli Lettori.
CAPITOLO VIII.
Porte del Tempio.
Le tre Porte del Tempio Loretano, oltre gli adornamenti di marmo, hanno ancora quelli di bronzo quali per l’invenzione, per il disegno, per l’opera, del loro genere, una non cede all’altra. Sono queste porte di bronzo finora ammirate come uniche, non che rare. Nell’ingresso maggiore, che corrisponde alla navata di mezzo, vi è una grande, e magnifica Porta di bronzo divisa in due parti, e ciascuna di esse è distribuita in diverse riquadrature maggiori, e minori.
Nelle maggiori si esprimono alcuni fatti della S. Scrittura appartenenti al Vecchio Testamento; nelle minori al Nuovo: cioè i principali Misteri della vita della Ss. Vergine. Sono tutte ornate di varie bizzarrìe, Fregi, Festoni, Armi, Statue intiere, Semibusti, Arpìe, Satiri, e Centauri, ch’escono graziosamente dagl’incartocciati fogliami. Ho risoluto per brevemente ristringermi, di accennare soltanto le maggiori, come appartenenti al Vecchio Testamento, che comunemente non si distinguono da tutti, e tralasceremo le minori, che da ognuno si conoscono, e distinguono.
Nella prima parte adunque posta a destra della Porta maggiore nella prima riquadratura si esprime la creazione di Adamo nel Paradiso Terrestre. Nella seconda, la maledizione dei primi Genitori dopo trasgredito il precetto con Abramo, che con la Sappa lavora la terra, ed Eva che fila con la rocca. Nella terza, la fuga di Caino instabile e timido dopo l’uccisione di Abele. Nella parte sinistra a capo nella prima riquadratura, la formazione di Eva dalla costa di Adamo addormentato. Nella seconda, l’espulsione dei suddetti afflitti, e piangenti dal Paradiso Terrestre. Nella terza, Abele assalito da Caino che l’uccide. Queste son Opere ammirande di Giacomo, e Antonio Lombardi figliuoli, ed allievi del celebre Girolamo Statuario, e insieme Fonditore.
Negl’ingressi, che corrispondono alle navate minori, laterali, ancor essi hanno le Porte di Bronzo, e benché siano dei minor grandezza di quella principale, tuttavia però non sono di minor pregio, ed ingegno. È cosa veramente meravigliosa il mirare in sì piccoli spazi le figure, e gli atti di esse così ben formati, ed espressi, nelle prospettive di Valli, Monti, Mari, Città, Anfiteatri, Deserti, ed altre cose ingegnosissime, e vaghissime, che sorprendono. Sono ancora queste divise in due parti, e queste parti medesime sono distribuite in riquadrature attorniate da Fregi, Festoni, Statue de’ Profeti, e Sibille, da Gogliami, Arme, Scudi, e da altre molte vaghissime capricciose invenzioni. Nella prima minor Porta posta a mano destra, e nella parte destra a capo nella prima riquadratura, si esprime la creazione di Adamo assai diversa per l’invenzione, dall’altra posta nella Porta maggiore. Nella seconda Asar dolente col moribondo Ismaele, e l’Angelo che la conforta. Nella terza Adamo, che sacrifica il suo figlio Isacco nel Monte, e i Servi che aspettano nella valle sottoposta. Nella quarta Mosè, che passa col popolo Ebreo il Mar Rosso, e l’esercito di Faraone sommerso, e confuso fra l’onde, e gli Ebrei nell’opposto solo giubilanti. Nella quinta la Manna, che cade nel deserto agli Ebrei, i quali si veggono occupati in provedersene. Nella parte sinistra parimente da capo nella prima riquadratura alla formazione di Eva dalla costa d’Adamo addormentato con disposizione diversa dalla prima. Nella seconda Rachele, che dà a bere ai Cameli di Giacobbe, e i Servi cortesi e grati verso di lei.
Nella terza il trionfo di Giuseppe nell’Egitto è saltato da Faraone, degli Egizj, che l’onorano, e fanno applauso. Nella quarta Giuditta, che recide il capo di Oleferne, e la Servente col panno, per porvi il reciso capo. Nella quinta, Mosé nel deserto, che con la Verga fa scaturire dal Selce acque copiose, e gli Ebrei gli avidi a dissetarsi. Ciascuna di queste riquadrature, siccome tutte l’altre ha la sua prospettiva competente e distinta.
Nella seconda Porta laterale posta a mano sinistra, e nella parte destra a capo, si esprime nella prima riquadratura il sacrificio di Caino incontro al sagrificio d’Abele. Nella seconda il sacrificio di Noè fatto dopo il diluvio, e l’Iride che simboleggia la pace. Nella terza la riduzione dell’Arca con Davidde giubilante, ed il Popolo, che festeggiando lo segue. Nella quarta la comparsa di Dio a Mosé mentre pasceva l’armento del Suocero. Nella quinta, Abigaille incontro a Davidde mentre passa per il Carmelo. Nella parte sinistra parimente a capo, e nella prima riquadratura l’uccisione di Abele fatta da Caino d’invenzione assai diversa dall’altra. Nella seconda, la scala di Giacobbe con gli Angeli, che discendono, e ascendono per essa. Nella sala il Trono di Salomone colle Guardie, e Cortegiani. Nella quarta l’esaltazione del serpente di bronzo nel deserto, ed i percossi, che languenti lo mirano. Nella quinta il Re Assuoero in Trono, appié del quale Ester supplicante per suo popolo Ebreo. La prima porta laterale è opera di Antonio Bernardini, e la seconda di Tiburzio Verzelli. Silvio Serragli Computista del Santuario nella sua Storia Loretana si afferma, che dalle memorie della Computistarìa si rileva, che la sola fattura di queste tre porte passò il valore di 30 mila scudi, non compresa la materia. In somma sono queste tre Porte fatte con arte, e maestrìa, che non mai abbastanza si può esprimere con parole. Non vi è persona di qualche poco intendimento, che nel contemplarle non provi un particolar diletto, e non resti stupefatta, e sorpresa.
CAPITOLO IX.
Interno del Tempio.
Il Sagro Tempio Loretano a figura di Croce composto in tutte le sue parti a tre navate. È lungo C. 45, largo C. 35 e 147 in circa di giro. Il capo, e le braccia della Croce vanno a finire con tre Cappelle. Quella di mezzo è più grande, e forma Tribuna; le laterali più piccole, e minori a proporzione. Negli 4 angoli della Crociata sotto i gradini sono formate in un ottangolo 4 Sagristìe, o Salvarobbe.
La prima detta Dispensa della S. Cappella, rassegnata ai custodi del santuario, ove da essi si conservano le preziose Vesti della S. Statua, l’imbiancherie, ed argenti per l’Altare entro laS. Casa, e le gemme, ori, voti, denari dell’elemosine, ed offerte, e qualunque altra preziosa cosa donata al Santuario, infin che giunga il destinato tempo di consegnarsi al Governatore, ed alli Ministri. La seconda chiamata S. Giovanni, è ad uso principale dei canonici, ove vengono i loro capitoli, e del Can. Sindaco per consegnare ai Corali di semestre in semestre le loro paghe, che consistono tutte in danaro. Serve ancora ai Sagrestani Vescovili per conservare i paramenti solenni, e le argenterie della chiesa. La terza è assegnata ai suddetti sagrestani, ove tengono ben custodite negli Armari le argenterie del Coro, e paramenti. Quivi si apparano tutte le Messe da cantarsi tanto in S. cappella, quanto per la Chiesa, secondo l’intenzione dei Benefattori. Si chiama Sagristia della Cura, perché serve ancora ai Curati quasi di Archivio, e qui si apparano nelle funzioni spettanti al loro uffizio. La quarta detta la Tesorerìa, perché stabilita a conservare danari, elemosine, entrate in denaro, gemme, ori, e qualunque altra cosa preziosa del Santuario.
Incomincia l’asta della Croce ad Occidente, la quale più lunga dell’altre parti, formata da 12 pilastroni, cioè 6 per parte, riquadrate coi suoi cordoni negli angoli, che ancora girano nelle lunette delle volte, e sono alti palmi 68. La navata di mezzo è la maggiore, sopra i cui pilastroni sorge il basamento, che sostiene gli archi acuti alla gotica, e la volta alta palmi 88. Gli archi, e la volta delle navate laterali sono minori, ma dell’istessia forma, e lavoro, e posano sopra i soli pilastroni alti da terra palmi 68, ogni arco alla sua cappella corrispondente di larghezza palmi 20, e 12 di sfondo.
Posa la Sagros. Abitazione nel centro della Crociata in vago pavimento di marmo scaccato di quadretti rossi e bianchi, e sollevato dal piano della Chiesa così parimente scaccato da 4 gradini di pietra bianca alto ciascuno un palmo, e 9 oncie. Le stà sopra una magnifica Cuppola sostenuta da 8 gran pilastroni, che attorno ad essa disposti in giro formano un’ottangolo, sopra quali posano altrettanti archi, cioè quattro maggiori, e quattro minori, ed i maggiori sono di altezza palmi 78. Ciascuno di detti pilastroni rende per di sopra una colonna piana, che fa un angolo ottuso d’ordine Corinto alto palmi 38, e su questa incomincia a sorgere la grand’opera con un Architrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 21. Segue il tamburro con 8 gran finestroni, al quale succede un altroArchitrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 30. Finisce col suo proporzionato lanternino circondato da 8 finestre, secondo la forma ottangolare, che rendono.
Sotto gli scalini del pavimento a linea retta dell’asta segue ad Oriente il capo della Croce, il quale è composto a tre navate, conforme l’ordine con tre pilastroni per parte, sopra i quali posano due archi l’uno minore, l’altro maggiore, e finisce con tre Cappelle, quella in cui termina la navata di mezzo è assai ampia, e forma tribuna, le laterali sono più piccole a proporzione della prima. A Tramontana ha il braccio destro, e a Mezzo-Giorno il sinistro, i quali hanno gli stessi pilastroni, ed Archi, e terminano con le tribune corrispondenti alle navate minori, e maggiori.
La Cappella a destra della Tribuna del braccio destro non ha Altare, invece del quale ha una gran Porta che conduce alla Sagristìa del Tesoro, ove s’apparano i Sacerdoti per celebrare nell’Altare della S. Cappella, o in quello della Nunziata. Entrata questa, in faccia vi è un altra Porta maggiore, e più magnifica, ornata di pietra bianca, che dà l’ingresso al Tesoro, ove in armarj di noce ben ordinati si conservano le gemme, gli ori, gli argenti, e i preziosi paramenti offerti al Santuario da Personaggi, e gran Signori, dei quali a suo luogo se ne darà sufficiente notizia. Succede a questa un’altra Sagristìa grande detta Vescovile, alla quale si va per mezzo d’un corridore, che conduce per linea retta ai Portici della Piazza, nella qual Sagristìa s’apparano in banconi diversi, secondo il rango, i Sacerdoti, che debbono celebrare negli Altari della Chiesa. Come questa, così tutte le altre Sagristìe sono abbondantemente provvedute di sacri Arredi, e argenterìe convenienti al luogo, alle persone, ed alle solennità.
CAPITOLO X.
Ornamenti del Tempio.
Quest’opera, che finora abbiamo veduta così bella, e magnifica nella propria disposizione; conviene ora mirarla adornata, poiché oltre il pregio dell’arte se l’accresce quello della rarità, le ricchezze, che l’adornano, e la distinguono. Nelle navate laterali corrisponde ad ogni arco la Cappella ciascuna delle quali deve ornarsi di ricchi marmi, e di moderni Altari per stabilirvi il quadro di Mosaico. Nella prima Cappella vicina alla Porta della sinistra navata, la di cui Pittura a fresco è del Pomarancio, invece dell’altare vi è il magnifico Fonte Battesimale di Bronzo, opera di Tiburzio Verzelli gran Fonditore.
Questa stupenda mole pel delicato lavoro, e moltopiù per le giuste, e meravigliose invenzioni, considerata insieme forma un mezzo sessagono piramidale. È alta in tutto palmi 25 larga 15. Si divide in piedi, vaso, e coperchio. Posa il piede sopra un vago pavimento di pietra elevato di tre scalini parimenti di pietra, che formano ancor essi il sessagono. Egli era formato di graziose volute, legature, incartocciamenti, di fogliami, e di altre invenzioni. Nella parte interiore sono posti a giro, negli angoli 4 putti nudi, alati, di tutto rilievo in atto di sostenere, e con le mani alzate, e colle feste il gran vaso. Segue il corpo di questo con tre finestrini, cioè uno per ciascuna parte per comodo del Ministro, e de’ Battezzanti, ed hanno per serraglio tre quadri. Nel primo si rappresenta la probatica Piscina; nel secondo il Cieco nato; e nel terzo l’Eunuco di Candace…
I frammenti, ed i contorni sono empiuti di volume con Festoni, e mezzi Angoli a tutto rilievo, da Cherubini, e da mille altre vaghissime, e capricciosissime invenzioni. Negli angoli quali in forma di tanti trofei pendono quattro quadri minori come targhette nelle quali sono effigiate le traslazioni della S. Casa. Succede questo il coperchio ultima parte del cessarono piramidale, nelle cui tre facciate vi sono altrettanti quadri, nel primo la circoncisione degli ebrei, nel secondo S. Gio. Battista al Giordano, e nel terzo Naaman Siro nello stesso fiume. Non solamente questi quali, ma tutti gli altri sono accompagnati di prospettive d’Architettura, di Fiumi, Campagne, Boschi, convenienti alle Storie che rappresentano. Fra il vaso, è il coperchio in ciascuna cantonata della sua Statua di tutto rilievo in piedi alta sei palmi, cioè, della Fede, della Speranza, della Carità, e della Perseveranza. Finisce il coperchio con un pianetto, sul quale vi sono due Statue della stessa grandezza delle altre, cioè: di Gesù Cristo
umile, che riceve il Battesimo, e S. Gio. Battista, che glielo conferisce. Tutta questa gran mole costò al Santuario seimila scudi di fattura non compresa la materia, come afferma il Serragli.
Nella crociata come si disse, posa la S. Casa attorniata da pilastroni, che sostengono la Cuppola. E’ coperta questa al di fuori di grammi di piombo di persone in tutto 133 mila libre, ed al di dentro parte è posta tutta d’oro, parte dipinta, e parte ombreggiata ad oro, e dipinta insieme. Nella testuggine si rappresenta la Coronazione in Paradiso della Ss.Vergine dall’Augustissima Trinità con una moltitudine di Celesti festosi Spiriti, che formano melodie, canti, e suoni. Sopra il primo cornicione tutto dorato, va in giro dipinta una balaustrata distinta da otto bassi, sulle quali possano ritti in piedi, e in abiti pontificali i 4 S. Dottori Grecim ed i 4 Latini, e fra mezzo vi sono disposti Stemmi Pontifici, e de’ Cardinali Protettori, nel Tamburro a lato de’ finestroni, vi sono dipinte le Virtù, ed altri ornamenti. Sotto l’ultimo cornicione parimenti messo a oro ne’ 4 gran vuoti sopra gli archi minori, vi sono dipinti i 4 Evangelisti, e gli archi maggiori al di sotto sono ornati di riquadrature, e rosoni tutti i dorati. Quest’opera sì pel disegno ed invenzione, sì per l’esecuzione di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Nella Tribuna volta ad Oriente, che forma il mezzo del capo della Croce vi è l’Altare di S. Filippo Neri adornata dalla Provincia della Marca con quadro del medesimo Santo, i laterali, ed altre Pitture opera dei Gasparini di Macerata. Recentemente è l’Altare ancora del Venerabile, come Cappella la più capace, e comoda al gran concorso di quelli, che si hanno da comunicare. Ha sempre un vago, ricco, e stabile adornamento di Argenterìe, cioè: Tribuna, Ciborio, Scalinata, Candelieri, Vasi, Ceroferarj, e cinque gran Lampade. Il candelabro verso la S. Casa tutto di Bronzo di esquisito lavoro del più volte nominato Girolamo Lombardi. Il medesimo altare è circondato da un ampio giro di Balaustrate di marmo sostenute da colonnette, e distinte da Pilastrini ornati di faccia. Nel destro lato di questa Tribuna, vi è la Cappella, in cui deve erigersi il nuovo Altare di marmo col Mosaico, qual Cappella sarà corrispondente all’altra dalla parte sinistra di d. Tribuna, ove sopra il nuovo bellissimo Altare di Marmo si osserva il famoso Mosaico rappresentante la Natività della B V. li laterali della quale sono stupendi per essere opera a fresco del Minchiotti di Forlì. Al lato sinistro di questa Cappella fuori d’ordine, appoggiato al muro in facciata all’arco, vi è il deposito del Card. Sermoneta Gaetano con Statua di bronzo al naturale;
Architettura, e Statue di marmo rappresentanti le Virtù, è opera di Girolamo Lombardi.
Forma il braccio destro della Croce verso Tramontana, la Tribuna, incominciata ad adornare dal Cardin. di Trento, e poi terminata dai Sig. d’Aragona, è per ciò detta la Cappella d’Aragona; nei laterali della quale si vedono rappresentati alcuni atti di S. Tommaso d’Aquino opera del Gasparini Maceratese, qual Cappella sarà resa più delle altre magnifica per il nuovo Altare di Marmo, che deve erigersi con l’altro Quadro di Mosaico. Al lato destro vi è una Cappella ornata di Pitture, e stucchi dorati come l’altre, ma invece dell’Altare vi è una gran Porta, che introduce alla Sagristia del Tesoro. Al lato sinistro vi è la Cappella, con nuovo Altare, di Marmi, e Quadro di Mosaico rappresentante al vivo la Visitazione di S. Elisabetta, li laterali della quale sono opera del Muziano, e tutte le altre pitture ad affresco di Francesco Orvietano.
Il sinistro, ed ultimo braccio della Croce è formato dalla Tribuna posta a Mezzo-Giorno, in cui vi è il coro, ove quotidianamente si salmeggia, e si fanno le orazioni come in Cappella Pontificia. Vi sono Arcibanchi di noce, a 2 ordini di sedili ripartiti in nicchie con suoi genuflessorj. Sta a capo il Trono Vescovile apparato con la Sedia Pontificale, ed ha appiedi l’Altare, ma senza Quadro, ed isolato, talmente che nel celebrare il Sacerdote, sta sempre voltato con la faccia verso il Popolo. Gli serve di Quadro la stessa S. Casa, che gli sta dirimpetto. Questo Coro è ufficiato da 4 Dignità, da 19 Canonici, e da 12 Beneficiari, e da altrettanti Chierici Corali tutti Sacerdoti, e nelle Domeniche, e maggiori Solennità si aggiungono loro 20 Chierici del Collegio Illirico, mantenuti dal Santuario. Ha un pieno coro di Musici fissi e stipendiati, cioè: un ;Maestro di Cappella, un’Organista, e i 16 Musici, cioè 4 per voce. L’Altare è sempre adornato di Argenterìe, ed in esse sempre si servono i Celebranti. Nelle maggiori Solennità, oltre i paramenti preziosi, l’Argenterìe solamente dell’Altare con le quali è adornato superano 600 libre, senza l’importo del lavoro. Il Principe di Bessignano l’adornò con un notabile Soffitto dipinto alla Chinese, e dorato, con due Cantorìe, ed attorno d’insigni quadri, fra i quali quello dell’Adultera, che ora sta riposto nel Tesoro, col sacrificio di Melchisedech, e la Nascita del Redentore, tutte opere egregie del Lotto. Al destro fianco ha la Cappella dell’Annunziata del Duca, perché adornata dai Duchi d’Urbino con gentili bassi rilievi di marmo bianco intagliati. In essa fa spicco particolare il nuovo Altare di Marmi col Quadro di Mosaico rappresentante la SS.ma Annunziata, li laterali della quale e le altre pitture a fresco sono di Federico Zuccheri. Al lato sinistro del coro vi è la cappella di Sant’Anna del Principe di Bessignano, di cui si farà più distinta la descrizione, allorché sarà resa degna di ammirazione col nuovo Altare di Marmo, e Quadro di Mosaico li di cui laterali tutti a fresco son‘opera del Minchiotti di Forlì. Vicino al medesimo Coro a destra, e sopra la Sagristìa della Cura vi stà il primo organo di Giulio II, messo a oro, con eccellenti pitture, e particolarmente nei telari, che gli servono a modo di porte per difenderlo dalla polvere, vi è dipinta la Natività di N S. opera sorprendente, attribuita al Baccicio, ed alcuni altri al Bassano. A sinistra sopra la Tesoreria viene il secondo organo dallo stesso Pontefice parimenti adornato d’oro, e di pitture come l’altro.
CAPITOLO XI. Ornamenti esteriori della SANTA CASA.
Eretto, fortificato, ed adornato il gran Tempio Loretano, pareva cosa molto indecente, che solamente la Sagrosanta Abitazione della Vergine restasse rozza, e disadorna, Giulio II fu il primo che incominciò a pensare di adornarla esternamente di preziosi marmi, e sculture. Il grande disegno sarebbe stato certamente eseguito, e la devozione particolare, che professava alla Vergine l’avrebbe accelerato, se la morte, che pone il termine a tutte le cose create, non l’avesse nel principio del pensiero tolto di vita. Tale idea non fu discara a Leone X anzi talmente l’infiammò all’esecuzione, che subito spedì Periti a Carrara ed altrove per la provisione dei marmi, e fattane scelta gli fece condurre al Loreto. Fu fatta ancora nello stesso tempo ottima elezione di maestri, scultori i più celebri di quei tempi con la direzione d’Antonio Sansuino insigne Architetto, e Statuario. Ma ancora questo pontefice non fece altro, che il preparamento de’
marmi, perché la morte del medesimo lasciò la cura ad altri per la grand’opera. Sembra che la Ss.Vergine avesse scelto Clemente VII, il quale innalzato alla Dignità Pontificia, prontamente e con grand’animo si accinse all’opera, e pose in effetto il pensiero di Giulio, il preparamento di Leone. E però diede ordine, che subito si demolisse il muro attorno la Santa casa, fabbricato dai devoti Recanatesi, si incominciasse il nuovo, atto a sostenere l’incrostatura de’ marmi. Perlocché fu levato dalla S. Casa il suo tetto, le travi, e il tavolato, che le serviva di volta, e con le altre materie furono collocate sotto il pavimento in mezzo alla medesima.
E qui non devo lasciare di narrare un fatto mirabile accaduto in quella occasione della persona di Raniero Nerucci da Pisa Architetto soprastante all’opera. Aveva egli avuto preciso ordine dal Pontefice d’aprire nelle S. Mura tre nuove porte, chiusa l’antica, dunque l’una in faccia all’altra per comodo del Popolo e l’altra per li Sacerdoti, Ministri, e Personaggi. Nell’atto di principiare ad aprire la prima Porta, al primo colpo di martello dato alla Sagra Parete restògli il braccio stupido, e senza moto, ed egli insensato, pallido, e come morto fu condotto alla propria abitazione. Dopo lo spazio di più ore per intercessione della Ss Vergine, supplicata fervidamente dai suoi congiunti, riebbe la prima salute. Avvertito il Pontefice dell’accaduto al Nerucci, non si mutò di pensiero; anzi con ordine più pressante comandò, che si aprissero le Porte, ma che prima di venire all’esecuzione, si preparassero gli Operai, con orazione, e digiuni. Tuttavia il Nerucci non si esponeva, o gli alti almeno non volevano essere i primi. Un chierico della Chiesa chiamato Ventura Perino, così da Dio ispirato, dopo tre giorni d’orazione, e di digiuni, pigliato il Martello, e rivolto alla gran Madre di Dio, le disse: io non percuotono le Mura della vostra S. Casa, ma è Clemente, che così vuole per vostra gloria. Piacciavi adunque di volere ciò che vuole Vicario del Figliolo vostro. Si presenta al S. Muro, e umile, e coraggioso insieme, lo percuote, e dal primo colpo gli si arrende, ed aiutato dagli altri Operai, si aprono facilmente le Porte. Fù ancora in questo tempo trasportato dall’antico sito l’Altare, e posto in mezzo, come presentemente si vede, e il Quadro del Crocifisso fu accomodato sopra la finestra. Inoltre fu fatta la nuova nicchia sopra il S. Camino, ove fu collocata la S. Statua come ora vedesi.
Nel mentre che così si adornavano le S. Mura, accade che alcuni Schiavoni portarono in Recanati una relazione della Traslazione della S. Casa da Nazaret in Schiavonìa, estratta dagli annali di fiume, che diede occasione a Girolamo Angelita Nobile Recanatese, e Segretario della Città di compilarla, ed aggiungere quella dalla Schiavonìa in Loreto, e dedicarla, e di inviarla allo stesso Sommo Pontefice. O fosse questa relazione, o l’affetto, e divozione di Clemente alla Ss. Vergine, oppure questa vieppiù infiammata da quella, volle egli maggiormente certificarsi delle medesime Traslazioni. Quindi scelti fra i suoi Camerieri Giovanni Senese con due altri fedeli, e divoti, e li spedì prima in Loreto a prender le misure, e attentamente osservare ogni arte della Sagrosanta Magione, e poi nella Schiavonìa a Tersatto, e nella Galilea a Nazaret e furono pienamente informati della verità, e del tempo della Traslazione in ciascun luogo, particolarmente in Nazaret, oltre all’esatto confronto delle misure di Loreto corrispondente a fondamenti ivi restati pigliarono ancora queste due pietre di quelle con le quali si fabbricavano le case comunemente, che poi tornati, e confrontate con le S. Mura furono trovate della stessa qualità, e similitudine. Tornati in Roma, informarono il pontefice, il quale fece intendere al nero si di compire con la più possibile sollecitudine l’ornamento dei marmi, e che in uno di questi fossero descritte le Traslazioni; ma ciò non fu eseguito per cagione della di lui morte poco dopo succeduta. Era quasi giunta al termine questa grande opera, quando fu innalzato al pontificato Paolo II e solamente restava a farsi la volta, che copri dovea la S. Casa; e benché ella non dovesse posare sopra le S. Mura, ma bensì sopra i nuovi muri de’ marmi, nulladimeno fu necessario levare dalle medesime le lunette, e li vasi nel loro mezzo incastrati. S’era sempre più dilatata l’antica opinione, che quei vasi fossero stati adoperati dalla Ss Vergine in servizio del suo Figlio Gesù Cristo, e di S. Giuseppe; e che gli Apostoli per maggior sicurezza l’avessero collocati in luogo così eminente. Furono dunque con le lune elevati ancor quelli, e posti nell’Armario del S.Muro a Tramontana. Recentemente di questi vasi se ne trovano solamente sei, cioè: quattro nella S. Cappella, e due in quelle del Palazzo Apostolico che serve ancora per Cappella della Penitenzierìa. Indi affinché ciò, che era stato necessariamente levato dalla S. Abitazione per negligenza non si perdesse, o confondesse con altre cose, fu stimato bene di collocarlo entro la medesima S. Casa sotto il pavimento di marmo. Solamente per memoria lasciato fuori un pezzetto di tavola dell’antico soffitto, e le stellette di legno dorate, che lo adornavano, le quali si conservano nel sopraddetto Armario a Tramontana in Cassetta di puro argento. Le travi, come si disse, furono sepolte sotto il pavimento, ed alcune restarono fuori, le furono poste sotto il Cornicione della Volta. Una solamente di queste non si sa come sia restata fuori al paro del pavimento vicino al S. Muro Occidentale sotto la finestra senza alcun riparo; o difesa essendo continuamente sotto i piedi dell’affollato Popolo, calpestato e premuto. È cosa ammirabile, che così esposta, e calpestata per tanti secoli non si consumi, ma intera duri, e senza tarlo. È fama, che prima fosse coperta d’argento, e si fosse consumato, indi di lama di ferro parimente consumato, e poi senza difesa alcuna lasciato, ancora si conserva forte, e costante; ed è cosa probabile, poiché si vedono in essa alcune punte di ferro ivi restate, e consumate al paro del legno. Questa meraviglia si vede ancora nel rinnovarsi il pavimento di marmo di quando in quando consumato dal Popolo, ma non già la trave, come fu veduta nel 1751, che sopravanzava allo stesso pavimento da 4 pollici. Con questa occasione fu particolarmente veduto, che la S. Casa sta posata sopra il suolo senza alcun fondamento. Compita la Volta sotto il medesimo Pontificato si aggiunsero le balaustre, che mancavano per il compimento dell’architettura dei marmi, e le quattro Porte di Bronzo. Tuttavia non si potea dire opera affatto compita, mancando la maggior parte delle Statue, le quali dal Pontificato di Giulio III, fino a quello di Gregorio XIII furono compite.
CAPITOLO XII.
Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura.
La struttura de’ Marmi attorno le S. Mura, che circonda esternamente le S. Mura, si regge tutta sopra uno zoccolo di bianco, e poi di marmo nero di figura quadrilunga come la quadratura della S. Casa ed eccone per maggior chiarezza la pianta. Palmi 61 Romani ha di lunghezza, e 39 di larghezza. Sorgono dal zoccolo le 4 facciate di scelto, e bianco marmo di Carrara, alte 50 palmi, e scompartite in giro da 16 Colonne scanellate, quali ripartiscono l’intero concio d’effigiati Quadri di replicate nicchie, e di porte.. Dai cantoni spargono in fuora le quattro Colonne, che formano due facciate, e sono guida di tutte l’altre egualmente disposte sopra piedistalli d’esquisito lavoro di arabeschi, e in riquadrature, che tengono nei loro vuoti incastonate pietre di diversi colori, e qualità; come ancora nei vani dei medesimi piedistalli e nelle Porte. Su queste, e col medesimo ordine s’ergono diffusi del colonnato a mezzo rilievo, quali terminano con capitelli sfogliati d’ordine Corinto sopra i quali posa l’architrave adornato di vaghissimi intagli. Fra questo architrave e capitelli delle colonne va in giro come una fascia con facce di Leoni sopra festoni pomati sostenuti da due a Aquile con i colli ritorti l’una verso l’altra, che compongono quasi un framezzo fra i quadri, e l’architrave. Segue altra grande fascia, o fregio ornato da capricciosi duplicati rivolti, a cui succede immediatamente il Cornicione, e Scolatore, sopra cui posa la balaustra. È composta questa di colonnette a mezzo suro, sostenute da basette, e piani, e distinte a luogo a luogo proporzionatamente da pilastrini, nelle principali facciate dei quali sono scolpiti a mezzo rilievo a copia Fanciulli nudi, scherzanti con diversi atteggiamenti, e positure. Ecco tutta la costruzione dell’opera:
Benché le colonne siano distinte l’una dall’altra, sono ordinate a due a due, e quindi formano fra di loro maggiori, e minori spazi le facciate più lunghe, cioè quelle di Mezzo-Giorno, e Settentrione hanno dunque spazi maggiori, e tre minori. Nelle maggiori vi è una Tavola, o Quadro per ciascuno, che l’empie, e sotto, in mezzo ha una Porta con Cornice e Timpano di fino intaglio, che termina ai lati con due puttini sedenti di tutto rilievo.Nei spazj minori vi sono due nicchie una sopra, una sotto. In quella di sopra vi sono collocate le Statue delle Sibille in piedi, e in quelle di sotto de’ Profeti tutti a sedere. In ciascun lato delle sopradette Porte vi sono i Stemmi del Pontefice Leone X, e vari emblemi di penne, ed anelli, ch’empiono i vuoti tra le Colonne, e le Porte. Le facciate più corte come quella d’Oriente, e d’Occidente a due apazj minori, ed uno maggiore. Le minori hanno le nicchie con me sopra; nelle quali vi sono le Sibille, ed i Profeti. Nei maggiori a quello volto ad Occidente vi è un solo quadro e tavola sotto cui è la finestra della S. Casa, e ai lati di queste due tavole minori, ch’empiono i vuoti tra essa, e le Colonne, e sotto vi è l’Altare parimenti di marmo con le sue facciate adornate secondo l’ordine dei pilastri, e dei vuoti fra essi. A quello volto ad oriente, siccome vi è un gran vuoto a cagione che non vi è alcuna finestra, oppure Altare, così vi sono due tavole, o quadri, l’uno sotto l’altro; e infine la lapide con lettere incavate con la narrazione, e memoria delle ammirabili Traslazioni della S. Casa, ordinata come si disse da Clemente VII al Neruccio, e per cagione della morte di questo fatta eseguire dall’VIII di questo nome medesimo.
Quest’opera così magnifica, e sorprendente, nella quale si segnalarono con la loro divozione, e generosità tanti Sommi Pontefici, ebbe li Architetti, Statuari, e Scultori lo più eccellenti di que’ tempi. L’architettura è del Bramante, la scultura d’Andrea Contucci di Montesansovino, al quale a cagion della morte succedé Niccolò Tribolo, e sotto questi lavorarono altri eccellenti professori, cioè Flavio Bandinelli, Domenico Lamìa, Francesco Sangallo, Raffaele Montelupo, Girolamo ombardi, e Fra Aurelio Eremita suo fratello, Simone Fiorentino detto il Mosca, Cav. Girolamo della Porta; e suo fratello: così ancora Simone Cioli, Raniero Pietrasanta, Francesco di Tada con 10 Scarpellini, ed altri molti, i quali donarono alla Ss. Vergine parte delle loro opere: perché fra gli Architetti e Scultori, furono spesi più di 50.000 Scudi Romani non compresi materiali, ed i lavori giornalieri, la mercede dei quali ascese a Ducati 1940 in circa. Furono posti i fondamenti del 1514 sotto Leone X, e perfezionata nel 1569 sotto Gregorio XIII. La materia è di bianco marmo di Carrara: le tavole, o quadri quasi di tutto rilievo rappresentano alcuni fatti della vita di Maria Ss.
Le Statue, le Sibille, ed i Profeti, che predissero l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la Verginità della di lui Madre. Girolamo lombardi fece se profeti incominciando dal Geremìa, due Aurelio suo fratello: i Cav. della Porta fece un Profeta, e nove Sibille, e Tommaso suo fratello, una Sibilla, e un Profeta. Gli otto Angioletti sopra le Porte, tre sono del Mosca, le cinque del Tribolo.
Dichiarazione de’ Marmi attorno la S. Casa
Dicemmo nel precedente Capo, che gli ornamenti principali dei Marmi che compongono le facciate della S. Casa consistono in tavole, o quadri, ed in nicchie. Nelle prime si rappresentano alcuni fatti della Ss.Vergine, e nelle seconde sono collocate le Statue delle Sibille, e de’ Profeti, i quali predissero rispettivamente ai Gentili, ed Ebrei, l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la dignità della gran Madre di Dio.
Facciata a Tramontana.
N. 1. Tavola rappresentante la Natività della Ss. ergine su seduta in questa sua S. Casa. Fù ella abbozzata da Andrea Cabtucci detto il Sansovino, e finita da Flavio Bandinelli, e da Raffaele da Montelupo l’Anno 1531. In questa s’ammora
dagli intendenti con modo particolare un Fanciullo, che scherza con un piccolo Cane, ed una Donna vicino che ne mostra di letto. La frattura di essa solamente fù di Scudi 525.
N.2. Rappresenta lo Sposalizio della Ss. Vergine con S. Giuseppe abbozzo del Sansovino del 1531, compita poi nel 1533 da Raffaele da Montelupo, e dal Tribolo. Quest’ultimo felice quella figura d’uomo assai lodata, che sdegnato ombre al ginocchio la verga di legno secco, perché non gli ha fiorito, come quella di San Giuseppe. La sola fattura di scudi 730.
N. 3. La Sibilla Elespontica dell’Asia minore.
N. 4. La Sibilla Frigia nell’Asia.
N. 5. La Sibilla Tiburtina del Lazio in Italia.
N. 6. Il Profeta Isaia.
N. 7. Il Profeta Daniele.
N. 8. Il profeta Amos. Statua molto stimata.
N. 9. Porta della Scala a lumaca, che conduce sopra la volta della S Casa, fatta di Bronzo con Scorniciature, Quadri, Festoni, Arme, e di altri vaghi ornamenti.
Facciata a Ponente.
N. 1. In questa tavola si rappresenta l’Annunziazione della Ss. Vergine eseguita in questa S. Casa dall’Arcangelo S. Gabriele, opera abbozzata, e compita dal Sansovino nel 1523. La figura della Vergine e assai ammirata in tutte le sue parti. La sola fattura importò scudi 525.
N. 2. La Visitazione della Madonna a S. Elisabetta. Tavola minore: opera di Raffaele da Montelupo, fatta nel 1530 di fattura gli furono dati scudi 200.
N. 3. La descrizione di Bettelemme di S. Giuseppe nel pagare il Tributo Imperiale; opera di Francesco Sangallo nel 1530 e la fattura importò scudi 200.
N. 4. La Sibilla Libica della Libia nell’Africa.
N. 5. La Sobilla di Delfo nell’Acaja.
N. 6. Il Profeta Geremia grandemente stimato per la positura, abito, panneggiamento, e pel gesto.
N. 7. Il Profeta Ezechiele.
N. 8. La finestra della S. Casa detta della Nunziata: perché esternamente corrisponde sotto la Tavola, che rappresenta un tal Mistero.
N. 9. Altare detto della Ss, Annunziata.
N.10, Pradella, e gradini del medesimo.
Facciata a Mezzo-Giorno.
N. 1. La Tavola della Nascita di Gesù Cristo, ossia Presepio; opera la più singolare, e perfetta del Sansavino compita nel 1528 per cui ebbe di sola fattura scudi 525.
N. 2. L’adorazione dei Magi, opera assai perfetta, e a Miranda da Raffaele da Monte lupo fatta nel 1532, la di cui fattura ascese a scudi 750.
N. 3. La Sibilla Persica, della Persia nell’Asia maggiore e, ovvero della Caldea.
N. 4. La Sibilla Cumea, di Cuma in Italia.
N. 5. La Sibilla Eritrea, d’Eritrea nell’Asia minore.
N. 6. Il Profeta Malachìa.
N. 7. Il Profeta David vestito da vento regio con la corona in capo, e de’ a piedi alla testa recisa di collina. Questa fu molto ammirata, e lodata da Carlo V Imperatore.
N. 8. Il Profeta Zaccherìa.
N. 9. Porta della S. Casa.
N.10. Porta del S. Camino, per cui s’entra a venerarlo.
Facciata ad oriente.
N. 1. Tavola del transito di Maria Ss. con l’assistenza de’ Ss. Apostoli; opera di Domenico Lamìa nel 1516, aggiunta di Niccolò Tribolo, di Raffaele di Montelupo, e di Francesco Sangallo, la di cui fattura fu di scudi 795.
N. 2. Le traslazioni della S. Casa; opera incominciata da Niccolò tribolo nel 1533, e compita da Francesco Sangallo, dalle cui fattura fù di scudi 750.
N. 3. La Sibilla Samia, dell’isola di Samo del Mar Egeo.
N. 4. La Sibilla Cumana. o Amaltea di Ponto nell’Asia.
N. 5. Il Prof. Mosè lodato assai per le muscolature.
N. 6. Il profeta Balaam.
N. 7. Iscrizione della Traslazione di S. Casa, e dei Misterj operati in essa, posta nel basamento d’ordine di Clemente VII fatta eseguire da Clemente VIII la di cui copia si porrà qui in fine. Le Statue de’ Profeti sono dieci, cinque ne fece Girolamo Lombardi Venez., e incominciò da Geremia l’anno 1551 per scudi 345 l’una. Poi nel 1579 ne fece un’altra breve Sc. 460.Fra Aurelio Eremita suo fratello ne fece due una per scudi 300, e l’altra per scudi 340. Il Cavalier della éorta insieme con Tommaso suo fratello ne fece due nel 1575 per Scudi 450 l’una. Le statue delle sibille sono 10, nove ne furono fatte dal suddetto Cavalier della Porta, ed una dal suo fratello Tommaso per scudi 100 l’una, donando l’inporto di una alla Ss Vergine. Gli 8 Angeli collocati sopra i Timpani delle 4 Porte, 5 ne fecero Niccolò Tribolo, Raffaele Montelupo, e Francesco Sangallo, gli altri tre furono fatti da Simone Mosca per Scudi 35 l’uno. Finalmente nelle 4 Porte di bronzo a bassorilievo fatte da Girolamo Lombardi nel 1576 fu speso Scudi 800 per ciascheduna. Chi desiderasse relazione più particolare questa Opera, veda il Serragli nella Parte II Cap, XI e XII.
ISCRIZIONE SOPRA ACCENNATA.
Christiane Hospes, qui pietatis votivae causa huc advenisti, Sacram Lauretanam Aedem videsDivinis Misteriis et miraculorum gloria toto Orbe Terrarum venerabilem, Hic Sanctissima Dei Genitrix MARIA in lucem edita, hic ab Angelo salutata, hic AETERNUM DEI VERBUM CARO FACTUM EST. Hanc Angeli primum e Palestina ad Illyricum advexere ad Tersactum Oppidum Anno salutis MCCXCI Nicolao IV Summo Pontigice triennio post initio Pontificatus Bonifacii VIII, in Oicenum translataprope Recinetum Urbem in huius Collis nemore eadem Angelorum opera collocata est ubi loco intra anni spatium ter commutato, hic postremo Sedem Divinutus fixit Anno ab hinc CCC. Ex eo tempore tam stupendae rei novitate vicinis Populis in admirationem commotis tum deinceps Miraculorum fama longe, lateque propagata Sanctae haes Domus magnam apud omnes Gentes venerationem habuit, cuius Parietes nullis fundamentis subnixi, post tot saeculorum aetates integri, stalilesque permanent. Clemens Papa VII illam marmoreo ornatu circumquaq. Convestivit Anno Domini MDXXV, Clemens VIII brevem admirandae Translationis Historiam in hpc lapide inscribi iussit Anno MDXCV.
Tu pie Hospes Reginam Angelorum, et Matrem Gratianum hic religiose venerare, ut eius meritis, et precibus a dolcissimo Filio vitae auctore, et peccato rum veniam, et corporis salutem, et aeterna gaudia consequaeris.
CAPITOLO XIII.
Degli Ornamenti interiori della S. Casa
nella parte del S. Camino.
Abbiamo finora trattato degli esteriori adornamenti, conviene ora a trattare degli interiori, che sono adatti a confermare, ed accrescere vieppiù la divozione ed il concetto di questo gran Santuario. Questi altro non sono che memorie, e doni di Personaggi, e gran Signori, offerti alla gran Madre di Dio, o per impetrare grazie, o in un ringraziamento delle grazie ricevute. E per proseguire più ordinatamente con facilità, e chiarezza fa d’uopo dividere l’interno della S. Casa in due parti, come è appunto presentemente divisa. La prima è del S. Camino cioè da questo fino altra mezzo dell’altare, chiamata parte del S. Camino, o Santuario. La seconda dall’altare fino al fine della S. Casa, chiamata parte della medesima.
La parte del S. Camino è coperta ogni facciata da capo a piedi di lame di purissimo argento, le quali sono così ispesse, e le unite, che sembrano una sola lama, ed un continuato lavoro, che non l’lascia visibile alcuna parte, ancorché minima delle S. Pareti. Alcune poche sono piccole, e moltissime melanzane, e non poche grandi, pesanti, e di getto, ed alcune grandissime, e pesantissime in forma di quadri con adornamenti, e cornice dello stesso metallo; queste ultime sono poste in ordine, e schierate sopra, e ai lati della Nicchia della S. Statua, le principali occupano l’intiera affacciata di Tramontana, e Mezzo-Giorno. Nella prima s’ammira il gran Quadro, e Voto di Alessio, e Gaspare Peretti nipoti di Sisto V di libbre 300 di argento, e nella seconda sopra la porta quello del principe di Vadenonte di Lorena di libbre 150. Al lato destro della Nicchia vi è quello di Marcantonio Colonna di non minor peso, e valore. Sotto il suddetto molto Peretti vi è la finta Porta d’argento del Card, Magalotti,
tutti arabeschi di getto traforati, colle scorniciaeture ricoperte di lame, innanzi alla quale è collocato il genuflessorio parimente di argento del Card. Colonna..
Sopra la detta éorta vi sono le due Statue d’argento genuflesse con le mani giunte l’una delle quali rappresenta Tiberio Pignatelli, l’altra Francesco Peretti Nipote di Sisto V in ciascuna parte particolarmente negli angoli, sono disposti in quantità di Putti d’argento quali a mezzo, e quali a tutto rilievo; quali a cesello, quali tutti di getto, e pesantissimi, quali nudi, e quali fasciati, e più d’uno adornato di gemme. Attorno alla Nicchia se ne contano 18, tutti d’oro purissimo, uno in mezzo all’arco anteriore della medesima con un cuore fiammeggiante in mano, è dono del Co. Brainer Alemanno. E 4 a mezzo rilievo de’ Serenissimi di Baden. I tre a tutto rilievo sono il primo nudo del Principe di Carbogano, l’altro infasciato dell’imperatore Ferdinando II, ed il terzo del Real Principe di Savoja.
Li altri 4 sono il primo nudo del Duca di S. Elìa Napolitano, il secondo infasciato di Sigismondo terzo re di Polonia, il terzo del Duca di Acquasparta, l’ultimo dell’Elettorale Casa di Baviera. Vi sono inoltre varie statue d’oro, e d’argento. La principale d’argento, è un Angelo di libbre 350, che offerisce con le mani alzate alla Ss. Vergine un Putto d’oro di libbre 24 dono del Re Cristianissimo Lodovico VIII mandato in occasione della nascita di Lodovico XIV detto poi il Grande ottenuto dopo 22 anni di sterilità. L’altra del Principe di Condè, e la terza del General Daun Viceré di Napoli. Vi sono parimenti di argento sei altre Statue d’Angeli con Candelieri, nelle quali continuamente ardono candele di cera, cioè 4 alla grata dell’Altare innanzi alla S, Statua, e due ai lati interiori della Nicchia.
I 2 più grandi pesantissimi tutti di getto del Duca, e Duchessa di Laurenzano, l’altre di pie Persone. Due d’oro di mirabil lavoro con Candelieri, sui quali continuamente ardono Candele di cera posti in fuori al piano della Nicchia con basette di Ebano adornate tutte con Cifre, e Fogliame di lastra d’oro traforati, dono di Leopoldo Imperatore Austriaco. Sopra questi vi sono due altre Statue di Angeli uno a destra tutto d’oro assai pesante adornato per ogni parte di varie preziose gemme, che offerisce alla Ss. Vergine un cuore fiammeggiante, entro il quale vi è un Lampadino che arde sempre. Il suddetto cuore è tutto tempestato di ispessissimi, e grossissimi diamanti, e le fiamme si sono formate di rubini, dono di Maria d’Este regina d’Inghilterra Moglie di Giacomo II. A sinistra in faccia né corrisponde un altro, che parimenti offerisce un cuore, ma è tutto di argento, ed il cuore solamente d’oro con corona a capo, tutto tempestato di diamanti, rubini, smeraldi, e molte perle orientali assai grosse, forma parimente un Lampadino, che arde di continuo, dono di Laura Martinozzii d’Este Duchessa di Modena Madre della suddetta Regina. Risplendono ancora avanti la S. Statua in ordine vago appese 23 lampade d’oro purissimo di diverse grandezze, e di lavoro esquisito, le quali sempre ardendo danno testimonianza della particolare divozione verso la Regina del Cielo dei donatori, che le hanno a tal’effetto abbondantemente dotate. Con due di questi si distinse Violante Beatrice di Baviera gran Principessa di Toscana. Una per cadauna ne donarno le famiglie Basadonna, Papacoda, e Piccaloga Genovesi, le Famiglie Riccardi, e di Orlandini di Firenze, la famiglia Pignatelli, la famiglia Palma: di Sant’Elìa, la famiglia Torrea, la Città di Macerata, e Fam. Sforzacosta di d. Città, le altre ugualmente disposte rammendano la venerazione di Sigismondo III Re di Polonia, e di Alfonso d’Este Duca di Modena, di Francesco M. Della Rovere Duca di Urbino, del Co.Jabonovvski Palatino Polacco, del Principe di Lorena di
Vademonte, e di una Dama Spagnola, che al pari di altre due pie incognite Persone occultato volle il proprio nome. L’altra ben grande dimostra la divozione di Francesco d’Este Duca di Modena. La maggiore poi di tutte del peso di libbre 37 d’oro è una perpetua memoria della grazia da Dio riportata per intercessione di Maria SS. dalla Sereniss. Repubblica di Venezia preservata nell’anno 1576 dall’orribile flagello della Peste, alle Lampade tutte siccome suole ispesso darsene diversa la disposizione, così non puol rendersi stabile la descrizione della rispettiva loro situazione.
In quella medesima parte si concervano alcune Reliquie preziosamente adornate, ed insieme i doni offerti da gran Signori. Nella Credenzino sopra la Porta (il quale è fama che fosse parte della Nicchia antica entro cui fu trovata la S. Statua) si conservano le reliquie. A destra è collocato un Semibusto d’argento, che rappresenta S. Barbara V. M. Il cui capo è cinto di Corona d’oro tempestata di gemme, e il collo d’una collana parimente gemmata, che termina al petto con una vaghissima, e ricca Croce. Nella sommità della testa a un’apertura con cristallo, dalla quale si vede l’intiero Cranio della medesima Santa; questo è dono di una Arciduchessa d’Austria. A sinistra v’è una Statua d’oro alta più di un palmo in piedi vestita di manto, e di insegne reali, corona in capo, nelle mani lo scettro, il Mondo gemmatati, che posa sopra una base d‘Ebano con fogliami d’oro traforati, con cristalli nelle facciate rappresenta S. Ladislao, e dentro la base si conservano fra le gemme alcune pezzette intinte nel sangue del medesimo Santo, dono di Ladislao III re di Polonia e di Svezia. Fra queste due un poco addietro si vede un altro se mi gusto d’argento di S. Gereone condottiere della S. Legione Tebea vestito d’abito militare sopra una base d’Ebano arabescata a trafori d’argento con cristalli alle facciate. Entro il Capo vi è il Cranio del Santo, e nella base, le Reliquie d’alcuni Santi suoi Compagni. Dono di Polissena Pernesta Vice.Regina di Boemia. Sotto questo vi è una trama di Rose con foglie, tronchi, e fiori d’argento, ed in mezzo alla principal Rosa, vi è sotto cristallo la Reliquia di S. Rosalìa V Palermitana dono del P. Maestro Calvanini Generale del Terz’Ordine di San Francesco. Non poco lontano è collocata la tazza di cristallo di Monte legata in oro col suo coperchio, ed ornata di varie gemme, ove S. Eduvige duchessa di Polonia, solea prendere la purificazione dopo essersi comunicata; dono di una Arciduchessa d’Inforuk.
In mezzo fa vaga comparsa un pezzo di legno della S. Croce di Gesù Cristo, chiusa in una Croce di cristallo di monte, legata in filagrana d’oro, e questa racchiusa in nobilissimo Ostensorio d’oro a due facciate, e di mirabil lavoro. La reliquia è dono del Card. Cibo Seniore, e l’Ostensorio del medesimo, che era d’argento, è stato anni sono cangiato in oro d’alcuni Signori del Messico, lasciato al Santuario, e oro, e prezzo pel medesimo. Fù compito anni sono sotto il governo di Monsignor Potenziani da Rieti già Governatore vigilantissimo del Santuario, e Città di Loreto.
CAPITOLO XIV.
Ornamento della Santa Statua.
In questa medesima parte, in mezzo della facciata d’Oriente sopra il S. Camino v’è una Nicchia, ov’è collocata, e si venera la S. Statua della Ss. Vergine Lauretana intagliata a tutto rilievo in legno di Cedro, opera di S. Luca Evangelista, venuta insieme colla medesima S. Casa da Nazaret. Questa Vicchia è composta di due archi, l’interiore è più grande, il posteriore più piccolo, ambedue con due imposte, pilastrini, e cornici tramezzate da un piano proporzionato, e va a finire concavo, che riceve la S. Statua.. E’ coperta tutta di lastra di purissim’oro con lavori a cesello di arabeschi, e scudetti di diversi emblemi allusivi alla gran Madre di Dio. Il primo Arco, il maggiore è contornato da cornice, ed arabeschi di oro, che formano l’Arco, l’Imposte, e i Pilastrini. Il secondo minore, è ornato di fascia di lapislazzuli, con arabeschi, e scudetti dell’emblemi sovrapposti, e per imposte, e in mezzo a alcuni Cherubinetti fra nuvole, e fra splendori; il concavo fatto a spese del Santuario con voti d’oro, ed altre cose non servibili. Il festone di lapislazzuli fu donato dal Card.d’Augusta, e tutto il resto, quasi di 100 libbre dalla Famiglia Palma Artois de’ Duchi di S. Elìa Napolitana, e particolarmente dal duca Francesco, poi morto sacerdote della Compagnia di Gesù. Nei due lati della sommità dell’arco interiore vi sono due Cori d’oro ornati di grossi zaffiri, e diamanti, che formano alcune cifre, e geroglifici della Principessa Madre l’uno, e l’altro del Figlio Principe di Basen.
Entro questa ricchissima Nicchia si venera la Vergine Lauretano. Ella ha avanti una grata di argento, chiamato il guardinfante, che dagl’omeri infino a piedi la cinge. Si copre questa di una veste assai ricca di ricamo d’oro, o d’argento, fralle molte a questo effetto donate da gran Signori, sulla quale si fermano ordinatamente le gioje, che formano l’adornamento. Essendo moltissime queste gioje, del valore delle quali, a giudizio dei più eccellenti Professori, è difficile cosa il formarne una giusta idea, se ne accenneranno soltanto le maggiori, e quelle principalmente che le lontananza sono le più visibili. Le due corone d’oro l’una in capo alla B. Vergine, e l’altra in quello del suo Divin Figliuolo ricche talmente di grossissimi diamanti; che appena lasciano distinguere il metallo in cui sono legate, sono dono del Re Cristianissimo Ludovico XIII. Il cerchio d’oro, fra le corone, e la fronte della Vergine, ornato di stelle framezzate di castoni di diamanti, e grosse perle orientali, dono dell’Infante di Savoia. La Principessa d’Armstadt, donò le due grosse perle legate in oro, che pendono dalla destra del S. Bambino, ed i due polsini sotto nella medesima destra l’uno contornato di rubini con ismeraldo in mezzo, dono della famiglia Rospigliosi, e l’altro con amatisto orientale contornato di diamanti, ed uno fra gli altri grosso a spighetta fermato sopra il suddetto amatisto, della Duchessa Salviati. Nella sinistra mano ha egli un mondo d’oro smaltato di color celeste, contornato di diamanti, nella sommità con Crocetta compagna, dono dell’Arciduca Leopoldo d’Austria. S’ammira in petto della Ss. Madre i tre grossi smeraldi della gran Principessa di Toscana Violante Beatrice di Baviera, contornati da altri minori, e questi da diamanti con un anello a man fede composto da un sol rubino, con cui fu sposata dal suo gran Principe. Segue sotto l’ornamento da petto lungo più d’un palmo, e largo a proporzione, composto di moltissimi grossi diamanti, rubini, smeraldi, che fu ornamento Regio d’Anna di Neroburgo Regina di Spagna Moglie di Carlo II, e dalla medesima poi offerto alla Regina del Cielo. Altro ornamento d’oro dal petto composto di Diamanti, di D. Diego Ribas d’Alcalà, il quale ha sopra un picciolo fiocchetto, ma di grossi diamanti, della Famiglia Barberini. Seguono altri preziosi giojelli, e croci. Una bottoniera di 56 bottoncini, e 112 alamari d’oro di getto, nelle quali vi sono 6054 diamanti; dono della Moglie di Filippo IV Re di Spagna, li quali alamari disuniti tra loro sono gajamente sparsi in dosso alla S. Statua, ora in una maniera ora in un’altra. Degna di ammirazione è una Croce da Donna assai stimata, e vaga, composta di 8 grossi, e 8 piccoli risplendenti purissimi brillanti: donata da una incognita Dama Tedesca. Meritano tutta l’osservazione altre due Croci, una dell’Ordine Teutonico, l’altra dell’Ordine di S. Martino, ambedue tempestate da una parte di brillanti, e dall’altra di rubini donate da un Principe di Baviera Gran Maestro degli stessi ordini. Sonovi diversi altri giojelli, fra le quali di maggior comparsa sono quelli di diamanti, ed altre varie gemme del Card. Ottoboni, del Duca d’Arc, e del Card, Nerli. Altro giojello tutto carico di smeraldi in tavola, contornato di diamanti, ed altri smeraldi a perelle pendenti donato dal Card. Ludovico Portocarrero. Una croce d’oro con grosso diamante di fondo in mezzo, ed altri 12 intorno, e di a piedi tre pendenti a goccia dono del Principe di Dietrinchstain, altra Croce d’oro con 11 grossi diamanti, dono del Card. Spinola. Un giojello d’oro ovato, e nel mezzo un grosso zaffiro contornato di 96 diamanti posti a tre ordini dono del Conte di Pegna Aranda. Due Croci vescovili una del Card. Marescotti di diamanti, e l’altra del Card. Corsi di rubini. Una croce di S, Giacomo contornata di zaffiri, e diamanti, dono di D. Michele dell a Tuente Decano di Trussillo nel Perù. Un gioiello d’oro smaltato, che figura una corona di spine, nel mezzo evvi una Colonna, ed una Crocetta a piedi tutto contornato di 157 diamanti, dono del Marchese Serra Napolitano. Altro giojello d’oro guarnito de 158 diamanti, col ritratto della Regina Maria de’ Medici Donatrice.. Una croce d’oro di zaffiri contornata di diamanti dono il cardinal d’Acugna, e l’altra di brillanti dono nell’anno 1776 il Cardin. Serbelloni. Due Cuori d’oro uniti con Corone Elettorali, e cifre, tutti contornati di diamanti, zaffiri dorati dall’Elettore di Baviera, che fu poi Carlo VII Imperatore. Due Occhi smaltati al naturale in lastra d’oro, contornati di 84 diamanti, col nastro di 34, dai quali pende un Cuore d’oro guarnito di 12 grossi diamanti, quale aprendosi mostra l’Arme, e il nome della Donatrice Cristina di Savoia. Altro gioiello d’oro, con un grosso rubino in mezzo, in forma di cuore contornato di 149 diamanti è dono del cardinale Alberto di Polonia.
È questa la sincera descrizione delle Gioje più preziose, che attualmente adornano la S. Statua lasciando di descrivere le molte altre benché pregevoli a solo oggetto di non stancare il Leggitore con lunga, e superflua narrazione. Prima per altro di passare all’altra parte della S. Casa fù d’uopo porre in vista quanto in questa prima parte di particolare si conserva. A mano sinistra del S. Camino vicino alla Porta, vi sono due credenzini, l’uno sotto l’altro. Si conserva nell’inferiore una delle S. Scudelle, legata in argento con la custodia dello stesso metallo, nella quale si passano le acque per gli Infermi, ci si toccano le divozioni, e si dà a baciare ai divoti, e confluenti. In quello di sopra e dentro una cassa d’argento con suoi cristalli per ciascuna parte, e adornata di varie, e molte gemme, dono del Cardinal Montalto nipote di Sisto V si conserva una veste tutta tessuta in lana, che comunemente chiamiamo Camelotto, di color rosso, la quale colla S. casa fù trasportata da Nazaret, e trovata indosso alla S. Statua. È fama che questa sia la Veste usata dalla Ss. Vergine tra noi vivendo. Da cristalli si vede, e si riconosce chiaramente il colore, la materia, e la polvere penetrata, e sopra di essa posata, senza alcuna signora, pure alcuna ombra di Prodi giura. Sono 498 anni che qui fù trasferita insieme con la S. Casa. Tutte le altre moltissime Vesti, che si dispongono indosso alla S. Statua, doni di gran Signori, ricchissime, e forti, essendo cose corruttibili, si corrompono, periscono, questa di semplice lana, con polvere, per tanti secoli ancora intatta, senza tignola, deve dirsi ch’Ella abbia qualche prerogativa sopra dell’altre.
CAPITOLO XV.
Ornamento del resto della S. CASA.
Dalla parte del S. Camino già descritta passiamo all’altra detta della S. Casa. Incomincia questa dal tramezzo di legno, al quale immediatamente appoggia l’Altare, a cui serve d’ornamento, fino alla fine della medesima S, Casa. Questo tramezzo oppure tavolato, che forma la divisione ha tre aperture con due ferrate. Quella di mezzo è grande di figura quadra; di larghezza a paragone dell’Altare in modo, che chiunque, ed in qualsivoglia sito si trovi in S. Cappella può godere comodamente la S. Statua, e gl’ornamenti di faccia dall’altra parte. Le laterali sono più piccole, e formano finestrini, e sotto hanno la loro Porta, per cui si passa da una parte all’altra. Inoltre è adornato di cornicione, e da capo a piedi è ricoperto di lama d’argento non vedendosi in alcuna maniera il legno- sopra ciascuna porta vi è lo stemma, e sotto questo cartello col nome del Card. Francesco Dietrichstein, per ordine, ed a spese del quale fu fatto quest’ornamento sopra le 300 libre d’argento. Ora l’apertura di mezzo non ha più la stessa forma quadrata, perché sopra l’antico quadro si si è innalzato un Arco, che rendendola più alta fa maggiormente distinguere, e godere li preziosi doni collocati nell’altra parte. Fù fatto quest’arco dell’anno 1763 con gli argenti lasciati da impiegarsi entro la S. Casa dall’Ab.Sciare Nobil Sacerdote Francese. Mpnsign, Giovanni Potenziani allora Governatore impiegolli in quest’opera così universalmente ammirata, e lodata. In mezzo al noto Arco vi è riportato un cartellone parimenti d’argento formato graziosamente da nuvole, ed abbellito da splendori dorati, nel di cui piano si legge in lettere di getto, e dorate lo stesso saluto che fece l’Angelo Gabriele in questa S. Casa alla gran Vergine: Ave gratia plena, e sotto vicino alla ferrata vi sono due Angeli della famiglia Barberini con cornucopj sui quali ardono fiaccole di libra, in ciascuna Festa della Madonna. L’adornamento dell’altare è composto d’agate, diaspri orientali, e il lapislazzuli di maraviglioso lavoro, oltre il riquadrature nel prospetto di lastra d’argento; nelle due laterali vi sono a mezzo rilievo gli Stemmi de Medici gran Duchi di Toscana, e in quella di mezzo parimenti a mezzo rilievo il gran Duca Cosimo II con le mani giunte, e ornate nella Sagra Magione, del quale questo stupendo adornamento fù dono. Ai lati interiori del medesimo altare vi sono due cancelli d’argento, con suoni pomi, e nodi del Card. Ludovico Portocarrero. Entro quest’Altare, e fra questi ornamenti è chiuso l’antico Altare dei S. Apostoli venuto colla S. Casa, il quale con l’aprirsi uno sportello nella riquadratura di mezzo si fa vedere. Egli è composto della stessa pietra tenera, che noi diciamo tufo, della quale sono fabbricate le S. Mura, qual pietra però è alquanto più alta della nostra, ed ineguale.
In questa parte ancora, vi sono Reliquie, e doni. Quivi si mirano intorno le S. Mura scoperte, e nude, le quali, benché per il corso di cinque secoli, siano premute dall’affollato, e stretto popolo, e da questo continuamente toccate, e baciate; tuttavia sono intatte, ed intere, e si sostengono senza alcun fondamento, ed appoggio. Nel S. Muro volto a Mezzo-Giorno, vi è appeso il gran Quadro tutto d’argento, e di getto, e quasi a tutto rilievo, con sua cornice, di Ranuccio Farnese Duca di Parma in atto di porre il proprio Figlio sotto la protezione della Vergine già liberato da una malattia. In petto all’altro S. Muro a Tramontana vi è lo stupendo Armario del medesimo Duca di libbre 500 di fine argento, il quale forma una Tribuna con colonna, capitelli, base, e timpano quasi tutti di rilievo con altri adornamenti d’architettura, di figura, e Sacri Misterj, meravigliosamente lavorati. Quì dentro all’aprirsi d’una grata si vede il picciolo Armario fatto col S. Muro, in cui è fama, che la Ss, Vergine vi tenesse la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Si conservano ora nel bellissimo tre sacre Scudelle fatte legare in oro dal Card. Sandoval, con quello che la prima volta dal Congo fu portato in Ispagna. Due hanno la figura di Ciotole, ed una di piattino piano. Così adornate si tengono racchiuse in una d’argento pesantissima di getto, donata dal Principe Ferdinando d’Alcalà per tal’effetto. Quivi di sotto, entro una cassetta parimente d’argento si conservano le stellette dorate, staccate dall’antico soffitto della S. Casa, ed un pezzo di tavola del medesimo avvolta in un setino. Il mirabil si è, che questo Armario ha un frammezzo di tavola tutto d’un pezzo fino al fondo, e si vede essere stato posto nel fabbricarsi il muro, e pure in tanto tempo non ha nemmeno un segno di corruzione, o di tarlo. Poco sotto vi è appeso un cornucopio d’oro grande, assai ricco, e di egregio lavoro, col compagno nell’altra del S. Muro in faccia nelle quali continuamente ardono candele di libra, dono della gran Duchessa D. Maria Maddalena d’Austria. Nelli due S. Muri di Tramontana, e Mezzogiorno, vi sono tre braccia per ciascuno con sue padelle, il tutto d’argento dorato, nei quali ardono candele di libra delle principali feste della Madonna, dono del Principe Tommaso di Savoia. Nel muro volto ad Occidente sopra alla Finestra si vede il Crocefisso antico, Quadro dell’Altare de’ S. Apostoli, opera di S. Luca Evangelista, come altrove si disse. Egli è una Croce fatta di grossa tavola di Cedro, sopra cui vi è dipinto il Redentore Crocifisso con 4 chiodi. Nel fine di ciascun braccio della Croce vi sono dipinte due figure, cioè nel destro la Ss. Vergine e nell’altro S. Giovanni Evangelista. E’ ora questo circondato da gran fregj, e cornice d’argento con tre gran Statue dello stesso metallo, cioè sopra del Padre Eterno in atto di benedire con la destra, e sostenere il Mondo con la sinistra: ai lati due grand’Angeli, che pajono sostenere volando la gran Croce.
Tutto l’ornamento ascende a libre 300 d’argento: dono del principe Taddeo Barberini. Ancora la finestra ha il suo ornamento d’argento, cioè una cornice con suoi piani donata dal Duca Gaetani. Qui sotto del pavimento s’ammira l’antica Trave, che era del soffitto di questa S. Casa, ora posta non si sa come, a paro dello stesso pavimento, la quale prenuta collo stare in piedi dell’affollato popolo, benché si consumi il pavimento di marmo, ella non si consuma, ma resiste intatta, senza tarlo, e incorrotta per tanti secoli. Sono appese ed affollate attorno le S. Mura 47 lampade d’argento tutte dorate ad ardere continuamente, e di in mezzo vi è un candelabro d’argento di 68 libbre donato dall’Elettore Guglielmo di Baviera, ed una gran Lampada donata dalla famiglia Rasponi. Nella parte del S. Camino ai lati, e dinanzi alla Statua fra Lampade d’oro, cornucopj d’argento, ed in altri pezzi ardono altri 27 lumi a oglio, come gli altri dotati. Fra dentro e fuori attorno la S. Casa ardono continuamente 94 Lampade d’argento prescindendo da quelle appese avanti gli Altari della Chiesa, dei quali ne daremo distinta la Relazione, allorché ridotti tutti a perfezione con i nuovi Marmi verranno in essi stabiliti gli altri rispettivi Quadri dei Mosaici.
CAPITOLO XVI.
Indulgenze, e Privilegj conceduti alla S. CASA.
Tutto il Mondo Cattolico fu sempre affezionato, e divoto di questo gran Santuario: oltre i preziosi doni, come finora abbiam veduto, non vi è Città, e Luogo così sconosciuto, ed abbietto, in cui non siano innalzate Chiese, e Cappelle, o Altari almeno alla Madonna di Loreto. E questo non solamente nella nostra Europa, ma fino nell’Indie, e nel Paraguai. Certamente la santità del luogo consagrato con tanti misterj, trasferito con tanti non più allora veduti prodigj, divinamente conservato sì lungo tempo, la cagione principale di tirare a sé tanta moltitudine di gente, e destare una divozione ed affetto sì universale:
dopo questo però ha contribuito molto, e in ogni tempo la vigilanza dei Sommi Pontefici. E siccome il nostro Salvatore fra noi vivenvo aveva con la sua Abitazione santificata questa povera Casa, e i S. Apostoli dopo l’Ascensione al Cielo del medesimo, avendola consacrata, vi dispensavano ai Fedeli di tesori delle divine grazie; così i S. Pontefici successori di questi, e Vicarj di quello, non cessarono mai di eccitare il Popolo Cristiano a questo Emporio di Benedizioni celesti col dispensarvi i celesti Tesori, dei quali sono rimaste il loro mani le chiavi..
Fin quando la S. Sede era in Avignone Bened. XIV il primo che nel 1341 concesse Indulgenza Plenaria nella S. Casa mosso dalla divozione dei Recanatesi, mentre le fabbricarono attorno la Chiesa, che poi, come si disse, fu disfatta per ordine di Paolo II. Ritornato poi in Roma Urbano VI certificato dal Vescovo di Recanati delle prodigiose fiamme, che sollevano scendere dal Cielo, e posarsi sopra di essa allp 8 di Settembre, e della rivelazione fatta all’Eremita Paolo di Montorio, concedé in tal giorno a chi la visitasse Indulg. Plenaria. Poi aggiunte quelle concedute da GregorioXI, alla cattedrale d’Ancona , che sono le medesime concedute a S. Marco di Venezia da Alessandro III per la festa dell’Ascensione del Signore. Tali Indulgenze per esser di somma considerazione furono confermate da Bonifazio IX e promulgata la loro durata a tutti e tre mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, dopo averne conceduta un’altra particolare pel dì solenne della Nunziata. Anzi Martino V per aumentare la devozione de’ Popoli ancor lontani, terminato che fu lo scisma, concedé ai Recanatesi la facoltà di far le fiere nei suddetti tre mesi, come dalla bolla: ad laudem, gloriam, et honorem Lauretanae Virginis. Ed inoltre tutte le concedute dai suoi Predecessori riconfermò Niccolò V dopo aver arricchita la S. Cappella di presenti degni d’un Pontefice, considerando segnalato il giorno della Nunziata lo onorò anch’esso di molte indulgenze.
Paolo II come si è detto, liberato nella Santa cappella dal mal contagioso, ed ivi sorpreso da placido sonno gli fu palesata la volontà divina del suo innalzamento al Pontificato, che dall’evento si conobbe essere stata vera rivelazione, ed egli stesso lo confessò nella sua Bolla: magna et stupenda miracula, quae ibidem eiusdem Almae Virginis opera apparent et nos in personam nostram experti sumus, et, innalzato dunque al Pontificato, oltre la fabbrica del gran Tempio intrapresa, e quasi compita l’arricchì di copiose indulgenze.Concedé a chi visitasse la S. Casa Indulgenza Plenaria in tutte le Domeniche dell’Anno, nelle Feste della Ss. Vergine, nei giorni della Settimana Santa, di Pasqua di Pentecoste, del Corpo del Signore con la sua ottava. Aggiunge il Serragli, che da Paolo II, da Sisto IV, e da Giulio II con Bolla particolare nella sola S. Casa furono concedute quante indulgenze sono mai per tutta Roma. Tolse il Santuario, i suoi Ministri, le robe dalla giurisdizione del Vescovo, e dal dominio di Recanati, e lo accolse sotto la sua protezione, della Santa Sede, e dei Ss Apostoli Pietro, e Paolo, concedendo ai Sacerdoti del Tempio la potestà di assolvere da’ casi riservati al Vescovo, ed dalla medesima Santa Sede. Non meinor cura ebbe Sisto IV, il quale nell’anno 1473 fece coprire la fabbrica del Tempio, e confermò l’Indulgenze dei suoi Antecessori, concedendo un’altra Plenaria per la Nascita della Ss. Vergine, forse perché ancora duravano in tal tempo a vedersi le prodigiose fiamme. Dichiarò inoltre un Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per il temporale con 8 Cappellani per il Divin culto, per udire comunemente le Confessioni de’ Pellegrini, con facoltà di poter loro commutare qualunque voto fuori di quel cinque alla S. Sede riservati.
Nel 1507 Giulio II confermò, e rinnovò tutte le Indulgenze allora concedute, incominciando da quella d’Urbano VI e di Martino V terminando con un’altra nuova Plenaria per il giorno della Nunziata. Esentò nuovamente dalla giurisdizione di Recanati il Santuario, con la Terra allora di Loreto, dichiarandolo un suo Sacello, e Pontificia Cappella, e tutti i Ministri di esso familiari, e commensali del Papa. Due volte visitò la S. Casa, nell’andare, e nel ritornare dalla Mirandola, dove però l’illeso per miracolo di Maria Ss Loret. Da una bomba, la di cui grossa pesante palla egli stesso alla sua presenza fé appendere al S. Muro di Mezzog., ove ancora presentemente si mira. Leone X nel 1513 nella sospensione generale dell’Indulg. dichiarò rimanere nel loro vigore quelle del Santuario Loretano: anzi con una nuova culla le confermò, e aggiunsegli le indulgenze delle sette principali Chiese di Roma, visitandosi sette Altari nel Tempio da deputarsi dal Governatore, ed altra Plenaria nella Solennità del S. Natale. Inoltre fondò in esso la Collegiata insigne; vi stabili Canonicati, Mansionarie, e gli altri sacri Ministri. Ancorché il éontificato di Adriano IV fosse sì breve, di un anno solo pure con le affettuose espressioni nella sua Bolla, e conferma dell’Ondulgenze, e Privilegj fé palese la sua divozione non ordinaria.
Quale fosse quella di Clemente VII, si è veduta in occasioni, la quale parve, che volesse superare non solamente quella di Leone il suo diretto parente, ma di tutti i suoi Predecessori. Egli per accertarsi della verità delle Traslazioni spedì a Tersatto, ed a Nazaret, e trovata incontrastabile della verità, a perpetua memoria ordinò l’iscrizione da incidersi in marmo negli ornamenti esteriori delle S. Mura. Per le grandi cose ordinate, e fatte eseguire, per l’accrescimento de’ Privilegj, e conformazioni dell’Indulgenze, vien chiamato dagli storici Loretani, il gran Clemente. Paolo III nel 1535 arricchì il Santuario di nuove Indulgenze: fondò un Seminario di Giovani, che cantassero lodi alla gran Madre di Dio, e proseguì l’adornamento de’ marmi. Giulio III nel 1554 informato, che i Sacerdoti della Chiesa non erano sufficienti di numero per udire le Confessioni de’ Confluenti, e Pellegrini, commise a S. Ignazio Lojola, che mandasse a Loreto per aiuto di quelli alcuni soggetti della sua nuova Religione, ne spedì 14 che poi nel Pontificato di Paolo IV furono accresciuti fino a 32 fra i quali molti di diverse nazioni, tutti in qualità di Penitenzieri Pontifici, in luogo dei quali dopo la soppressione della Compagnia di Gesù sono stati destinati li PP. Minori Conventuali. Pio IV fece collocare nelle Nicchie le Sibille, e i Profeti, acctrscé li Sacerdoti, la fondò il Collegio della Penitenzierìa assegnandoli rendite assai con onore: confermò tutte le indulgenze: fondò il collegio lirico, le fece tradurre in otto le lingue la breve, ed antichissima Istoria della S. Casa dal Teremano, le quali poi furono incise in marmi, e disposte nei Pilastri delle Cappelle delle navate. Concedé ancora l’Altare privilegiato per i Defonti, con le stesse Indulgenze, e Privilegj di quelle di S. Gregorio di Roma; e finalmente nell’anno 1576 un plenissimo particolar Giubileo come il passato in Roma per quelli che visitassero la S. Casa. Clemente VIII, dopo aver conceduta Indulgenza Plenaria quotidiana perpetua fece porre la breve istoria della Traslazione ordinata da Clemente VII e permesse la celebrazione della festa della Traslazione ai 10 Dicembre. Paolo V con la sua celebre bolla di più confermò, erano rese chiarissimi i Privilegj Loretani. Fece inoltre innalzare due nobilissime Fontane, l’una nella Piazza del Tempio detta della Madonna, l’altra in quella di Porta Romana detta dei Galli ornate tutte di bronzi, e marmi. Urbano VIII riconfermò la festa della Traslazione ai 10 Dicembre con un Breve particolare nel 1632 dilatandola ancora tutta la Provincia della Marca. Innocenzo X l’Anno Santo 1650 dichiarò con sua Bolla non sospendere in modo alcuno le Indulgenze Lauretane, ma lasciarle nel loro pieno vigore. Alessandro VIII inviò donativi alla S. Casa, e particolarmente una coltre tessuta d’oro, la quale s’espone nella Vhiesa interiormente sopra la Porta maggiore nelle maggiori Solennità dell’anno. Clemente IX fece porre nel Martirologio Romano la festa della Traslazione al 10 Dicemb. Laireti in Piceno Translatio Almae Domus, in qua Verbum caro factum estm etc.. Clemente X fece ripulire la Chiesa, edificare il Cimiterio, e racchiudere entro Armarj li nobilissimi Vasi della Spezieria di S. Casa.. E ancora nel pubblicare l’anno Santo 1675 dichiarò, e stabilì l’Indulgenze Loretane. Innocenzo VII approvò, e concesse la Messa propria, e l’Offizio della Traslazione con la breve Istoria della medesima nella sesta lezione. Come ancora nella Bolla dell’erezione della nuova Congregazione Loretana nel Governo del Santuario invece del Protettore. E finalmente ampliò la stessa Messa, ed Offizio per la Provincia della Marca. Clemente XI mandò doni al Santuario, e particolarmente i sagri Arredi per accompagnare il Santissimo Viatico agl’Infermi, e concedé alla Città di Segna in Dalmazia l’Offizio, e la Messa della Traslazione per li 10 Maggio, e poi a tutta la Provincia di Carniola.
Benedetto XIII dopo aver dichiarato l’anno Santo 1725 stabilì le Indulgenze Loretane, concedé la Messa ed Offizio a tutto il Dominio Veneto, alla Dalmazia, ed allo stato Pontificio nel 1728, innalzò l’Insigne cattedrale di Loreto in Basilica, dandone ogni segno d’essa, cioè Chiavi, Confalone, e Campana come le Patriarcali di Roma. Clemente XII dilatò la Messa, e l’Offizio della Traslazione al Dominio de’ Duchi di Parma, e Piacenza, poi a tutti i sudditi del Re Cattolico infino all’Indie. Benedetto XIV, oltre a molte grazie, o confermate, o concedute alle 10 Maggio 1750 aggiunse ancora il permesso di recitare, in giorno non impedito, una volta il mese nella Basilica l’Officio suddetto della Traslazione. Clemente XIII, che da Prelato, poi dal Cardinale sempre mai mostrò una tenerissima divozione a questo Santuario, col fare delle funzioni Episcopali, le Communioni Generali, e l’assistenza alle Processioni, innalzato alla dignità Pontificia non ne mostrò minore col governo di esso, e col dono di un Calice d’oro, d’ammirabil lavoro di 8 libbre, e 3 oncie insieme con la Patena dello stesso metallo: con ordine preciso, che se ne facesse uso per le principali solennità dell’anno, e per i Cardinali, che celebrano in S, Cappella, e per altri Sacerdoti riguardevoli.
CAPITOLO XVII
La S. CASA divotamente conservata.
Se ben si riflette a questa Sacros. Abitazione è impossibile, che naturalmente possa stare, e così reggersi per tanti secoli. Le di lei S. Mura non tirate e a perpendicolo, non eguali, e senza alcuna sorta di fondamento, usando solamente sopra del suolo, come anni sono nel rinnovarsi il pavimento fu veduto, minacciano ogni momento rovina. Fin d’allora, che ivi voti canadesi osservando le tali fabbricarono loro attorno un forte muro per sostenerle, ti dirò questo prodigiosamente allontanato in modo, che fra esso, e le S. Mura comodamente pronti a passare un Fanciullo, e conobbero, che l’unico sostegno loro, e difesa, era la Divina Onnipotenza, e lo stesso Dio, fra le quali s’era d’umana spoglia ammantato. Questa medesima Onnipotenza permette, e vuole le divisioni delle Sacre Reliquie degli stessi stromenti di sua Passione, perfino della sua Ss. Croce già divisa in particelle quasi infinite, che in altrettanti luoghi trasferite, e divise; solamente non è permesso mai, che qualunque particella di queste S. Pareti sia dal loro intero divisa. E se qualunque indotto da qualche umana permissione, o da qualche indiscreta di divozione abbisi osato di portar via qualche pezzetto, o miracolosamente da se stesso è tornato al suo luogo onde fu tolto, oppure a forza di infortunj e malori, è stato il delinquente forzato a riportarlo. Sono moltissimi casi succeduti in ogni tempo riferiti dagli Autori della Storia Loretana, e di quando in quando va succedendo fino al presente. Io per non partirmi dalla proposta brevità, ne riporterò qualcuno pigliato dagli Autori, qualcun altro succeduto al nostro tempo per avvertire gli Indiscreti divoti, e dimostrare insieme, che tuttavia la stessa Onnipotenza è quella che costantemente la conserva, e la difende.
Monsignor Gio. Suarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, Uomo non meno in pietà, che in dottrina singolare, nel 1561 dovendo portarsi in Trento al Concilio, venne a visitare la S. Casa. Soddisfatta la divozione, ricercò una pietra delle S. Mura per spedirla in Portogallo, e qual Reliquia collocarla in una Cappella da dedicarsi nella sua Diocesi alla gran Madre di Dio. Avvertito della Scomunica, nella quale incorreva chiunque avesse tolta qualche cosa delle S. Mura senza replica si ripose in viaggio. Giunto in Trento ottenne segretamente dal pontefice Pio IV un Breve, col quale egli si concedeva il bramato intento. Per subito con questo al Loreto Francesco Stella Senese suo Cappellano. Quivi egli giunto non trovò alcuno dei sacerdoti ministri, né alcun altro, il quale ardisse dalle S. Pareti estrarre la pietra, talmente che per soddisfare il Padrone, egli stesso fu necessitato di estrarla alla presenza di molta gente mal soddisfatta. Dopo un lungo, e disastroso viaggio, in cui più d’una volta ebbe a lasciar la vita, giunto in Trento, consegnò al Vescovo la pietra estratta dalle S. Mura, che racchiusa in una cassa di argento, speravo in breve spedirla a Coimbra. Fù immediatamente assalito da febbre, e da dolori acerbissimi, che non permettevagli alcuna requie, nemmen col sonno. Dopo moltissimi rimedj, tutti inutili, convengono i Professori, che il male non sia naturale, e conseguentemente di alcun profitto la loro arte. Così abbandonato dai Medici il povero Prelato, oltre i dolori del corpo, gli si aggiungono timori e di inquietudini d’animo, che lo riducono all’estremo di sua vita. In tale stato ridotto dagli umani soccorsi isperimentati inutili, si passa ai divini, i quali non furono pochi tanti Padri, ed anime buone ivi adunate in quel tempo. Particolarmente fù fatto raccomandare alle orazioni, e digiuni di due Monasteri di Religiose celebri per Santità. Dopo due giorni la superiora di ciascun Monastero, fra loro assai lontano, manda al Vescovo questa concorde risposta: che se egli voleva recuperare la salute, rimandasse la Madonna di Loreto la sua pietra. Stupefattoli insieme col Stella, poiché fuori di loro due era la pietra tutti ignota, né in alcuna maniera appropriata persino Trento, riconobbe la cagione del suo male, e di vero cuore a Dio, e alla Vergine chiese perdono, e spedì subito lo stesso Stella a Loreto colla pietra, per farne prontissima restituzione. Il viaggio fu tutto affatto diverso dal primo, cioè questo felice, è breve. Giunto prima in Loreto fu dal Cairo, e dal popolo sì locale che forastiere tutti brillanti di divozione, e di gioja processionalmente incontrata la Sacra Reliquia, e ricevuta con sacra pompa, fu ricollocata al suo luogo. Ed acciocché in avvenire fosse riconosciuta, per memoria le fu posto attorno una piccola lama di ferro. Confrontato poi il tempo, e l’ora in cui fu riposta al suo luogo la pietra con la perfetta guarigione del Vescovo, fu trovata essere accaduta nello stesso momento. Lo Stella fece in Loreto l’esposizione del fatto: il Vescovo ristabilito in perfetta salute, mandò lettera al Governatore della S. Casa di proprio pugno, e questo mandolla allo stesso pontefice Pio IV. La copia di questa lettera in carta pergamena con cornice di legno dorato si conserva nella S. Casa entro l’Armario delle S. Scudelle vicino all’Altare a cornu Evangelii: e la detta pietra si fa osservare ai Pellegrini, e Divoti nel S. Muro a Mezzo Giorno, vicino al piccolo vuoto, ove si tengono l’ampolline per servizio delle Messe.
Nel 1585 un di Palermo venuto a questo Santuario portò via seco un pezzetto di pietra delle S. Mura. Tornato in Patria, fu assalito da una gravissima infermità, della quale, acciò fosse più palese la cagione, in quel tempo, in cui commise il delitto, ogni anno era più tormentato del solito, cioè nel mese di Settembre, e di Ottobre. Apparve il male sempre senza rimedio, perché ogni cura il medicamento era sempre inefficace. Raccomandossi infine alla Ss. Vergine, e gli sovvenne la pietra già tolta dalla di lei S. Casa. E a tal memoria e riflesso provò primieraramente qualche scrupolo, indi a poco a poco un tal rimorso, che lo manifestò a un Sacerdote dopo lo spazio di venti anni. Fu da esso ammonito a rimandare profondamente la pietra, come cagione sicura del suo male. Profferite appena tali parole, come fossero state un supremo comandamento, l’atterrì in modo, che gli consegnò subito la pietra. Ricevutala con la venerazione dovuta, la portò al P.Provinciale dei Gesuiti, P. Gio. Battista Carminata, il quale la inviò a Roma al Cardinal Vastavillani Protettori all’ora del Santuario, con la relazione del fatto. Intanto l’Infermo, consegnata la pietra, fu rimesso nello stesso momento in salute. Il cardinale la spedì in Loreto al Governatore, ove giunta, dal medesimo, e dai Sacerdoti fù ricevuta, e con sacra pompa alla presenza di folto popolo, e di divoti Pellegrini portata nella S. Casa.
Quivi giunti i Sacerdoti non ebbero alcuna fatica di trovarle l’antico sito, dal quale, benché mancando da 20 anni, perché quasi additandolo Dio, subito si offerse ai loro sguardi; nel quale fu collocata. Le fu messo per memoria un grappetto di ferro, e si vede nel S. Muro, a Mezzo Giorno vicino alla Porta corrispondente al Coro, alto da terra circa 8 palmi.
Nel 1595 essendo Governatore del Santuario Monsig. Gallo, un Gentiluomo Maceratese di casa Pellicani pigliò parimenti un pezzetto di pietra dalle S. Mura per tenerlo secco con venerazione. Involtolla in un pannolino, e giunto a casa la pose sotto chiave qual prezioso tesoro. Fu questo ancora assalito subito da grave, e pericolosa infermità non mai conosciuta dai Medici, nonché sollevata, anzi nel decorso di tempo abbandonata affatto. Solamente, come assai divoto della Ss. Vergine, di continuo se le raccomandava nelle sue angustie. Ella un giorno finalmente gli ottenne lume di conoscere la cagione del suo male, che era la pietra tolta alle S. Mura della di lei S. Casa. Le ne domandò perdono, e promise farne una pronta restituzione. E in segno di ciò immediatamente fece aprire lo scrigno, ove l’aveva posta fra le sue cose più care, e preziose, e fattosi portare il pannolino ove era stata da lui avvolta, apertolo non vi trovò più la pietra. Pieno di stupore e rammarico insieme, chiese alla Vergine di nuovo perdono, e fece voto di quanto prima visitare la S. Casa. Ottenne subito la salute, e portossi a Loreto a soddisfare il voto, entrato nella S. Cappella osservò la pietra da lui tolta, ritornata prodigiosamente al suo luogo. Sorpreso da insolito stupore e tenerezza proruppe in dirotte lagrime e clamori, alle quali accorsi i Custodi della S. Cappella, raccontò loro il prodigio pubblicamente additando la pietra, alla quale, come all’altre, fu posto il segno di un grappetto di ferro per memoria. Questa è nel S. Muro di Tramontana poco sotto i gradini dell’Altare, alta da terra cinque palmi in circa. Siccome delle pietre, così ancora della calce, con cui sono esse fermate, né a Dio una cura particolare. Un cittadino d’Alessandria di Dio poca calce delle S. Mura, e per maggiore venerazione la racchiuse con un’Agnus in una piccola custodia d’argento. Giunto alla Patria la pose al collo della sua Moglie, non si sa per qual cagione. Ella subito si trovò invasata da Spiriti invernali, che continuamente la tormentavano. L’infelice Marito, non avvertendo la cagione, procurolle ogni rimedio, ma né Orazioni, né Esorcismi ottennero l’effetto. In tale stato fu la misera nove anni. Venuto in Alessandria il P. Battista Vannini della Compagnia di Gesù Predicatore Quaresimale, fu informato dallo stesso Marito dello stato della misera Moglie, il quale considerato l’jncominciamento dell’infortunio della sacra calce pigliata nel muri della S. Cappella, l’esortò a rimandarla a Loreto. Egli levata dal collo della Moglie la custodia ove era la calce, consegnolla immediatamente al P- suddetto, che la spedì al Loreto. Appena fatta la consegna gli Spiriti cominciarono ad obbedire agli Esorcismi, e giunta la calce in mano dei Custodi del Santuario, si trovo ella affatto libera.
Due Sacerdoti Piacentini pigliarono poca calce delle S. Mura, furono da acuta febbre sorpresi, né mai poterono liberarsi, se non dopo fatta la restituzione, e così in molti altri casi succeduti, e che tuttora succedono: che se volessimo quì narrare i casi in questo particolare avvenuti, e riferiti dagli Autori, e quelli la memoria dei quali sono appresso, e i moderni, e gli antichi Custodi del Santuario, saremmo fuori del nostro proposito di brevità, e si potrebbero formare volumi. E perché non sembri a qualcuno i riferiti esser casi antichi, ne porterò altri pochi tra gli molti per disingannarlo.Un Uffiziale di Nazion Francese di profession militare, di indole franca, ed allegra ricevé lo l’involto con roba tolta dalle S. Mura, con avviso di consegnarlo subito ai Custodi. Egli in presenza d’un suo Amico Cittadino Lauretano incominciò a deridere la semplicità, l’idea, e la premura del suo corrispondente. Avvertito dall’Amico a farne subito la consegna fù ancor egli con maggior coraggio deriso, e riputato semplice e ridendo rispose, che quando non avesse avuto che fare, lo porterebbe nella Chiesa ai custodi. Poco dopo fu sorpreso la tal violente febbre, che ad un’ora di notte disperato dai Medici, fu sagramentato per Viatico. In quell’estremo ricordandosi dell’avvenimento dell’Amico fece consegnare al signor D, Stefano Belli allora Curato l’involto. Fra poco incominciò a migliorare: e la mattina trovossi in stato tale, che si portò nella S. Cappella a chiedere perdono alla Ss. Vergine, e a ringraziarla. Accadde nel 1754 ai 9 dicembre, che un Uomo, che avea pigliato dalle S. Mura un piccolo sassolino mai poté veder la Porta, per uscir dalla Chiesa, benché gli fosse indicata, e sino a quella condotto, finché non restituì il Sassolino al Lampadaro Pietro Calvi, chìera nella Custodia in assenza dei Custodi. Un Padrone di Nave stato a Loreto, e pigliato un sassolino, mai poté partire dal Porto di Ancona se non fatta la restituzione. Ed il mirabile è, che viaggiando di conserva con altre Navi, tutte avevano vento, e partivano, solamente la sua era sempre senza vento. E questo è accaduto l’anno 1764, ed il Sassolino fù portato ai Custodi dal signor d’Angelo Giorgi, che si trovava in Ancona. Da questi, e da moltissimi casi succeduti, e che tuttora succedono, avvertamo i divoti di non toccare cosa alcuna delle S. Mura, perché oltre la scomunica fulminata dai Sommi Pontefici a questi tali, Dio è quello, che custodisce, e conserva qualsiasi minima particella di questa sua diletta Abitazione.
CAPITOLO XVIII.
Delle Cappellanìe, e Messe che si celebrano nella
S. CASA, coi loro Fondatori.
L’Augustissima Casa d’Austria tiene un Cappellano con carico di dir Messa tutti
i giorni per la famiglia Reale.
La Serenissima Casa di Baviera tiene due Cappellani, con obbligazione di
Messa quotidiana, ed oltre questi fa celebrare altra Messa quotidiana.
Il Re delle due Socilie tiene un Cappellano, con obbligo di dire la Messa ogni
settimana, che prima era di fondazione della Serenissima Casa Farnese.
Il Re di Francia tiene un Cappellano, con obbligazione di una Messa quotidiana,
due delle quali si celebrano all’Altare di S. Anna.
Ogni anno li 26 Agosto festa solenne in onore di S. Ludovico Re di Francia con
assistenza del Capitolo, e Clero, Magistrato, due Cori di Musica, e sbaro dei
cannoni ec. All’Altare della Ss. Annunziata, annesso alla S. Casa.
Più, ogni 1 Sabbato del mese una Messa solenne in musica, con l’assistenza
del Capitolo, e Clero, pel Re, e famiglia Reale.
La Serenissima Repubblica di Venezia tiene un Cappellano, con obbligo di
una Messa quotidiana.
Più, 12 Messe cantate all’anno, una per ciascun mese, con l’assistenza del
Capitolo, e clero.
Francesco Maria Duca di Urbino lasciò una Messa quotidiana.
Cosimo III, Granduca di Toscana lasciò per l’anima sua una messa quotidiana.
Francesco Loredano Doge di Venezia. Una Messa quotidiana per l’anima sua.
Margherita d’Austria, Duchessa di Parma, fondò per l’anima sua una Messa
quotidiana.
Dorotea Principessa di Lichtestein lasciò pure per l’anima sua una Messa
quotidiana.
L’eccelsa Casa Peretti lasciò una Messa quotidiana..
L’Ill.mo Sig. Francesco Maria Onorati lasciò 10 Messe quotidiane per l’anima
sua.
E.mo Cardin. di Spagna Portocarrero, lasciò fondate 355 Messe all’anno per
l’anima sua.
M. C. Re di Spagna mantiene un Cappellano Nazionale con obbligo di Messa
quotidiana per sé, e sua Real famiglia.
Nota. Altre diverse Cappellanìe si trovano, con l’obbligazione di celebrare per le
Cappelle di questo Santuario, come per esempio:
La Casa d’Arco una Messa quotidiana all’Altare della Ss. Annunziata.
Ogni giorno una Messa per l’Ecc.ma Casa Vastavillani all’Altare della Ss.
Concezione.
Ogni giorno due Messe pel Cardinal di Gioiosa.
Una Messa quotidiana per la Duchessa d’Arguillon, celebrata da un Sacerdote
a sua nominazione.
Ogni giorno due Messe pel fratello Luigi di S. Antonio Eremita di Besanzone,
celebrate da due Cappellani.
Cappellanìa, ossia Benefizio, sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, col peso di
una Messa ogni Settimana, e sei annue di requie all’Altare di Sant’Anna.
L’elettorale Casa di Sassonia tiene un Cappellano continuo, con pinque
assegnamento avendo questo l’obbligo della celebrazione di tre Messe la
Settimana ec. Ed oltre lì sopra detti obblighi ve ne sono moltissimi altri
quotidiani, mensuali, ed annuali, che per brevità si tralasciano.
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NUOVO, ED ESATTO
C A T A L O G O
DE PIU’ QUALIFICATI DONI
CONSAGRATI TUTTI
A MARIA VERGINE
PER DIVOZIONE, O VOTO;
Esistenti nel Tesoro della S. CASA, giusta l’ultimo,
e accurato inventario dell’anno 1788, tralasciate
le cose dei minor rilievo per brevità.
—oooOooo—
A MANO SINISTRA DEL TESORO.
NUMERO I.
Una Canacca, o sia Fornimento da Cavallo, composto di 33 pezzi d’oro di getto
smaltato verde al di fuori; ornato con rose di grosse perle, ed in mezzo, e ai
lati contornato di rubini,e smeraldi: dono della Principessa di Regozzi di
Transilvania.
Una scatola grande rotonda aperta di oro smaltato a vari colori, sopra cui vi è
un basso rilievo in una parte la casta Susanna, e dall’altra S. Giorgio a
cavallo: dono del principe di Baden Baden Tedesco.
Un pezzo di 9 Coralli ridotti a Camei legate in oro con perle; dono d’incognita
Persona.
Un Cuore d’oro lasciato in dono dalle RR. Monache di Torre di Specchj di Roma
nel 1765.
NUMERO II.
Una picciola Cassettina bislunga quadra composta di lastra d’argento
variamente intagliato, e traforato con ovatini di lapislazzuli: dono del Sig.
Andrea Gresti nel 1595.
Due vasi d’argento, ed un ramo di fiori dello stesso metallo, fra mezzo dati da
coralli; dono del Principe di Avellino Napolitano.
NUMERO III.
Altro Ramo dei Fiori con suo vaso di argento: dono del suddetto Principe, ed ai
lati due Ampolline parimenti di argento.
NUMERO IV.
Una corona di sette poste di grossi grani di adatta già signorina, frammezzo dati
da grossi bottoni d’oro smaltato: dono della Principessa di Ragozzi di
Transilvania.
Diverse altre Corone, due di grossi coralli, una framezzata da Bottoni d’oro, e
l’altra con Coppette dello stesso getto; ed in fondo sopra Croce di
Ebano,guernita bei 4 lati d’oro smaltato un Crocifisso di Corallo. Una di
agata sardonica, e grossi niccoli bislunghi, a guisa di Olive, framezzati con
grani minori tondi, guernita di coppette d’oro smaltato bianco. Due
lapislazzuli orientali, una delle quali guernita di coppette d’oro smaltato, e
medaglia d’oro appiedi; Aaltra di Diaspro marmorino, con medaglia d’oro
rappresentante il P. Eterno da una parte, e dall’altra Innocenzo X, ma la
medaglia è riposta al numero XX: donata dalla Contessa Chiara Pallavicini di
Parma; e l’altra di Diaspro sanguigno con i Pater noster a forma di olive:
altra di Corniola, e in mezzo una di giacinto orientale, tutta guernita d’oro, ed
appiedi vi resta un Semibusto rappresentante San Pietro inciso parimenti in
un giacinto; doni di diverse pie Persone
Due Coretti d’oro; donati, uno dalle P. Generale de’ Minori Conventuali nel
1770, e l’altro dal Marchese Bandini di Camerino nel 1774.
S’ammira finalmente nel piano un Canopeo da Pisside di lametta d’argento,
ricamato in oro, e perle: donato dalla Sig. Barbara Coler di Mohrenfelt di
Vienna d’Austria, 1761.
NUMERO V Una Fortezza d’argento, rappresentante la torre di Vensenne, prigione di Stato presso Parigi: donata nel 1595 dal Principe di Conty della Casa Reale di
Borbone, da cui fuggire, di libbre 200. Avanti, e intorno vi restano sei piante
di città, e terre, lavorate il lastra di argento, che sono: Ascoli, Fermo,
Recanati, Monte Santo, Castel-Fidardo, e Sarnano; dalle medesime donate.
NUMERO VI.
Altra canacca di minor grossezza di 67 pezzi simile alla prima già descritta al
numero I, e della stessa Donatrice.
Un Cuore d’oro: dono del Duca Grimaldi di Genova nel 1766.
Un ritratto in lamina d’oro, rappresentante la Contessa Conversavano di Napoli,
dalla medesima alla Vergine donato nel 1758.
NUMERO VII.
Un Presepio d’argento: donato dalla Contessa Dismieri di Torino.
Una Corona reale d’argento con diverse pietre: donò la Confraternita di S, Monica di Fabriano.
NUMERO VIII.
Altra palma d’argento, col suo Vaso; dello stesso donatore Avellino.
NUMERO IX.
Alquante Medaglie d’oro 10 con l’Effigie di Urbano VIII, 4 con l’Effigie
d’Alessandro VII e due altre una col Salvatore, e l’altra coll’Effigie di
Innocenzo X donate dalla Principessa D. Costanza Barberini.
Una Corona di 6 poste di agata zaffirina, con una Crocetta di oro, di rubini, e
diamanti; dono del Sig. Giacomo Menardi Romano.
Una gargantiglia d’oro smaltato nero, composta di 27 diamanti quadri, con una
Colomba in mezzo, che ha un diamante in petto a forma di cuore, con altri 4
piccioli: un pajo di Pendenti egualmente smaltati con 30 diamanti; dono della
Sig. Marchesa Costacuti di Roma.
Un gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, in forma di Croce, contornato di 32
diamanti, e 10 perle: donò il Marchese Patrizj Corsini del 1690.
Due gioielli d’oro smaltati a vari colori, uno traforato a tre ordini ornato di 39
rubini, e l’altro tondo fatto a fiorami, con 57 diamanti: donati dal Ser.mo Duca
Alberto di Baviera.
Altro gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, traforato a due ordini, guernito di 64
diamanti, 5 de quali pendono a goccie: donato da una Dama Tedesca..
La Lettera A d’oro contornata di 14 diamanti, ed un’Anello d’oro con grosso
diamante: dono del Principe Ferdinando di Lobkovvitz duca di Sagan.
Altro giojello traforato a tre ordini d’oro smaltato a diversi colori a due facciate:
Ora diviso in due parti, in una delle quali facciate nel mezzo vi sono due
manine, tenenti un piccolo coretto coronato da 33 rubini, e 5 perle pendenti,
e nell’altra vi è nel mezzo una Crocetta; tutto contornato di 53 diamanti: dono
della Casa Doria.
Due Orologi d’oro, uno de’ quali con Cassa di Lapislazzalo guernito di diamanti:
donati dal Duca di Gravina Napolitano.
Un’anello Cardinalizio d’oro con uno zaffiro ottangolare in mezzo: dono del
Cardin. Sant’Onofrio Barberini.
Altro anello cardinalizio d’oro consimile.
Altro anello d’oro con 7 diamanti di fondo: donò la Duchessa Strozzi.
Un smeraldo lavorato alla Genevrina, ligato in oro, smaltato verde, in forma di
Carafaggio: dono della Sig. Emilia Imperiali Genovese.
Un giojello ovato d’oro ornato di 25 diamanti, dono della principessa Ludovisi di
Bologna.
Un orologio da petto di argento, dentro una grossa granata ligata in oro,
contornato di 29 rubini: dono del marchese Carlo Antonio Visconti Milanese.
Due anelli d’oro con due smeraldi quadri lunghi: dono di D. Gregorio Fabrizi
Benefiziato di questa Basilica.
Una Croce da petto con suo nastro donata di 100 diamanti, e un paio di
pendenti guerniti di 52 diamanti, ed un anello lavorato a rosetta con 11
diamanti: dono di Persona incognita.
Altra croce da petto, e 2 boccole d’oro, con 12 zaffiri, e 47 diamanti: dono della
Princip. Di Santobuono Napolitana del 1749
Un Tofon d’oro, con nastro, e fascetta, guernita di 3 diamanti quadri: dono del
Principe Santacroce nel 1748.
Un giacinto bislungo ligato in oro: dono del Signore Giorgio Zagni Genovese.
Due anelli d’oro, uno con diamante quadro, e l’altro con 7 diamanti: donati dal
Sig. Antonfrancesco Lauretani Preposto di S. Salvatore di Macerata.
Un’anello d’oro con diamante quadro gruppito, rappresentante una sirena: dono
del Sig, Carlo Chiacci di Cremona.
Altro anello d’oro con hn smeraldo liscio, e nel cerchio sonovi nove diamanti:
dono del Marchese Villa.
Altro anello d’oro, con smalto bianco, e un diamante rotondo in mezzo, ed altri 8
ai lati: dono del Sig. Giuseppe Giannini Genovese.
Altro anello d’oro con 7 diamanti: dono della Sig. Angela Salicola di Bologna
nel 1687.
Altro anello d’oro chiamato Mariaggie, con diamanti, e rubini: dono della
Principessa di Ardore Napolitana nel 1730.
Una Croce di Malta d’oro smaltato bianco; ed altre due di S. Stefano d’oro
smaltato rosso; donate da divoti Cavalieri.
Il ritratto di Leopoldo I Imperadore in ismalto turchino lattato, e contornato di
filograna d’oro.
NUMERO X.
Un ostensorio tutto d’argento sostenuto da due Angioletti, e nel mezzo un
grosso topazzo orientale, incastrato in oro, con piede di getto triangolare:
donato dalla Confraternita della Purità della Vita di Bologna.
Due Calici d’argento, con patene, uno contornato di 24 granate sardoniche fra
grosse, e piccole legate in oro; ella altro tutto dorato guernito con 5 pietre
verdi: donati da pie Persone.
Due puttini d’argento, uno simile all’altro: donati dalla Sig. Ortensia Manfroni
Bernini.
NUMERO XI.
Un Bambin Gesù di statura naturale, con 3 chiodi in una mano, e la corona di spine nell’altra, posto sovra piedistallo il tutto d’argento: dono del Marchese Roberto Capponi di Firenze nel 1623.
NUMERO XII.
Uno scrigno quadro bislungo d’Ebano con ispecchi, e colonnette scanalate di cristal di monte, con incassatura, capitelli, e basi d’oro, contornato di circa 70 camei antichi, 48 rubini, e 42 grossi smeraldi su fregj d’oro smaltato a varj colori, e nel fondo dell’interno è tutto ricoperto di lastra d’oro intagliata a fogliami, intarsiata di lapislazzuli a varie forme di fiori, con in mezzo un quadrello bislungo, composto di varie preziose pietre orientali riportate a guisa di Mosaico, rappresentanti pure diversi fiori: dono di D Cristina Gran Duch. di
Toscana.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso d’argento dorato, guernita
all’intorno di vari ornamenti, e fogliami parimenti d’argento dorato, traforato
con ovatini di lapislazzuli, e calcidonia orientali, con piedistallo d’Ebano. Due
Candelieri compagni alla detta Croce incassati in Ebano, guerniti di varj
ornamenti d’oro smaltato, e perle. Una Calderuola, un Aspersorio, e di un
pajo di Ampolline similmente di cristal di monte, con un ornamento d’oro
smaltato a più colori: dono del Cardinal Mandruzzi.
Altra Croce composta di tavolette di lapislazzoli incastrate in Ebano, e guarnita
di grossi topazzi. Il piedistallo è tutto di Ebano con varj quadrelli formati di
diaspro orientale, lapislazzoli, agata, e diaspro siciliano: dono del Principe D.
Carlo Barberini.
Altra Croce composta di 4 pezzi eguali di diaspro orientale, con riporti, e
fornìmenti d’oro smaltato turchino, e sopravi rubini, spinelli, e garantine
sardoniche, con piede di cristal di monte: donata da un Duca di Baviera.
Un picciolo Quadro rappresentante in bassorilievo la Vergine Addolorata, la
quale è composta di varie pietre orientali, cioè: di diaspro marmorino nel
piano, di agata, alabastro, lapislazzoli, e diaspro sanguigno di Boemia
nell’Immagine, e di diaspro verde il Tavolino, dove essa si appoggia, con
cornice di Ebano: dono della Sig. Isabella Morroni Mantovana.
Una Corona, o sia Rosario di ambra gialla, donata dalla Sig. Rosa Masorini di
Vico.
Un grosso pezzo di Corallo, che si divide in due rami, con piedistallo di argento.
Altro ramo di Corallo incassato in una gamba d’Aquila d’argento di getto,
appoggiata su base tonda pure d’argento, doni di pie Persone.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso di getto, e ornamenti, e sovrapposti
il tutto d’oro; Due Candelieri, e Ampolline simili ugualmente guernite d’oro, fù
dono del Cardinale di Lorena.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso, guernita d’argento, con base
ovata, la donò il Cardin. d’Aragona.
Altra di cristal di monte con varj fornimenti. Una Pisside simile guernita di oro
smaltato a varj colori, e tre Candelieri: dono della Duchessa Virginia Savelli
Romana.
Altra simile di cristallo di monte con Crocifisso, e varj ornamenti d’argento di
getto dorato. Due Candelieri, una Calderuola con Aspersorio, una Bacinella,
e due Ampolline della stessa materia, dono di un Duca di Mantova.
Un bacile il grande con vaso d’argento dorato: dono diD. Pietro colonna a parte
del monastero di casa Nova, ma il vaso è riposto al numero XXVIII.
Una picciola Fruttiera ovata d’argento dorato, ed intagliato a fogliami, e nei
trafori guernita di fiori, e fogliami di corallo, con contorno a pizzetto,
similmente d’argento dorato, traforato, smaltato bianco, e turchino, con
rosette di corallo, dono di pia Persona.
Altre due Fruttiere di grossa lastra d’argento dorato e traforata, ed in mezzo un
grosso riporto tondo della stessa lastra smaltata turchino, ed altri simili
riporti di ovatini egualmente smaltati: furono donate dal commendatore
Pietro Colonna nel 1641.
Una Lampada di ambra gialla, incastrata in argento dorato: fu donata da Mons.
Vescovo di Sammogizia.
Altra lampada di cristal di monte lavorata a fogliami con cerchio d’argento
dorato, e 4 teste di Cherubini d’oro di getto smaltato a varj colori: la donò
una divota Persona.
Una Tazza in forma di Conchiglia, con collo, e testa di drago, e piede tondo, il
tutto di agata orientale contornato di oro smaltato a diversi colori: dono del
Duca di Pezzi nel 1572.
Altra Tazza tonda con sua base di agata orientale, con cerchio d’oro smaltato
bianco, e nero: donata dal Marchese di Sila.
Una Croce di ambra gialla, con Crocifisso, ed ornamento alle estremità di
ambra bianca, un calice, e Statuette con Candelieri compagni alla detta Croce, dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del gran Cancelliere di
Polonia, e Duchessa d’Oltrog.
Due statue d’alabastro; una rappresentante la Santissima concezione di M.V.
con piedistallo della stessa materia, e l’altra rappresentante S. Agata ligata
ad un Tronco; donate da pie Persone.
NUMERO XIII
Due collane d’oro smaltato, e ornate di varie figure di smalto al rilievo; la
maggiore composta di 19 castone, con 18 grossi diamanti, e l’altra di 15
castoni, con 30 rubini; donate dal principe D. Giovanni d’Austria.
Una Corona di lapislazzoli di 6 poste, con coppette d’oro smaltato turchino; e
bianco; ai lati d’ogni Patee noster sonovi tramezzini contornati di 187 piccioli
diamantini; ed appiedi vi è un giojello in forma di Stella, osservandosi, da
una parte l’effigie di S. Giuseppe, e dall’altra quella della Maddalena in
ismalto miniate, contornato da 60 diamanti: la donò una Persona incognita.
Un giojello d’oro smaltato verde, e rosso, che figura una Corona di Spine; nel
mezzo ha una Colonna, ed appiedi un picciolo giojelletto pendente fatto a
spighetta, tutto da 107 diamanti contornato: donato dal Principe di
Castelforte.
Una Pace d’oro smaltato a diversi colori, con in mezzo una Croce formata da 7
diamanti, e 18 grosse perle: donata da pia Persona.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e nero, composta di 40 castoncini: nel
mezzo pende una rosetta smaltata, e di appiedi una Colomba d’oro
smaltato, tutta contornata di 54 rubini: la donò la Sig. Giulia Vitale da Trieste.
Una croce da petto d’argento dorato, guernita di 25 diamanti, e 19 granate
balasce, dono del Sig. Giuseppe Borghini.
Un Ordine Capitolare d’oro, che nel mezzo ha l’effigie della B. V. , Tutto
tempestato di 98 diamanti, due grosse amatissime, ed una perla a goccia
appiedi: donato la sua Altezza Ludovico Giuseppe Vescovo di Trifingen, e
Principe del S. R. I. Nel 1770.
Un giojello d’oro in forma di mezza luna, nel mezzo vi è una Stella, e sopra di
essa un Giove smaltato bianco sedente ad un‘Aquila smaltata verde;guernito
di 60 diamanti, e 3 grosse perle pendenti fatte a pere: dono della
Principessa Donna Costanza Barberini.
Un Tofone con suo nastro d’oro smaltato rosso, e turchino, dono del Principe
Santa Croce nel 1748.
Una Croce di Cavaliere di Malta d’oro con 49 diamanti; fù donata dal
Commendatore Martorelli nel 1712.
Un giojello con suo nastro d’oro smaltato bianco, e nero, ed in mezzo ha una
Crocetta d’oro smaltato verde, tempestato di 178 amatiste: dono del Sig. D.
Ferdinando Gaetani Palermitano nel 1687.
Un’Aquila d’oro contornata di 26 rubini,4 smeraldi, e 7 perle pendenti: dono, e
lavoro del Granduca Francesco I di Toscana.
Un Fiore dorato tempestato di perle, e pietre di colori diversi, e nel mezzo un
Nettuno, col Delfino appiedi: dono della Principessa Stabilcolonna di Roma.
Un’Ordine di S. Jaco d’oro con suo nastro, e Croce di S. Giacomo in smalto
rosso in campo di smalto giallo; tutto contornato di 63 diamanti, e 30 topazzi
gialli, dono della Sig. Francesca Riva Belliseo Verach Spagunola.
Un Quadrettino incassato d’oro smaltato con cristallo, e pittura rappresentante
S. Cecilia giacente moribonda: dono di Persona divota.
NUMERO XIV.
Un’Ostensorio d’argento fatto a Tronco, composto a tre ordini in figura di nubi,
dalle quali escono raggi, Cherubini, spighe, e grappoli d’uva, simboli tutti del
Divinissimo Sacramento, ornati di molti smeraldi, topazzi, perle, giacinti, e
granate: dono di D. Dorotea di Neoburgo Duchessa di Parma.
Due Calici con Patene d’argento, e con Coppe dorate di singolar lavoro: donati
da pia Persona.
NUMERO XV,
Un Fanciullo d’argento di statura naturale simile al primo già descritto al numero
XI dello stesso donatore.
NUMERO XVI.
Un Piliale, una pianeta, due tomicelle, due manipoli, una borsa, un messale, e
un palliotto di teletta bianca di argento a fiori, e fogliami d’oro a Coralli: dono
del Principe di Avellino Napolitano.
Una Lampada, Lampadino d’argento dorato ornata di coralli: fù dono del
Principe di Castelforte.
Un Calice, e a Patena d’argento dorato, tutto contornato di coralli; molti di essi
sono ridotti a camei, rappresentanti vari Semibusti, e le Teste di Cherubini:
lo donò il P. Vincenzo Bartoli di Firenze della Congregazione di San Filippo di Recanati, dopo averci celebrato il suo Sagrificio nella S. cappella di 12
agosto 1791.
Un Camice di Pietra detto Amianto lavorato a tela, con cingolo, ricamo, e il
merletto appiedi di seta; fu donato da Persona incognita.
NUMERO XVII.
Una Gioia grande d’oro in forma di Stella, tempestata di 8 diamanti, 10 rubini,
16 girasoli, 36 grosse perle, ed un Cuor d’oro nel mezzo smaltato rosso,
guernito di un grosso smeraldo, 9 diamanti, 6 rubini, e questa iscrizione:
Ludovica Enrici III Galliae et Poloniae Regis Uxor 1598.
Altro giojello d’oro smaltato a diversi colori a guisa d’Arma coronato, e
tempestato di 29 diamanti; donato dal Prior Savelli Romano.
Altro giojello d’oro o in forma di rosa alquanto smaltato bianco, e turchino, con
un castone in mezzo a guisa di Stella, ornato di 25 diamanti: dono del Sig.
Procchieri Perugino.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e rosso, composta di 32 castoni tutti rilevati;
ed ornati di 20 grossi diamanti quadri di fondo, ed altri 16 di minor
grossezza, 20 grossi rubini, e 40 grosse perle, e appieni di è appeso il Tofon
d’oro di getto, a cui succede altra minor Collana dello stesso metallo
smaltato a diversi colori di 25 castoni,9 de’ quali hanno ciascuno in mezzo
un diamante, altri 11 hanno in mezzo un rubino in quadro, e nel maggiore
esistono intorno 4 rubini, e li altri 4 hanno in mezzo un zaffiro turchino; i quali
castori poi, con i 100 alamari d’oro di getto smaltati a più colori, che hanno
per cadauno di essi tre grosse perle a sedere, sono gaiamente distribuiti
parte in varie Stelle, e parte in altri diversi modi; il tutto è dono del Re
Cattolico Filippo IV.
Ed appiedi una gargantiglia d’oro smaltato bianco, e nero, consistente in 15
pezzi insieme concatenati con 38 perle, 11 delle quali sono fisse ad una per
pezzo, e le altre 27 pendenti: dono di Persona incognita.
NUMERO XVIII
Un Ostensorio d’oro con l’impugnatura, rappresentante S. Francesco d’Assisi,
all’intorno contornato viene da picciole figure di basso rilievo, smaltato a vari
colori, che rappresentano gli Evangelisti, con diversi Angioli, guernito di 109
diamanti, 386 rubini, 11 smeraldi, 2 perle,2 zaffiri, e di una grossa granata
orientale: dono del generale conte Melchiorre Halzfeldt.
Un Calice; e Patena d’oro, guernito di un diamante cedrino,3 tre grossi rubini, e
da altri 16 di minor grossezza, un smeraldo, ed un zaffiro orientale turchino:
dono di un Vescovo Polacco.
Altro Calice che ha la Coppa, e sotto coppa d’oro di getto con sua Patena, con
bassi rilievi, che rappresentano vari Misterj della Passione: dono d’una pia
Persona.
Altro calice, e Patena d’oro con piede di cristallo di monte: dono del Cardinale di
Lorena.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato, traforato, ed ornato di varie pietre: dono
di Persona divota.
Un Cuore d’oro, da una parte nel mezzo vi è intagliata l’Arme, e il Nome del
Duca di Beaurillier, detto S. Agnan, e dall’altra il millesimo, cioè: A. D.
MDCCXII.
NUMERO XIX.
Una Statua d’argento di getto, che rappresenta la Ss, Vergine, col bambino: fù
dono di Ludovico Perochel Senatore della Suprema Curia di Parigi, di peso
libre 21, ed un’oncia.
NUMERO XX.
Un Sopralegivo, un Velo da Calice, due Stole, un Manipolo, due Cuscini da
Altare, e una Coperta da Messale di teletta d’argento a fiori, e fogliami d’oro,
e coralli: pure dono del Principe di Avellino.
Un Martello, e una Cucchiara, parte di getto, e di lastra d’argento, con vari
ornamenti di basso rilievo, che servirono per la Porta Santa della Basilica di
Santa Maria Maggiore nell’Anno del Giubileo 1725, è dono del Cardinale
Pietro Ottoboni.
Bacile grandetondo con suo vaso, e due sottocoppe di grossa lastra d’argento
dorato, e cesellato a varj fogliami, e fiori, con diversi riporti, e castoni d’oro
smaltato giallo, verde, turchino, e bianco; tutto contornato di gioje, cioè 29
diamanti, 99 rubini, 16 smeraldi, e nel mezzo di esso Bacile un grosso zaffiro
turchino orientale: dono del Cardinale Vidoni; ma il vaso, e sottocoppe
esistono al N. XXVIII.
Una Carta di Gloria, con cornice di argento in parte dorato, intarsiata di
lapislazzoli orientali con vari riporti di lastra d’argento lavorata a faccette,
rappresentanti in ciascun dei lati di essa Cornice diverse Immagini, e
Serafini; all’intorno guarnita da grossi topazzi, grosse pietre di color d’acqua
marina, granate, e turchina; al di sopra nel mezzo ha un’Arme che
rappresenta una Croce con lettere ai lati, R; S: N: con testa di S. Gio.
Battista a’ piedi, e 6 Palle, la prima è di lapislazzolo orientale, 4 sono di
granate grezzi, e l’altra appiedi di cristallo faccettato, e tinto rosso; fu donata
dalla Compagnia della Misericordia di Livorno nel 1647.
Un Calice, e Patena d’oro, ornato con teste di Cherubini in basso rilievo, e nel
piede tre statuette rappresentanti la Ss.Vergine assisa sopra la S. Casa, col
Bambino in braccio, S. Giuseppe, e S. Gio. Battista, e sottopiede in lastra
d’oro riportata e intagliata l’Arme di D. Enrica Caraccioli Principessa di
Ardore di cui è dono, di peso di libbre 5, oncia una, e mezza nel 1733.
Un Ostensorio grande d’argento quasi tutto dorato, ed in parte contornato di
lastra d’argento lavorata a fogliami di basso rilievo; contornato di 24 pietre
verdi, e nel mezzo due cristalli grandi di monte, con Angioletti di getto
all’intorno, e due dentro che sostengono la lunetta, ed altri 2 Angioli grandi
appiedi genuflessi, che servono di sostegno: dono dell’Ecc.mo Raniero Zeno
Ambasciadore Venez. nel 1621.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato smaltato a colori varj, contornato di 356
granate sardoniche ligate in oro; dono di pia Persona.
Altro Calice, e Patena d’oro smaltato a più colori, all’intorno guarnito de 35
diamanti di fondo, e 69 rubini: donato dall’Imperatore Ferdinando II.
Una Pisside d’oro intagliata a basso rilievo di singolar lavoro, rappresentante un
Mappamondo con tutta la descrizione del Zodiaco, che posa sopra la testa di
un Angiolo sostenuto in piedi da base di nubi con varie teste di Cherubini; il
tutto di argento di getto dorato: dono di D. Rodrigo Antonio Guimareus della
Città di Porto in Portogallo nel 1791.
Un Ostensorio Ambrosiano di cristal di monte con dentro una lunetta guernita di granate sardoniche, sostenuta da due Angioletti d’argento di getto dorato, e fra
mezzo di essi pende un grosso topazzo obbligato a giorno, ed altro simile
incassato a capo del coperchio; all’intorno è ugualmente ornato di altre
granate quadre sardoniche ligate in argento dorato, con base dello stesso
metallo: dono della duchessa Savelli Romana.
Un Calice, e Patena d’oro con varie figure di alto e basso rilievo. Appiedi di
esso sonovi tre statuette che rappresentano le tre teologali virtù: fu un dono
di Clemente XIII Rezzonico, li lib. 8, onc, 7, e 6 ott.
Una Custodia, ossia Pisside con coperchio di cristal di monte, ligato in oro
smaltato a varj colori, contornato di 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle; ed a capo
un Angioletto d’oro con giglio composto di 5 diamanti: La Coppa poi è di
lapislazzolo orientale, con coperchio in manico d’oro smaltato a colori
diversi, varie figurine smaltate bianche, e festoncini d’intorno, con 4
diamanti, 4 rubini, e 6 perle, con base di diaspro orientale, il cerchio, e li tre
piedi parimenti d’oro smaltato a più colori in forma di Satiretti, similmente
smaltati bianchi, con 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle, e sotto la detta base è
posto in lastra d’oro il seguente motto: Ut quae tuae prole tuae Mundum
beasti == Et Regnum, et Regem prole beate velis == Henricus III Francorum
et Poloniae Rex Christianissimus MDLXXXIV.
Un pezzo di miniera d’argento che al naturale forma un Cagnolino, tal quale è
stato trovato nella miniera: mandato da una Signora del Messico del 1769.
Un Tavolinetto d’argento in parte dorato, il di cui piano viene formato da un
grosso topazzo ligato a giorno, ed un altro di minor grossezza pendente
appiedi; contornato di 27 smeraldi parte all’intorno, e parte a goccia: Dal suo
contorno spunta una rama di argento smaltato verde con 5 smeraldi cadenti
a pioggia sopra un Cocchio tirato da Cavalli, con dentro una figurina, ed altre
picciol d’intorno, il tutto di Corallo: dono di Francesco Pagani Spagnuolo nel
1771.
Una Metà, ossia Fondo di Conchiglia, con 3 perle attaccate, una delle quali è
alquanto grossa: donata dal Nobil Gio. Battista Pecorini Veneziano.
Un gioiello d’oro di getto smaltato a vari colori, con sua catenella ornata di 6
rubini, fatto a mezza luna guernita di 6 smeraldi, due altri grossi a’ lati di
esso, ed altro simile appiedi con 3 grosse perle; nel mezzo voi sonovi 8 otto
rubini, e varie figurine all’intorno di basso rilievo. Altro gioiello d’oro di getto
smaltato a diversi colori, rappresentante la resurrezione con il Salvatore in
mezzo circondato da un arco, in cui sonovi 6 diamanti, 10 rubini, 2 smeraldi,
2 perle a’ lati, ed una appiedi. Un Cappio d’oro smaltato nero, ornato da 4
diamanti, 4 rubini, 4 perle a’ lati, e un rubino basso, ossia giacinto in mezzo.
Altro simile contornato di 8 rubini, 4 perle a’ lati, ed un grosso smeraldo in
mezzo. Un giojello d’oro smaltato a più colori, rappresentante nel mezzo
Gallo ornato di rubini, smeraldi, e perle. Una Pietra a Cameo, con figura che
abbraccia una Croce, contornata di oro smaltato con due figurine, e teste di
Cherubini. Altri quattro piccioli giojelli d’oro smaltato a diversi colori, con
varie gioje. Sedici rosette d’oro di getto smaltato a varj colori tutte guernite di
perle, ed altre 7 con diamanti, e turchino, ed una Lingua d’oro, e sua
catenella dello stesso metallo, con 3 rubini della A. A. R. R. Della gran
arciduchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria: il tutto è suo dono.
Da due catenelle, e festoncino a rosetta d’oro, pende un Drago dello stesso
metallo tutto di getto smaltato a più colori, guernito viene da 32 diamanti, 22
rubini, 28 smeraldi, ed una grossa perla tonda a piedi; dono di un Duca di
Baviera.
Un Nettuno d’oro di getto coronato di frondi smaltate verdì, guernito di diamanti,
col Tridente nella destra, e Scudo d’oro alla sinistra, che ha in mezzo una
grossa perla a sedere, con sopra un diamante, con banda, e manto smaltato
rosso, stando con il ginocchio sinistro sopra una testudine e al di sopra è
formata da una grossa perla ovata a sedere, e il rimanente d’oro smaltato
verde, ed il piede destro fra mezzo a due Delfini che restano al di sotto
similmente d’oro smaltato bianco, ed alquanto rosso, imbrigliati a doppio filo
d’oro con madreperla a’ loro lati, e in testa hanno un diamante per ciascuno:
dono di una Principessa incognita Napolitana del 1717.
Un Vaso, ossia Bronzino d’argento dorato, ornato di 23 intarsiature di
lapislazzoli, con 57 riporti d’oro ingioiellata di 67 rubini; dono del Marchese
Olivares Spagnolo, sopra di esso posa un Pozzo d’oro smaltato a colori vari,
sostenuto da 4 Palle di agata sardonica, nella base resta di Salvatore, col la
Samaritana, all’intorno viene gueernito da amatiste, con l’iscrizione: Mulier
da mihi bibere. Nella bocca di esso sonovi due Colonnette di Corniola, che
sostengono una Corona, con due Secchj di Corniola ligati in oro, contornato
viene ancora da 44 rubini, 12 turchine, e 92 perle; lo donò il cardinal
Brancacci.
Un pezzo d’oro oro rozzo estratto dalle miniere del Brasile: fu donato da un
ambasciatore straordinario di Portogallo nel 1716. Pesa oncie 10 ed
un’ottava.
Una picciola Galera tutta di oro smaltato a più colori, guernita di 10 diamanti
quadri, 2 grossi zaffiri bianchi quadri di fondo, posti l’uno per bandiera, e 6
perle; dono della Principessa Maria Cristina di Mansfele.
Una grossa Pietra ovata di Belzuar, ligata in oro smaltato a vari colori, e
contornata di 12 smeraldi tondi, grezzi: la portò il P. Alfonso Messia al Perù,
di cui è dono.
NUMERO XXI.
Una Collana d’oro composta di 36 pezzi traforati, e smaltati bianchi, in neri,
infilati in giro, i quali sono guerniti di 610 diamanti; donata dall’Elettore di
Colonia il Bavaro.
Altra minor Collana d’oro composta di 36 pezzi smaltati a diversi colori, 19 di
essi sono guerniti di amatiste, e gli altri di rubinetti, frammezzo dati da
perline, e in mezzo vi è un picciolo giojello tondo smaltato, contornato di
amatiste, e rubinetti: dono della Marchesa Negroni Imperiali di Genova.
Un Ordine d’oro smaltato bianco, nero, rosso, con 3 alamari, 2 nastri, o nodi
passanti, una fiamma, e tofone appiedi tutto ornato di gioje, cioè, 386
diamanti, 11 grossi smeraldi, ed altri 131 di minor grossezza, 48 rubini: dono
del Duca di Madalona D, Domenico Caraffa del 1686.
Una Croce d’argento traforato, guernita di 7 grossi smeraldi quadri di color per
effetto ligati in oro, con 40 diamanti quadri brillanti all’intorno; dono del
Cardinale dì Altan Tedesco.
Una fermezza da maniglione d’oro smaltato bianco, nero, verde, con in mezzo
un grosso smeraldo bislungo di perfettissimo colore, ed intorno guernita di
14 diamanti tondi; dono della Duchessa Gaetani Romana del 1774.
Un’anello d’oro smaltato nero con un grosso smeraldo quadro in mezzo, e 3
diamanti per ciascun lato; dono del Cardinale Mellini.
Una Croce d’argento traforato con sua attaccaglia di doppio anello con grosso
filo d’oro, con 7 grossi smeraldi brillantati ligati in oro, e 18 diamanti ligati in
argento parte nei raggi, e parte all’intorno di essa; dono di Monsignor
Francesco Onofrio Hodierna Napolitano nel 1736.
Una Croce d’oro con 6 smeraldi disposti anch’essi in Croce, e contornata di 16
diamanti, dono di Monsignor Paolucci già Vescovo di Ferrara, e il Nunzio
Straordinario di Polonia nel 1698.
Altra Croce d’oro smaltato a varij colori, composta di 9 smeraldi, e 22 diamanti,
3 de’ quali formano i 3 chiodi distribuiti in due bracci, e nel tronco; dono
dell’Ab. Ettore Riccardi Toledano.
Altra croce d’oro di getto smaltato a colori diversi, al disotto una rosetta
punteggiata bianca, con iscrizione: Virgini Lauretanae 1572. Alexander
Riarius. Davanti è guarnita di 6 smeraldi, un rubinetto appiedi di essa
Croce,e 7 perle, 4 delle quali restano fermate ai lati, e 3 pendono ai bracci, e
nel piede.
Una Croce di argento traforato, pendente da un passante fatto a fiore, con un
appio similmente d’argento, il tutto è contornato da 38 diamanti, e 20
smeraldi ligati in oro. Un paio di pendenti d’argento traforato, ornati di
diamanti, e smeraldi, ed un giojello bislungo pur d’argento traforato,
tempestato di smeraldi, e diamanti; il tutto donato dalla Principessa di
Castellaneta nel 1741.
Un’anello d’oro traforato nei lati, con un smeraldo quadro bislungo in mezzo,
attorniato da 12 diamanti brillantati ligati in argento, dono di sua Eccell,
Francesca Filingeri Duchessa di Piselli nel 1763.
Altro anello d’oro, ossia Rosetta traforata nei lati, e nel mezzo ha un grosso
smeraldo ottangolare, contornato da 18 diamanti ligati in argento; dono della
Principessa della Riccia Napolitana del 1774.
Un’Alamaro d’argento con una Rosa in mezzo, tutto guernito di 68 diamanti, e 9
smeraldi: dono del Principe Dietrichstein.
Una Croce d’oro di getto smaltato a colori vari, con 7 smeraldi bislunghi, 2 perle
pendenti ai lati, ed una appiedi. Un’anello con grosso castone d’oro
smaltato, che ha in mezzo un grosso smeraldo: dono di un Duca di Baviera.
Una Croce d’oro ornata di smeraldi: donata dalla Co: Paravicini di Milano nel
1688.
Altra Croce d’oro con pizzetto all’interno smaltato a più colori, ed a capo un
Cappio d’oro traforato, il tutto ornato di 19 smeraldi; dono del Sig. Antonio
Conti di Ferrara.
Altra Croce d’oro contornata di 12 smeraldi: dono di una pia Persona Polacca
Altra Croce d’oro di getto smaltato a varj colori, composta di 7 grossi smeraldi;
dono di un Vescovo Polacco nel 1461.
Finalmente osserva si una grossa croce d’oro di getto smaltato a più colori,
intagliata all’intorno a fogliami con vari uccelli, composta di 8 grossi smeraldi
di Roccavecchia di forme diverse, e al di sopra un’Anello d’oro Episcopale,
con un grosso smeraldo quadro bislungo pur grezzo ligato a giorno; dono del
Card. Sfondrati Milanese Nipote di Gregorio XIV.
NUMERO XXII.
Un’Ostensorio d’argento dorato, guernito all’intorno di 130 diamanti, 14 rubini, e
140 perle; lo donò. Ludovico Mercatelli Priore della Cattedrale di Jesi nel
1737.
Un Calice d’argento dorato con Patena d’oro, all’intorno ornato di castoni, e
fogliami d’oro smaltato a diversi colori, parte di essi e con zaffiri ottangolari
bislunghi orientali, e parte con perle: dono di un Duca di Mantova.
Altro Calice e Patena d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra
d’argento cesellato a fogliami, con 3 Cherubini: dono di benigna Persona.
Due Calici d’argento con Patene dorate: donati da pie Persone.
NUMERO XXIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante la Vergine col Bambino, con
Corona di lastra d’argento in capo, Scettro dello stesso metallo nella destra,
e nella sinistra il Bambino con Diadema in testa, tenendo un Globo del
braccio sinistro, mezza Luna appiedi, ed all’intorno è circondata da raggi
parimenti di lastra d’argento dorato: fù donata dalla Città di Fossombrone nel
1660, di peso libre 19, ed un’oncia.
NUMERO XXIV.
Una lampada con 3 catene, composte ognuna di 5 gigli, e 5 stelle d’oro di
getto, guernito ogni giglio di 5 diamanti, ed i 7 rubini quadri ogni stella, le
quali restano fermate in 3 rami di lastra pur d’oro terminanti ciascuno in una
Stella di più raggi dello stesso metallo di getto, con in mezzo una grossa
perla, i quali disposti a triangolo sostengono, ed abbracciano al di dentro una
Corona Reale con raggi similmente d’oro traforato, smaltato a diversi colori,
e sopra di essa Corona altra simile assai più piccola, che ha dentro un
Lampadino di cristal di monte. Le descritte Corone sono all’intorno
tempestate di preziose gemme, più, e nemmeno grosse, che restano
gaiamente distribuiti in varie foggie, cioè: di 153 diamanti, 110 rubini, 281
perle, 51 smeraldi, 17 o quali, 4 zaffiri,2 granate, e un giacinto orientale.
Sotto puoi le medesime restavi annessa una Colomba d’oro di getto
smaltato bianco, e negli occhi, e piedini smaltata di altri propri rispettivi
colori, nel ne contiene un ramoscello d’olivo smaltato verde, nelle fronti è
ornato di 8 smeraldi disposti a guisa d’olive, e in petto a un grosso smeraldo
quadro bislungo intagliato colle Arme, e di iscrizione del principe D, Camillo
Panfily Donatore, Nipote di Innocenzo X. Pesa libbre 11, e un’oncia.
Un Cerchio d’oro fatto a rosetta contornato di 18 rubini, pendono 3 catene dello
stesso metallo unite ad un Cuore grande aperto di lamina d’oro tutto
tempestato di diamanti, e rubini: dono del Serenissimo Duca Massimiliano
Filippo di Baviera nel 1683.
La veste della S. Immagine di velluto paonazzo, ornata di 16 listre di 4 fiorami a
tutto ricamo di perle tonde picciole, e grosse, di lustrini, filo, e francia d’oro
appiedi: dono della Principessa di Ragozzi di Transilvania.
Palliotto di teletta d’argento turchino tutto tempestato di perle tonde orientali,
picciole, mezzane, grosse, fascette, e mezze lune d’oro di getto smaltato
bianco, ornati tutti di diamanti quadri, e triangolari, e fregio appiedi lavorato a
fogliami similmente di perle tonde di varia grandezza, con rosette, e castoni
d’oro di getto, pur smaltato bianco, guerniti di diamanti: donò I’Infanta di
Spagna, Moglie dell’Arciduca Alberto.
Una corona reale di lastra d’oro cesellata, composta di 8 raggi, 4 maggiori, e 4
minori, al di sopra a un picciolo cerchietto d’oro di lastrina d’oro, contornato
di 12 Stelle dello stesso metallo, all’intorno guernito di rubini, zaffiri bianchi
quadri orientali, e perle donata dal cavaliere Wincislao Brizia di Trevigi nel
1608.
Una Statuetta d’argento rappresentante la Ss.Vergine in piedi, col Bambino
nella sinistra, e lo scettro dorato nella destra, con Corona in testa, e raggi
all’intorno: dono di pia Persona.
Una Fruttiera tutta d’argento di getto traforato, e tirato a rami, e ha foglie in
parte dorato, ornata di 57 pittorine a minio più, e meno picciole ricoperte di
cristallo. Nel mezzo vi è un picciolo Crocefisso, con la B. V. fregiata da un
rubino in testa, e S. Giovanni da un smeraldo, a capo della Croce restavi un
rubino quadro, e 8 diamanti distribuiti in essa. All’intorno viene guernita di 37
smeraldi, e di 37 topazzi quadri; dono della Serenissima Duchessa di
Modena nel 1721.
Una corona reale di lastra d’oro composta di 4 raggi, due maggiori, e 2 minori,
ed all’intorno è contornata di diamanti: dono di Persona benigna.
Altra corona reale d’oro, con 12 raggi, e 6 de’ quali sono maggiori, e gli altri
alquanto minori, guernita di diamanti, smeraldi, e perle, dono di Persona
incognita.
Un Triregno d’argento in parte dorato, smaltato, con cCoce sopra di getto
dorato, ornato di fogliami intagliati, guernito di smeraldi, topazzi bianchi,
amatiste, e granate, e di una picciola Corona di lastra d’argento cesellata,
contornata di varie pietre di colori varj: il tutto è dono della Confraternita di S.
Maria della Purità di Bologna nel 1633.
Una Statuetta d’argento di getto in piedi, rappresentante S, Anatoglia, che ha
nella destra la Palma del Martirio, e nella sinistra, la Pianta della Terra di tal
nome, di cui mostra esser Voto stante la Iscrizione intagliata nel piedistallo
dorato.
Un Bacile ovato d’argento dorato, guarnito di incassi alture di lapislazzoli
orientali, con 48 riporti d’oro traforato, smaltato a colori varj, gioiellati di
rubini, ed altri 8 riporti più piccioli, con un smeraldo per cadauno: dono del
Marchese Olivares Spagnuolo.
Una Corona Reale di grossa lastra d’oro con fascia ornata di 5 castoni pur
d’oro, traforati, e smaltati a più colori, nel castone di mezzo restavi un grosso
rubino in quadro, e negli altri sonovi grossi smeraldi, e zaffiri turchini
orientali: dono di Persona pia.
Altra Corona d’oro smaltato nero composta di 7 raggi, con intagli all’intorno
della fascia, rappresentanti la Natività del Salvatore, con piccioli Cherubini
d’oro di getto ripartiti in giro, nel mezzo ha una grossa granata ottangolare
con iscrizione: Devota Comunitas Recaneti. In ciascuno di detti raggi vi è a
capo un pometto smaltato turchino, e framezzati da 7 Angioletti in piedi
similmente d’oro di getto, in atto di suonare il Violino, ed il settimo raggio ha
una granata quadra bislunga di minor grossezza. Pesa libbra una, oncie 3,
ottava una, e mezza. Appartiene alla suddetta altra minor Corona d’oro
consistente in 3 raggi, ornata intorno di 2 grosse perle, e nel mezzo della
fascia eravi la grossa Spinella la quale rimirasi al numero XXV,
La Machinetta di argento quasi tutto dorato, singolare travaglio che rappresenta
una Lampada, a capo della quale vi è una Corona Reale guarnita di varie
gioje intagliata di 8 raggi, che terminano tutti in un grosso giglio. Detta
Corona viene sostenuta dalle teste di 3 Angioli di getto disposti a triangolo
all’intorno fra le mani di essi, gira una picciola Collana guisa di festoncino
comporta di diversi pezzi a somiglianza di gigli, Corone, e trofei, tempestata
pur di gioje, e da uno dei detti gigli pende una Croce di Malta smaltata in
bianco, con lo spirito S. in mezzo formato di diamanti. I medesimi Angioli
posano sul dorso di tre Leoni di getto dorato giacenti sopra base tonda pure
d’argento dorato, e tra essi Leoni veggonsi disposte tre Armette coronate i
rappresentanti ognuna un Leoncino in piedi. Tutte le suddette gioje più, e
nemmeno grosse che ornano la solo riferita sono: 40 diamanti, 249 smeraldi,
200 rubini, 66 perle, e 4 zaffiri: donata dal Principe Guido Vaìni Gran
Maestro di Malta nel 1702.
Una Corona Reale d’oro composta di 16 raggi traforati, e smaltati bianchi, e
neri, 8 di essi sono maggiori, e li altri assai minori, contornata di 304
diamanti, e 38 rubini. Uno Scettro pur d’oro smaltato bianco, e nero, con 82
diamanti, e 57 rubini; il tutto fù dono di Cristina Alessandra Regina di Svezia
nel 1656.
Un Triregno d’oro smaltato a varj colori. Le 3 corone che il compongono sono
ornate di 392 diamanti, con una picciola corona pur d’oro contornata di 96
diamanti: dono dell’Infante di Savoia.
Due Corone Reali di lastra d’oro, una per l’Immagine della B.V., e l’altra pel
Bambino, contornate vengono da perle tonde, e da 254 diamanti ligati in oro:
dono di Catarina di Brandeburgo Principessa di Transilvania.
Una Corona Reale di lastra d’argento dorato intagliata a fiorami, ed altri varj
lavori, ornata di 42 diamanti, 185 rubini, 56 smeraldi, 128 perle, e 8 topazzi:
la donò il Senatore Ginnori di Firenze.
Altra Corona Reale di lastra d’oro, la maggior parte lavorata a fogliami, e fiori
diversi in ismalto di varj colori, contornata di diamanti, rubini, e perle: donata
da pia Persona.
Sotto la medesima sonovi annessi due fasce o siano Corone d’oro, una
maggiore dell’altra, ornate da diamanti di fondo, smeraldi, rubini, e perle:
donate dalla principessa Ragozzi di Transilvania.
Un Cuore grande d’oro aperto, da un lato del quale vi è il nome di Gesù formato
di 40 grossi diamanti, e dall’altro il nome di Maria, composto di 38 diamanti
più, e nemmeno grosse, all’intorno tempestato di altri 57 diamanti.
Nell’interno stavano 3 miniature in ismalto, rappresentanti da una parte
l’Effigie della B. V. col Bambino in braccio, e dall’altra quella di Enrica Maria
Regina d’Inghilterra moglie di Carlo I, di cui è dono, tenendo nella destra un
Cuore in atto di offerirlo al Bambino Gesù, che presentemente restano negli
esterni di esso cuore. Pesa libbre 3, oncie 3, e 3 ottave,
Un Alamaro, ossia Razionale ornato da quantità di diamanti, e smeraldi, nel
mezzo ha un Pellicano che nutrisce i suoi Polli, con un grosso rubino in
petto, e nei lati di esso fiammeggiano altri 10 piccioli rubini: dono della
Principessa d’Uceda Spagnola nel 1712.
Un picciolo Uffiziolo della B.V. racchiuso in copertina d’oro traforato, smaltato a
basso rilievo di colori diversi da quelle parti, e guernito de 109 diamanti;
dono di un Benefattore Spagnuolo nel 1713.
Un picciolo Cuore d’oro smaltato rosso che ha in mezzo un grosso rubino in
quadro balasso, con 9 diamanti quadri all’intorno ligati in argento; dono
d’incognita Persona.
Un giojello grande d’oro smaltato a più colori, nel mezzo ha un smeraldo grande
in forma di Ape, circondato da 14 perle, al di sopra una Corona con 3
diamanti, e 2 rubini, contornato di 95 smeraldi, e 7 diamanti, ed appiedi un
grosso medaglione pur d’oro, con l’Effigie del Principe D. Masseo Barberini
da una parte, e dall’altra un Sole nascente dal mare, fù dono del detto
Principe.
Una Collana composta di 32 pezzi piani d’oro traforati, elaborati alla Chinese, e
di altri 16 pezzi d’argento traforati a fogliami di basso rilievo, guernita di 303
diamanti piccioli, con Medaglia d’oro ovata appiedi di filograna d’oro, e di un
Semibusto della B. V. d’oro di getto da una parte, e S. Francesco di Sales
dall’altra: fù donata dal Principe Elettorale di Sassonia fratello di D. Maria
Amalia Regina di Napoli, il quale fù in Loreto l’anno 1738.
Un Cuore di lastra d’argento dorato, ornato da 2 palme incrociate, guernite di 24
diamanti, con una Corona che le abbraccia, contornata da 9 diamanti, sotto
di esse vi è una rosetta con un grosso rubino quadro bislungo, e di una
fascia pur d’argento dorato: dono di Pia Persona.
Tre paja di Pendenti d’oro traforato, un pajo guarnito di amatiste, altro pajo di
smeraldi, uno de’ quali grosso appiedi a goccia, e l’altro di cristallo cedrino di
monte, con grossa goccia di simil cristallo: furono donate dal P. Davia della
Compagnia di Gesù.
Un grosso topazzo che credessi orientaleligato in oro: fù donato dal Sig. Conte
Pilza.
Una Croce da petto con suo Cappio d’argento traforato e dorato, contornata da
un grosso diamante quadro di fondo in mezzo, ed altri 14 fra grossi, e piccioli
intorno: dono di Persona incognita.
Un grosso gioiello in forma di Rosa d’oro smaltato rosso, con fronde verdi,
guernito di un grosso rubino nel mezzo, ed altre 56 più, e meno grossi
intorno; dono di benigna Persona.
Un Cuore d’oro aperto smaltato bianco, e nero, ed entrambe le parti tempestato
di varj rubini; dono del Co: Fonsalita Governatore di Milano.
Un giojello tondo d’oro smaltato a diversi colori traforato all’intorno, e nel mezzo
evvi un grosso occhio di Gatto orientale bislungo, contornato di 12 rubini
quadri, 12 diamanti di mezzana grossezza, e smeraldi quadri bislunghi; dono
i un Palatino polacco nel 1499,
Un gioiello grande in forma di Cuore d’arg. dor. al di sopra guernito da 2 Cristalli
di rilievo in foglia rossa, rappresentanti in uno il Salvatore, e nell’altro la Vergine, appiedi altro Cristallo cedrino bislungo ottangolare coronato di 13
diamanti, 12 topazii, 22 turchine di roccavecchia, e 10 granate sardoniche.
Un’anello d’oro contornato di diamanti con grossa turchina; dono della
Principessa di Rosano Napolit.
Un picciolo Quadretto ovato di diaspro orientale dipintovi Sant’Antonio col
Bambino avanti, con cornice d’oro traforato, smaltato bianco, e turchino, con
suo cappio pur d’oro smaltato a più colori, il tutto contornato da 26 rubini
quadri diversi; dono del Marchese Pizzini Napolitano.
Una Croce da Cavalieri di S. Stefano, con in mezzo un grosso topazzo, ornata
di 9 diamanti, 4 granate che formano la detta Croce, con un Ungaro doppio
appiedi, ed una perla a goccia: dono del Principe Piccolomini d’Aragona nel
1720.
Un’Ala, ossia Pennacchio d’oro quasi tutto traforato, smaltato a varj colori,
tempestato dal 108 diamanti: dono di pia Persona.
Un gioiello d’oro traforato a 2 ordini smaltato a più colori, nel mezzo ha una
Colomba volante smaltata bianca, nel ne becco tiene un ramo smaltato
verde, ed è guernito di 7 rubini, e 3 perle pendenti a goccia: dono d’incognita
Persona.
Un Orologio ovato d’oro, con 2 attaccaglie, e chiavetta d’oro intagliato a fiorami,
circondato da 10 diamanti ligati in argento; dono di Persona pia.
Un gioiello pendente da una Corona, d’argento traforato in forma di Cuore
frezzato, che ha nel mezzo una lastrina tonda d’oro smaltato a varj colori,
rappresentante una Croce di S. Giacomo, tutto ornato di diamanti, e
smeraldi diversi, la donò il Marchese di Arigliano nel 1738.
Un Cuore d’oro con fascia d’argento traforata, e fregiata col Nome di Maria, con
31 diamanti sparsi nella fascia e Nome; dono di benigna Persona.
Un’Aquila a 2 teste coronata d’oro di getto, tempestata di 321 perle, e 333
rubini; la donò il Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un Fiore, ossia Ramo con suo fusto d’argento dorato composto di 22 tremolanti
dello stesso metallo, fregiati da 68 diamanti, e 18 perle: lo donò la
Contestabilessa Olimpia Pamphily Colonna nel 1704.
Una Perla bislunga assai grossa ligata in oro smaltato nero, che ha da un lato
Un picciolo Drago d’oro variamente smaltato, col ventre composto di una
grossa perla, con 3 picciole catenelle d’oro da cui pende: dono di pia
Persona.
Un grosso Cameo ovato di agata sardonica orientale, che nel fondo è di color
zaffirino, rappresentante la Dea Pallade ligato in argento, in addietro creduto
Giulio Cesare: la donò la Contessa Anna Catarina di Baviera.
Altro Cameo alquanto minore ovato di pietra sardonica in campo oscuro ligato
in argento dorato, con semibusto a basso rilievo che rappresenta Filippo II
Re delle Spagne; lo donò la Principessa D. Margherita Pio di Savoia nel
1726.
Una Coce d’oro da petto con 38 perle; lo donò il Sig. Antonio Perinetti di
Piacenza.
Due Razionali d’argento dorato con 3 grossi bottoni per ciascuno formati di
perle in giro, e nella sommità di essi restavi una grossa perla; donati, uno dal
Cardinale d’Urbino, e l’altro dal Cardinale del Carpio ambedue Protettori
della S. Casa.
Un vezzo di 31 perle concatenate in altrettante Rosette d’oro smaltato bianco, e
nero; lo donò la Sig. Lanti Veneta.
Un filo di 172 perle tonde formante 2 colli; lo donò un’incognita Persona.
Altro filo di 45 perle orientali, con 2 anelletti d’oro; dono d’occulta Persona.
Altro filo di perle orientali, donato da pia Persona.
Altro filo di 47 perle orientali perfettamente tonde. Un paio di pendenti piccioli
d’argento con un diamante tondo, attaccaglia con diamanti e, e una perla a
goccia; donollo il Cavaliere Antonfrancesco Bojardi Ferrarese nel 1717.
Un vezzo di 2 fili di perle tonde; lo donò del Sig. Filippo Cardirola di Sulmona
nel 1742
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e una a goccia; le donò una
divota Persona del 1749.
Un collo di 5 fili di perle tonde, lo dono del Sig. Agostino Marioni Veronese nel
1710.
Altro collo di 2 fili di 148 perle tonde orientali, con 2 anelletti: lo donò una
benigna Persona.
Altro collo di 62 perle tonde orientali; donollo D. Girolamo de Artegna e Bazza
dell’Indie nel 1704.
Altro collo di 4 fili di perle orientali tonde: lo donò la Contessa Felice Costanza
Giurichini Sentinelli Pesarese nel 1731.
Altro collo di 30 perle orientali: dono del nobile Giorgio Pisani Veneto.
Altro collo di 45 perle tonde orientali: lo donò la Sig. Cecilia Sanguinaccio di
Pesaro nel 1734.
Nastro formato di lastra d’oro tutto ornato di perle, pende da esso un giojello
tondo d’oro traforato, composto a 2 ordini, da una parte a una picciola
immagine della V., dall’altra quella di S. Teresa, contornato di alquante
rosette parimenti di perle: lo donò la Contessa Chiazza Napolitana.
Una grossa perla orientali a goccia ligata in oro, e con picciola Crocetta a capo:
donata da pia Persona.
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e altra maggiore a goccia;
donolle la Co. Di Verva.
Un vezzo, ossia filo di 55 perle orientali, tutte di conto: lo donò la Co. Pini di
Pisa nel 1765.
Una gioja da petto composta tutta di perle eguali, con alcune più grossa in
lastra d’oro: la donò la Sig. Aloisia Corsi della Città di Penna nel 1760.
Un nastro formato di foglie d’oro con 62 diamanti, e 108 perle orientali tonde;
donollo la Marchesa di Zoffrano.
Altro nastro d’oro traforato al di sopra, tutto ornato di perle a guisa di rosette:
dono del Sig. D. Gio: Errera Consigliere in S. Chiara di Napoli.
Cappio di lastra d’oro smaltato bianco, e nero, tempestato di rubini, e perle:
dono della Sig. Catarina Centoventi.
Un’Alamaro di argento traforato a fogliami di basso rilievo, guarnito di 24
diamanti, con grossa perla bislunga nel mezzo, e 2 altre minori ai lati: dono
della Principessa della Torrella.
Un giojello d’oro smaltato bianco, nero, e rosso, contornato di 5 grosse perle
disposte a guisa di Croce, e nelle parti sonovi 4 grossi diamanti, con altri 12,
più piccioli che fregiano dette perle: lo donò una Persona incognita.
Un picciolo nastro di argento traforato ornato di diamanti, col perla a goccia:
dono d’occulta Persona.
Un collo, ossia Vezzo consistente 35 pezzi d’oro smaltato nero, 17 de’ quali
sono in forma di rosette, con grossa perla a sedere nel mezzo di ciascun
pezzo circondato da 2 ordini di perline tonde, e gli altri sono a guisa di
nastrini, guerniti a seconda dei medesimi predetti pezzi. Un’alamaro ovato
da petto d’oro, tempestato di perle, che formano alquante rosette; donollo la
Sig. Teresa Paolini da Santobuono nel 1711.
Un Fiore di perle fatto a Farfalla, che ornava un cappio di gallone d’oro,
presentato con un Cuore dalle RR Monache di Torre di Specchj di Roma
descritto al N. I.
Otto Fiori di lastra d’oro traforato contornati di perle, in 4 di essi sopra Castone
d’oro sonovi 4 diamanti, e negli altri 4 parimenti sopra egual Castone 4
rubini: dono di pia Persona.
NUMERO XXV
Un’Aquila con 2 teste sotto corona imperiale, e picciolo Tofone appiedi il tutto
d’oro di getto smaltato a più colori, ricoperta di 398 diamanti, 37 de’ quali
sono grossi, con uno assai grande nel mezzo: donolla l’Imperatrice Maria
Madre dell’imperatore Leopoldo I.
Una Collana d’oro traforato e smaltato a diversi colori, composta di 42 pezzi in
piano concatenati con 2 anelletti pure d’oro, di alcuni di essi formati sono a
Cifra, altri a Stella, ed altri a guisa di festoncini, contornata da 21 diamanti, e
21 rubini: dono d’incognita Persona.
Un Centiglio d’oro dal cappello smaltato nero, composto di pezzi 41 traforati e
arabeschi, in ciascun lato di esso vi è un cerchietto pur d’oro, liscio,
contornato tutto di 125 diamanti: dono di un Duca di Baviera.
Una gargantiglia d’oro composta di 35 pezzi, ornata da 373 diamanti: donolla D.
io: battista borghesi Principe di Solmona.
Un’Anello d’oro smaltato nero, con grosso Castone pur d’oro, e in mezzo un
grosso diamante di fondo di peso grani 72: dono del Duca Carlo Doria.
Altro anello d’oro lavorato nel cerchio a basso rilievo, con grosso diamante
brillantato tondo nel mezzo color di paglia, contornato di 36 diamantini
brillanti ligati in argento: dono del Principe D. Girolamo Giustiniani di Roma
nel 1717.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso brillante di acqua perfetta, ornato di
18 brillantini, fù lasciato in dono da Monsig. Giancarlo Molinari morto Nunzio
postolico in Bruxelles nel 1764.
Altro anello d’oro smaltato verde, e turchino, con grosso diamante gruppito
quasi d’acqua cristallina legato in argento; donollo il Co: D. Francesco
Lichstein Canonico della Metropolitana di Salisburgo nel 1746.
Altro anello d’oro variamente smaltato con grosso diamante tondo brillantato di
fondo color paglia: lo donò una benigna Persona.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ornato
da 20 quadri diamantini pur di fondo, con altri 19 simili posti in giro del
cerchio: dono di Casimiro Re di Polonia.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori, traforato nei lati, guernito di un grosso
topazio giallo, orientale ottangolare bislungo: dono del Cardin. Ruspoli nel
1741.
Altro anello d’oro e castone di argento con grosso diamante in mezzo, e 12
minori ne’ 4 lati: donollo il conte Stanislao Potoski Polacco.
Altro anello d’oro fatto a quadrello guarnito di 14 diamanti, con uno grosso nel
mezzo: fu dono d’una Persona pia nel 1748.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con grosso diamante nel mezzo attorniato da
12 piccioli tutti brillantati: dono della Compagnìa del Ss. Sacramento di
Castel S. Pietro di Bologna.
Altro anello d’oro con diamante grosso ligato a giorno: dono di divota Persona.
Altro anello d’oro con diamante quadro di fondo bislungo; dono del Card.
Spinola detto S. Cecilia.
Altro anello d’oro intagliato e traforato nei lati con un grosso diamante brillantato
tondo legato in argento; dono della Sig. Chiara Cauzzi Maggi di Cremona nel 1758.
Altro anello d’oro con un bello, e grosso brillante di acqua perfettissima; dono
del Sig. Co: Ippolito Turconi di Milano nel 1768.
Altro anello d’oro intagliato con un diamante brillantato quadro lig. In argento:
dono di persona incognita nel 1747.
Altro anello d’oro intagliato nei lati con un grosso brillante di fondo di taglio
quasi ovale; dono di occulta Persona.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con grosso diamante tondo
brillantato ligato in argento: dono della Regina di Napoli che fu in Loreto
l’anno 1728.
Altro anello d’oro con in mezzo un ritratto in miniatura contornato di 26
brillantini; dono del conte di Merod marchese di Degniè.
Altro anello d’oro intagliato, con grosso brillante nel mezzo, attorniato da 12
diamantini brillantati, con altro contorno di 13 diamanti brillantati; donollo il
barone D. Giuseppe Cetti da Chieti nel 1788.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori con in mezzo un grosso diamante ovato
bislungo, 62 altri diamanti minori triangolari distribuiti per parte: lo donò il
Marchese Mancinfotte di Ancona.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta, ornato di un grosso brillante in mezzo, e
contornato da 12 brillanti: donollo una occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante di taglio ovale ligato in argento; dono
della Sig. Marchesa Silvia Imperiali Negroni di Genova.
Altro anello d’oro a quadriglia con 9 diamanti ligati in argento: lo donò la Sig.
Marianna Bresciani Zanettini nel 1770.
Altro anello d’oro di ismalto bianco, e verde, con un grosso diamante a guisa di
cuore ligato in castone d’oro, attorniato da smalto nero a fogliami di basso
rilievo: dono del Marchese di Vitry.
Altro anello d’oro intagliato, e fatto a Rosetta, che ha in mezzo un rubino quasi
tondo brillantato, col 2 contorni di diamantini brillantati ligati in argento: dono
di D. Marianna Montalto Principessa di Arianella nel 1754.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro orientale bislungo nel mezzo, e 6 diamanti,
3 per lato; dono della Sig. Paola Lercari Spinola Genovese nel 1669.
Altro anello d’oro traforato nei lati, con un rubino in mezzo contornato di 14
brillanti, e 6 più piccioli ripartiti 3 per lato: dono del Sig. Giuseppe Piatti
Veneto nel 1768.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo, ornato di 22 brillanti
ligati in argento: lo donò il Cardinal Serbelloni nel 1776 unito ad una Croce di
6 zaffiri attorniata di 152 brillanti, che osservati indosso alla Ss.Statua già
descritta alla pagina 43.
Altro anello d’oro detto Mariaggie con un grosso rubino, e di un brillante
uniforme, guarnito di 20 diamanti brillantati, al lato del rubino vi è un brillante
mezzano, e all’altro un rubino eguale. Al di sopra esiste una Coroncina con 2
diamanti brillantati, e sotto il detto Mariaggie altro brillante: lo donò la
Marchesa Patrizi Romana del 1773.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ovato nel mezzo, e 18 piccioli diamanti
d’intorno: dono del Card. Pico della Mirandola.
Altro anello d’oro alquanto intagliato con un rubino triangolare in mezzo, ornato
di brillanti: donollo il Cardinal Salviati.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso zaffiro ottangolare bislungo, guernito
di diamanti: lo donò un Duca di Parma.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con in mezzo un topazio del
Brasile, assomigliante ad un rubino, ligato in oro, circondato da 14 diamanti
brillantati ligati in argento, con questo si distinse M. Amalia Arciduchessa
d’Austria Duchessa di Parma, che fù in Loreto l’anno 1780.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo e 10 diamanti
all’intorno: lo donò il cardinal Portocarrero.
Altro anello d’oro con un rubino quadro, e 18 all’intorno: dono di Persona
incognita.
Altro anello d’oro con in mezzo un zaffiro, contornato di 14 brillanti: dono di Pia
Persona.
Altro anello d’oro fatto a rosetta, intagliato, e traforato, con in mezzo un grosso
rubino, e 14 diamanti intorno ligati in argento: donollo il Marchese Giacomo
Brignoli di Genova nel 1770.
Altro anello d’oro alquanto intagliato, e traforato nei lati, con in mezzo un grosso
zaffiro ottangolare attorniato da 29 diamantini brillantati ligati in argento:
dono della Marchesa Teresa Cambiasi di Genova nel 1777.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con in mezzo un grosso rubino contornato da
13 brillanti: lo donò la Duchessa Maria di Casoli nata Principessa d’Angri
Doria di Napoli nel 1790.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo di color paglia, e 2 piccioli
rubini uno per lato; lo dono un’occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo di peso grani 20: dono
del Sig. Benedetto, e Veronica Coniugi Delfini Veneti.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta intagliato, con in mezzo un diamante
brillantato, ornato di 12 diamanti, ed altri 4 piccioli posti 2 per lato, tutti ligati
in argento: donollo il Canonico Quarantotto di Roma nel 1743.
Un vezzo, ossia Collana guernita di 80 diamanti brillantati gradatamente ordinati
d’ambe le parti, e nel mezzo di essa pende una Croce d’argento dorato,
contornata di 24 diamanti quadri pur brillantati: dono della Principessa Pio di
Ferrara.
Una Croce d’oro composta di 5 grossi diamanti bislunghi di fondo, attorniata di
4 diamanti quadri di fondo disposti parte nei raggi, ed alquanti nell’estremità
di detta Croce; donollo il Cardinal Ghigi nel 1654 che fu poi Pontefice
nomato Alessandro VII.
Un giojello d’oro di getto traforato, composto a 2 ordini, il primo forma un Circolo
perfetto smaltato turchino, ornato di 23 diamanti quadri, col suo Cappietto
variamente smaltato, con in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ed
il secondo a guisa di Stella, con 6 piccoli raggi d’oro smaltato rosso, e
guernita di 30 diamanti ripartiti nei raggi; donollo una benigna Persona.
Altro gioiello ligato in argento dorato con 21 diamanti ligati in argento, e nel
mezzo di esso sotto cristallo si vede l’immagine di S. Gio. Nepomuceno in
ismalto; lo donò un Cavaliere Alemanno.
Una Croce di Malta d’oro ornata di 5 brillanti, ed altri 5 minori nell’attaccaglia:
donata dal Commendatore Spada di Bologna nel 1707.
Una grossa spinella quadra bislunga ligata in oro a guisa di giojello in ismalto a
più colori, che esisteva nella corona d’oro già descritta al N, XXIV.
Un’anello d’oro con grosso diamante cedolino quadro nel mezzo, con altri 11
intorno; dono della contessa Susanna Polissena di Martinez, nata Contessa
Dietrichstein.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, ed altri 14 minori intorno:
dono del Sig. Francesco Paravicini.
Altro anello d’oro fatto a spighetta, con 8 diamanti: dono del marchese di
Nulech d’Anversa.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo: lo donò il Marchese
agrati Milanese.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro: dono della Sig. Maddalena
Pezzi Bolognese.
Altro anello d’oro che ha in mezzo una Rosetta, composta di 4 diamanti quadri
di fondo, e 3 altri più ricciolie’ lati che formano una spighetta: lo donò la Sig.
Angela Salicola Bolognese.
Altro anello d’oro a spighetta con 2 diamanti quadri nel mezzo,4 minori intorno a
triangolo, e 2 altri, uno per lato: donollo Monsignor Arcivescovo Presmiglia
Polacco.
Altro anello d’oro con un diamante in mezzo, e 12 altri intorno: donollo il signor
Silvestro Basis Bergamasco.
Altro anello d’oro con 9 diamanti di fondo, che formano un quadro, essendo
minori quelli all’intorno: lo donò il Marchese Avoli.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante tondo gruppito, ed altri 6
minori quelli all’intorno: dono del Duca Moles.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, e 3 minori per lato; lo donò il
ardinal Altieri.
Altro anello d’oro tutto smaltato a vari colori di basso rilievo, con grosso
diamante quadro di fondo: lo donò l’Ab. Udratico de Grasci Bavarese.
Altro anello d’oro lavorato a basso rilievo, con grosso diamante quadro di fondo
nel mezzo quasi cedrino, ornato nei lati da altri diamanti;donollo il Duca di S.
Pietro.
Altro anello d’oro con diamante di fondo giallo: donollo il Cardinal Sacchetti.
Una Croce d’oro intagliata, e smaltata nero, con 5 grossi diamanti o parti di
fondo color rosa; fu donata dal cardinale Pignatelli, in occasione che
ricevette in Loreto la Berretta Cardinalizia nell’anno 1688 quale innalzato alla
Pontificia Dignità nomossi Innocenzo XII.
NUMERO XXVI
Un Ostensorio d’argento di getto dorato, nei cui raggi sonovi 8 riporti d’oro, 4 in
forma di grossi castoni tondi, uno de’ quali smaltato bianco, e nero, che resta
a capo un grosso smeraldo quadro fascettato, con altri 4 mezzani distribuiti
all’intorno, e 2 altri hanno un grosso rubino grezzo posti uno per lato, nel
quarto puoi che resta appiedi, vi è una grossa amatista ovata. Gli altri 4
riporti sono in forma di Gelsomino con frondi smaltate verdi. Nella Lunetta
vedonsi 2 grossi zaffiri orientali, e al di sopra una picciola Crocetta con
diamanti, il tutto da 106 diamanti tempestato, e 20 rubini quadri mezz. Il
descritto Ostensorio vien sostenuto dalla testa di un Angiolo in piedi, il quale
tiene in ambe le mani elevate 2 grossi smeraldi bislunghi grezzi, avendo
nella cima in il sinistro di essi una picciola Corona reale d’oro ornata di
diamanti, e nel destro un picciolo scettro guarnito pur di diamanti. Al collo, al
petto, e alla cinta restanvi infilate 51 perle tonde, e sotto il collo un bottone
che ha nel mezzo una grossa perla, attorniata da 12 diamanti di fondo. Esso
Angiolo posa sopra una Nube che le serve di base, con in mezzo l’Arme
Reale; donollo M Casimira Regina di Polonia, Moglie di Giovanni III
Un Calice, e Patena di argento dorato, centinato con lastra cesellata a fogliami,
e fiori, con 3 grossi riporti ovati di getto attorno alla Sottocoppa, e 3 altri
simili intorno al piede, tutti smaltati a figure, che rappresentano vari Misteri
della Passione. Detto Calice è guarnito da 45 perle, 24 topazzi gialli, 25
Altro Calice, e Patena d’argento dorato di lastra cesellata a fogliami diversi, e
Angioli che tengono ognuno uno strumento della éassione, con vari riporti
ovati pur d’argento dorato, con dentro molte figure rappresentanti la Cena, il
Salvatore in Croce, i Ss. Martiri, l’Annunziata, la Natività del Signore, e
l’Assunta; lo donò una pia Persona.
Altro Calice d’oro con Patena d’argento dorato, contornato di vari fogliami, e
fioretti a cesello, dono di Persona benigna.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato; lo donò un’incognita persona.
NUMERO XXVII.
Un fanciullo in piedi, in atto di correre col suo piedestallo, il tutto d’argento di
grosso oggetto di peso libre 20, e oncie 2: dono della Principessa D. Angiola
Colonna Borghese.
NUMERO XXVIII.
Una veste della S. Immagine di damasco bianco, ricamata a fogliami, fiori d’oro,
e coralli, contornata di Gallone d’oro; donolla il più volte nominato Principe di
Avellino.
Un Vaso di grossa lastra d’argento dorato, con 2 Sottocoppe compagne con
riporti d’oro ornati di varie gioie, accennate al N. XX.
Altro Vaso di lastra d’argento dorato, e cesellato con varie figure, a cui va unito
al Bacile descritto al N. XII
Due vasetti di lastra d’argento ad uso di generazioni ognuno con suoi manichi,
e nodo del piede di getto: donati da divota Persona.
Una Macchina in forma di Gabinetto composta di Ebano con la Pietà figurata
nel mezzo, miniata e chiusa sotto cristallo, ornata di varie statuette
rappresentanti Cherubini, e Angioletti diversi, tenendo ognuno un qualche
Mistero della Passione, con ornamenti intorno d’argento di getto in parte
dorato.Una Croce grande di Ebano filettata di argento con Crocifisso dorato,
titolo, e 4 raggi d’argento di getto traforato, e vari Cherubini dorati. La
suddetta croce viene elevata sopra piedestallo parimenti di ebano, e in cui
sonovi diversi Angioli piccioli, e grandi, ciascuno a vent’uno Stromento della
Passione.Ai lati vi sono due Statuette rappresentanti la Vergine Addolorata
alla destra, e S. Giovanni alla sinistra il tutto dorato.Veggonsi alquanti
Quadretti dipinti significanti S. Veronica, la Flagellazione, la Coronazione di
Spine, e il viaggio del Salvatore a Calvario. Miransi altre due Statuette e gli
Evangelisti S. Giovanni, e S. Luca. La base del piedestallo è guarnita di
diverse tasse alture di lastra d’argento dorato, e di 8 Cherubini. La base
vien’eretta su dorso di 8 Leoni similmente dorati; il tutto è dono di Clemente
VIII.
Un picciolo Quadretto con Cornice di foglia d’argento che contiene scritti a
minutissimo carattere, e ristretti in 4 globi i 4 Passj, e in altri gruppi sono in
mezzo nel Vangelo di S. Giovanni, In principio etc.; lo donò il Sig. Camillo
Comini da Città Ducale.
Altro picciolo Quadretto di grossa lastra d’argento, incastrato in Cornice liscia
d’argento dorato, ha nel mezzo un picciolo Quadretto arabescato con una Crocetta d’oro smaltato a varj colori, guernita di 10 diamanti ligato in oro: dono
fatto da un grande di Transilvania.
Una Pace di argento dorato con guernimenti d’oro, nel di cui Frontispizio sonovi
4 Colonnette smaltate turchino, e arabescate d’oro, tempestata all’intorno di
rubini, e diamanti. Alla cima di essa vi è il Salvatore risuscitato con la
Bandiera in mano ornata pur di rubini con 2 perle a’ lati del Salvatore. Nel
mezzo di detta Pace vi è una Pietà intagliata in diaspora sanguigno con 2
Camei d’agata orientale, incisi in basso rilievo, nel superiore resta vi
l’adorazione de’ Magi, e nell’inferiore il famoso Giudizio di Salomone: fu
donata dal Duca Carlo Emmanuele di Savoia.
Una Croce grande di Malta d’oro: dono del Co: Mario Floriani di Macerata.
Una Croce, con un pajo di Pendenti d’oro, il tutto guernito di rubini; dono di
Antonia Ruggeri, e Domenico suo Marito Cocchiere del Duca di Madalona
nel 1763.
Un Cuor d’oro liscio, con fiamma smaltata rosso a capo della quale sonovi 12
diamantini brillantati, e 3 maggiori appiedi. All’intorno di esso Cuore vi è un
giro di 16 brillanti mezzani, e nel fondo altro maggiore, presentato in dono
dal Cardinal Lanfredini Vescovo d’Osimo nel 1735.
Altro Cuor d’oro con Rosa in mezzo formata da 5 smeraldi, e 12 diamanti. Il giro
del Cuore viene ornato da 4 piccioli smeraldi, e 7 diamanti, e nel Cappio
restanvi 2 diamanti, e 2 smeraldi a’ lati: dono di Persona occulta.
Un grosso topazzo quadro bislungo racchiuso all’intorno in cassa d’argento
dorato, con conchiglia a capo, altra a piedi, ed altre 2 ai lati: dono del Nobil
Gio: Battista Pecorini Veneto nel 1733.
Una Croce d’oro variamente smaltato, contornato da 25 per le, con in mezzo
una Statuetta d’oro rappresentante la Vergine col Bambino in braccio,
attorniata da 4 grossi giacinti, e un altro a piedi in forma di mezza luna, con
una grossa perla, e sotto vi sta un Cameo, ed in fondo vi è un Bambinello
fasciato smaltato bianco, che giace in un Cuscino smaltato rosso: lo donò la
Marchesa Nerli Mantovana.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso d’oro a più colori smaltato, tutta
guernita di diamanti, e perle: dono della Co: Publei di Montalbano.
Un Triangolo d’oro smaltato a vari colori, rappresentante in bassorilievo la Ss.
Trinità, e la Vergine in atto di essere coronata, ed appiedi di essa 4
Angioletti. In ogni angolo vi è una Virtù, cioè: Fede, Speranza, e Carità,
contornato di 75 granate sardoniche; fu donato da tre baroni boemi,
Ludovica, Martanica, e Slavada, MDCX.
Una giojetta d’oro ornata di diamanti, e rubini da una parte vi è il Nome di Gesù,
e dall’altra l’Effigie di S. Francesco di Paola; la donò D. Vittoria Caraffa
Duchessa di Madalona del 1765.
Una Croce da petto composta di 7 grossi diamanti, e attorniata da 16 minori;
dono della Sig. Ortensia Manfroni Bernini nel 1762.
Un grosso topazzo cedrino ottangolare, con cornice d’oro traforato. Una Breccia
di giacinto ligata in oro con perla appiedi. Un giojello in forma di Cuore con 5
pietre, cioè, un grosso giacinto orientale, un’amatista, un zaffiro, un crisolito,
e nel mezzo un topazzo, con 12 perle ai lati. Altro giojello che ha nel mezzo
un grosso zaffiro in tavola ligato in oro, pendente da 3 catenelle dello stesso
metallo, con 3 perle appiedi. Altro giojello d’oro di getto variamente smaltato,
fatto a guisa di deposito, con 6 grossi diamanti quadri di fondo, 3 rubini,2
pietre rosse, una grossa perla pendente a ppiedi, e 2 altre minori che
restano uno per parte di esso giojello. Altro gioiello d’oro di getto smaltato a
colori più, che ha in mezzo una figura tenente nella destra una Croce pur
d’oro, tempestata di 14 diamanti. Altro giojello d’oro smaltato a colori diversi,
con un grosso zaffiro in mezzo, e 2 Satiri di smalto bianco uno per lato altro
giojello smaltato a vari colori, rappresentante dell’Arca di Noè con 3 figure, e
diversi animali, contornato di diamanti, e rubini. Sonovi altri molti giojelli d’oro
più, e meno grossi, attorniati da varie gioje; il tutto è dono della gran
duchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria.
Un giojello ovato d’oro, centinato con doppio anello d’oro a capo. Nel mezzo ha
una Croce di Malta smaltata in bianco, sopra cristallo di monte colorito da
smalto rosso, con arabeschi d’Aquilette d’oro all’intorno, donollo un Cavalier
Tedesco.
NUMERO XXIX.
Un grosso giojello rotondo d’oro smaltato a più colori, nel mezzo viene formato
da diamanti il Nome di Gesù, ornato pur di diamanti, con vari Misteri della
Passione; appiedi di esso una grossa perla a goccia, ed a capo una Collana
d’oro composta di 92 pezzi, contornati di diamanti: donolla il Principe
Ferdinando di Polonia.
Una Collana d’oro smaltato a vari colori, composta di 19 pezzi, parte guererniti
di diamanti, e parte da grosse perle: la donò la Duchessa Cristina di Lorena.
Altra minor collana d’oro composta da 42 pezzi smaltati bianchi, e neri, nel
mezzo pende una stella d’oro composta a 2 ordini di raggi, il tutto per netto
da 129 diamanti; dono del Co: Martiniz, e sua Consorte nel 1537.
Un’Aquila d’oro a 2 teste coronata, tutta tempestata di diamanti: la donò
un’incognita Persona.
Un gioiello fatto a nastro d’oro traforato e smaltato nero, e bianco, guernito di 93
diamanti; lo donò il Milord Petriz Inglese.
Un Cuor d’oro smaltato vermiglio, con grosso diamante nel mezzo;donollo il Co:
Filippo di S. Martino di Aliè di Torino.
Altro cuore d’oro con grosso diamante quadro di fondo ligato a giorno in ambe
le parti: donollo la principessa di Rosano.
Un giojello d’oro smaltato a colori diversi, rappresentante un’Arme smaltata
verde, ornato da 21 diamanti, e 35 rubini: dono della Principessa, Trivulzj
Milanese.
Un Cappio d’oro smaltato nero tempestato di 13 diamanti quadri: dono d’occulta
Persona.
Un giojello grande d’oro traforato composto a 2 ordini a guisa d’Arme coronata,
attorniato da 96 diamanti, 5 de’ quali pendono a gocce: donolla D. Maria
Vargas Spagnuola.
Altro giojello ovato d’oro che ha in mezzo l’Immagine di S. Veronica, contornato
da 30 diamanti; lo donò la Duchessa di Fiano Romana nel 1735.
Una Croce con sua attaccaglia, e catenella d’oro contornata di 9 grossi
diamanti,e 3 grosse perle pendenti: donolla il Duca di Baviera.
Un cuore doppio d’oro liscio, con a capo un grosso diamante; dono del Co;
Enrico e Co: Eleonora di Stratman Tedeschi del 1731.
Un Tofone d’oro con suo nastro, e grosso zaffiro quadro nel mezzo. Altro
Tofone d’oro con suo nastro smaltato rosso, e nero, guernito di 48 diamanti
brillantati; furono donati dal nominato Principe Santacroce.
Una Croce da Cavaliere di Malta in forma di giojello con sua catenella d’oro,
ornata di 34 diamanti: la donò il Co: Silvestro Spada di Terni nel 1721.
Altra Croce contornata di 13 rubini, composta di Castoni d’oro tempestati di 6
grossi diamanti quadri di fondo; dono di Persona benigna.
Un Ufficiziolo d’oro smaltato a basso rilievo a varj colori, con un Cameo grande
di agata zaffirina da una parte, e con una Rosa composta da 9 diamanti
nell’altra, attorniata da 24 rubini, e nell’interno vi è dipinta l’Arme di Lorena,
con il nome della Principessa Enrichetta Donatrice.
Due Fibbie da manigli tempestate da diamanti, e perle; dono della Sig.
Marianna Lanzeoraguoca Polacca.
Una Gamba con sua catenella d’oro, con grosso diamante verso il fine d’essa
ligato in argento attorniato da 30 minori diamanti; donolla il Gen. Susa
Turinese nel 1686.
Un Quadretto ottangolare con cornice d’oro variamente smaltato, e sua
attaccaglia pur d’oro composta di 5 pezzi traforati parimenti diversamente
smaltati, in mezzo vi è scolpito in agata sardonica un Geroglifico da una
parte, e dall’altra l’Immagine della Madonna Ss. Di Loreto dipinta sopra
cristallo: offerto da Persona divota.
Altro Quadretto ottangolare di agata zaffirina orientale, rappresentante in
bassorilievo la Madonna di Loreto, con piccioli raggi all’intorno, fregiati da 36
smeraldini: dono di Madama Margarita Regol Francese.
NUMERO XXX.
Una Croce di lastra d’oro smaltato nero, con suo titolo pur d’oro fregiato da 29
diamanti di fondo, 45 rubini, e 3 chiodi d’oro che hanno per testa un grosso
diamante pur di fondo per ciascuno. Il monticello d’oro smaltato bianco, e
turchino, e alquanto verde, che rappresenta il calvario, ornato di smeraldi, e
zaffiri turchini, e bianchi orientali, crisolite, topazzi, giacinti, granate,
amatiste, turchine di rocca, o quali, corniole, e malachita . Mirasi in prospetto
un antro figurato il Sepolcro guernito di rubini, e da un canto la vergine col
Salvatore morto, d’oro variamente smaltato; offerta dal Barone Ridolfo di
Teustenbac,
Un Calice, e Patena d’argento dorato centinato di lastra cesellata a fogliami, e
teste di Cherubini, con riporti ovati pur d’argento dorato, rappresentanti
ognuno in ismalto un mistero della Passione, con un’Arme appiedi, e questa
Iscrizione:Sigismundus Carolus Comes Barcu Can, Salisburgensis etc.
Altro Calice, e Patena d’argento traforato, e cesellato a fogliami, con Coppa
d’oro guernito di 6 riporti di lastra d’argento smaltati turchini, e neri, che
rappresentano il Salvatore, l’Assunta, l’Annunziata, la Cena, la Madonna di
Loreto, e i 2 Esploratori della terra promessa, caricati d’un grosso grappolo
d’uva;; donollo il Sig. Marco Mensel Tedesco.
NUMERO XXXI.
Una Statua rappresentante la Vergine col Bambino assisa dentro un
Tabernacolo quadro, sostenuto da 4 Colonne, il tutto dorato; donollo una pia
Persona,
Due piccioli Candelieri d’argento; donolli una occulta Persona.
NUMERO XXXII.
Un Masso naturale a guisa di Piramide, nella cui facciata, e nei lati scorgonsi
132 pezzi di smeraldi, 42 de’ quali sono assai grossi, e nella cima una Croce
con Crocifisso d’argento dorato, ornata di piccioli fiori smaltati turchini, con
varie gioje, e perle all’intorno, ed appiedi la genuflessa Immagine di A. M.
Maddalena; dato da D. Antonio Forca viceré di Napoli a nome di Filippo IV,
Re di Spagna.
Altro Masso artefatto parimenti a Piramide, composto a marcassìta, e rena
d’oro, cont. da 26 topazzi bianchi, e 46 grossi pezzi di smer., Ed altri 390
minori. In esso veggonsi 7 cavi in quadro distribuiti intorno, 2 sono nella
parte anteriore, in uno posto al di sopra vi è l’Effigie della Madonna di Loreto,
e nell’altro posto al di sotto l’Arme del Cardin. Ginnali Imolese Donatore,
ambedue a basso rilievo in lastra d’argento,e 5 sono in tavolette di pietra,
con varj misteri dipinti della Passione. S’ammira a capo una Croce eretta da
in un vasetto, e ai lati di esso la V. Addolorata, e S. Giovanni ugualmente
d’argento dorato.
Una Pianeta, Stola, Manipolo, Borsa, Palla, Cuscino, e Copertina del Messale
di ganzo d’argento tessuto a scacchj, ricamato di grossi festoni e fiorami
d’oro, quasi guernito il tutto di perle diverse, con castoni ornati di rubini
riportati sopra in forma di rosette d’oro di getto. Un Palliotto di ganzo
d’argento in parte d’oro, tessuto a scacchj, ricamato a fiorami d’oro che
sembrano Rose distribuite in varie foggie, contornato di lastrina d’oro
traforato. Nel mezzo vi è il Nome di Gesù d’oro di getto, attorniato da 88
rubini, e sotto un Coretto trapassato da tre chiodi d’oro di getto, guernito
guernito di 59 rubinetti, in un lato vi è la Vergine, e nell’altro lì’Angiolo
annunziatore, e sopra lo Spirito S. pur d’oro di getto smaltato bianco,
tempestato da 166 rubini. Tutte le nubi che ivi restano formate sono di
piccioli perle; il tutto è dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del
Gran Cancelliere di Polonia, e Duchessa d’Ostrog.
NUMERO XXXIII.
Una Collana composta di 15 grossi castoni d’oro variamente smaltato, ornati di
42 diamanti, 82 rubini, e 23 grosse perle. Un’Uffiziolo giojellato di diamanti,
rubini, perle, e 10 piccioli Camei di lavoro greco. Il di dentro è diviso in 3
parti, in una osservasi un Crocifisso d’oro smaltato, con Croce ornata di
smeraldi grezzi, e da altre gioje; nell’altra vi è dipinta la B. V.beata con
cornice d’oro guernita di rubini, e diamanti da un lato, e dall’altro la Natività
del Sig. incisa in lastra d’oro, ove sotto il detto Uffiziolo presentemente si
ammirano, e nella parte ultima vi è l’Immagine di S. Gerolamo pur d’oro
smaltato bianco, attorniato di varie gioje; il tutto è dono del Duca Guglielmo
di Baviera.
Una Croce d’oro traforato, smaltato a colori, composta di 22 diamanti, 17 de’
quali sono grossi bislunghi, con 3 grosse perle pendenti, e un grosso rubino
bislungo appiedi; donolla il Marchese Martinengo di Brescia.
Un giojello, ossia Rosa d’oro composta a 3 ordini in mezzo ha un grosso
diamante, e 14 altri intorno; donollo D. Eleonora Cavaniglia Duchessa di S.
Giovanni.
Altro giojello ovato attorniato da 50 diamanti con uno grosso nel mezzo; lo donò
il Sig. Ferrante Pollea di Piacenza.
Altro giojello d’oro con 7 granate orientali doppie, circondato da diamanti
brillantati, e un Cappietto d’oro smaltato rosso, con grosso diamante
brillantato, e sotto un Tofone di getto d’oro; donollo il Principe Sansevero
Napolitano nel suo ritorno da Vienna nel 1722.
Altro giojello d’oro a più colori smaltato, rappresentante l’Effigie della Vergine
col Bambino in braccio, e 2 Angeli ai lati ornato di 92 diamanti con grossa
perla appiedi; lo donò la Sig. Eleonora Mandrozzi Duchessa di Pulinghera.
Una croce di S. Stefano con 4 granate orientali che formano i 4 raggi, con sopra
una Corona, tutto contornato di brillanti; lasciolla in dono il marchese
Pierantonio Gierini di Firenze nel 1757.
Un giojello grande ovato d’oro traforato a 2 ordini, tempestato di 67 diamanti
con uno grosso nel mezzo; lo donò la Sig. Vittoria Strozzi di Firenze.
Altro giojello d’oro smaltato nero in forma di piume, con diversi fogliami ai lati,
ornato di 43 diamanti, 2 de’ quali sono grossi, ed alla cima un Coretto pur
d’oro smaltato nero; lo donò la Marchesa Giovanna Gonzaga Mantovana.
Altro giojello d’oro smaltato bianco, e nero, composto di 5 pezzi guerniti di
smeraldi: donollo una Dama Tedesca.
Una grossa perla fatta barchetta ligata in oro appesa a 3 catenelle pur d’oro,
con altre 5 perle cadenti al di sotto. Non è meno prodigiosa, che
inestimabile, mentre dalla parte superiore si ammira effiigiata a bassorilievo
la Ss. Vergine di Loreto sopra una nube. Fù trovata, e donata da un
Pescatore, che avea promesso alla Vergine la sua prima pescagione.
Un reliquiario d’oro smaltato a più colori, ornato di rubini, da una parte ha un
cameo in agata di bassorilievo rappresentante S. Gio: Battista, che battezza
il Salvatore al Giordano, e dall’altra è intagliata la Croce con vari Misteri della
Passione, e al di dentro sonovi riposte molte Reliquie: lo donà una Persona
incognita.
Una gargantiglia d’oro con 37 perle a goccia, ed altre 13 ligate in essa, dono
d’occulta Persona.
NUMERO XXXIV.
Una Croce con 2 Candelieri di diaspro di Boemia con Crocifisso, e titolo
d’argento dorato, il tutto guernito da piccioli riporti di lastra d’oro, nodi, e
pometti pur d’oro di getto, smaltato a più colori: dono del Principe, e
Principessa Lichtenstain nel 1484.
NUMERO XXXV.
Un Triregno di lastra d’argento traforata, e intagliata a fiorami in parte dorati;
donollo la Compagnia dei Battilana di Gubbio.
Una Statuetta di argento di getto rappresentante la Vergine in piedi, sopra
piedestallo d’Ebano ornato di teste di Cherubini d’argento di getto dorato,
con Corona in testa, Bambino nella sinistra, e scettro nella destra, donolla il
Sig. Virgilio Groschedel Consigliere dell’Elettore di Baviera nel 1656.
Un Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata; lo dono una benigna
Persona.
NUMERO XXXVI.
Un’Ostensorio ovato assai grande a 4 ordini di lastra d’argento cesellata. Il
primo è tutto a raggi dorati, il 2 a tronchi, e rami d’Albero, il 3 a tronchi, e
rami di Vite, con grappoli di uva, e manipoletti di spiche ligati alle Viti, ed il 4
rappresenta il P. Eterno con sotto lo Spirito S. sfavillante raggi dorati. Nel
mezzo la Madonna di Loreto pur raggiante che ha in petto una Custodia di
cristallo a guisa di cuore, ornata di 5 ricciole Collane composte di pietre di
diversi colori, e di un fregio nel lembo della Veste guarnito di topazzi gialli,
smeraldi, ed altre pietre di vari colori. Ai lati sonovi 2 figure di Personaggi
genuflessi sopra gli predetti manipoli. Il detto Ostensorio viene elevato da un
tronco d’argento di getto, nella cui parte anteriore al di sopra in ismalto a più
colori si vede l’Arme della Principessa di Neoburg, già Duchessa di Parma,
Donatrice nel 1729, e al di sotto d’essa vendesi la città di Parma sostenuta
dall’Italia: in fondo sopra la base altr’effigie di un Vecchio che versa acqua
da un vasetto dorato, rappresentanti del fiume Po, e al lato opposto ergersi
la città di Piacenza. I descritti Personaggi sono il Duca, e Duchessa delle
Città suddette.
Due Rose con rami, e frondi di lastrina d’oro, e nelle cime hanno u zaffiro
turchino ottangolare, ciascuna posta in vaso d’oro: furono donate una da
Gregorio XIII, e l’altra da Clemente VIII.
Un Putto nudo di argento tutto di rilievo, con collana, e smaniglie d’oro
gemmate, che posa sopra un guanciale dello stesso metallo contornato d’un
fregio formato di perle, rubini, smeraldi, e di altre gemme; donollo la Madre
dell’ultimo Duca di Mantova.
Due Vasi d’argento sessagonali istoriati a basso rilievo con doratura intorno.
Ciascuno di essi ha un’alboretto carico di Limoncelli parte dorati, e parte
coloriti verdi, e da balaustre guernite di fiori diversi, e Pavoncelli paonazzi, e
verdi, e molte figurine. Altri 2 Vasi d’argento ognuno de’ quali ha in mezzo
un’alboretto d’aranci con pomi coloriti verdi, con picciola balaustra intorno, e
varie piantine dei fiori colorati. Altri 6 vasi d’argento di lastra cesellata, in
parte dorato, con 4 testine di Cherubini, il tutto fu offerto dal Card. Antonio
Barberini Protettore della S. Casa.
Altri 2 Vasi d’argento in forma ottangolare che hanno in mezzo un alboretto di
Limoncelli, con picciola balaustra intorno, e piantine di varj fiori. Altri 2 poco
più piccioli dello stesso metallo, con alboretto di Cerase, guerniti conforme i
predetti; donolli il Card. Filomarini.
Un Libro latino, ossia Panegirico di lode della S. Casa coperto nero, contornato
di argento dorato; dono del P. Partenio della Compagnia di Gesù.
NUMERO XXXVII.
Una Collana d’oro variamente ismaltato, composta di 20 pezzi con contornati di
103 diamanti, e 40 grosse perle; la donò l’Imperatrice Anna Madre
dell’Imperatore Mattìa.
Un Tofone d’oro pendente da 2 nastri, ornati di 262 diamanti, e 36 rubini. Un
picciolo giojello d’oro traforato, e ismaltato bianco, contornato di 29 diamanti
ligati a giorno, con in mezzo un grosso girasole, ossia opale ovato, e sopra
vi è una Croce di S. Giacomo d’oro ismaltato rosso; dono di D Baldassarre
Mendozza Spagnuolo.
Un’Anello d’oro con grosso giacinto ottangolare; lo donò Monsignor della
Gengha a nel 1762.
Una Croce d’argento dorato, con 5 grossi zaffiri turchini orientali ligati in oro
contornato di diamanti; donolla una pia Persona.
Altra Croce d’oro guernito di 6 amatiste, ornata di diamanti, e 3 perle pendenti;
donolla la Co: Leoni Veneta.
Un giojello grande d’oro fatto a foggia di fiore guernito de 154 diamanti; donollo
la Sig. Paolina Bernardi Veneta.
Altro gioiello grande ovato d’oro composto a 2 ordini tempestato di 131
diamanti; donollo la Co: Galeffi di Boemia.
Altro gioiello fatto a rosa d’oro traforato composto a 5 ordini guernito di 61
diamanti: dono non lo uno di Casa Loretti.
Un Quadretto di lastra d’oro in ismalto di basso rilievo a colori diversi
rappresentante la Ss. Annunziata contornato d’oro traforato in 33 fioretti, di
varia specie, e grandezza; lo donò la Marchesa Colcoquela Aragonese nel
1720.
Un Cuore cesellato di lastra d’oro, con un grosso rubino in mezzo attorniato da
17 diamanti; dono di Monsignor Gaucci d’Ascoli.
Una Croce di Malta con grosso diamante nel mezzo, e 53 minori all’intorno:
dono del Sig. Priore Vaini Romano.
Un ritratto di lastra d’oro incassato in cornice d’oro variamente ismaltato, ornato
di 4 diamanti quadri, e 16 rubini quadri da un lato, e dall’altro sonovi 2 alberi
incrociati col motto, Umanitas, con altri 4 diamanti, e 16 rubini, donollo il
Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un’Ordine di S. Giacomo d’oro con suo Cappio dello stesso metallo traforato,
con in mezzo un ovato di smalto turchino nel quale posa una Croce d’oro
ismaltato rosso, il tutto da 32 diamanti, il 95 picciole turchine tempestato;
offerto da un incognito Cavaliere Spagnuolo.
NUMERO XXXVIII.
Una Croce, e piedistallo di Ebano, con Crocifisso d’oro di getto smaltato bianco,
ed ornamenti d’oro con 34 diamanti, 16 smeraldi, 17 rubini, un’amatista, una
granata, 37 perle, e 2 spiche d’oro nel detto piedestallo, con opali, rubini, e
smeraldi in forma di grani; lo donò la Madama Isabella arciduchessa
d’Austria, Duchessa di Mantova.
Un Calice, e Patena d’oro con teste di Cherubini, e varie misteriose figure, con
un’Arme, e questa Iscrizione: Virgini Lauretanae, Joannes Petrus Vulpius
Episcopus Novarensis 1636.
Altro Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata. Nel nodo maggiore vi sono
al di dentro a tutto rilievo picciole figure rappresentanti la Natività del
Signore, e sotto questa Iscrizione. Ill.ma D. Marchionissa Victoria de Populis
Donat. Kal. Maji 1664.
Un Quadretto con un Cuor d’oro sopra velluto nero, con Cappio pur d’oro:
donato dall’Ab. Cherrè di Parigi nel 1730.
NUMERO XXXIX.
Una Statuetta d’argento di getto che rappresenta la Vergine in piedi, col
Bambino in braccio, posante sopra un Globo di nubi, e sotto vi è un picciolo
piedestallo di lastra d’argento cesellato con 3 teste di Cherubini parimenti
d’argento di getto. La suddetta, e il piedestallo vengono attorniate da grosso
filo, e lastra d’argento in guisa di fusti, foglie, e fiori di rose. Ai lati del detto
piedestallo sonovi 2 Statuette d’argento, rappresentante S. Domenico alla
destra, e S. Rosa alla sinistra; offerto da occulta Persona.
Una Sottocoppa rotonda di mezzana grandezza, con suo piede il tutto di lastra
d’argento; donolla una pia Persona.
Degno di particolare ammirazione è tutto il soffitto ricoperto di fatti Istorici dal
famoso pennello del celebre Pittore Cristoforo Roncagli detto il Pomarancio.
Dello stesso Autore è il Quadro grande rappresentante un Crocifisso collocato
sull’Altare di Marmo, le Colonne del quale tutti in un pezzo di marmo di
Carrara addimostrano la loro rarità.
Sullo stesso Altare spiccano gli candelieri, carte glorie, e croce di metallo dorato
tempestato di coralli, e di ai lati del medesimo li 2 Torcieri consimili, doni del
Principe d’Avellino.
Il Paliotto d’argento di getto che con li 2 gradini, e basi laterali d’argento ricopre
quotidianamente il detto Altare, è quell’istesso, che nelle maggiori Solennità
serve per l’Altare della Ss. Annunziata. Il detto Paliotto rappresenta in 3
quadri da 4 colonne tramezzati a destra la Nunziata, e a sinistra la
Visitazione, e nel mezzo la S. Casa.
Elevate al piano delle 2 Colonne si vedono le 2 Statue grandi d’argento, una
delle quali del peso di libbre 150 rappresenta la Principessa Adelaide di
Baviera; l’altra del peso di libbre 188, e e mezza, rappresenta il Co: Gio:
Giorgio Clari Barone Boemo di Praga Gran Consigliere di Leopoldo I.
Avanti l’altare dirimpetto alle dette Statue vi sono 2 bellissimi Torcieri grandi
d’argento del peso di libbre 120, donati dal Cardinale Altieri Protettore della
S. Casa, in mezzo alli quali si vede appesa una Lampada d’argento di
egregio lavoro del peso di libbre 25, oncie 4 donata dalla signora Co:
Antonia Breiner d’Harac di Vienna in Austria nell’anno 1769.
A cornu Evangelii del medesimo Altare si conserva in grande Armario il famoso
Quadro d’Altare con cornice dorata in cui si vede al vivo rappresentata dalla
maestra mano di Federico Baroccio la B. V dall’Angelo annunziata.
A cornu Epistolae nell’altro consimile Quadro rappresentante la Natività di M. V.
si ammira l’arte come cui lo perfezionò il rinomato Pittore Annibale Carracci..
A MANO DESTRA DEL TESORO:
NUMERO XL.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; il donò una benigna Persona.
Un Calice, e Coppa dorata, con l’impugnatura, e piede il tutto d’argento di getto
lavorato a basso rilievo, rappresentanti varj misterj della Passione; dono
d’occulta Persona.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra traforata e
cesellata da grappoli di uva; donollo Monsig. Carlo M. Pianetti Vescovo di
Latina nel 1712.
Due Patene d’argento dorato che appartengono ai suddetti.
NUMERO XLI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Simone con Diadema in testa,
e Sega in mano di peso libre 32 e oncie 6.
NUMERO XLII.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo maggiore, con
Diadema in testa, e Bordone in mano di peso come sopra.
Nei lati della vicina Finestra a mano destra in un Quadro bislungo di mezzana
grandezza con cornice dorata si vede rappresentata dal celebre Carlo Loth
l’Adultera condotta avanti al Signore.
NUMERO XLIII.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; dono di pia Persona.
Un Calice d’argento che ha l’impugnatura, e Sottocoppa traforata di getto,
contornato di teste di Cherubini, Angioli con varj Stromenti della Passione, e
Statuette con Iscrizione. D. Isabella Tolfa Doria Duchessa di Evoli 1639.
Una Patena d’argento dorato che va unita al detto Calice.
Altro calice d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata a fogliami, teste
di Cherubini, e Statuette;donollo una incognita Persona Bolognese.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a lastra cesellata con grappoli
d’uva; lo donò il Sig. Giuseppe Giardini di Nola nel 1758.
Una Patena d’argento dorato che accompagna il medesimo.
Altro Calice di lastra d’argento cesellata rappresentante vari Cherubini, e diversi
misterj della Passione, con l’Arme intagliata appiedi di Monsig. De Carolis.
Altro calice dorato di lastra d’argento cesellata a fogliami, e teste di cherubini; lo
donò una benigna Persona.
NUMERO XLIV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo minore con
Diadema in testa, e Bastone in mano, di peso libre 34.
NUMERO XLV.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Andrea con Croce traversa, e
Diadema in testa di peso libre 34, e oncie 6.
NUMERO XLVI.
Due laterali d’argento che vanno uniti al Paliotto già descritto.
Un Semibusto d’argento rappresentante S. Cecilia con Iscrizione al piedestallo.
Georgius e Wisentbaris Cathedralis Nerbipoii Decanus ec. 1727.
Una Croce grande con suo piedestallo d’Ebano con Crocifisso, e ornamenti
d’argento; offerta da Persona divota.
Due Calderuole d’argento, e due Candelieri grandi pur d’argento dorato.
Un incensi d’argento in parte dorato, che nel coperchio forma un Ghiandone
dentro a 3 rami, e fuste di Quercia, lo donò Guidobaldo II della Rovere Duca
d’Urbino.
Una Croce di Ebano, l’anteriore viene ricoperto da diaspro, con sopra un
Crocifisso, e ornamento d’argento.
Vi sono 2 piante di Città d’argento, cioè, la Presidenza di Montalto, e Nancì
Capitale della Lorena con cornice dorata.
MUMERO XLVII.
Una picciola Croce composta di 6 vari pezzi di agata ligata in oro, con fascette
di lastra d’oro, e Crocifisso d’argento di getto dorato con piedestallo
ottangolare ovato, di amatista, e fascia all’intorno d’argento dorato. Due
piccioli Candelieri d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata; donolla
una benigna Persona.
Un Calice d’argento con Coppa dorata con l’impugnatura ed il piede di getto
centinato lavorato a basso rilievo a fogliami, e figure, con Arme, e Iscrizione
intagliata. Domenico Joma Tomacelli Cibo.
Altri 3 Calici d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata con fogliami,
figure, Angioletti, e misterj della Passione, con 5 Patene d’argento dorato
doni tutte d’occulte Persone.
NUMERO XLVIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante S. Tommaso collo Squadro in
mano, e Diadema in testa. Pesa libbre 30, oncie 6.
NUMERO XLIX.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Matteo con Diadema in testa,
Borsa, e Libro in mano, di peso eguale all’altra.
Nei lati della finestra di mezzo a mano sinistra in un quadretto con cornice
dorata si distingue il Pennello dello Sghidone di Parma, che con delicatezza
rappresenta la Natività della B. V.
Il quadretto al lato del medesmo con cornice parimenti dorata addimostra la
Conversione fatta per grazia di Maria SS.ma dell’eretico scrittore Giusto
Lipsio, quale ha voluto che ne apparisca perpetua memoria in una Penna
d’oro fermata nel mezzo d’esso sopra un picciolo ricamo, e nel sotto apposto
seguente distico.
FAUSTE VIRGO PARENS CALAMI; QUAESO; ACCIPE VOTUM
TERRENA UT LINQUENS VERBA SUPREMA FERAT
IUSTI LIPSI ANAOHMA,
In faccia al medemo vi è un Quadretto di marmo di basso rilievo con cornice di
noce ornata di varj riporti di legni dorati, rappresentante la Ss. Annunziata
con Angelo, e Gloria di Serafini donato nell’anno 1703 dal Sig. Giuseppe
Mazzoli di Siena.
NUMERO L.
Un Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a cesello con varie teste di
Cherubini di getto; offerto nel 1725 da pia Persona.
Altro Calice d’argento lavorato a fogliami con diversi Cherubini intorno, e
sottopiede v’è l’Iscrizione. D. Margaritae Carelli Viduae, etc Nobilis Anglae.
Una Patena d’argento dorato che appartieni al detto Calice.
Altri 4 Calici d’argento cesellati parte a fogliami, e teste di Cherubini, e parte
con varj misterj della Passione, con 4 Patene d’argento dorato appartenenti
a medesimi; offerti da incognite Persone.
NUMERO LI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Paolo con Diadema in testa, e
Spada in mano, pesa libbre 42.
NUMERO LII.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Filippo con Dadema in testa, e
con Crocetta in mano, di peso libre 32.
NUMERO LIII.
In questo Credenzone si conserva una parte dei nuovi Argenti fatti per 7 Altari
consistente in 7 Croci, 28 Candelieri grandi, e 14 piccoli, de’ quali se ne darà
a suo tempo un più distinto ragguaglio, allorché saranno terminate le
Carteglorie, Lampade, e Cornucopi, con tutti gli Candelieri per gli altri Altari,
che attualmente si lavorano, e l’altra parte si conserva nel Credenzone al
numero XLVI.
NUMERO LIV.
Un Calice d’argento tutto dorato che ha la Sottocoppa e impugnatura
triangolare, tutto di getto lavorato a basso rilievo con varie figure, festoncini,
Cherubini, Angioletti, e molti Stromenti della Passione; lo donò il Principe, e
Principessa Santobuono Napolitani.
Altro Calice d’argento tutto dorato quasi simile all’altro; fu donato nel 1730 da
occulta Persona.
Altro Calice d’argento tutto dorato, col Sottocoppa di lastra cesellata
rappresentante varj Misterj della Passione, e teste di Cherubini; donollo il
Cardinal Portocarrero.
Altro calice d’argento tutto dorato, e cesellato con molte figure, e semibusti
allusivi al SS. Sagramento; lo donò una Persona benigna.
Altro Calice tutto d’oro, che a là Sottocoppa di lastra traforata, e cesellata a
fogliami, con l’impugnatura parte di getto, e parte di lastra lavorata a
fogliami, e grappoli d’uva; donollo il Cardinale Portocarrero Seniore.
Cinque Patene d’argento dorato, appartenenti ai suddetti Calici.
NUMERO LV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Pietro con Diadema in testa, e Chiavi in mano. Pesa libbre 40.
NUMERO LVI.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Bartolomeo con Diadema in
testa, e Coltello in mano. Pesa libbre 31, oncie 6.
Nel lato sinistro della contigua Finestra si osserva un Quadretto con cornice di
Ebano, ornata di 4 riporti di lastra d’argento traforato, e cesellato a fiorami
con Pitture in pietra negra rappresentante la Madonna di Loreto sopra la S.
Casa portata dagli Angeli, e di al basso un’Ecclesiastico genuflesso, con
appresso S. Francesco, e avanti un Angelo che fuga la morte donato dal
Nobil Uomo Carlo Contarini Veneto.
In faccia al detto Quadretto è il grande attestato della particolare divozione
verso Maria Ss. del Sig. Girolamo Luterio Romano, quali con tutta la sua
Eredità donò il Quadro rappresentante la Natività del Salvatore con la B- V.,
e S. Giuseppe opera stupenda di Raffaele d’Urbino.
Sotto il detto Quadro evvi un quadretto con cristallo, e cornice intagliata, e
dorata, quale rappresentando la B. V. con il Bambino giacente palesa il
merito di Claudio Ridolfi detto il Veronese.
NUMERO LVII.
Una Croce di Busso con moltissime figurine intagliate, rappresentanti il
Testamento nuovo, e il vecchio; la donò il Cardinale Gio: Francesco Albani
nel 1697, che fu poi Pontefice sotto il Nome di Clemente XI.
Altra minor Croce di Busso di egual travaglio; la donò D. Bartol. Nigri di Castel
Casale Mag. Nel 1610.
Una Noce di Cocco di Spagna divisa in 2 parti, in una parte al di dentro è
lavorata in tagli rappresentante il presepio con molte figurine, e nell’altra
l’Adorazione dei Magi, conservata in una Scattola tonda ricoperta di corame
negro; la donò la Sig. Anna Maria Sembrini Maceratese.
Un Quadretto che rappresenta la Ss. Annunziata di lastra d’argento in parte
dorato sopra velluto rosso con cornice nera, contornata di varj riporti
d’argento; donollo un’incognita Persona.
Altro quadretto con cornice nera, che contiene scritti a minutissimo carattere il
Parter noster, Credo, Te Deum ec. E le altre orazioni talmente disposte, che
formano un Crocifisso; lo donò il P. Vincenzo da Mercartello Provinciale de’
Cappuccini della Marca.
Altro picciolo Quadretto di Ebano rappresentante il P. Eterno, lo Spirito S., il
Nome di Gesù, 6 Santi, e la B. V. Nel mezzo; lo donò una Persona occulta.
Sonovi anche diverse Scattole con dentro pezzi d’oro, d’argento, varie gioje, e
moltissime altre cose.
NUMERO LVIII.
Una statua d’argento di getto rappresentante S. Taddeo con diadema in testa, e
Picca in mano. Pesa libbre 31, e oncie 6.
NUMERO LIX.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Giovanni con Siadema in
testa, e Calice in mano. Pesa libbre 34, e 6 oncie.
NUMERO LX.
Una Risurrezione d’argento consistente 4 figure di getto rappresentanti il
Salvatore, e 3 Soldati atterriti intorno al Sepolcro di lastra d’argento, con
diversi pezzi di cristallo, e base pur di lastra con l’Arme di getto della
Principessa Olimpia Ludovisi di peso libre 15 meno un’ oncia.
NUMERO LXI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno; donollo il nominato
Principe d’Avellino.
Due vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXII.
Altro Ramo di Fiori d’argento ornato di coralli, con suo vaso, pur dono del
Principe d’Avellino Napolit.
Due Ampolline d’argento ai lati.
NUMERO LXIII.
Un Giardinetto d’argento ornato di ambra, granate, e cristal di monte. Nel
mezzo scorgesi una Fontana circondata da 4 colonnette di lastra, e 4
Alboretti di getto, con fogliami di lastra, dalle quali innalzarsi un pergolato di
viti il tutto d’argento. Il medemo è contornato da balaustrate, su cui miransi
alquanti uccelli, e Scimmiette, e nel piano in un lato il Giardiniero con Zappa
in spalla, e di una Donna con Vaso in mano, e nell’altro altra Donna che
tiene in capo una Canestra, ed un Fanciullo per la mano; offerto nel 1700
dalla Co: di Lemos Spagnuola.
Ai lati d’esso nel piano sonovi 2 Rame di Fiori d’argento coi loro vasi, ornate di
coralli; le donò il Principe d’Avellino.
NUMERO LXIV.
Una Statua di lastra d’argento cesellata rappresentante S. Paterniano
pontificalmente vestito, che tiene in ampie le mani la Città di Fano, da cui fu
donata. Nel braccio sinistro resta appoggiato il Pastorale pur d’argento. La
medema posa sopra piedestallo dorato, con in mezzo l’Arme della detta
Città, e un Cherubino per lato.
Due Candelieri grandi triangolari d’argento dorato, in ogni lato e di lastra
cesellata d’oro sopra lapislazzoli si vede uno dei Misteri della Passione;
donolli la Casa Borghese.
NUMERO LXV.
Un’Incensiere, e Navicella d’oro con 4 catene dello stesso metallo, il tutto
lavorato a ramoscelli, ghiande, e frondi di quercia; donollo Francesco M. U.
della Rovere Duca d’Urbino. Pesa 9 lib., e 6 oncie.
Una Crocetta d’Ebano, incastrata in lastra d’oro con Crocifisso di getto d’oro
smaltato a varj colori. Due Candelieri compagni alla descritta Croce, ornato il
tutto di granate sardoniche grezze, e pezzi quadri di cristal di Monte; dono
del Cardin. Andrea d’Austria.
NUMERO LXVI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno, offerto dal Principe
d’Avellino.
Due Vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXVII.
Altro Ramo dei Fiori d’argento guernito di coralli con suo vaso, parimenti dono
del Principe d’Avellino.
Due Ampolline d’argento ai lati.
Sopra la Porta del Tesoro da una catenella d’argento resta appesa una
Sciabola con l’impugnatura, e fodero di lastra d’argento dorato, con riporti di
verde antico, ornato di 128 smeraldi, e rubini, 167 turchine, con tracolla, e
passamano d’oro, con 2 fibbie, e attacca glia d’argento dorato con 12
turchine: donata dal Principe Giuseppe Landgravio d’Hassia Darmstade nel
1720.
Nello stesso sito di pure pendente una Galera, Timone, 32 Banchi, 2 Antenne,
fiamma picciola d’argento, 28 remi con punte d’oro, caicchio a pompa, 2
Cannoncini pur d’argento di getto, con altre 3 fiamme, e Bandiera a poppa di
lastra d’oro; offerta da Ferdinando I, Gran-Duca di Toscana nel 1592.
Degna parimenti di osservazione è la generosità del Canonico Raffaelli di
Cingoli quale con 15 quadri fra grandi, e piccioli di varj eccellenti Pittori,
ornati di cornici dorate, e intagliate ha decorato la Sagrestia del Tesoro, e
primieramente il Quadro grande sopra il Lavamano di marmo, che
rappresenta la Scuola della B. V. è opera di Guido Reno; Del Baroccio è il
S. Francesco sopra il Genuflessorio a mano destra, e del Calot il famoso
Quadro ricoperto con cristallo sotto il medemo rappresentante lì quattro
Novissimi.
Il Quadro in alto vicino alla porta della Chiesa rappresentante la Deposizione
del Redentore dalla Croce è opera del Tintoretto, l’altro nel mezzo nella
stessa linea del Bastanese, ed il terzo di Andrea del Sarto.
La Madonna sotto il Quadro della Deposizione di Giacomo Parmegianino, il
Quadretto in rame di Benvenuto Garofolo, e la Madonna vicina alla Porta del
Tesoro di un Scolaro di Raffaele.
Il Quadro grande fralle due finestre rappresentante il Salvatore condotto a Pilato
di Gherardo della notte, ed il S. Girolamo sotto il medemo di Claudio
Veronese, ed essendo varia circa gli altri 4 quadri l’opinione de’ Pittori si
tralascia di asserirne il preciso Autore.
*****************************************
D E S C R I Z I O N E
Delle Poste per diverse Parti a miglia italiane.
Da Loreto a Roma
Loreto città Recanati città m. 5
Sambucheto m. 5
Macerata città m. 7
Tolentino città m.10
Valcinarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenove m. 9
Foligno città m.10
Le Vene m. 8
Spoleto città m. 9
Strettura m. 9
Terni città m. 9
Narni città m 7
Otricoli m.10
Borghetto m. 7
Civita castellana m. 5
Rignano m. 8
Castelnuovo castello m. 7
Malborghetto m. 7
Prima Porta m. 4
ROMA m. 8
___________
Miglia 172
Da Roma a Napoli
Torre a mezza via m. 9
Marino terra m. 6
Velletri città m.10
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Terracina città m. 9
Fondi città m. 8
Itri castello m. 8
Mola borgo m. 9
Garigliano osteria m. 6
Si passa il fiume in barca.
Sessa città m. 8
Torre francolisse m. 8
Capua città m. 7
Avversa città m. 8
Napoli città m. 6
_________
miglia 136
Da Loreto ad Assisi
Recanati città m. 5
Macerata città m. 13
Tolentino città m. 10
Valcimarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenuove osteria m. 9
Foligno città m.10
Assisi città m. 8
_______
miglia 83
Da Assisi a Firenze
Perugia città m .10
Torretta. Osteria m. 9
Corsaja borgo m. 9
Castiglione aretino m. 8
Bastardo osteria m. 7
Ponte a Levar borgo m. 7
Fiughine osteria m. 8
Freghi osteria m. 9
Firenze città m. 8
_______
miglia 75
Da Bologna a Milano per Cremona
Samoggia osteria m, 10
Modena città m. 10
Bonporto m. 8
S. Martino m. 7
Concordia m. 8
S. Benedetto m. 8
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Mantova città m. 6
Castelluccio m. 7
Avoltoi m. 17
S. Giac. della Pieve m. 9
Cremona città m. 8
Pizzighettone m. 12
Zorlesco m. 10
Lodi città m. 10
Marignano castello m. 10
Milano città m. 10
________
miglia 150
Da Milano a Torino
Rosa villa m. 20
Bufalora villa m. 10
Novara città m. 16
Vercelli città m. 15
S. Germano villa m. 10
Torino città m. 10
________
miglia 81
Da Loreto a Venezia
Siloro m. 6
Ancona città m. 10
Fiumicino osteria m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 17
Cattolica osreria m. 10
Rimini città m. 15
Savignano castello m. 19
Cesena città m. 10
Forlì città m. 13
Faenza città m. 10
Lugo castello m. 12
Bastìa m. 12
Argenta m. 3
S. Nicolò m. 10
Ferrara città m. 10
Si passa il Po
Francolino m. 5
Passo di Rosati m. 7
Rovigo città m. 6
Boara m. 2
Solesina osteria m. 8
Monselice castello m. 15
Battaglia m. 3
Padova città m. 7
Lizzasusina m. 10
Venezia m. 5
________
miglia 240
Da Venezia a Udine
Mestre m. 6
Trevigi città m. 10
Lovadina m. 10
Si passa il Piave
Conegliano m. 5
Sacile m. 10
Fontana fredda m. 4
Pordenon m. 7
Valvason m. 8
Gradisca vdi sedian m. 5
Panchianis m. 3
Bressan m. 3
Udine città m. 5
_______
miglia 75
Da Loreto a Bologna
Camerano castello m, 8
Ancona m. 9
Case bruciate m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 6
Cattolica castello m. 10
Rimini m. 10
Savignano castello m. 10
Cesena m. 10
Forlimpopoli m. 8
Forlì m. 5
Faenza m. 10
Imola m. 10
Castel S. Pietro m. 12
Bologna m. 8
__________
Miglia 151
Da Genova a Milano
Pontedecimo borgo m. 7
Borgo m. 8
Isola borgo m. 4
Arquà castello m. 10
Portella osteria m. 10
Tortona città m. 8
Voghera castello m. 10
Bastìa osteria m. 8
Pavia città m. 8
Binasco m. 10
Milano m. 10
________
miglia 93
Da Milano a Trento per Brescia
Cascinabianca ost. m. 7
Martinengo villa m. 22
Coccai villa m. 10
Brescia città m. 10
Ponte di S. Marco m. 10
Castelnuovo m. 9
Valderini osterìa m. 10
Vonborgo m. 10
Rovere castello m. 10
Trento città m. 10
______
Miglia 108
†††††††††††††††
I N D I C E
DELLE COAE NOTABILI CHE SI CONTENGONO
NEL PRESENTE LIBRO
Cap, I Della Città di Loreto, e sua regione Pag. 2
II S. Casa di Loreto, e suo antico culto 3
III Traslazione della S. Casa 5
IV S. Casa, e sue vestigie 8
V S. Casa riconosciuta nella Marca 13
VI Del Tempio Loretano 16
VII Facciata del Tempio 19
VIII Porte del Tempio 21
IX Interno del Tempio 23
X Ornamenti del Tempio 25
XI Ornamenti esteriori della S. Casa 29
XII Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura 32
XIII Degli ornamenti interiori della S. Casa 37
nella parte del S. Camino
XIV Ornamentidella S. Statua 41
XV Ornamento del resto della S. Casa 44
XVI Indulgenze, e Privilegi conceduti alla S. Casa 47
XVII La S. Casa divinamente conservata 52
XVIII Delle Cappellanìe, e Messe, che si celebrano
nella S. Casa, coi nomi dei loro Fondatori. 57
Esatto Catalogo de’ più qualificati Doni che si conservano
nel Tesoro di S, Casa, e pregievoli Pitture 59
Descrizione delle Poste per molte Parti 112
⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛
§N O T I Z I E
D E L L A
S A N T A C A S A
DI MARIA VERGINE
VENERATA IN LORETO
RACCOLTE DAL fu D. ANTONIO LUCIDI
Già Benefiziato, e Custode di detta S. CASA
Estratte dall’Angelita, Torsellino, Saragli,
Renzuoli, ed altri rari Scrittori.
AGGIUNTAVI LA NUOVA DESCRIZIONE
Di tutti li preziosi Doni, che si conservano nel suo
Tesoro; e si conservano e risplendono nella
Santa Cappella, ed in fine le Porte
per diverse parti del Mondo.
In questa ultima impressione ornate di varie
Figure e diligentemente corrette
LORETO MDCCXCII
Nella Stamperia Srtorj con licenza de’ Sup.,
e Privilegio di Sua Santità Regnante.
NOTIZIE
DELLA S. CASA
CAPITOLO PRIMO
Della Città di LORETO, e sua Regione.
La città di Loreto, è posta ai confini della Marca Anconitana, presso le rive dell’Adriatico Mare, ed alla giusta metà del Piceno, la di cui lunghezza dai Geografi, e Cosmografi è tenuta di cento miglia come uni italiane dalla Foglia di Pesaro al Tronto d’Ascoli, e di larghezza cinquanta, dall’Appennino all’Adriatico, riguardando da Levante l’Illirico, a Mezzodì il Reame di Napoli, a Settentrione la Romagna, ed a Ponente l’Umbria. La Marca tutta è paese fertilissimo al parere di molti, che tale la descrissero, e come anche a nostri dì chiaramente si vede. Abramo Ortelio così ne scrive: Habet haec Regio ahrum fertilem, omnos generis frugum copiam producentem etc. è ripartita in pianure coltivate fra Inter posti ameni Colli, che la rendono insieme vaga, ed abbondante di viveri, talmente che ne somministra anche agli Stranieri, e molto ne scrivono Leandro Alberti nella sua Italia, e nella sua geografia Antonio Magni.
La sua riviera è giocondissime, e vaga per giardini, colma di Viti, e fruttiferi Alberi; abbonda pure di Aranci, Limoni, ed Olive, che ne trasmette altrove, come il Maggino afferma, e lo stesso pure lo Storico Lauretano, dicendo: Picenum regio Italiae satis opulenta etc. fu chiamata da Appiano Giardino d’Italia, e da Boezio maestosa Idea, che fa mostra di sé al Colle Lauretano. Nei tempi andati fu ornata di più città, e più magnifiche, che al presente, ed ora nella Marca novella contansi da trenta Città con i suoi Vescovi popolata del pari, che adorna di moltissime Terre, e Castelli, delle quali ne scrivono Tito Livio, Tolomeo, Plinio, Pietro Mario, Silio Italico, e Giulio Cesare. Evvi di Ducato di Civitanova, e vi è Fermo con quarantotto Luoghi di suo antico dominio. Vi è il Presidato di Montalto celebre per aver dato alla Chiesa Sisto V, Francescano.
Vi si contano i Governi di Ascoli, Fano, Ancona, ora ornata del Porto franco, Jesi, San Severino, Fabriano, Camerino, e Macerata,ov’è la Pubblica Rota, e Gran Tribunale di tutta la Provincia come ancora la Tesoreria della Marca, e pubblico emporio della regione: Città doviziosa, e comoda, ove continuamente concorrono i Popoli al suo Governo soggetti con ogni sorta di vettovaglie, senza verun dazio delle robbe, e merci; dei quali privilegj godé sempre Loreto, per ordine proprio di Giulio II; Leone X, e Sisto V, i quali la propagarono di Abitazioni, la cinsero di Mura, e la fornirono di Baloardi, e Terrapieni. Nel 1765, poli sono stati i medesimi restaurati per ordine di Roma, e presidiata la Città di Soldati, e ben provveduta di ogni sorta d’armi per schermirsi da qualunque nemico insulto, oltre l’Armeria pubblica per difesa di S. Casa, suo Tempio, e Palazzo, da lungo tempo eretti, per contestazione di che descrisse Ortelio: Lauretum muris, fossis, etc. Turribus cinctum, atque propulsatariis armis instructum.
In tal modo assicurata la città con le armi, Clemente VII procurò di abborracciar l’aere, facendo seccare le acque stagnanti, e recider le selve che eranvi intorno: la qual’opera fu poi Pio V proseguita.
Fu parimenti da Clemente VII suddetto atterrato in gran parte il vicin Colle , che sovrastava al Loreto, e continuata tal’opera da Sisto V, apertavi in esso la via Romana da Gregorio XIII fra i Monti Appennini, per comodo di venire da Roma a Loreto in carrozza.
CAPITOLO II
SANTA CASA di Loreto, e suo antico culto.
Il santuario più celebre, è frequentato fra quanti se ne ve n’erano nella Chiesa, Cattolica da’ suoi fedeli più favorito dal Cielo con non mai interrotti prodigi, e miracoli è quello, che si venera in Loreto, piccola, ma felice città del Piceno. Non è altro questo, che la S. Casa, ora detta di Loreto, la quale fabbricata in Nazaret, fu propria ed abitata dai Ss.Coniugi Gioacchino, e di Anna, l’uno di Nazaret, e l’altra di Bettelemme. Qui fù conceputa, data alla luce, ed è allevata MARIA Ss. Loro unica, e di un’inigenia Figliola fino al terz’anno della di lei età, dopo la quale condotta da loro, e consegrata a Dio nel Tempio di Gerusalemme. Morti quivi i S. Genitori, Ella ne restò erede; e data poi in Isposa all’uomo castissimo S. Giuseppe vennero insieme ad abitarla, e vi dimorarono fino alla partenza di Bett. Fu ella ancora in questa med, Casa visitata dall’Arc. S. Gabr, annunciando l’Incarnazione del Verbo nel di lei purissimo Seno; e ricevuto da lei il consenso divenne vera Madre di Dio, e il Divino Verbo d’umana spoglia ammantato suo vero Figlio; e conseguentemente in questo sacrosanto Albergo si dié principio, anzi si gettò il fondamento all’umana Redenzione. Ritornata poi dall’Egitto la tornò ad abitare con di lei S. Sposo Giuseppe, finché questi in essa compì i suoi giorni; e col Santissimo Figliol suo fino all’in cominciamento della predicazione, cioè al trentesimo anno della sua età, il quale appunto per sì lungoa dimora fatta in questa S. CASA, ancorché nato forse in Betlemme, fù poi sempre chiamato Gesù Nazareno. Tornò Ella più volte ancora ad abitarla con S. Giovanni; e con S. Luca, dopo l’Ascensione del Signore, dove i Ss. Apostoli si congregavano per conferire e decretare cose spettanti alla nuova legge di grazia alla presenza di lei lasciata loro dal Redentore direttrice, e maestra.
Per tali, e tante maraviglie, misterj operati in questa S. CASA fu tenuta da’ Ss. Apostoli, e dai primi Fedeli in grande venerazione, e consagrata in Tempio per celebrarvi i Divini Ufficj. È però dentro di essa innalzato da’ medesimi un’Altare con l’Immagine del Redentore Crocifisso vi celebravano la Santa Messa, vi dispensavano l’Eucaristico Pane, e vi facevano orazione. Che se in altri luoghi ove Gesù Cristo aveva operata qualche azione singolare, sanno molti Sagri Autori, che vi furono edificate Chiese, ed Altari; quanto più si dovrà credere, che i Santi Apostoli la consacrasse, e l’avessero come Chiesa, non essendo altra Chiesa, che più meriti d’essere così chiamata quanto questa, ove lo stesso Iddio prendendo umana spoglia volle essere conceputo dalla sua Vergine e Madre Santissima; esser nudrito, allevato, ed abitare corporalmente con gli Uomini: ove con umiltà impareggiabile soggettossi non solamente a’ voleri della sua Genitrice, e del putativo suo Padre: erat subditus illis: ma ancora ai sudori, alle fatiche, erat quasi annorum reiginta ut putabatur filius Joseph. Laonde que’ primi Fedeli vedendola così onorata, e frequentata dai Ss. Apostoli se ne affezionarono talmente, che per molti anni seguirono anco essi a frequentarla, e venerarla, chiamando la Casa dell’Incarnazione del Verbo Domus Incarnationis.
Benché nell’anno 137, della nostra Redenzione Adriano imperatore facese profanare i principali luoghi di Terra Santa ponendovi Statue, ed Altari de’ falsi Dei, acciò che in avvenire i Fedeli non potessero più in essi piegar le ginocchia, e farvi orazioni; tuttavia la S. CASA non può mai come quelli profanata, ma sempre continua, e stabile vi perseverò la dovozione, e la frequenza. Anzi l’anno 300 quando S. Elena Madre del gran Costantino si portò a venerare quei luoghi Santi, e a toglier loro l’abominazione, giunta a Nazaret la vennerò, e la fece circondare d’un magnifico Tempio, nella fronte del quale, fece porre questa iscrizione: Haec est ara in qua primun jactum est humanae salutis fundamentum. Quindi ha bene, che vieppiù si accrebbe la divozione, ed il concorso non sono di Asia, e di Africa, ma ancora della nostra Europa, e per molti secoli si conservò. Indi non poche rivoluzioni successero in quelle parti, possedendo la Palestina diversi Principi. Finalmente l’anno 1245, essendo restata tutta in potere de’ Parti, S. Lodovico, l’ottavo di questo nome, Re di Francia, vi andò con poderoso Esercito per liberarla, ma non riuscito nell’intento, a cagione della peste, che indebolì il suo Esercito, vi restò schiavo. Perloché venuto a composizione cogl’Infedeli, recuperò la libertà. Prima però di allontanarsi da quelle parti volle portarsi in Nazaret e a venerare la S, CASA.
Era quel giorno la vigilia della Festa dell’Annunciazione della Ss. Vergine, la quale passò in digiuno di pane, e acqua.Pigliata la via del monte Tabor appena da lontano la vidde, che sceso da Cavallo si prostrò in terra ed umile l’adorò.
La mattina giorno della Festa, vestito di cilizio si portò appiedi alla S. Abitazione, ove con segni di Cristianissima Religione ascoltata la Messa, che fece cantare con gran solennità, ed apparato, si cibò dell’Eucaristico Pane. Serva tutto questo di chiarissima prova in qual concetto, e venerazione fosse stata sempre appresso de’ Fedeli, la S. CASA:. L’esempio del Santo Re fu tale, che non sono efficacemente mantenne la frequenza, e la divozione ad essa; ma vieppiù l’accrebbe, e la dilatò.
CAPITOLO III
Traslazione della SANTA CASA
restato libero agl’Infedeli il possesso della Palestina, che fu l’anno 1291, mancò la frequenza a quei Santi luoghi per timore della fierezza dei Turchi, tuttavia non mai si spense affatto; poiché trovandosi quelli o in Gerusalemme, oppur vicini a qualche città principale, alla quale era l’accesso se non sicuro, almeno non tanto pericoloso per cagion del commercio, la S. CASA solamente come quella ch’era lontana, nella Galilea, e fuor di mano restò del tutto abbandonata, ed esposta alle abominazioni qual gemma. In mezzo al loto;Sicché le fù impedito affatto l’accesso non solo de’ lontani, ma degli stessi Galilei. Io però come quelli, che sempre veglia all’onor della sua Genitrice, a favore della quale non cessa di mostrarsi ora terribile ai nemici di essa, ed ora agli amici soave, e benefico, prevedendo le innumerabili scelleraggini, che si sarebbono commesse in quella Ss, Abitazione, nello stesso anno la fece spiccare dagli angeli dal suol nativo di Nazaret, e trasferire, come Elia nel Paradiso Terrestre, ed Abacuc nel lago di Babilonia, in luogo ove fedeli la potessero come prima con libertà frequentare. Nell’anno adunque di nostra redenzione 1291 ai 9 maggio, del pontificato di Niccolò V, da Nazaret e fu trasportata nella Schiavonia vicino alle rive del Mare Adriatico sopra un Colle, fra le due Terre allora di Tersatto, e di Fiume. Appena si accorsero gli abitatori della casa non mai ivi per l’addietro veduta, che in gran numero concorsero a contemplarla prima esternamente, poi nell’interno ancora: E fissando lo sguardo nelle antiche pareti, nell’Altare, nell’Immagine della gran Madre di Dio si sentirono sorprendere da un insolito sacro orrore, e tenerezza, che prostrati nel suolo, e compunti vi adoravano la Maestà Divina. E benché eglino non sapessero di chi fosse, d’onde fosse venuta, e come ivi portata; tuttavia restavano attoniti ringraziando Dio, e la gran Vergine del benefizio. Con molti segni, e prodigj la medesima Vergine di giorno in giorno faceva loro intendere, che quella era la di lei S. CASA.
Fra gli altri, due furono i principali. L’uno l’istantanea guarigione di Alessandro Priore di San Giorgio di Tersatto, il quale sin da tre anni si trovava idropico confinato in letto già gonfio, e quasi immarcito senza alcuna speranza di corporale salute. Inteso da’ Domestici il portentoso arrivo di quella Casetta, e che la Madre di Dio, di cui v’era l’Immagine faceva grazie particolari, di vero cuore se le raccomandò. Ella gli apparve la notte pietosamente consolandolo; e gli rivelò cos’era quella Casa, i misteri ineffabili in essa operati, in che modo fosse stata portata, e da che parte: e in questo mentre si sentì perfettamente guarito. Stupefatto si alzò dal letto, e la mattina manifestò al suo popolo il gran prodigio; e perché era Uomo di autorità con prontezza creduto. L’altro fu che Niccolò Frangipani Nobile Romano, allora Governatore di quella Regione detto Ban di Croazia, e Schiavonia per l’imperatore Ridolfo I, e insieme Signor di Tersatto, appena avvisato del prodigio vi si portò, la vidde, la considerò attentamente, e ancor egli prostrato vi adorò l’Imperatrice dell’Universo. Ma oltre la relazione d’Alessandro di San Giorgio, e la di lui guarigione istantanea, e manifesta, volle maggiormente accertarsi. Perlocché scelte quattro persone le più prudenti, e fedeli del Paese, e fra queste lo stesso Alessandro, le spedì a Nazaret e colle misure, acciò dal confronto di queste, dalla contemplazione del luogo, e dalle relazioni dei Nazareni medesimi venissero in cognizione del lor Tesoro. Partono subito, e giunti felicemente colà trovato il sito ove era la S. CASA mirano il pavimento restato, e i fondamenti, come appunto fossero stati tagliati a pian di suolo; e scontrate le misure le trovano giuste, e uniforme. Poi dalle informazione di que’ sconsolati pochi Fedeli, che ancora non avevano abbandonato Nazaret, e dal compiuto seco loro fatto della partenza di quella Casa vengono in cognizione della di lei ammirabile Traslazione fra loro. Sì che giubilanti tornati in patria, accertano il loro Signore, e il popolo tutto, che quella Casa fra loro portata è la Casa di Maria Vergine, ov’Ella concepì l’Eterno Verbo per noi fatto Uomo. La qual cosa divulgata, si aumentò in que’ popoli, ed è in queste vicine Province la divozione alla gran Madre di Dio, ed il concorso alla di lei S. CASA.
Ma siccome nell’eterna Sapienza aveva disposto, che la Schiavonia, e Tersatto fosse unicamente come la casa di Obedenon depositaria dell’Arca, e non mai posseditrice; così dopo tre anni, e mezzo di dimora in quelle parti fu trasferito con lo stesso Ministerio Angelico questo sacrosanto Albergo dalla Schiavonia nella Marca d’Ancona, e da Tersatto in Loreto. Accadde nel 1294 ai 10 Dicembre, nel Pontificato di S. Celestino V, cioè tre giorni prima che egli rinunziasse il Pontificato. Gli successe Bonifacio VIII. Il sito dove fu posato fu il lido dello stesso mare Adriatico per contro alla Schiavonia in una selva del Territorio di Recanati, di cui era padrona una Nobil Donna della Città medesima chiamata Laureta, dalla quale poi derivò il nome della S. CASA di Loreto. Ma perché quivi concorrendo in gran numero i divoti mossi o dall’insolito prodigio, o dalle continue grazie, che si ottenevano dalla gran Madre di Dio, erano molestati da’ Ladroni, che nascosti nelle vicine selve incendiavano le loro vite; dopo la dimora in questo luogo di otto mesi, cioè nel 1295 fù trasferita con lo stesso prodigio più verso Recanati sopra di un Colle di due Cittadini Fratelli. Ancora quì fù breve la dimora; poiché venuti fra di loro a contese, volendo ciascun di loro appropriarsi l’offerte, che si facevano da’ divoti, fu all’improvviso, non più ivi veduta, ma bensì trasferita al solito prodigiosamente non più d’un tiro di frezza lontano posata in mezzo della pubblica via, che da Recanati conduceva al suo Porto. E benché fosse così spesso trasferita, non partì mai dal territorio di Recanati: ed è la prima posata, che pur nella selva, ritenne mai sempre il nome della S. CASA di Loreto.
CAPITOLO IV
SANTA CASA, e sue vestigie.
E’ cosa veramente ammirabile come l’increata Sapienza abbia voluto, che ovunque è stata la S. CASA sia restato notabile vestigio di lei, e memoria particolare. Quando stava nel primo suolo di Nazaret, S. Elena, come si disse, le fece fabbricare intorno un magnifico Tempio, di cui presentemente si vedono le vestigia, ed i frantumi; e dopo che gli Angeli la staccarono dai suoi fondamenti, e la posarono nella Schiavonia, vi rimasero, ed ancora vi sono, il pavimento e i fondamenti, che giungono fino al piano del suolo. Nel Colle di Tersatto, in mezzo alla cui cima in vaga pianura, chiamata in loro lingua da quella gente raunizza, ove fu posata, e poi tolta la S. CASA, Niccolò Frangipani per memoria, e consolazione de’ sconsolati suddetti sopra le di lei vestigie vi innalzò una piccola Cappelletta simile a lei; e vi fu aggiunta a questa poi da’ suoi discendenti una Chiesa, ed un Convento dei Padri dell’Osservanza Riformati di S. Francesco, nella quale fù posta questa iscrizione incisa in pietra, che fino al presente si legge, cioè: Hic est locus in qua olim fuit Sanctissima Domus Beatae Virginis de Laureto, quae nunc in Recineti partibus colitur.
Nel luogo, dove nel Piceno la prima volta fu posata; e vi dimorò; come si disse otto mesi, finché vi durò la Seiva di Laureta, che fu fino all’anno 1275 sempre vi si sono vedute le di lei vestigie nel suolo. Anzi entro lo spazio delle quattro parti non vi nascevano spine, né ortiche, come ivi d’intorno, e per tutto solevano nascere, ma solamente erbette tenere, e fiori. Chiamasi questo luogo sin da quel tempo la Bandirola, e i Pellegrini andavano per devozione a visitarloi. Questo prodigio dei fiori si vedeva sin dal tempo di Girolamo Angelita, com’egli stesso afferma scrivendo al Pontefice Clemente VII. Inoltre è fama universale, che quando gli Angeli, portando la S. CASA si avvicinarono alla Selva, che noi diciamo Tufa, di color castagno rozzamente riquadrate in forma di mattoni nostrani, ma ineguali talmente fra loro, o per lunghezza, per altezza, che l’una mai confronta con l’altra. La forma quadrangolare, ma lunga, e non ha altro pregio, che nell’antichità. Misurata internamente è lunga 42 palmi romani, e 10 oncie, larga 18, e 4 oncie, ed alta 19, e 4 oncie. Prima che esternamente fosse adornata de’ marmi, e sculture avea il suo tetto aguzzo, sopra del quale si vedeva un semplice Caminetto, ed un piccolo Campanile, con due campanelle, come si vede in alcune povere Chiesole. Internamente sotto questo v’era una tavola come per volta, che noi diciamo soffitto dipinto di color azzurro, e partito in piccoli quadretti, ciascuno dei quali aveva nel mezzo una Stelletta di legno dorato. Sotto questo immediatamente seguivano attorno le S. Mura lunette informate di stucco di mezzana grandezza, le quali si toccavano insieme, ed avevano ne’ lor mezzi incastrati alcuni vasi di terracotta vetrati. È opinione, che questi vasi fossero stati ad uso della S. Famiglia, adoperati dalla Ss. Vergine a preparar il cibo a Gesù Cristo Figliuolo suo, e al suo casto sposo S. Giuseppe, e che i Ss. Apostoli come S. Reliquie di li collocasse a il luogo così eminente.
Le S. Mura, come dalla pianta che qui si pone, sono di grossezza 2 palmi, e 7 oncie, ma fatti non molto a misura, e a perpendicolo, nelle quali dalla metà all’alto, si vedono certi vestiti si di pittura assai antica, e dalla metà al basso le nude pietre, essendo stata dalla gran frequenza dell’affollato popolo consumata la calce.Nel S. Muro volto a Tramontana, che parmi dovesse essere la facciata della S. Abitazione, vi era quasi in mezzo una porta, ed era l’unica, alta 10 palmi, e larga 6, e 3 oncie, simile a quelle, che da poveri si usano, e per architrave aveva un rozzo Legno, che tuttora si mira in esso muro incorrotto e senza tarlo. A mano sinistra era un piccolo Armario che ancora sussiste, alto 3 palmi, e 6 oncie. È fama, che in questo Armario tenesse la Ss. Vergine la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Nel vicino muro a Ponente v’era una finestra alta 4 palmi, e palmi 9 alta da terra. Dirimpetto nel muro volto ad Oriente vi era basso, e piccolo camino alto 6 palmi, e 2 oncie, largo 3, e 5 oncie, di manifattura come le altre case, povera, ed ordinaria. Finalmente nel muro volto a Mezzo-Giorno dirimpetto alla suddetta Porta (ora chiusa con muro) v’era l’Altare alto 5 palmi, e il lungo 6, e 3 oncie con l’Immagine del Redentor Crocifisso dipinta da S. Luca, che per maggior consolazione de’ fedeli qui viene dimostrata; sul cui Altare è fama che celebrassero i S. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, e per ordine di Clemente VII fu trasferito in mezzo alla S. CASA verso il Camino, e il quadro fu posto sopra la finestra. Entro lo stesso muro verso l’angolo destro, v’era incavata una nicchia ove era collocata la S. Statua della gran Madre di Dio col suo Bambino in braccio, ora trasferita in mezzo al muro d’Oriente sopra il S. Camino. Ella è tutta di rilievo intagliata in legno di Cedro, alta 4 palmi, e il Bambino un palmo, e 8 oncie. Stà dritta in piedi, e tiene con la sinistra il suo Figliuolo verso la cinta, e con la destra, fatto un piccolo gruppo con le pieghe del manto, le sostiene. La faccia della Madre, e del Figliuolo è miniata di incerta mistura, che pare argento, ma pel tempo, e per continuo fumo de’ lumi è divenuta affatto bruna. In capo, intagliato nello stesso legno, come un velo, o panno bianco, sopra il quale posa una corona fatta a punte. I capelli sono lunghi ondeggianti, divisi, e sciolti, che discendono alle spalle alla Nazarena come ancora è la veste lunga sino a piedi di color rubino lumeggiata d’oro, stretta ai fianchi da una cinta di fondo dorato ornata di vari fioretti rossi, e verdi di figura piana, e larghetta parte della quale pende dal nodo, e va a nascondersi sotto il manto, che è di colore azzurro con fodera di color carminio, sparso di stellette dorate. Posa diritto in piedi il Bambino sopra il gruppo del Manto sostenuto dalla destra materna. È vestito ancor Egli alla Nazarena, con veste, e manto, conforme a’ colori di quello della sua Genitrice. Colla sinistra sostiene un piccolo globo significante il Mondo, e con la destra stà in atto di benedire col pollice, indice, medio alzati, e le due altre dita strette alla palma. Ambidue nella positura, e ne’ sembianti mostrano un’amabilissima Maestà, che sorprendendo, danno insieme conforto, e tenerezza. Si trovava in questo stato la S. CASA quando da Nazaret in Schiavonia, e da essa in Loreto fu traslata. Dell’altra disposizione, che poi le fù data d’ordine di Clemente VII se ne tratterà diffusamente a suo luogo, ed ora per compimento del capitolo presente, e per maggiore soddisfazione de’ divoti, si pone qui la Tavola dello spaccato, ossia interno della S.CASA, acciò i lontani la possino avere in qualche modo sotto gli occhi, e dei presenti da loro medesimi possino confrontare le cose, e i siti esposti in questo capitolo, e così confermare, ed accrescere la loro divozione.
DICHIARAZIONE DELLA PARTE INTERIORE DELLA S. CASA
Santo Muro a Settentrione
N.1 Volta della S. CASA fa d’ordine di Paolo III, col suo occhio in mezzo, e grata di ferro, la quale posa solamente sopra le mura, che sostengono i marmi esteriori, distinte affatto dalle S. Mura.
N. 2 Piccolo Armario fabbricato con lo stesso muro con traversa di legno incorrotto, e senza ombra di tarlo. È fama come si è detto, che qui la Ss. Vergine conservasse la S. Bibbia, e i Ss. Apostoli l’Eucarestia.
N. 3 Porta unica ora serrata, che aveva la S. CASA, col suo architrave sopra senza Carlo, e di incorrotto. Fu ferrata per ordine di Clemente VII con aprirne altre, che fossero più atte al numeroso Popolo.
N. 4 Porta moderna corrispondente ad altra aperta per più comodo del Popolo.
N. 5 Sasso portato via, e miracolosamente da sé ritornato al suo luogo. Per segno a una grappa di ferro.
N. 6 pitture antiche fatte in Nazaret e dipinte a fresco su S. Muro.
N. 7 cornicione della volta, che posa ne’ muri de’ marmi.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato delle S Muro incorrotto, e senza tarlo.
, Santo Muro a Mezzo-Giorno
N. 1 Credenzino, ove si conservano recentemente le reliquie. E’ tradizioni come si disse, che questo fosse il sito e parte della Nicchia, ove fu trovata la B.ma Vergine; e l’altra parte fosse levata nell’aprirsi la nuova Porta del Santuario, comunemente chiamata del S. Camino.
N. 2 Porta del Santuario, o S. Camino a perdita d’ordine di Clemente VII, per comodo dei Sacerdoti, e per ritiro de’ Personaggi.
N. 3 Altra porta corrispondente all’altra, fatta aprire dallo stesso S. éontefice per comodo del popolo.
N. 4 Pila di pietra per uso dell’Acqua Santa fermata nel S. Muro, venuta con essa da Nazaret.
N. 5 Armario dell’Ampolline per le Messe.
N. 6 Pietra del S. Muro fatta estrarre con breve di Pio V da Giovanni Soarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, il quale della Ss.Vergine fu obbligato restituirla, per segno è circondata da una picciola lama di ferro.
N. 7 Immagine di S. Ludovico VIII, Re di Francia dipinta in Nazaret nel S. Muro.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato nel S. Muro tuttavia senza tarlo, e incorrotto. Da questi legni così incastrati, e poi segati si suppone, che anticamente nella S. CASA vi fosse qualche divisione, per cui si formassero due stanze.
N. 9 Cornicione della volta, che posa sopra i muri, che sostengono i marmi.
N.10 Altre pitture antiche fatte a fresco in Nazaret.
Santo Muro d’Occidente.
N. 1 La Croce di Legno con l’Immagine dipinta sopra di essa del Crocifisso alta 5 palmi, ed altrettanto larga, l’asta, e le teste 2 palmi. Venne questa da Nazaret colla S. CASA, ed era il Quadro dell’Altare. I Principi d’Aragona gli fecero una Cappella nel Tempio, ove fu trasportata più volte, e sempre miracolosamente ritornò in questo sito. È fama, che tanto questa, quanto la statua della Ss. Vergine, siano opere di S. Luca Evangelista.
N. 2 Unica finestra della S. Casa ora d. della Nunziata.
N. 3 Legno incastrato nel S. Muro, e poi segato senza tarlo, e di incorrotto.
N. 4 Volta della S, CASA sostenuta dal muro de’ marmi.
Santo Muro d’Oriente.
N. 1 Statua di Cedro della B. Vergine col suo Bambino venuta da Nazaret colla S. CASA, la quale tuttavia dopo anni 498 della sua venuta in Loreto si mantiene incorrotta, e senza nemmeno ombra di tarlo.
N. 2 Il S. Camino tanto ad uso della S. Famiglia di Gesù, Giuseppe, e Maria.
N. 3 Credenzino, ove si conserva la veste della S. Vergine, e nel disotto una delle S. Scudelle.
Nel Mezzo
Altare formato della stessa materia delle S. Mura, ove celebravano la Messa i Ss. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, detto altare di S. Pietro. L’antico sito era nel S. Muro posto a Mezzo-Giorno, come si disse, dirimpetto all’antica Porta, trasferito ora nel mezzo per ordine di Clemente VII con l’aggiunta della grata, la quale divide la parte del Santuario detta del S. Camino dal resto della S. CASA.
CAPITOLO V
S.CASA riconosciuta nella Marca.
Osservate i Recanatesi le varie mutazioni fatte dalla S. CASA in così poco spazio di tempo, benché niuno di loro sapesse, che Stanza o Chiesa fosse mai quella; nulladimeno restavano stupefatti, riverenti, ed insieme divoti della gran Madre di Dio, nella quale vedevano la di lei Immagine, ed ogni giorno diverse grazie, e miracoli farsi a quelli, che, piamente visitandola di vero cuore se le raccomandavano. Ancora di tempo in tempo veniva a visitarla alcuni della Schiavonia o collocazione di traffico, oppure mossi dalla fama sparsa di tali miracoli, di quelli che trovavano presenti sospirando, e con lacrime dicevano,ch’eglino di quella S. CASA erano stati i fortunati possessori, indi da Dio privati. Queste, ed altre cose dicevano, ma non v’era chi loro ponesse mente, o credesse. Quando un divoto romito, che ivi spesso si tratteneva in orazione, sentendo un dì tali cose narrare, ed osservando la loro affliizione, o per desiderio di saperne la cagione, o per caritativamente consolarli minutamente l’interrogò. E da quelli intendendo, che quella sacra Abitazione era stata da loro posseduta, e venerata in Tersatto, trasferita miracolosamente da Nazaret, e che era la stessa Casa, ove nacque la Ss. Vergine, ove vi concepì l’Eterno Verbo, lo allevò, e lo nutrì, entrò in desiderio di saperne dalla medesima Vergine la verità. Dopo molti digiuni, ed orazioni fu consolato. Gli apparve Ella, gli rivelò come aveva fatto ad Alessandro di Teriata, i misteri operati in essa Casa trasferita dalla Galilea, e dalla Schiavonia in quel luogo per ministero Angelico, senza dimora si portò in Recanati a manifestare il prodigio, e la inesplicabile sorte a’ Maggiori della Città. Nel principio a cagione dell’insolito portento, e per la grandezza della cosa, non fu creduto: ma poi a poco a poco animando molti particolari, operò in modo, che fu risoluto di spedire nella Schiavonia, a Tersatto, indi nella Galilea a Nazaret Persone non men fine, prudenti per certificarsi della verità. Furono adunque spediti sedici uomini scelti dalla Provincia della marca a pubbliche spese colle misure della S. CASA, fu l’anno 1296. Giunti in Tersatto, sono appieno informati da quei Abitatori ancor mesti della venuta fra loro, della dimora, e della partenza della S. CASA; e condotti al luogo, osservate le vestigie, sopra delle quali i Frangipani avea fatta innalzare una Cappelletta, con la quale confrontare le misure, e fatto il calcolo dei tempi in tutto corrispondente partono tutti lieti per Nazaret. Quivi giunti, furono da quei Popoli fedeli rimasti, appieni informati, e condotti al luogo. Ivi vedono in frantumi, le rovine del Tempio di S. Elena ruinato dagli Infedeli, e tra queste mirano il pavimento, i fondamenti della S.CASA restati nel suolo, e adattate le misure seco loro portate, le trovano giuste, e conformi, e della stessa materia della Casa loro miracolosamente trasferita, onde tieni di giubilo ritornarono in Recanati. Informarono tutti di quanto trovato aveano in Tersatto, e in Nazaret, e che dai segni, e dalle relazioni avute non avevano alcun dubbio, anzi certezza, che quella tra loro fosse la vera Casa della Madre di Dio già stata a Nazaret. Si accrebbe comunemente negli animi dei Marcheggiani la divozione, e lo zelo verso la S. Abitazione, e la Regina del Cielo, che la costituirono Protettrice, e Padrona di lor stessi, e della loro Provincia. Sparsa appena la voce, e il nome della S.CASA, Abitazione di Gesù Cristo, prima Chiesa della legge di grazia, consagrata con tanti misteri, che non solo i Recanatesi, e i Popoli vicini, ma ancora i lontani a cento , o mille venivano processionalmente con Musiche, ed abiti diversi a venerarla, e riconoscerla. Crescevano per mezzo di lei le grazie, e i miracoli, e con questi ancora la divozione, ed il concorso. Tantopiù che talora si vedevano sopra la S. Abitazione di notte alcune fiamme, che tutto quello spazio d’intorno empivano di meraviglioso splendore. Il vescovo di Recanati ne informò il Pontef. Bonifacio VIII, coll’ordine del quale fabbricò il Borgo di Loreto. Il medesimo Pontefice persuaso del celeste prodigio, ed acceso di tanto zelo, conferì molto alla devozione, e al concorso, poiché nel 1300 fece pubblicare la prima volta l’anno Santo per impetrare da Dio la pace. Questa santa novità diede ai Fedeli un grand’animo di andare a Roma per sì grand’Indulgenze, e quelli che potevano passare per Loreto, con allegrezza particolare visitavano la S.CASA.
Intanto i Recanatesi, nel dominio dei quali era il Borgo di Loreto temendo che la S. Magione, per essere qui sola, senza fondamento, ed appoggio col tempo potesse rovinare, pensarono al provvedimento. Vi fecero un muro di mattoni contro i fondamenti così vicini alle S. Mura, che in qualunque accidente di pericolo le sostenesse. È fama antichissima come afferma il P. Battista Mantovano, che quasi elle contente del divino appoggio, sdegnassero quello dell’arte umana; e per divina virtù fecero da loro stesse allontanare le nuove mura.Il P- Torsellino aggiugne di avere udito lo stesso del P. Raffaele Riera, Uomo di singolare autorità, ed informato di questa verità da chi aveva il tutto coi propri occhi veduto. La distanza era, che fra il nuovo muro, e quello della S. CASA vi poteva comodamente passare un Putto con una torcia in mano, e così restarono fino al tempo di Clemente VII, quando fu innalzato il nuovo muro pe’ marmi, il quale al presente ancora il lontano dalle S. Mura, come pazientemente, si vede da una fessura vicina alla porta di tramontana, nella quale si suole porre una piccola candela accesa, a di cui lume apparisce questa distanza. Crescevano intanto con la frequenza dei Popoli i doni, e le limosine
V’era più luogo ad altri Voti ancor preziosi. Forse (stimano alcuni autori) per dar luogo a questi, che si risolvesse di elevare dalla sacra cappella l’antico Crocefisso Quadro dell’Alt., e ne seguisse il Miracolo d’essere trovato all’antico loco. Gli stessi Recanatesi per la medesima cagione, e per comodo al gran concorso di fabbricarono attorno ampi portici, ornandole di pitture, che esprimevano le traslazioni, ed insieme innalzarono un Altare appoggiato al S. Muro di Ponente nella parte esteriore sotto la finestra, detto poi dell’Annunziata, perché non potendo tutti per la gran moltitudine entrare nel A. Recinto ad ascoltare la Messa, almeno udir la potesse in altra parte.
Sebbene ogni giorno era quasi festivo, e solenne per il concorso dr’ Divoti, tuttavia la Ss. Vergine volle mostrare qualche giorno le fosse più grato, che ivi con maggior Solennità si celebrasse. E fu che Paolo di Montorso Romito, che abitava in un vicino Bosco, e che questo si intratteneva orando nella S. CASA, osservata per lo spazio di dieci anni continui, che sulla mezza notte delli 8 Settembre scendeva dal Cielo una fiamma, e si posava sopra di lei; perlocché si pose a supplicare la Vergine, che la cagione le manifestasse: Ella apparendogli, disse, che siccome in quel giorno si celebrava il Natale di lei succeduto in quella casa, così voleva che nella medesima solennemente si celebrasse. Ne diede parte al Vescovo, e ai Maggiori di Recanati, i quali lietamente, e prontamente ubbidirono con far solenne quel giorno: tanto più che ogni anno seguitava a vedersi tal fiamma. Era questa così palese, che non restava persona, che oro dalle mura della Città, o dalle finestre, e dai tetti delle loro Case non mirasse spettacolo così divoto. Durò, dicono i Scrittori, a vedersi fino al tempo di Paolo III. Accertati in questo mentre i Pontefici della verità, con Privilegi, ed Indulgenze particolari accrebbero la Solennità, ed il concorso. Passa la fama delle prodigiose fiamme, dalle città vicine alle lontane, si aumentò il concorso de’ divoti, per lo che i Recanatesi stimando convenirsi accrescere le Abitazioni per ricevere i Pellegrini, e Confluenti, e per accrescimento di comodo de’ Sacerdoti Ministri, circa all’anno 1322, fabbricarono una Chiesa, e molte case, talmenteché il Borgo finora di Loreto, fù innalzato all’essere di Castello.
CAPITOLO VI.
Del Tempio Lauretano.
Era cresciuta molto la diminuzione dei Popoli verso la S. CASA, ma non mai tanto come quando dai principali Personaggi del Mondo fu solennemente visitata. Furono questi moltissimi sì Ecclesiastici, che Secolari, le memorie dei quali hanno formato un Tesoro. Non riferisco i loro nomi, e le grazie, poiché il mio assunto è di narrare brevemente, e semplicemente la Storia Loretana per comodo de’ Pellegrini divoti. Chi desiderasse una piena notizia ricorra al Torsellino, Seragli, e gli altri, che copiosamente ne trattano. Io solamente ne scelgo due Sommi Pontefici, che fra gli altri molti vennero personalmente a visitare la S. CASA. Sia il primo Pio II, prima chiamato Enea Piccolomini Senese, il quale assalito da una ostinata febbre mentre che doveva portarsi in Ancona, a facilitare l’impresa contro del Turco, ove s’adunava l’Armata, mosso dalla fama dei miracoli, e grazie, che continuamente la Ss. Vergine otteneva da Dio nella S. Casa, se le raccomandò. E come fosse stato un certo di avere integrata la salute, le spedì un Calice d’Oro. Fatto il voto, cessò la febbre, e talmente ricuperò le perdute forze, che con gran comitiva di Cardinali, e gran Signori si pose in viaggio, e giunse a Loreto perfettamente guarito. Entrato nella Sagrosanta Abitazione, e prostrato avanti la sua Liberatrice, soddisfece il voto, e fù nel 1464. Non viddesi mai nella sS Cappella così vago spettacolo per esser ricolma di Principe, Cavalieri, e Baroni prostrati avanti alla gran Madre di Dio.
Molti erano venuti da Roma col Pontefice ad ammirare la grande Armata; altri molti, e particolarmente i primi Uffiziali d’Ancona ad incontrarlo. Intanto la salute di Pio ammirata da gran Signori di diverse Nazioni, e da tanti provdi Guerrieri fù cagione, che si dilatasse la fama del Santuario Loretano per tutta l’Europa. Fu il secondo Pietro Barbo Veneto Card. Di San Marco il quale colpito dalla Peste in Ancona, non potendo come gli altri portarsi in Roma all’Elezione del nuovo Pontefice, ricordevole della potente intercessione di Maria, tanto efficace a Pio, si fece portare in Loreto, e giunto alla S. Casa, volle quivi rimanere solo, e placidamente si addormentò. Fù fama, che dormendo, non solo fosse assicurato della corporale salute, ma altrisì del futuro innalzamento al Pontificato. Se fosse illusione ovvero rivelazione, lo decide l’evento. Destatosi perfettamente guarito, colmo d’allegrezza con istupore universale, e particolarmente de’ suoi famigliari, che erano appieno informati, uscì dalla S. Cappella. Fece subito chiamare il Rettore della Chiesa, a cui palesò il suo pensiero di voler ivi innalzare un nuovo, e magnifico Tempio alla Regina del Cielo. Ordinogli intanto, che a suo conto facesse scelta dei Muratori, e preparasse i materiali bisognevoli.
Giunto in Roma, cadde in lui il Pontificato, ed è innalzato alla gran dignità col nome di Paolo II, ricordevole della ricoperata salute, ordinò senza indugio, che atterrata l’antica Chiesa fatta fabbricare dai devoti di Recanati, si fabbricasse il magnifico Tempio, che al presente si ammira. È vero ch’egli non lo poté compire; tuttavia il P. Battista Mantovano ci assicura, che fù da lui quasi a perfezione condotto. Sisto IV, e Giulio II, successori, ed imitatori di Paolo, non tanto nel pontificato, quanto nella particolar divozione della Vergine Loredana, furono quelli, che compirono l’opera, l’adornamento. Terminò il primo non solo la fabbrica, ma ancora tornato, e provvidela d’ottimi Sacerdoti, e di eccellenti Cantori. Il secondo la fortificò esternamente, e in tal guisa, che la fece divenire una ben ordinata, e fortissima Rocca, sì per la varietà delle mura, come per la struttura di esse, che a guisa di bastioni, con corridori coperti, che alla di lei sommità e intorno girano per uso di presidio, e comodo alla città. Provvidela ancora a nell’interno con fondarvi un muro di Musici, e di due grandi Organi dorati, ed ornati di vaghe pitture. Fece fondere due vaste Campane, e di ordinò li amplissimi fondamenti del Campanile.gli otto di lastroni, che sostenevano la grande cupola, non reggendo a tanto peso, rlassatisi in parte, minacciavano ruina: perloché.ispedì subito il suo Architetto Antonio Sangallo per rimedio a tanto pericolo. Fece questo immediatamente ai lati del Pilastroni profondi, e ampi cavi, ne quali fece fabbricare nuovi muri di rinforzo con unire ai grandi Archi laterali un nuovo ordine d’archi minori frapposti alli maggiori, coi quali assicurò mirabilmente la Cuppola, ed insieme accrebbe al Tempio come tuttavia si osserva, nuovo ornamento e decoro.
Richiedevasi per compimento dell’opera la facciata de’ marmi bianchi. Gregorio XIII, con la sopraintendenza di Lattanzio Ventura Architetto l’incominciò, e Sisto V la compì perfettamente. Questi appena assunto alla dignità Pontificia, come nato, e allevato, e per lo più vissuto nella Marca, ben si avvidde quanto gli conveniva non solamente di imitare gli Antecessori, ma lungamente superarli. Ed in fatti fù tale la di lui divozione, e nell’impegno, che pare non volesse lasciare ai suoi Successori luogo ad ulteriori ingrandimenti.
La chiesa da principio fu semplicemente offiziata, ed è amministrata da Pietro di Gregorio Prepositp Teremano, e da altri pochi Sacerdoti Ministri, pel sostentamento de’ quali, e per gli infermi, Mons. Niccolò degl’Asti Vesc. Di Recanati, e Macerata comprò terreno del proprio ed assegnollo per fondo. Leone X, la fece Collegiata con fondarvi 12 Canonicati, 12 Mansionarìe,o Benefiziati, e 6 Chiericati di Coro, assegnando loro il mantenimento dall’entrate del Santuario. Sisto V, la dichiarò cattedrale, ed oltre l’aver confermati i 22 Canonicati,e Mansionarìe, aggiunse 4 Dignità, cioè: l’Arcidiaconato, l’Arcipretatato, Primiceriato, e Tesorierato: ed oltre ai sopradetti 6 Chiericati Corali, ne aggiunsero altri sei. Gli assegnò per suo primo vescovo Mons. Francesco Cantucci Perugino Uomo celebre non meno in pietà, che in dottrina. Stabilì la Diocesi con tre riguardevoli Terre, cioè Castelfidardo, ch’era della Diocesi di Ancona; M. Lupone di Fermo; e M. Cassiano d’Osimo. Confermò vieppiù l’uso delle funzioni introdotte fino dalla Protettoria del Cardin. Morone per ordine Pontificio, cioè: che si facessero nella Chiesa di Loreto, come appunto si fanno in Cappella Papale. Innalzò il Castello di Loreto all’esser di Città deputando Magistrati, ed ornando leggi pel suo Governo, ed acciò la nuova città non fosse solamente di nome, fece comprare il Colle che le sovrasta, detto Montereale, e fatto a sufficienza appianare, obbligò ciascuna Comunità della Provincia secondo il disegno a fabbricarvi una Casa; concedendo alle Persone, che venissero ad abitarla, o vi fabbricassero, favori, e Privilegi particolari. Fece tuttociò con tanto gradimento della Provincia, che a di lui memoria eresse la magnifica Statua di Bronzo posta su pavimento della Regia Scalinata fuor del Tempio.
CAPITOLO VII.
Facciata del Tempio.
Poiché mi sono proposto oltre la breve Istoria Loretana di narrare ancora qualche altra cosa fu lo stesso soggetto, che possa recar diletto al Forastiere divoto che si porta in questo gran Santuario, e nel tempo stesso non lo allontani, e non lo frastorni dalla divozione anzi vieppiù lo incoraggisca, e l’infiammi; incominceremo a descrivere minutamente ciascuna parte del Tempio, e le opere particolari, che lo costituiscono, e l’adornano. E siccome tutte queste sono eccellenti, e magnifiche sì per lavoro, come per la materia, e conseguentemente per il notabil travaglio, e spesa, onde potrà riflettere a qual segno sia cresciuta, e dilatata la divozione; e l’affetto dell’Imperatrice dell’Universo in questa sua S Casa. Tutti gli ornamenti, e qualsivoglia altra cosa, sono stati fatti con l’elemosine, e doni de’ Divoti, oppure con le entrate; e sì gli uni che le altre o hanno ovvero ebbero lo stesso principio, cioè la divozione, la gratitudine dell’affetto: e così nel considerarli rifletta ancora agli innumerabili benefizi, che di continuo, e largamente si concedono in questo luogo. Daremo principio da quella parte, che prima delle altre ci si presenta allo sguardo, cioè la facciata del Tempio. Ella è posta ad Occidente, fabbricata di pezzi di pietra di Istria così diligentemente squadrati, e con tanto artificio uniti insieme, che sembra fatta d’un pezzo solo. Ha innanzi disse una maestosa scalinata di otto gradini divisa a 4 a 4 da un frapposto pianetto. Sopra questa vi è il pavimento di lastra della medesima pietra, che insieme con la Scalinata occupa tutta la facciata. Nel piano del pavimento sopra li scalini a mano destra vi è una base ottangolare attorniata di nicchie, con figure rappresentanti le Virtù, e Tavole istoriate a mezzo rilievo, e Cartelloni, il tutto fatto di Bronzo, sopra del quale posa la Statua gigantesca del gran Pontefice Sisto V, parimenti di Bronzo, sedente in abito Pontificio col Triregno in capo, in atto di dare al Popolo la Benedizione: opera del Bernardini fatta a spese della Provincia della Marca nel 1587, in memoria di sì degno Pontef., benemerito della stessa Provincia.
Tutta la facciata è divisa in due ordini. Il primo è formato di 4 pilastroni ciascuno dei quali è composto di 4 pilastri, due di fronte e due di fianco con basi, capitelli, cornicioni, e scolature d’ordine Corinto. Fra questi pilastroni si formano tre vuoti, o piani,nei quali, vi sono tre Porte con sue colonne, ed adornamenti. Sopra la Porta di mezzo, che è la maggiore vi è una nicchia, entro la quale posa una vaga Statua di bronzo della Ss.Vergine col suo figliuolo in braccio, a similitudine della Statua Loretana, opera di Girol. Lombardi ciascuna delle due Porte minori laterali ha sopra di sé un Cartellone di Marmo nero con Iscrizione di lettere incise, e dorate. Nel primo. SIXTUS V. P. M. Picenus Ecclesiam hanc ex Collegiata Cathedram constituit XIV, Kal, Apr.MDLXXXV. P. A. P. Nel secondo.
SIXTUS V. P. M. Picenus Episcopali dignitate ornatumCivitas jure donavit An.
MDLXXXVI. P. A. P. Ciascuna di queste iscrizioni ha sopra di se una finestra,
con vaghi ornamenti, la quale corrisponde, e porge lume alla sua nave laterale.
Sopra lo scolatore incomincia il secondo ordine ch’è diviso in due pilastroni, ciascuno dei quali parimenti è composto di 4 pilastri due di fronte, e due di fianco, con sue basi e capitelli, e cornicione di ordine Corinto, tra quali si forma un solo volto, o piano. In questo si apre una gran finestra, che corrisponde, ed illumina la navata maggiore nel mezzo, ornata di Archi, Colonne, Conchiglie, Rosoni, e di altri ornamenti, ed ingegnosissimi rari capricci. Sopra questa sede un cartellone di marmo nero con iscrizione andrà alle lettere incavate, e dorate, che da lontano ben si distinguono; iscrizione, più veneranda e magnifica, cioè: Deiparae Domus, in qua Verbum caro factum est: ai lati della sopraddetta si aprono due ale, che vanno a terminare in due grandi volte, appresso alle quali sorgono due Torrioncini, che hanno in faccia le sfere, e sopra le Campane degli Orologi, uno Astronomico, e l’altro Italiano. Sopra il Cornicione segue il timpano, termine della Facciata, sull’acuto del quale vi è una gran Croce con due Candelieri ai lati di bronzo con basi, ed ornamenti di pietra. Il disegno di questa facciata, e palazzo è del Bramante, ed alla esecuzione ebbe sopraintendente il Ventura. Nel pontificato di Gregorio XIII, sotto la protezione del Card.Vastavillani fu cominciata in quello di Sisto V sotto la protezione del Car. Gallo fu terminata. Le misure di sì vaga facciata, come del nuovo Campanile innalzato sotto il Pontificato di Benedetto XIV, e compiuto l’anno 1753, sù disegno del Vanvitelli; che si espongono qui impresse a vista delli Lettori.
CAPITOLO VIII.
Porte del Tempio.
Le tre Porte del Tempio Loretano, oltre gli adornamenti di marmo, hanno ancora quelli di bronzo quali per l’invenzione, per il disegno, per l’opera, del loro genere, una non cede all’altra. Sono queste porte di bronzo finora ammirate come uniche, non che rare. Nell’ingresso maggiore, che corrisponde alla navata di mezzo, vi è una grande, e magnifica Porta di bronzo divisa in due parti, e ciascuna di esse è distribuita in diverse riquadrature maggiori, e minori.
Nelle maggiori si esprimono alcuni fatti della S. Scrittura appartenenti al Vecchio Testamento; nelle minori al Nuovo: cioè i principali Misteri della vita della Ss. Vergine. Sono tutte ornate di varie bizzarrìe, Fregi, Festoni, Armi, Statue intiere, Semibusti, Arpìe, Satiri, e Centauri, ch’escono graziosamente dagl’incartocciati fogliami. Ho risoluto per brevemente ristringermi, di accennare soltanto le maggiori, come appartenenti al Vecchio Testamento, che comunemente non si distinguono da tutti, e tralasceremo le minori, che da ognuno si conoscono, e distinguono.
Nella prima parte adunque posta a destra della Porta maggiore nella prima riquadratura si esprime la creazione di Adamo nel Paradiso Terrestre. Nella seconda, la maledizione dei primi Genitori dopo trasgredito il precetto con Abramo, che con la Sappa lavora la terra, ed Eva che fila con la rocca. Nella terza, la fuga di Caino instabile e timido dopo l’uccisione di Abele. Nella parte sinistra a capo nella prima riquadratura, la formazione di Eva dalla costa di Adamo addormentato. Nella seconda, l’espulsione dei suddetti afflitti, e piangenti dal Paradiso Terrestre. Nella terza, Abele assalito da Caino che l’uccide. Queste son Opere ammirande di Giacomo, e Antonio Lombardi figliuoli, ed allievi del celebre Girolamo Statuario, e insieme Fonditore.
Negl’ingressi, che corrispondono alle navate minori, laterali, ancor essi hanno le Porte di Bronzo, e benché siano dei minor grandezza di quella principale, tuttavia però non sono di minor pregio, ed ingegno. È cosa veramente meravigliosa il mirare in sì piccoli spazi le figure, e gli atti di esse così ben formati, ed espressi, nelle prospettive di Valli, Monti, Mari, Città, Anfiteatri, Deserti, ed altre cose ingegnosissime, e vaghissime, che sorprendono. Sono ancora queste divise in due parti, e queste parti medesime sono distribuite in riquadrature attorniate da Fregi, Festoni, Statue de’ Profeti, e Sibille, da Gogliami, Arme, Scudi, e da altre molte vaghissime capricciose invenzioni. Nella prima minor Porta posta a mano destra, e nella parte destra a capo nella prima riquadratura, si esprime la creazione di Adamo assai diversa per l’invenzione, dall’altra posta nella Porta maggiore. Nella seconda Asar dolente col moribondo Ismaele, e l’Angelo che la conforta. Nella terza Adamo, che sacrifica il suo figlio Isacco nel Monte, e i Servi che aspettano nella valle sottoposta. Nella quarta Mosè, che passa col popolo Ebreo il Mar Rosso, e l’esercito di Faraone sommerso, e confuso fra l’onde, e gli Ebrei nell’opposto solo giubilanti. Nella quinta la Manna, che cade nel deserto agli Ebrei, i quali si veggono occupati in provedersene. Nella parte sinistra parimente da capo nella prima riquadratura alla formazione di Eva dalla costa d’Adamo addormentato con disposizione diversa dalla prima. Nella seconda Rachele, che dà a bere ai Cameli di Giacobbe, e i Servi cortesi e grati verso di lei.
Nella terza il trionfo di Giuseppe nell’Egitto è saltato da Faraone, degli Egizj, che l’onorano, e fanno applauso. Nella quarta Giuditta, che recide il capo di Oleferne, e la Servente col panno, per porvi il reciso capo. Nella quinta, Mosé nel deserto, che con la Verga fa scaturire dal Selce acque copiose, e gli Ebrei gli avidi a dissetarsi. Ciascuna di queste riquadrature, siccome tutte l’altre ha la sua prospettiva competente e distinta.
Nella seconda Porta laterale posta a mano sinistra, e nella parte destra a capo, si esprime nella prima riquadratura il sacrificio di Caino incontro al sagrificio d’Abele. Nella seconda il sacrificio di Noè fatto dopo il diluvio, e l’Iride che simboleggia la pace. Nella terza la riduzione dell’Arca con Davidde giubilante, ed il Popolo, che festeggiando lo segue. Nella quarta la comparsa di Dio a Mosé mentre pasceva l’armento del Suocero. Nella quinta, Abigaille incontro a Davidde mentre passa per il Carmelo. Nella parte sinistra parimente a capo, e nella prima riquadratura l’uccisione di Abele fatta da Caino d’invenzione assai diversa dall’altra. Nella seconda, la scala di Giacobbe con gli Angeli, che discendono, e ascendono per essa. Nella sala il Trono di Salomone colle Guardie, e Cortegiani. Nella quarta l’esaltazione del serpente di bronzo nel deserto, ed i percossi, che languenti lo mirano. Nella quinta il Re Assuoero in Trono, appié del quale Ester supplicante per suo popolo Ebreo. La prima porta laterale è opera di Antonio Bernardini, e la seconda di Tiburzio Verzelli. Silvio Serragli Computista del Santuario nella sua Storia Loretana si afferma, che dalle memorie della Computistarìa si rileva, che la sola fattura di queste tre porte passò il valore di 30 mila scudi, non compresa la materia. In somma sono queste tre Porte fatte con arte, e maestrìa, che non mai abbastanza si può esprimere con parole. Non vi è persona di qualche poco intendimento, che nel contemplarle non provi un particolar diletto, e non resti stupefatta, e sorpresa.
CAPITOLO IX.
Interno del Tempio.
Il Sagro Tempio Loretano a figura di Croce composto in tutte le sue parti a tre navate. È lungo C. 45, largo C. 35 e 147 in circa di giro. Il capo, e le braccia della Croce vanno a finire con tre Cappelle. Quella di mezzo è più grande, e forma Tribuna; le laterali più piccole, e minori a proporzione. Negli 4 angoli della Crociata sotto i gradini sono formate in un ottangolo 4 Sagristìe, o Salvarobbe.
La prima detta Dispensa della S. Cappella, rassegnata ai custodi del santuario, ove da essi si conservano le preziose Vesti della S. Statua, l’imbiancherie, ed argenti per l’Altare entro laS. Casa, e le gemme, ori, voti, denari dell’elemosine, ed offerte, e qualunque altra preziosa cosa donata al Santuario, infin che giunga il destinato tempo di consegnarsi al Governatore, ed alli Ministri. La seconda chiamata S. Giovanni, è ad uso principale dei canonici, ove vengono i loro capitoli, e del Can. Sindaco per consegnare ai Corali di semestre in semestre le loro paghe, che consistono tutte in danaro. Serve ancora ai Sagrestani Vescovili per conservare i paramenti solenni, e le argenterie della chiesa. La terza è assegnata ai suddetti sagrestani, ove tengono ben custodite negli Armari le argenterie del Coro, e paramenti. Quivi si apparano tutte le Messe da cantarsi tanto in S. cappella, quanto per la Chiesa, secondo l’intenzione dei Benefattori. Si chiama Sagristia della Cura, perché serve ancora ai Curati quasi di Archivio, e qui si apparano nelle funzioni spettanti al loro uffizio. La quarta detta la Tesorerìa, perché stabilita a conservare danari, elemosine, entrate in denaro, gemme, ori, e qualunque altra cosa preziosa del Santuario.
Incomincia l’asta della Croce ad Occidente, la quale più lunga dell’altre parti, formata da 12 pilastroni, cioè 6 per parte, riquadrate coi suoi cordoni negli angoli, che ancora girano nelle lunette delle volte, e sono alti palmi 68. La navata di mezzo è la maggiore, sopra i cui pilastroni sorge il basamento, che sostiene gli archi acuti alla gotica, e la volta alta palmi 88. Gli archi, e la volta delle navate laterali sono minori, ma dell’istessia forma, e lavoro, e posano sopra i soli pilastroni alti da terra palmi 68, ogni arco alla sua cappella corrispondente di larghezza palmi 20, e 12 di sfondo.
Posa la Sagros. Abitazione nel centro della Crociata in vago pavimento di marmo scaccato di quadretti rossi e bianchi, e sollevato dal piano della Chiesa così parimente scaccato da 4 gradini di pietra bianca alto ciascuno un palmo, e 9 oncie. Le stà sopra una magnifica Cuppola sostenuta da 8 gran pilastroni, che attorno ad essa disposti in giro formano un’ottangolo, sopra quali posano altrettanti archi, cioè quattro maggiori, e quattro minori, ed i maggiori sono di altezza palmi 78. Ciascuno di detti pilastroni rende per di sopra una colonna piana, che fa un angolo ottuso d’ordine Corinto alto palmi 38, e su questa incomincia a sorgere la grand’opera con un Architrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 21. Segue il tamburro con 8 gran finestroni, al quale succede un altroArchitrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 30. Finisce col suo proporzionato lanternino circondato da 8 finestre, secondo la forma ottangolare, che rendono.
Sotto gli scalini del pavimento a linea retta dell’asta segue ad Oriente il capo della Croce, il quale è composto a tre navate, conforme l’ordine con tre pilastroni per parte, sopra i quali posano due archi l’uno minore, l’altro maggiore, e finisce con tre Cappelle, quella in cui termina la navata di mezzo è assai ampia, e forma tribuna, le laterali sono più piccole a proporzione della prima. A Tramontana ha il braccio destro, e a Mezzo-Giorno il sinistro, i quali hanno gli stessi pilastroni, ed Archi, e terminano con le tribune corrispondenti alle navate minori, e maggiori.
La Cappella a destra della Tribuna del braccio destro non ha Altare, invece del quale ha una gran Porta che conduce alla Sagristìa del Tesoro, ove s’apparano i Sacerdoti per celebrare nell’Altare della S. Cappella, o in quello della Nunziata. Entrata questa, in faccia vi è un altra Porta maggiore, e più magnifica, ornata di pietra bianca, che dà l’ingresso al Tesoro, ove in armarj di noce ben ordinati si conservano le gemme, gli ori, gli argenti, e i preziosi paramenti offerti al Santuario da Personaggi, e gran Signori, dei quali a suo luogo se ne darà sufficiente notizia. Succede a questa un’altra Sagristìa grande detta Vescovile, alla quale si va per mezzo d’un corridore, che conduce per linea retta ai Portici della Piazza, nella qual Sagristìa s’apparano in banconi diversi, secondo il rango, i Sacerdoti, che debbono celebrare negli Altari della Chiesa. Come questa, così tutte le altre Sagristìe sono abbondantemente provvedute di sacri Arredi, e argenterìe convenienti al luogo, alle persone, ed alle solennità.
CAPITOLO X.
Ornamenti del Tempio.
Quest’opera, che finora abbiamo veduta così bella, e magnifica nella propria disposizione; conviene ora mirarla adornata, poiché oltre il pregio dell’arte se l’accresce quello della rarità, le ricchezze, che l’adornano, e la distinguono. Nelle navate laterali corrisponde ad ogni arco la Cappella ciascuna delle quali deve ornarsi di ricchi marmi, e di moderni Altari per stabilirvi il quadro di Mosaico. Nella prima Cappella vicina alla Porta della sinistra navata, la di cui Pittura a fresco è del Pomarancio, invece dell’altare vi è il magnifico Fonte Battesimale di Bronzo, opera di Tiburzio Verzelli gran Fonditore.
Questa stupenda mole pel delicato lavoro, e moltopiù per le giuste, e meravigliose invenzioni, considerata insieme forma un mezzo sessagono piramidale. È alta in tutto palmi 25 larga 15. Si divide in piedi, vaso, e coperchio. Posa il piede sopra un vago pavimento di pietra elevato di tre scalini parimenti di pietra, che formano ancor essi il sessagono. Egli era formato di graziose volute, legature, incartocciamenti, di fogliami, e di altre invenzioni. Nella parte interiore sono posti a giro, negli angoli 4 putti nudi, alati, di tutto rilievo in atto di sostenere, e con le mani alzate, e colle feste il gran vaso. Segue il corpo di questo con tre finestrini, cioè uno per ciascuna parte per comodo del Ministro, e de’ Battezzanti, ed hanno per serraglio tre quadri. Nel primo si rappresenta la probatica Piscina; nel secondo il Cieco nato; e nel terzo l’Eunuco di Candace…
I frammenti, ed i contorni sono empiuti di volume con Festoni, e mezzi Angoli a tutto rilievo, da Cherubini, e da mille altre vaghissime, e capricciosissime invenzioni. Negli angoli quali in forma di tanti trofei pendono quattro quadri minori come targhette nelle quali sono effigiate le traslazioni della S. Casa. Succede questo il coperchio ultima parte del cessarono piramidale, nelle cui tre facciate vi sono altrettanti quadri, nel primo la circoncisione degli ebrei, nel secondo S. Gio. Battista al Giordano, e nel terzo Naaman Siro nello stesso fiume. Non solamente questi quali, ma tutti gli altri sono accompagnati di prospettive d’Architettura, di Fiumi, Campagne, Boschi, convenienti alle Storie che rappresentano. Fra il vaso, è il coperchio in ciascuna cantonata della sua Statua di tutto rilievo in piedi alta sei palmi, cioè, della Fede, della Speranza, della Carità, e della Perseveranza. Finisce il coperchio con un pianetto, sul quale vi sono due Statue della stessa grandezza delle altre, cioè: di Gesù Cristo
umile, che riceve il Battesimo, e S. Gio. Battista, che glielo conferisce. Tutta questa gran mole costò al Santuario seimila scudi di fattura non compresa la materia, come afferma il Serragli.
Nella crociata come si disse, posa la S. Casa attorniata da pilastroni, che sostengono la Cuppola. E’ coperta questa al di fuori di grammi di piombo di persone in tutto 133 mila libre, ed al di dentro parte è posta tutta d’oro, parte dipinta, e parte ombreggiata ad oro, e dipinta insieme. Nella testuggine si rappresenta la Coronazione in Paradiso della Ss.Vergine dall’Augustissima Trinità con una moltitudine di Celesti festosi Spiriti, che formano melodie, canti, e suoni. Sopra il primo cornicione tutto dorato, va in giro dipinta una balaustrata distinta da otto bassi, sulle quali possano ritti in piedi, e in abiti pontificali i 4 S. Dottori Grecim ed i 4 Latini, e fra mezzo vi sono disposti Stemmi Pontifici, e de’ Cardinali Protettori, nel Tamburro a lato de’ finestroni, vi sono dipinte le Virtù, ed altri ornamenti. Sotto l’ultimo cornicione parimenti messo a oro ne’ 4 gran vuoti sopra gli archi minori, vi sono dipinti i 4 Evangelisti, e gli archi maggiori al di sotto sono ornati di riquadrature, e rosoni tutti i dorati. Quest’opera sì pel disegno ed invenzione, sì per l’esecuzione di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Nella Tribuna volta ad Oriente, che forma il mezzo del capo della Croce vi è l’Altare di S. Filippo Neri adornata dalla Provincia della Marca con quadro del medesimo Santo, i laterali, ed altre Pitture opera dei Gasparini di Macerata. Recentemente è l’Altare ancora del Venerabile, come Cappella la più capace, e comoda al gran concorso di quelli, che si hanno da comunicare. Ha sempre un vago, ricco, e stabile adornamento di Argenterìe, cioè: Tribuna, Ciborio, Scalinata, Candelieri, Vasi, Ceroferarj, e cinque gran Lampade. Il candelabro verso la S. Casa tutto di Bronzo di esquisito lavoro del più volte nominato Girolamo Lombardi. Il medesimo altare è circondato da un ampio giro di Balaustrate di marmo sostenute da colonnette, e distinte da Pilastrini ornati di faccia. Nel destro lato di questa Tribuna, vi è la Cappella, in cui deve erigersi il nuovo Altare di marmo col Mosaico, qual Cappella sarà corrispondente all’altra dalla parte sinistra di d. Tribuna, ove sopra il nuovo bellissimo Altare di Marmo si osserva il famoso Mosaico rappresentante la Natività della B V. li laterali della quale sono stupendi per essere opera a fresco del Minchiotti di Forlì. Al lato sinistro di questa Cappella fuori d’ordine, appoggiato al muro in facciata all’arco, vi è il deposito del Card. Sermoneta Gaetano con Statua di bronzo al naturale;
Architettura, e Statue di marmo rappresentanti le Virtù, è opera di Girolamo Lombardi.
Forma il braccio destro della Croce verso Tramontana, la Tribuna, incominciata ad adornare dal Cardin. di Trento, e poi terminata dai Sig. d’Aragona, è per ciò detta la Cappella d’Aragona; nei laterali della quale si vedono rappresentati alcuni atti di S. Tommaso d’Aquino opera del Gasparini Maceratese, qual Cappella sarà resa più delle altre magnifica per il nuovo Altare di Marmo, che deve erigersi con l’altro Quadro di Mosaico. Al lato destro vi è una Cappella ornata di Pitture, e stucchi dorati come l’altre, ma invece dell’Altare vi è una gran Porta, che introduce alla Sagristia del Tesoro. Al lato sinistro vi è la Cappella, con nuovo Altare, di Marmi, e Quadro di Mosaico rappresentante al vivo la Visitazione di S. Elisabetta, li laterali della quale sono opera del Muziano, e tutte le altre pitture ad affresco di Francesco Orvietano.
Il sinistro, ed ultimo braccio della Croce è formato dalla Tribuna posta a Mezzo-Giorno, in cui vi è il coro, ove quotidianamente si salmeggia, e si fanno le orazioni come in Cappella Pontificia. Vi sono Arcibanchi di noce, a 2 ordini di sedili ripartiti in nicchie con suoi genuflessorj. Sta a capo il Trono Vescovile apparato con la Sedia Pontificale, ed ha appiedi l’Altare, ma senza Quadro, ed isolato, talmente che nel celebrare il Sacerdote, sta sempre voltato con la faccia verso il Popolo. Gli serve di Quadro la stessa S. Casa, che gli sta dirimpetto. Questo Coro è ufficiato da 4 Dignità, da 19 Canonici, e da 12 Beneficiari, e da altrettanti Chierici Corali tutti Sacerdoti, e nelle Domeniche, e maggiori Solennità si aggiungono loro 20 Chierici del Collegio Illirico, mantenuti dal Santuario. Ha un pieno coro di Musici fissi e stipendiati, cioè: un ;Maestro di Cappella, un’Organista, e i 16 Musici, cioè 4 per voce. L’Altare è sempre adornato di Argenterìe, ed in esse sempre si servono i Celebranti. Nelle maggiori Solennità, oltre i paramenti preziosi, l’Argenterìe solamente dell’Altare con le quali è adornato superano 600 libre, senza l’importo del lavoro. Il Principe di Bessignano l’adornò con un notabile Soffitto dipinto alla Chinese, e dorato, con due Cantorìe, ed attorno d’insigni quadri, fra i quali quello dell’Adultera, che ora sta riposto nel Tesoro, col sacrificio di Melchisedech, e la Nascita del Redentore, tutte opere egregie del Lotto. Al destro fianco ha la Cappella dell’Annunziata del Duca, perché adornata dai Duchi d’Urbino con gentili bassi rilievi di marmo bianco intagliati. In essa fa spicco particolare il nuovo Altare di Marmi col Quadro di Mosaico rappresentante la SS.ma Annunziata, li laterali della quale e le altre pitture a fresco sono di Federico Zuccheri. Al lato sinistro del coro vi è la cappella di Sant’Anna del Principe di Bessignano, di cui si farà più distinta la descrizione, allorché sarà resa degna di ammirazione col nuovo Altare di Marmo, e Quadro di Mosaico li di cui laterali tutti a fresco son‘opera del Minchiotti di Forlì. Vicino al medesimo Coro a destra, e sopra la Sagristìa della Cura vi stà il primo organo di Giulio II, messo a oro, con eccellenti pitture, e particolarmente nei telari, che gli servono a modo di porte per difenderlo dalla polvere, vi è dipinta la Natività di N S. opera sorprendente, attribuita al Baccicio, ed alcuni altri al Bassano. A sinistra sopra la Tesoreria viene il secondo organo dallo stesso Pontefice parimenti adornato d’oro, e di pitture come l’altro.
CAPITOLO XI. Ornamenti esteriori della SANTA CASA.
Eretto, fortificato, ed adornato il gran Tempio Loretano, pareva cosa molto indecente, che solamente la Sagrosanta Abitazione della Vergine restasse rozza, e disadorna, Giulio II fu il primo che incominciò a pensare di adornarla esternamente di preziosi marmi, e sculture. Il grande disegno sarebbe stato certamente eseguito, e la devozione particolare, che professava alla Vergine l’avrebbe accelerato, se la morte, che pone il termine a tutte le cose create, non l’avesse nel principio del pensiero tolto di vita. Tale idea non fu discara a Leone X anzi talmente l’infiammò all’esecuzione, che subito spedì Periti a Carrara ed altrove per la provisione dei marmi, e fattane scelta gli fece condurre al Loreto. Fu fatta ancora nello stesso tempo ottima elezione di maestri, scultori i più celebri di quei tempi con la direzione d’Antonio Sansuino insigne Architetto, e Statuario. Ma ancora questo pontefice non fece altro, che il preparamento de’
marmi, perché la morte del medesimo lasciò la cura ad altri per la grand’opera. Sembra che la Ss.Vergine avesse scelto Clemente VII, il quale innalzato alla Dignità Pontificia, prontamente e con grand’animo si accinse all’opera, e pose in effetto il pensiero di Giulio, il preparamento di Leone. E però diede ordine, che subito si demolisse il muro attorno la Santa casa, fabbricato dai devoti Recanatesi, si incominciasse il nuovo, atto a sostenere l’incrostatura de’ marmi. Perlocché fu levato dalla S. Casa il suo tetto, le travi, e il tavolato, che le serviva di volta, e con le altre materie furono collocate sotto il pavimento in mezzo alla medesima.
E qui non devo lasciare di narrare un fatto mirabile accaduto in quella occasione della persona di Raniero Nerucci da Pisa Architetto soprastante all’opera. Aveva egli avuto preciso ordine dal Pontefice d’aprire nelle S. Mura tre nuove porte, chiusa l’antica, dunque l’una in faccia all’altra per comodo del Popolo e l’altra per li Sacerdoti, Ministri, e Personaggi. Nell’atto di principiare ad aprire la prima Porta, al primo colpo di martello dato alla Sagra Parete restògli il braccio stupido, e senza moto, ed egli insensato, pallido, e come morto fu condotto alla propria abitazione. Dopo lo spazio di più ore per intercessione della Ss Vergine, supplicata fervidamente dai suoi congiunti, riebbe la prima salute. Avvertito il Pontefice dell’accaduto al Nerucci, non si mutò di pensiero; anzi con ordine più pressante comandò, che si aprissero le Porte, ma che prima di venire all’esecuzione, si preparassero gli Operai, con orazione, e digiuni. Tuttavia il Nerucci non si esponeva, o gli alti almeno non volevano essere i primi. Un chierico della Chiesa chiamato Ventura Perino, così da Dio ispirato, dopo tre giorni d’orazione, e di digiuni, pigliato il Martello, e rivolto alla gran Madre di Dio, le disse: io non percuotono le Mura della vostra S. Casa, ma è Clemente, che così vuole per vostra gloria. Piacciavi adunque di volere ciò che vuole Vicario del Figliolo vostro. Si presenta al S. Muro, e umile, e coraggioso insieme, lo percuote, e dal primo colpo gli si arrende, ed aiutato dagli altri Operai, si aprono facilmente le Porte. Fù ancora in questo tempo trasportato dall’antico sito l’Altare, e posto in mezzo, come presentemente si vede, e il Quadro del Crocifisso fu accomodato sopra la finestra. Inoltre fu fatta la nuova nicchia sopra il S. Camino, ove fu collocata la S. Statua come ora vedesi.
Nel mentre che così si adornavano le S. Mura, accade che alcuni Schiavoni portarono in Recanati una relazione della Traslazione della S. Casa da Nazaret in Schiavonìa, estratta dagli annali di fiume, che diede occasione a Girolamo Angelita Nobile Recanatese, e Segretario della Città di compilarla, ed aggiungere quella dalla Schiavonìa in Loreto, e dedicarla, e di inviarla allo stesso Sommo Pontefice. O fosse questa relazione, o l’affetto, e divozione di Clemente alla Ss. Vergine, oppure questa vieppiù infiammata da quella, volle egli maggiormente certificarsi delle medesime Traslazioni. Quindi scelti fra i suoi Camerieri Giovanni Senese con due altri fedeli, e divoti, e li spedì prima in Loreto a prender le misure, e attentamente osservare ogni arte della Sagrosanta Magione, e poi nella Schiavonìa a Tersatto, e nella Galilea a Nazaret e furono pienamente informati della verità, e del tempo della Traslazione in ciascun luogo, particolarmente in Nazaret, oltre all’esatto confronto delle misure di Loreto corrispondente a fondamenti ivi restati pigliarono ancora queste due pietre di quelle con le quali si fabbricavano le case comunemente, che poi tornati, e confrontate con le S. Mura furono trovate della stessa qualità, e similitudine. Tornati in Roma, informarono il pontefice, il quale fece intendere al nero si di compire con la più possibile sollecitudine l’ornamento dei marmi, e che in uno di questi fossero descritte le Traslazioni; ma ciò non fu eseguito per cagione della di lui morte poco dopo succeduta. Era quasi giunta al termine questa grande opera, quando fu innalzato al pontificato Paolo II e solamente restava a farsi la volta, che copri dovea la S. Casa; e benché ella non dovesse posare sopra le S. Mura, ma bensì sopra i nuovi muri de’ marmi, nulladimeno fu necessario levare dalle medesime le lunette, e li vasi nel loro mezzo incastrati. S’era sempre più dilatata l’antica opinione, che quei vasi fossero stati adoperati dalla Ss Vergine in servizio del suo Figlio Gesù Cristo, e di S. Giuseppe; e che gli Apostoli per maggior sicurezza l’avessero collocati in luogo così eminente. Furono dunque con le lune elevati ancor quelli, e posti nell’Armario del S.Muro a Tramontana. Recentemente di questi vasi se ne trovano solamente sei, cioè: quattro nella S. Cappella, e due in quelle del Palazzo Apostolico che serve ancora per Cappella della Penitenzierìa. Indi affinché ciò, che era stato necessariamente levato dalla S. Abitazione per negligenza non si perdesse, o confondesse con altre cose, fu stimato bene di collocarlo entro la medesima S. Casa sotto il pavimento di marmo. Solamente per memoria lasciato fuori un pezzetto di tavola dell’antico soffitto, e le stellette di legno dorate, che lo adornavano, le quali si conservano nel sopraddetto Armario a Tramontana in Cassetta di puro argento. Le travi, come si disse, furono sepolte sotto il pavimento, ed alcune restarono fuori, le furono poste sotto il Cornicione della Volta. Una solamente di queste non si sa come sia restata fuori al paro del pavimento vicino al S. Muro Occidentale sotto la finestra senza alcun riparo; o difesa essendo continuamente sotto i piedi dell’affollato Popolo, calpestato e premuto. È cosa ammirabile, che così esposta, e calpestata per tanti secoli non si consumi, ma intera duri, e senza tarlo. È fama, che prima fosse coperta d’argento, e si fosse consumato, indi di lama di ferro parimente consumato, e poi senza difesa alcuna lasciato, ancora si conserva forte, e costante; ed è cosa probabile, poiché si vedono in essa alcune punte di ferro ivi restate, e consumate al paro del legno. Questa meraviglia si vede ancora nel rinnovarsi il pavimento di marmo di quando in quando consumato dal Popolo, ma non già la trave, come fu veduta nel 1751, che sopravanzava allo stesso pavimento da 4 pollici. Con questa occasione fu particolarmente veduto, che la S. Casa sta posata sopra il suolo senza alcun fondamento. Compita la Volta sotto il medesimo Pontificato si aggiunsero le balaustre, che mancavano per il compimento dell’architettura dei marmi, e le quattro Porte di Bronzo. Tuttavia non si potea dire opera affatto compita, mancando la maggior parte delle Statue, le quali dal Pontificato di Giulio III, fino a quello di Gregorio XIII furono compite.
CAPITOLO XII.
Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura.
La struttura de’ Marmi attorno le S. Mura, che circonda esternamente le S. Mura, si regge tutta sopra uno zoccolo di bianco, e poi di marmo nero di figura quadrilunga come la quadratura della S. Casa ed eccone per maggior chiarezza la pianta. Palmi 61 Romani ha di lunghezza, e 39 di larghezza. Sorgono dal zoccolo le 4 facciate di scelto, e bianco marmo di Carrara, alte 50 palmi, e scompartite in giro da 16 Colonne scanellate, quali ripartiscono l’intero concio d’effigiati Quadri di replicate nicchie, e di porte.. Dai cantoni spargono in fuora le quattro Colonne, che formano due facciate, e sono guida di tutte l’altre egualmente disposte sopra piedistalli d’esquisito lavoro di arabeschi, e in riquadrature, che tengono nei loro vuoti incastonate pietre di diversi colori, e qualità; come ancora nei vani dei medesimi piedistalli e nelle Porte. Su queste, e col medesimo ordine s’ergono diffusi del colonnato a mezzo rilievo, quali terminano con capitelli sfogliati d’ordine Corinto sopra i quali posa l’architrave adornato di vaghissimi intagli. Fra questo architrave e capitelli delle colonne va in giro come una fascia con facce di Leoni sopra festoni pomati sostenuti da due a Aquile con i colli ritorti l’una verso l’altra, che compongono quasi un framezzo fra i quadri, e l’architrave. Segue altra grande fascia, o fregio ornato da capricciosi duplicati rivolti, a cui succede immediatamente il Cornicione, e Scolatore, sopra cui posa la balaustra. È composta questa di colonnette a mezzo suro, sostenute da basette, e piani, e distinte a luogo a luogo proporzionatamente da pilastrini, nelle principali facciate dei quali sono scolpiti a mezzo rilievo a copia Fanciulli nudi, scherzanti con diversi atteggiamenti, e positure. Ecco tutta la costruzione dell’opera:
Benché le colonne siano distinte l’una dall’altra, sono ordinate a due a due, e quindi formano fra di loro maggiori, e minori spazi le facciate più lunghe, cioè quelle di Mezzo-Giorno, e Settentrione hanno dunque spazi maggiori, e tre minori. Nelle maggiori vi è una Tavola, o Quadro per ciascuno, che l’empie, e sotto, in mezzo ha una Porta con Cornice e Timpano di fino intaglio, che termina ai lati con due puttini sedenti di tutto rilievo.Nei spazj minori vi sono due nicchie una sopra, una sotto. In quella di sopra vi sono collocate le Statue delle Sibille in piedi, e in quelle di sotto de’ Profeti tutti a sedere. In ciascun lato delle sopradette Porte vi sono i Stemmi del Pontefice Leone X, e vari emblemi di penne, ed anelli, ch’empiono i vuoti tra le Colonne, e le Porte. Le facciate più corte come quella d’Oriente, e d’Occidente a due apazj minori, ed uno maggiore. Le minori hanno le nicchie con me sopra; nelle quali vi sono le Sibille, ed i Profeti. Nei maggiori a quello volto ad Occidente vi è un solo quadro e tavola sotto cui è la finestra della S. Casa, e ai lati di queste due tavole minori, ch’empiono i vuoti tra essa, e le Colonne, e sotto vi è l’Altare parimenti di marmo con le sue facciate adornate secondo l’ordine dei pilastri, e dei vuoti fra essi. A quello volto ad oriente, siccome vi è un gran vuoto a cagione che non vi è alcuna finestra, oppure Altare, così vi sono due tavole, o quadri, l’uno sotto l’altro; e infine la lapide con lettere incavate con la narrazione, e memoria delle ammirabili Traslazioni della S. Casa, ordinata come si disse da Clemente VII al Neruccio, e per cagione della morte di questo fatta eseguire dall’VIII di questo nome medesimo.
Quest’opera così magnifica, e sorprendente, nella quale si segnalarono con la loro divozione, e generosità tanti Sommi Pontefici, ebbe li Architetti, Statuari, e Scultori lo più eccellenti di que’ tempi. L’architettura è del Bramante, la scultura d’Andrea Contucci di Montesansovino, al quale a cagion della morte succedé Niccolò Tribolo, e sotto questi lavorarono altri eccellenti professori, cioè Flavio Bandinelli, Domenico Lamìa, Francesco Sangallo, Raffaele Montelupo, Girolamo ombardi, e Fra Aurelio Eremita suo fratello, Simone Fiorentino detto il Mosca, Cav. Girolamo della Porta; e suo fratello: così ancora Simone Cioli, Raniero Pietrasanta, Francesco di Tada con 10 Scarpellini, ed altri molti, i quali donarono alla Ss. Vergine parte delle loro opere: perché fra gli Architetti e Scultori, furono spesi più di 50.000 Scudi Romani non compresi materiali, ed i lavori giornalieri, la mercede dei quali ascese a Ducati 1940 in circa. Furono posti i fondamenti del 1514 sotto Leone X, e perfezionata nel 1569 sotto Gregorio XIII. La materia è di bianco marmo di Carrara: le tavole, o quadri quasi di tutto rilievo rappresentano alcuni fatti della vita di Maria Ss.
Le Statue, le Sibille, ed i Profeti, che predissero l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la Verginità della di lui Madre. Girolamo lombardi fece se profeti incominciando dal Geremìa, due Aurelio suo fratello: i Cav. della Porta fece un Profeta, e nove Sibille, e Tommaso suo fratello, una Sibilla, e un Profeta. Gli otto Angioletti sopra le Porte, tre sono del Mosca, le cinque del Tribolo.
Dichiarazione de’ Marmi attorno la S. Casa
Dicemmo nel precedente Capo, che gli ornamenti principali dei Marmi che compongono le facciate della S. Casa consistono in tavole, o quadri, ed in nicchie. Nelle prime si rappresentano alcuni fatti della Ss.Vergine, e nelle seconde sono collocate le Statue delle Sibille, e de’ Profeti, i quali predissero rispettivamente ai Gentili, ed Ebrei, l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la dignità della gran Madre di Dio.
Facciata a Tramontana.
N. 1. Tavola rappresentante la Natività della Ss. ergine su seduta in questa sua S. Casa. Fù ella abbozzata da Andrea Cabtucci detto il Sansovino, e finita da Flavio Bandinelli, e da Raffaele da Montelupo l’Anno 1531. In questa s’ammora
dagli intendenti con modo particolare un Fanciullo, che scherza con un piccolo Cane, ed una Donna vicino che ne mostra di letto. La frattura di essa solamente fù di Scudi 525.
N.2. Rappresenta lo Sposalizio della Ss. Vergine con S. Giuseppe abbozzo del Sansovino del 1531, compita poi nel 1533 da Raffaele da Montelupo, e dal Tribolo. Quest’ultimo felice quella figura d’uomo assai lodata, che sdegnato ombre al ginocchio la verga di legno secco, perché non gli ha fiorito, come quella di San Giuseppe. La sola fattura di scudi 730.
N. 3. La Sibilla Elespontica dell’Asia minore.
N. 4. La Sibilla Frigia nell’Asia.
N. 5. La Sibilla Tiburtina del Lazio in Italia.
N. 6. Il Profeta Isaia.
N. 7. Il Profeta Daniele.
N. 8. Il profeta Amos. Statua molto stimata.
N. 9. Porta della Scala a lumaca, che conduce sopra la volta della S Casa, fatta di Bronzo con Scorniciature, Quadri, Festoni, Arme, e di altri vaghi ornamenti.
Facciata a Ponente.
N. 1. In questa tavola si rappresenta l’Annunziazione della Ss. Vergine eseguita in questa S. Casa dall’Arcangelo S. Gabriele, opera abbozzata, e compita dal Sansovino nel 1523. La figura della Vergine e assai ammirata in tutte le sue parti. La sola fattura importò scudi 525.
N. 2. La Visitazione della Madonna a S. Elisabetta. Tavola minore: opera di Raffaele da Montelupo, fatta nel 1530 di fattura gli furono dati scudi 200.
N. 3. La descrizione di Bettelemme di S. Giuseppe nel pagare il Tributo Imperiale; opera di Francesco Sangallo nel 1530 e la fattura importò scudi 200.
N. 4. La Sibilla Libica della Libia nell’Africa.
N. 5. La Sobilla di Delfo nell’Acaja.
N. 6. Il Profeta Geremia grandemente stimato per la positura, abito, panneggiamento, e pel gesto.
N. 7. Il Profeta Ezechiele.
N. 8. La finestra della S. Casa detta della Nunziata: perché esternamente corrisponde sotto la Tavola, che rappresenta un tal Mistero.
N. 9. Altare detto della Ss, Annunziata.
N.10, Pradella, e gradini del medesimo.
Facciata a Mezzo-Giorno.
N. 1. La Tavola della Nascita di Gesù Cristo, ossia Presepio; opera la più singolare, e perfetta del Sansavino compita nel 1528 per cui ebbe di sola fattura scudi 525.
N. 2. L’adorazione dei Magi, opera assai perfetta, e a Miranda da Raffaele da Monte lupo fatta nel 1532, la di cui fattura ascese a scudi 750.
N. 3. La Sibilla Persica, della Persia nell’Asia maggiore e, ovvero della Caldea.
N. 4. La Sibilla Cumea, di Cuma in Italia.
N. 5. La Sibilla Eritrea, d’Eritrea nell’Asia minore.
N. 6. Il Profeta Malachìa.
N. 7. Il Profeta David vestito da vento regio con la corona in capo, e de’ a piedi alla testa recisa di collina. Questa fu molto ammirata, e lodata da Carlo V Imperatore.
N. 8. Il Profeta Zaccherìa.
N. 9. Porta della S. Casa.
N.10. Porta del S. Camino, per cui s’entra a venerarlo.
Facciata ad oriente.
N. 1. Tavola del transito di Maria Ss. con l’assistenza de’ Ss. Apostoli; opera di Domenico Lamìa nel 1516, aggiunta di Niccolò Tribolo, di Raffaele di Montelupo, e di Francesco Sangallo, la di cui fattura fu di scudi 795.
N. 2. Le traslazioni della S. Casa; opera incominciata da Niccolò tribolo nel 1533, e compita da Francesco Sangallo, dalle cui fattura fù di scudi 750.
N. 3. La Sibilla Samia, dell’isola di Samo del Mar Egeo.
N. 4. La Sibilla Cumana. o Amaltea di Ponto nell’Asia.
N. 5. Il Prof. Mosè lodato assai per le muscolature.
N. 6. Il profeta Balaam.
N. 7. Iscrizione della Traslazione di S. Casa, e dei Misterj operati in essa, posta nel basamento d’ordine di Clemente VII fatta eseguire da Clemente VIII la di cui copia si porrà qui in fine. Le Statue de’ Profeti sono dieci, cinque ne fece Girolamo Lombardi Venez., e incominciò da Geremia l’anno 1551 per scudi 345 l’una. Poi nel 1579 ne fece un’altra breve Sc. 460.Fra Aurelio Eremita suo fratello ne fece due una per scudi 300, e l’altra per scudi 340. Il Cavalier della éorta insieme con Tommaso suo fratello ne fece due nel 1575 per Scudi 450 l’una. Le statue delle sibille sono 10, nove ne furono fatte dal suddetto Cavalier della Porta, ed una dal suo fratello Tommaso per scudi 100 l’una, donando l’inporto di una alla Ss Vergine. Gli 8 Angeli collocati sopra i Timpani delle 4 Porte, 5 ne fecero Niccolò Tribolo, Raffaele Montelupo, e Francesco Sangallo, gli altri tre furono fatti da Simone Mosca per Scudi 35 l’uno. Finalmente nelle 4 Porte di bronzo a bassorilievo fatte da Girolamo Lombardi nel 1576 fu speso Scudi 800 per ciascheduna. Chi desiderasse relazione più particolare questa Opera, veda il Serragli nella Parte II Cap, XI e XII.
ISCRIZIONE SOPRA ACCENNATA.
Christiane Hospes, qui pietatis votivae causa huc advenisti, Sacram Lauretanam Aedem videsDivinis Misteriis et miraculorum gloria toto Orbe Terrarum venerabilem, Hic Sanctissima Dei Genitrix MARIA in lucem edita, hic ab Angelo salutata, hic AETERNUM DEI VERBUM CARO FACTUM EST. Hanc Angeli primum e Palestina ad Illyricum advexere ad Tersactum Oppidum Anno salutis MCCXCI Nicolao IV Summo Pontigice triennio post initio Pontificatus Bonifacii VIII, in Oicenum translataprope Recinetum Urbem in huius Collis nemore eadem Angelorum opera collocata est ubi loco intra anni spatium ter commutato, hic postremo Sedem Divinutus fixit Anno ab hinc CCC. Ex eo tempore tam stupendae rei novitate vicinis Populis in admirationem commotis tum deinceps Miraculorum fama longe, lateque propagata Sanctae haes Domus magnam apud omnes Gentes venerationem habuit, cuius Parietes nullis fundamentis subnixi, post tot saeculorum aetates integri, stalilesque permanent. Clemens Papa VII illam marmoreo ornatu circumquaq. Convestivit Anno Domini MDXXV, Clemens VIII brevem admirandae Translationis Historiam in hpc lapide inscribi iussit Anno MDXCV.
Tu pie Hospes Reginam Angelorum, et Matrem Gratianum hic religiose venerare, ut eius meritis, et precibus a dolcissimo Filio vitae auctore, et peccato rum veniam, et corporis salutem, et aeterna gaudia consequaeris.
CAPITOLO XIII.
Degli Ornamenti interiori della S. Casa
nella parte del S. Camino.
Abbiamo finora trattato degli esteriori adornamenti, conviene ora a trattare degli interiori, che sono adatti a confermare, ed accrescere vieppiù la divozione ed il concetto di questo gran Santuario. Questi altro non sono che memorie, e doni di Personaggi, e gran Signori, offerti alla gran Madre di Dio, o per impetrare grazie, o in un ringraziamento delle grazie ricevute. E per proseguire più ordinatamente con facilità, e chiarezza fa d’uopo dividere l’interno della S. Casa in due parti, come è appunto presentemente divisa. La prima è del S. Camino cioè da questo fino altra mezzo dell’altare, chiamata parte del S. Camino, o Santuario. La seconda dall’altare fino al fine della S. Casa, chiamata parte della medesima.
La parte del S. Camino è coperta ogni facciata da capo a piedi di lame di purissimo argento, le quali sono così ispesse, e le unite, che sembrano una sola lama, ed un continuato lavoro, che non l’lascia visibile alcuna parte, ancorché minima delle S. Pareti. Alcune poche sono piccole, e moltissime melanzane, e non poche grandi, pesanti, e di getto, ed alcune grandissime, e pesantissime in forma di quadri con adornamenti, e cornice dello stesso metallo; queste ultime sono poste in ordine, e schierate sopra, e ai lati della Nicchia della S. Statua, le principali occupano l’intiera affacciata di Tramontana, e Mezzo-Giorno. Nella prima s’ammira il gran Quadro, e Voto di Alessio, e Gaspare Peretti nipoti di Sisto V di libbre 300 di argento, e nella seconda sopra la porta quello del principe di Vadenonte di Lorena di libbre 150. Al lato destro della Nicchia vi è quello di Marcantonio Colonna di non minor peso, e valore. Sotto il suddetto molto Peretti vi è la finta Porta d’argento del Card, Magalotti,
tutti arabeschi di getto traforati, colle scorniciaeture ricoperte di lame, innanzi alla quale è collocato il genuflessorio parimente di argento del Card. Colonna..
Sopra la detta éorta vi sono le due Statue d’argento genuflesse con le mani giunte l’una delle quali rappresenta Tiberio Pignatelli, l’altra Francesco Peretti Nipote di Sisto V in ciascuna parte particolarmente negli angoli, sono disposti in quantità di Putti d’argento quali a mezzo, e quali a tutto rilievo; quali a cesello, quali tutti di getto, e pesantissimi, quali nudi, e quali fasciati, e più d’uno adornato di gemme. Attorno alla Nicchia se ne contano 18, tutti d’oro purissimo, uno in mezzo all’arco anteriore della medesima con un cuore fiammeggiante in mano, è dono del Co. Brainer Alemanno. E 4 a mezzo rilievo de’ Serenissimi di Baden. I tre a tutto rilievo sono il primo nudo del Principe di Carbogano, l’altro infasciato dell’imperatore Ferdinando II, ed il terzo del Real Principe di Savoja.
Li altri 4 sono il primo nudo del Duca di S. Elìa Napolitano, il secondo infasciato di Sigismondo terzo re di Polonia, il terzo del Duca di Acquasparta, l’ultimo dell’Elettorale Casa di Baviera. Vi sono inoltre varie statue d’oro, e d’argento. La principale d’argento, è un Angelo di libbre 350, che offerisce con le mani alzate alla Ss. Vergine un Putto d’oro di libbre 24 dono del Re Cristianissimo Lodovico VIII mandato in occasione della nascita di Lodovico XIV detto poi il Grande ottenuto dopo 22 anni di sterilità. L’altra del Principe di Condè, e la terza del General Daun Viceré di Napoli. Vi sono parimenti di argento sei altre Statue d’Angeli con Candelieri, nelle quali continuamente ardono candele di cera, cioè 4 alla grata dell’Altare innanzi alla S, Statua, e due ai lati interiori della Nicchia.
I 2 più grandi pesantissimi tutti di getto del Duca, e Duchessa di Laurenzano, l’altre di pie Persone. Due d’oro di mirabil lavoro con Candelieri, sui quali continuamente ardono Candele di cera posti in fuori al piano della Nicchia con basette di Ebano adornate tutte con Cifre, e Fogliame di lastra d’oro traforati, dono di Leopoldo Imperatore Austriaco. Sopra questi vi sono due altre Statue di Angeli uno a destra tutto d’oro assai pesante adornato per ogni parte di varie preziose gemme, che offerisce alla Ss. Vergine un cuore fiammeggiante, entro il quale vi è un Lampadino che arde sempre. Il suddetto cuore è tutto tempestato di ispessissimi, e grossissimi diamanti, e le fiamme si sono formate di rubini, dono di Maria d’Este regina d’Inghilterra Moglie di Giacomo II. A sinistra in faccia né corrisponde un altro, che parimenti offerisce un cuore, ma è tutto di argento, ed il cuore solamente d’oro con corona a capo, tutto tempestato di diamanti, rubini, smeraldi, e molte perle orientali assai grosse, forma parimente un Lampadino, che arde di continuo, dono di Laura Martinozzii d’Este Duchessa di Modena Madre della suddetta Regina. Risplendono ancora avanti la S. Statua in ordine vago appese 23 lampade d’oro purissimo di diverse grandezze, e di lavoro esquisito, le quali sempre ardendo danno testimonianza della particolare divozione verso la Regina del Cielo dei donatori, che le hanno a tal’effetto abbondantemente dotate. Con due di questi si distinse Violante Beatrice di Baviera gran Principessa di Toscana. Una per cadauna ne donarno le famiglie Basadonna, Papacoda, e Piccaloga Genovesi, le Famiglie Riccardi, e di Orlandini di Firenze, la famiglia Pignatelli, la famiglia Palma: di Sant’Elìa, la famiglia Torrea, la Città di Macerata, e Fam. Sforzacosta di d. Città, le altre ugualmente disposte rammendano la venerazione di Sigismondo III Re di Polonia, e di Alfonso d’Este Duca di Modena, di Francesco M. Della Rovere Duca di Urbino, del Co.Jabonovvski Palatino Polacco, del Principe di Lorena di
Vademonte, e di una Dama Spagnola, che al pari di altre due pie incognite Persone occultato volle il proprio nome. L’altra ben grande dimostra la divozione di Francesco d’Este Duca di Modena. La maggiore poi di tutte del peso di libbre 37 d’oro è una perpetua memoria della grazia da Dio riportata per intercessione di Maria SS. dalla Sereniss. Repubblica di Venezia preservata nell’anno 1576 dall’orribile flagello della Peste, alle Lampade tutte siccome suole ispesso darsene diversa la disposizione, così non puol rendersi stabile la descrizione della rispettiva loro situazione.
In quella medesima parte si concervano alcune Reliquie preziosamente adornate, ed insieme i doni offerti da gran Signori. Nella Credenzino sopra la Porta (il quale è fama che fosse parte della Nicchia antica entro cui fu trovata la S. Statua) si conservano le reliquie. A destra è collocato un Semibusto d’argento, che rappresenta S. Barbara V. M. Il cui capo è cinto di Corona d’oro tempestata di gemme, e il collo d’una collana parimente gemmata, che termina al petto con una vaghissima, e ricca Croce. Nella sommità della testa a un’apertura con cristallo, dalla quale si vede l’intiero Cranio della medesima Santa; questo è dono di una Arciduchessa d’Austria. A sinistra v’è una Statua d’oro alta più di un palmo in piedi vestita di manto, e di insegne reali, corona in capo, nelle mani lo scettro, il Mondo gemmatati, che posa sopra una base d‘Ebano con fogliami d’oro traforati, con cristalli nelle facciate rappresenta S. Ladislao, e dentro la base si conservano fra le gemme alcune pezzette intinte nel sangue del medesimo Santo, dono di Ladislao III re di Polonia e di Svezia. Fra queste due un poco addietro si vede un altro se mi gusto d’argento di S. Gereone condottiere della S. Legione Tebea vestito d’abito militare sopra una base d’Ebano arabescata a trafori d’argento con cristalli alle facciate. Entro il Capo vi è il Cranio del Santo, e nella base, le Reliquie d’alcuni Santi suoi Compagni. Dono di Polissena Pernesta Vice.Regina di Boemia. Sotto questo vi è una trama di Rose con foglie, tronchi, e fiori d’argento, ed in mezzo alla principal Rosa, vi è sotto cristallo la Reliquia di S. Rosalìa V Palermitana dono del P. Maestro Calvanini Generale del Terz’Ordine di San Francesco. Non poco lontano è collocata la tazza di cristallo di Monte legata in oro col suo coperchio, ed ornata di varie gemme, ove S. Eduvige duchessa di Polonia, solea prendere la purificazione dopo essersi comunicata; dono di una Arciduchessa d’Inforuk.
In mezzo fa vaga comparsa un pezzo di legno della S. Croce di Gesù Cristo, chiusa in una Croce di cristallo di monte, legata in filagrana d’oro, e questa racchiusa in nobilissimo Ostensorio d’oro a due facciate, e di mirabil lavoro. La reliquia è dono del Card. Cibo Seniore, e l’Ostensorio del medesimo, che era d’argento, è stato anni sono cangiato in oro d’alcuni Signori del Messico, lasciato al Santuario, e oro, e prezzo pel medesimo. Fù compito anni sono sotto il governo di Monsignor Potenziani da Rieti già Governatore vigilantissimo del Santuario, e Città di Loreto.
CAPITOLO XIV.
Ornamento della Santa Statua.
In questa medesima parte, in mezzo della facciata d’Oriente sopra il S. Camino v’è una Nicchia, ov’è collocata, e si venera la S. Statua della Ss. Vergine Lauretana intagliata a tutto rilievo in legno di Cedro, opera di S. Luca Evangelista, venuta insieme colla medesima S. Casa da Nazaret. Questa Vicchia è composta di due archi, l’interiore è più grande, il posteriore più piccolo, ambedue con due imposte, pilastrini, e cornici tramezzate da un piano proporzionato, e va a finire concavo, che riceve la S. Statua.. E’ coperta tutta di lastra di purissim’oro con lavori a cesello di arabeschi, e scudetti di diversi emblemi allusivi alla gran Madre di Dio. Il primo Arco, il maggiore è contornato da cornice, ed arabeschi di oro, che formano l’Arco, l’Imposte, e i Pilastrini. Il secondo minore, è ornato di fascia di lapislazzuli, con arabeschi, e scudetti dell’emblemi sovrapposti, e per imposte, e in mezzo a alcuni Cherubinetti fra nuvole, e fra splendori; il concavo fatto a spese del Santuario con voti d’oro, ed altre cose non servibili. Il festone di lapislazzuli fu donato dal Card.d’Augusta, e tutto il resto, quasi di 100 libbre dalla Famiglia Palma Artois de’ Duchi di S. Elìa Napolitana, e particolarmente dal duca Francesco, poi morto sacerdote della Compagnia di Gesù. Nei due lati della sommità dell’arco interiore vi sono due Cori d’oro ornati di grossi zaffiri, e diamanti, che formano alcune cifre, e geroglifici della Principessa Madre l’uno, e l’altro del Figlio Principe di Basen.
Entro questa ricchissima Nicchia si venera la Vergine Lauretano. Ella ha avanti una grata di argento, chiamato il guardinfante, che dagl’omeri infino a piedi la cinge. Si copre questa di una veste assai ricca di ricamo d’oro, o d’argento, fralle molte a questo effetto donate da gran Signori, sulla quale si fermano ordinatamente le gioje, che formano l’adornamento. Essendo moltissime queste gioje, del valore delle quali, a giudizio dei più eccellenti Professori, è difficile cosa il formarne una giusta idea, se ne accenneranno soltanto le maggiori, e quelle principalmente che le lontananza sono le più visibili. Le due corone d’oro l’una in capo alla B. Vergine, e l’altra in quello del suo Divin Figliuolo ricche talmente di grossissimi diamanti; che appena lasciano distinguere il metallo in cui sono legate, sono dono del Re Cristianissimo Ludovico XIII. Il cerchio d’oro, fra le corone, e la fronte della Vergine, ornato di stelle framezzate di castoni di diamanti, e grosse perle orientali, dono dell’Infante di Savoia. La Principessa d’Armstadt, donò le due grosse perle legate in oro, che pendono dalla destra del S. Bambino, ed i due polsini sotto nella medesima destra l’uno contornato di rubini con ismeraldo in mezzo, dono della famiglia Rospigliosi, e l’altro con amatisto orientale contornato di diamanti, ed uno fra gli altri grosso a spighetta fermato sopra il suddetto amatisto, della Duchessa Salviati. Nella sinistra mano ha egli un mondo d’oro smaltato di color celeste, contornato di diamanti, nella sommità con Crocetta compagna, dono dell’Arciduca Leopoldo d’Austria. S’ammira in petto della Ss. Madre i tre grossi smeraldi della gran Principessa di Toscana Violante Beatrice di Baviera, contornati da altri minori, e questi da diamanti con un anello a man fede composto da un sol rubino, con cui fu sposata dal suo gran Principe. Segue sotto l’ornamento da petto lungo più d’un palmo, e largo a proporzione, composto di moltissimi grossi diamanti, rubini, smeraldi, che fu ornamento Regio d’Anna di Neroburgo Regina di Spagna Moglie di Carlo II, e dalla medesima poi offerto alla Regina del Cielo. Altro ornamento d’oro dal petto composto di Diamanti, di D. Diego Ribas d’Alcalà, il quale ha sopra un picciolo fiocchetto, ma di grossi diamanti, della Famiglia Barberini. Seguono altri preziosi giojelli, e croci. Una bottoniera di 56 bottoncini, e 112 alamari d’oro di getto, nelle quali vi sono 6054 diamanti; dono della Moglie di Filippo IV Re di Spagna, li quali alamari disuniti tra loro sono gajamente sparsi in dosso alla S. Statua, ora in una maniera ora in un’altra. Degna di ammirazione è una Croce da Donna assai stimata, e vaga, composta di 8 grossi, e 8 piccoli risplendenti purissimi brillanti: donata da una incognita Dama Tedesca. Meritano tutta l’osservazione altre due Croci, una dell’Ordine Teutonico, l’altra dell’Ordine di S. Martino, ambedue tempestate da una parte di brillanti, e dall’altra di rubini donate da un Principe di Baviera Gran Maestro degli stessi ordini. Sonovi diversi altri giojelli, fra le quali di maggior comparsa sono quelli di diamanti, ed altre varie gemme del Card. Ottoboni, del Duca d’Arc, e del Card, Nerli. Altro giojello tutto carico di smeraldi in tavola, contornato di diamanti, ed altri smeraldi a perelle pendenti donato dal Card. Ludovico Portocarrero. Una croce d’oro con grosso diamante di fondo in mezzo, ed altri 12 intorno, e di a piedi tre pendenti a goccia dono del Principe di Dietrinchstain, altra Croce d’oro con 11 grossi diamanti, dono del Card. Spinola. Un giojello d’oro ovato, e nel mezzo un grosso zaffiro contornato di 96 diamanti posti a tre ordini dono del Conte di Pegna Aranda. Due Croci vescovili una del Card. Marescotti di diamanti, e l’altra del Card. Corsi di rubini. Una croce di S, Giacomo contornata di zaffiri, e diamanti, dono di D. Michele dell a Tuente Decano di Trussillo nel Perù. Un gioiello d’oro smaltato, che figura una corona di spine, nel mezzo evvi una Colonna, ed una Crocetta a piedi tutto contornato di 157 diamanti, dono del Marchese Serra Napolitano. Altro giojello d’oro guarnito de 158 diamanti, col ritratto della Regina Maria de’ Medici Donatrice.. Una croce d’oro di zaffiri contornata di diamanti dono il cardinal d’Acugna, e l’altra di brillanti dono nell’anno 1776 il Cardin. Serbelloni. Due Cuori d’oro uniti con Corone Elettorali, e cifre, tutti contornati di diamanti, zaffiri dorati dall’Elettore di Baviera, che fu poi Carlo VII Imperatore. Due Occhi smaltati al naturale in lastra d’oro, contornati di 84 diamanti, col nastro di 34, dai quali pende un Cuore d’oro guarnito di 12 grossi diamanti, quale aprendosi mostra l’Arme, e il nome della Donatrice Cristina di Savoia. Altro gioiello d’oro, con un grosso rubino in mezzo, in forma di cuore contornato di 149 diamanti è dono del cardinale Alberto di Polonia.
È questa la sincera descrizione delle Gioje più preziose, che attualmente adornano la S. Statua lasciando di descrivere le molte altre benché pregevoli a solo oggetto di non stancare il Leggitore con lunga, e superflua narrazione. Prima per altro di passare all’altra parte della S. Casa fù d’uopo porre in vista quanto in questa prima parte di particolare si conserva. A mano sinistra del S. Camino vicino alla Porta, vi sono due credenzini, l’uno sotto l’altro. Si conserva nell’inferiore una delle S. Scudelle, legata in argento con la custodia dello stesso metallo, nella quale si passano le acque per gli Infermi, ci si toccano le divozioni, e si dà a baciare ai divoti, e confluenti. In quello di sopra e dentro una cassa d’argento con suoi cristalli per ciascuna parte, e adornata di varie, e molte gemme, dono del Cardinal Montalto nipote di Sisto V si conserva una veste tutta tessuta in lana, che comunemente chiamiamo Camelotto, di color rosso, la quale colla S. casa fù trasportata da Nazaret, e trovata indosso alla S. Statua. È fama che questa sia la Veste usata dalla Ss. Vergine tra noi vivendo. Da cristalli si vede, e si riconosce chiaramente il colore, la materia, e la polvere penetrata, e sopra di essa posata, senza alcuna signora, pure alcuna ombra di Prodi giura. Sono 498 anni che qui fù trasferita insieme con la S. Casa. Tutte le altre moltissime Vesti, che si dispongono indosso alla S. Statua, doni di gran Signori, ricchissime, e forti, essendo cose corruttibili, si corrompono, periscono, questa di semplice lana, con polvere, per tanti secoli ancora intatta, senza tignola, deve dirsi ch’Ella abbia qualche prerogativa sopra dell’altre.
CAPITOLO XV.
Ornamento del resto della S. CASA.
Dalla parte del S. Camino già descritta passiamo all’altra detta della S. Casa. Incomincia questa dal tramezzo di legno, al quale immediatamente appoggia l’Altare, a cui serve d’ornamento, fino alla fine della medesima S, Casa. Questo tramezzo oppure tavolato, che forma la divisione ha tre aperture con due ferrate. Quella di mezzo è grande di figura quadra; di larghezza a paragone dell’Altare in modo, che chiunque, ed in qualsivoglia sito si trovi in S. Cappella può godere comodamente la S. Statua, e gl’ornamenti di faccia dall’altra parte. Le laterali sono più piccole, e formano finestrini, e sotto hanno la loro Porta, per cui si passa da una parte all’altra. Inoltre è adornato di cornicione, e da capo a piedi è ricoperto di lama d’argento non vedendosi in alcuna maniera il legno- sopra ciascuna porta vi è lo stemma, e sotto questo cartello col nome del Card. Francesco Dietrichstein, per ordine, ed a spese del quale fu fatto quest’ornamento sopra le 300 libre d’argento. Ora l’apertura di mezzo non ha più la stessa forma quadrata, perché sopra l’antico quadro si si è innalzato un Arco, che rendendola più alta fa maggiormente distinguere, e godere li preziosi doni collocati nell’altra parte. Fù fatto quest’arco dell’anno 1763 con gli argenti lasciati da impiegarsi entro la S. Casa dall’Ab.Sciare Nobil Sacerdote Francese. Mpnsign, Giovanni Potenziani allora Governatore impiegolli in quest’opera così universalmente ammirata, e lodata. In mezzo al noto Arco vi è riportato un cartellone parimenti d’argento formato graziosamente da nuvole, ed abbellito da splendori dorati, nel di cui piano si legge in lettere di getto, e dorate lo stesso saluto che fece l’Angelo Gabriele in questa S. Casa alla gran Vergine: Ave gratia plena, e sotto vicino alla ferrata vi sono due Angeli della famiglia Barberini con cornucopj sui quali ardono fiaccole di libra, in ciascuna Festa della Madonna. L’adornamento dell’altare è composto d’agate, diaspri orientali, e il lapislazzuli di maraviglioso lavoro, oltre il riquadrature nel prospetto di lastra d’argento; nelle due laterali vi sono a mezzo rilievo gli Stemmi de Medici gran Duchi di Toscana, e in quella di mezzo parimenti a mezzo rilievo il gran Duca Cosimo II con le mani giunte, e ornate nella Sagra Magione, del quale questo stupendo adornamento fù dono. Ai lati interiori del medesimo altare vi sono due cancelli d’argento, con suoni pomi, e nodi del Card. Ludovico Portocarrero. Entro quest’Altare, e fra questi ornamenti è chiuso l’antico Altare dei S. Apostoli venuto colla S. Casa, il quale con l’aprirsi uno sportello nella riquadratura di mezzo si fa vedere. Egli è composto della stessa pietra tenera, che noi diciamo tufo, della quale sono fabbricate le S. Mura, qual pietra però è alquanto più alta della nostra, ed ineguale.
In questa parte ancora, vi sono Reliquie, e doni. Quivi si mirano intorno le S. Mura scoperte, e nude, le quali, benché per il corso di cinque secoli, siano premute dall’affollato, e stretto popolo, e da questo continuamente toccate, e baciate; tuttavia sono intatte, ed intere, e si sostengono senza alcun fondamento, ed appoggio. Nel S. Muro volto a Mezzo-Giorno, vi è appeso il gran Quadro tutto d’argento, e di getto, e quasi a tutto rilievo, con sua cornice, di Ranuccio Farnese Duca di Parma in atto di porre il proprio Figlio sotto la protezione della Vergine già liberato da una malattia. In petto all’altro S. Muro a Tramontana vi è lo stupendo Armario del medesimo Duca di libbre 500 di fine argento, il quale forma una Tribuna con colonna, capitelli, base, e timpano quasi tutti di rilievo con altri adornamenti d’architettura, di figura, e Sacri Misterj, meravigliosamente lavorati. Quì dentro all’aprirsi d’una grata si vede il picciolo Armario fatto col S. Muro, in cui è fama, che la Ss, Vergine vi tenesse la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Si conservano ora nel bellissimo tre sacre Scudelle fatte legare in oro dal Card. Sandoval, con quello che la prima volta dal Congo fu portato in Ispagna. Due hanno la figura di Ciotole, ed una di piattino piano. Così adornate si tengono racchiuse in una d’argento pesantissima di getto, donata dal Principe Ferdinando d’Alcalà per tal’effetto. Quivi di sotto, entro una cassetta parimente d’argento si conservano le stellette dorate, staccate dall’antico soffitto della S. Casa, ed un pezzo di tavola del medesimo avvolta in un setino. Il mirabil si è, che questo Armario ha un frammezzo di tavola tutto d’un pezzo fino al fondo, e si vede essere stato posto nel fabbricarsi il muro, e pure in tanto tempo non ha nemmeno un segno di corruzione, o di tarlo. Poco sotto vi è appeso un cornucopio d’oro grande, assai ricco, e di egregio lavoro, col compagno nell’altra del S. Muro in faccia nelle quali continuamente ardono candele di libra, dono della gran Duchessa D. Maria Maddalena d’Austria. Nelli due S. Muri di Tramontana, e Mezzogiorno, vi sono tre braccia per ciascuno con sue padelle, il tutto d’argento dorato, nei quali ardono candele di libra delle principali feste della Madonna, dono del Principe Tommaso di Savoia. Nel muro volto ad Occidente sopra alla Finestra si vede il Crocefisso antico, Quadro dell’Altare de’ S. Apostoli, opera di S. Luca Evangelista, come altrove si disse. Egli è una Croce fatta di grossa tavola di Cedro, sopra cui vi è dipinto il Redentore Crocifisso con 4 chiodi. Nel fine di ciascun braccio della Croce vi sono dipinte due figure, cioè nel destro la Ss. Vergine e nell’altro S. Giovanni Evangelista. E’ ora questo circondato da gran fregj, e cornice d’argento con tre gran Statue dello stesso metallo, cioè sopra del Padre Eterno in atto di benedire con la destra, e sostenere il Mondo con la sinistra: ai lati due grand’Angeli, che pajono sostenere volando la gran Croce.
Tutto l’ornamento ascende a libre 300 d’argento: dono del principe Taddeo Barberini. Ancora la finestra ha il suo ornamento d’argento, cioè una cornice con suoi piani donata dal Duca Gaetani. Qui sotto del pavimento s’ammira l’antica Trave, che era del soffitto di questa S. Casa, ora posta non si sa come, a paro dello stesso pavimento, la quale prenuta collo stare in piedi dell’affollato popolo, benché si consumi il pavimento di marmo, ella non si consuma, ma resiste intatta, senza tarlo, e incorrotta per tanti secoli. Sono appese ed affollate attorno le S. Mura 47 lampade d’argento tutte dorate ad ardere continuamente, e di in mezzo vi è un candelabro d’argento di 68 libbre donato dall’Elettore Guglielmo di Baviera, ed una gran Lampada donata dalla famiglia Rasponi. Nella parte del S. Camino ai lati, e dinanzi alla Statua fra Lampade d’oro, cornucopj d’argento, ed in altri pezzi ardono altri 27 lumi a oglio, come gli altri dotati. Fra dentro e fuori attorno la S. Casa ardono continuamente 94 Lampade d’argento prescindendo da quelle appese avanti gli Altari della Chiesa, dei quali ne daremo distinta la Relazione, allorché ridotti tutti a perfezione con i nuovi Marmi verranno in essi stabiliti gli altri rispettivi Quadri dei Mosaici.
CAPITOLO XVI.
Indulgenze, e Privilegj conceduti alla S. CASA.
Tutto il Mondo Cattolico fu sempre affezionato, e divoto di questo gran Santuario: oltre i preziosi doni, come finora abbiam veduto, non vi è Città, e Luogo così sconosciuto, ed abbietto, in cui non siano innalzate Chiese, e Cappelle, o Altari almeno alla Madonna di Loreto. E questo non solamente nella nostra Europa, ma fino nell’Indie, e nel Paraguai. Certamente la santità del luogo consagrato con tanti misterj, trasferito con tanti non più allora veduti prodigj, divinamente conservato sì lungo tempo, la cagione principale di tirare a sé tanta moltitudine di gente, e destare una divozione ed affetto sì universale:
dopo questo però ha contribuito molto, e in ogni tempo la vigilanza dei Sommi Pontefici. E siccome il nostro Salvatore fra noi vivenvo aveva con la sua Abitazione santificata questa povera Casa, e i S. Apostoli dopo l’Ascensione al Cielo del medesimo, avendola consacrata, vi dispensavano ai Fedeli di tesori delle divine grazie; così i S. Pontefici successori di questi, e Vicarj di quello, non cessarono mai di eccitare il Popolo Cristiano a questo Emporio di Benedizioni celesti col dispensarvi i celesti Tesori, dei quali sono rimaste il loro mani le chiavi..
Fin quando la S. Sede era in Avignone Bened. XIV il primo che nel 1341 concesse Indulgenza Plenaria nella S. Casa mosso dalla divozione dei Recanatesi, mentre le fabbricarono attorno la Chiesa, che poi, come si disse, fu disfatta per ordine di Paolo II. Ritornato poi in Roma Urbano VI certificato dal Vescovo di Recanati delle prodigiose fiamme, che sollevano scendere dal Cielo, e posarsi sopra di essa allp 8 di Settembre, e della rivelazione fatta all’Eremita Paolo di Montorio, concedé in tal giorno a chi la visitasse Indulg. Plenaria. Poi aggiunte quelle concedute da GregorioXI, alla cattedrale d’Ancona , che sono le medesime concedute a S. Marco di Venezia da Alessandro III per la festa dell’Ascensione del Signore. Tali Indulgenze per esser di somma considerazione furono confermate da Bonifazio IX e promulgata la loro durata a tutti e tre mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, dopo averne conceduta un’altra particolare pel dì solenne della Nunziata. Anzi Martino V per aumentare la devozione de’ Popoli ancor lontani, terminato che fu lo scisma, concedé ai Recanatesi la facoltà di far le fiere nei suddetti tre mesi, come dalla bolla: ad laudem, gloriam, et honorem Lauretanae Virginis. Ed inoltre tutte le concedute dai suoi Predecessori riconfermò Niccolò V dopo aver arricchita la S. Cappella di presenti degni d’un Pontefice, considerando segnalato il giorno della Nunziata lo onorò anch’esso di molte indulgenze.
Paolo II come si è detto, liberato nella Santa cappella dal mal contagioso, ed ivi sorpreso da placido sonno gli fu palesata la volontà divina del suo innalzamento al Pontificato, che dall’evento si conobbe essere stata vera rivelazione, ed egli stesso lo confessò nella sua Bolla: magna et stupenda miracula, quae ibidem eiusdem Almae Virginis opera apparent et nos in personam nostram experti sumus, et, innalzato dunque al Pontificato, oltre la fabbrica del gran Tempio intrapresa, e quasi compita l’arricchì di copiose indulgenze.Concedé a chi visitasse la S. Casa Indulgenza Plenaria in tutte le Domeniche dell’Anno, nelle Feste della Ss. Vergine, nei giorni della Settimana Santa, di Pasqua di Pentecoste, del Corpo del Signore con la sua ottava. Aggiunge il Serragli, che da Paolo II, da Sisto IV, e da Giulio II con Bolla particolare nella sola S. Casa furono concedute quante indulgenze sono mai per tutta Roma. Tolse il Santuario, i suoi Ministri, le robe dalla giurisdizione del Vescovo, e dal dominio di Recanati, e lo accolse sotto la sua protezione, della Santa Sede, e dei Ss Apostoli Pietro, e Paolo, concedendo ai Sacerdoti del Tempio la potestà di assolvere da’ casi riservati al Vescovo, ed dalla medesima Santa Sede. Non meinor cura ebbe Sisto IV, il quale nell’anno 1473 fece coprire la fabbrica del Tempio, e confermò l’Indulgenze dei suoi Antecessori, concedendo un’altra Plenaria per la Nascita della Ss. Vergine, forse perché ancora duravano in tal tempo a vedersi le prodigiose fiamme. Dichiarò inoltre un Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per il temporale con 8 Cappellani per il Divin culto, per udire comunemente le Confessioni de’ Pellegrini, con facoltà di poter loro commutare qualunque voto fuori di quel cinque alla S. Sede riservati.
Nel 1507 Giulio II confermò, e rinnovò tutte le Indulgenze allora concedute, incominciando da quella d’Urbano VI e di Martino V terminando con un’altra nuova Plenaria per il giorno della Nunziata. Esentò nuovamente dalla giurisdizione di Recanati il Santuario, con la Terra allora di Loreto, dichiarandolo un suo Sacello, e Pontificia Cappella, e tutti i Ministri di esso familiari, e commensali del Papa. Due volte visitò la S. Casa, nell’andare, e nel ritornare dalla Mirandola, dove però l’illeso per miracolo di Maria Ss Loret. Da una bomba, la di cui grossa pesante palla egli stesso alla sua presenza fé appendere al S. Muro di Mezzog., ove ancora presentemente si mira. Leone X nel 1513 nella sospensione generale dell’Indulg. dichiarò rimanere nel loro vigore quelle del Santuario Loretano: anzi con una nuova culla le confermò, e aggiunsegli le indulgenze delle sette principali Chiese di Roma, visitandosi sette Altari nel Tempio da deputarsi dal Governatore, ed altra Plenaria nella Solennità del S. Natale. Inoltre fondò in esso la Collegiata insigne; vi stabili Canonicati, Mansionarie, e gli altri sacri Ministri. Ancorché il éontificato di Adriano IV fosse sì breve, di un anno solo pure con le affettuose espressioni nella sua Bolla, e conferma dell’Ondulgenze, e Privilegj fé palese la sua divozione non ordinaria.
Quale fosse quella di Clemente VII, si è veduta in occasioni, la quale parve, che volesse superare non solamente quella di Leone il suo diretto parente, ma di tutti i suoi Predecessori. Egli per accertarsi della verità delle Traslazioni spedì a Tersatto, ed a Nazaret, e trovata incontrastabile della verità, a perpetua memoria ordinò l’iscrizione da incidersi in marmo negli ornamenti esteriori delle S. Mura. Per le grandi cose ordinate, e fatte eseguire, per l’accrescimento de’ Privilegj, e conformazioni dell’Indulgenze, vien chiamato dagli storici Loretani, il gran Clemente. Paolo III nel 1535 arricchì il Santuario di nuove Indulgenze: fondò un Seminario di Giovani, che cantassero lodi alla gran Madre di Dio, e proseguì l’adornamento de’ marmi. Giulio III nel 1554 informato, che i Sacerdoti della Chiesa non erano sufficienti di numero per udire le Confessioni de’ Confluenti, e Pellegrini, commise a S. Ignazio Lojola, che mandasse a Loreto per aiuto di quelli alcuni soggetti della sua nuova Religione, ne spedì 14 che poi nel Pontificato di Paolo IV furono accresciuti fino a 32 fra i quali molti di diverse nazioni, tutti in qualità di Penitenzieri Pontifici, in luogo dei quali dopo la soppressione della Compagnia di Gesù sono stati destinati li PP. Minori Conventuali. Pio IV fece collocare nelle Nicchie le Sibille, e i Profeti, acctrscé li Sacerdoti, la fondò il Collegio della Penitenzierìa assegnandoli rendite assai con onore: confermò tutte le indulgenze: fondò il collegio lirico, le fece tradurre in otto le lingue la breve, ed antichissima Istoria della S. Casa dal Teremano, le quali poi furono incise in marmi, e disposte nei Pilastri delle Cappelle delle navate. Concedé ancora l’Altare privilegiato per i Defonti, con le stesse Indulgenze, e Privilegj di quelle di S. Gregorio di Roma; e finalmente nell’anno 1576 un plenissimo particolar Giubileo come il passato in Roma per quelli che visitassero la S. Casa. Clemente VIII, dopo aver conceduta Indulgenza Plenaria quotidiana perpetua fece porre la breve istoria della Traslazione ordinata da Clemente VII e permesse la celebrazione della festa della Traslazione ai 10 Dicembre. Paolo V con la sua celebre bolla di più confermò, erano rese chiarissimi i Privilegj Loretani. Fece inoltre innalzare due nobilissime Fontane, l’una nella Piazza del Tempio detta della Madonna, l’altra in quella di Porta Romana detta dei Galli ornate tutte di bronzi, e marmi. Urbano VIII riconfermò la festa della Traslazione ai 10 Dicembre con un Breve particolare nel 1632 dilatandola ancora tutta la Provincia della Marca. Innocenzo X l’Anno Santo 1650 dichiarò con sua Bolla non sospendere in modo alcuno le Indulgenze Lauretane, ma lasciarle nel loro pieno vigore. Alessandro VIII inviò donativi alla S. Casa, e particolarmente una coltre tessuta d’oro, la quale s’espone nella Vhiesa interiormente sopra la Porta maggiore nelle maggiori Solennità dell’anno. Clemente IX fece porre nel Martirologio Romano la festa della Traslazione al 10 Dicemb. Laireti in Piceno Translatio Almae Domus, in qua Verbum caro factum estm etc.. Clemente X fece ripulire la Chiesa, edificare il Cimiterio, e racchiudere entro Armarj li nobilissimi Vasi della Spezieria di S. Casa.. E ancora nel pubblicare l’anno Santo 1675 dichiarò, e stabilì l’Indulgenze Loretane. Innocenzo VII approvò, e concesse la Messa propria, e l’Offizio della Traslazione con la breve Istoria della medesima nella sesta lezione. Come ancora nella Bolla dell’erezione della nuova Congregazione Loretana nel Governo del Santuario invece del Protettore. E finalmente ampliò la stessa Messa, ed Offizio per la Provincia della Marca. Clemente XI mandò doni al Santuario, e particolarmente i sagri Arredi per accompagnare il Santissimo Viatico agl’Infermi, e concedé alla Città di Segna in Dalmazia l’Offizio, e la Messa della Traslazione per li 10 Maggio, e poi a tutta la Provincia di Carniola.
Benedetto XIII dopo aver dichiarato l’anno Santo 1725 stabilì le Indulgenze Loretane, concedé la Messa ed Offizio a tutto il Dominio Veneto, alla Dalmazia, ed allo stato Pontificio nel 1728, innalzò l’Insigne cattedrale di Loreto in Basilica, dandone ogni segno d’essa, cioè Chiavi, Confalone, e Campana come le Patriarcali di Roma. Clemente XII dilatò la Messa, e l’Offizio della Traslazione al Dominio de’ Duchi di Parma, e Piacenza, poi a tutti i sudditi del Re Cattolico infino all’Indie. Benedetto XIV, oltre a molte grazie, o confermate, o concedute alle 10 Maggio 1750 aggiunse ancora il permesso di recitare, in giorno non impedito, una volta il mese nella Basilica l’Officio suddetto della Traslazione. Clemente XIII, che da Prelato, poi dal Cardinale sempre mai mostrò una tenerissima divozione a questo Santuario, col fare delle funzioni Episcopali, le Communioni Generali, e l’assistenza alle Processioni, innalzato alla dignità Pontificia non ne mostrò minore col governo di esso, e col dono di un Calice d’oro, d’ammirabil lavoro di 8 libbre, e 3 oncie insieme con la Patena dello stesso metallo: con ordine preciso, che se ne facesse uso per le principali solennità dell’anno, e per i Cardinali, che celebrano in S, Cappella, e per altri Sacerdoti riguardevoli.
CAPITOLO XVII
La S. CASA divotamente conservata.
Se ben si riflette a questa Sacros. Abitazione è impossibile, che naturalmente possa stare, e così reggersi per tanti secoli. Le di lei S. Mura non tirate e a perpendicolo, non eguali, e senza alcuna sorta di fondamento, usando solamente sopra del suolo, come anni sono nel rinnovarsi il pavimento fu veduto, minacciano ogni momento rovina. Fin d’allora, che ivi voti canadesi osservando le tali fabbricarono loro attorno un forte muro per sostenerle, ti dirò questo prodigiosamente allontanato in modo, che fra esso, e le S. Mura comodamente pronti a passare un Fanciullo, e conobbero, che l’unico sostegno loro, e difesa, era la Divina Onnipotenza, e lo stesso Dio, fra le quali s’era d’umana spoglia ammantato. Questa medesima Onnipotenza permette, e vuole le divisioni delle Sacre Reliquie degli stessi stromenti di sua Passione, perfino della sua Ss. Croce già divisa in particelle quasi infinite, che in altrettanti luoghi trasferite, e divise; solamente non è permesso mai, che qualunque particella di queste S. Pareti sia dal loro intero divisa. E se qualunque indotto da qualche umana permissione, o da qualche indiscreta di divozione abbisi osato di portar via qualche pezzetto, o miracolosamente da se stesso è tornato al suo luogo onde fu tolto, oppure a forza di infortunj e malori, è stato il delinquente forzato a riportarlo. Sono moltissimi casi succeduti in ogni tempo riferiti dagli Autori della Storia Loretana, e di quando in quando va succedendo fino al presente. Io per non partirmi dalla proposta brevità, ne riporterò qualcuno pigliato dagli Autori, qualcun altro succeduto al nostro tempo per avvertire gli Indiscreti divoti, e dimostrare insieme, che tuttavia la stessa Onnipotenza è quella che costantemente la conserva, e la difende.
Monsignor Gio. Suarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, Uomo non meno in pietà, che in dottrina singolare, nel 1561 dovendo portarsi in Trento al Concilio, venne a visitare la S. Casa. Soddisfatta la divozione, ricercò una pietra delle S. Mura per spedirla in Portogallo, e qual Reliquia collocarla in una Cappella da dedicarsi nella sua Diocesi alla gran Madre di Dio. Avvertito della Scomunica, nella quale incorreva chiunque avesse tolta qualche cosa delle S. Mura senza replica si ripose in viaggio. Giunto in Trento ottenne segretamente dal pontefice Pio IV un Breve, col quale egli si concedeva il bramato intento. Per subito con questo al Loreto Francesco Stella Senese suo Cappellano. Quivi egli giunto non trovò alcuno dei sacerdoti ministri, né alcun altro, il quale ardisse dalle S. Pareti estrarre la pietra, talmente che per soddisfare il Padrone, egli stesso fu necessitato di estrarla alla presenza di molta gente mal soddisfatta. Dopo un lungo, e disastroso viaggio, in cui più d’una volta ebbe a lasciar la vita, giunto in Trento, consegnò al Vescovo la pietra estratta dalle S. Mura, che racchiusa in una cassa di argento, speravo in breve spedirla a Coimbra. Fù immediatamente assalito da febbre, e da dolori acerbissimi, che non permettevagli alcuna requie, nemmen col sonno. Dopo moltissimi rimedj, tutti inutili, convengono i Professori, che il male non sia naturale, e conseguentemente di alcun profitto la loro arte. Così abbandonato dai Medici il povero Prelato, oltre i dolori del corpo, gli si aggiungono timori e di inquietudini d’animo, che lo riducono all’estremo di sua vita. In tale stato ridotto dagli umani soccorsi isperimentati inutili, si passa ai divini, i quali non furono pochi tanti Padri, ed anime buone ivi adunate in quel tempo. Particolarmente fù fatto raccomandare alle orazioni, e digiuni di due Monasteri di Religiose celebri per Santità. Dopo due giorni la superiora di ciascun Monastero, fra loro assai lontano, manda al Vescovo questa concorde risposta: che se egli voleva recuperare la salute, rimandasse la Madonna di Loreto la sua pietra. Stupefattoli insieme col Stella, poiché fuori di loro due era la pietra tutti ignota, né in alcuna maniera appropriata persino Trento, riconobbe la cagione del suo male, e di vero cuore a Dio, e alla Vergine chiese perdono, e spedì subito lo stesso Stella a Loreto colla pietra, per farne prontissima restituzione. Il viaggio fu tutto affatto diverso dal primo, cioè questo felice, è breve. Giunto prima in Loreto fu dal Cairo, e dal popolo sì locale che forastiere tutti brillanti di divozione, e di gioja processionalmente incontrata la Sacra Reliquia, e ricevuta con sacra pompa, fu ricollocata al suo luogo. Ed acciocché in avvenire fosse riconosciuta, per memoria le fu posto attorno una piccola lama di ferro. Confrontato poi il tempo, e l’ora in cui fu riposta al suo luogo la pietra con la perfetta guarigione del Vescovo, fu trovata essere accaduta nello stesso momento. Lo Stella fece in Loreto l’esposizione del fatto: il Vescovo ristabilito in perfetta salute, mandò lettera al Governatore della S. Casa di proprio pugno, e questo mandolla allo stesso pontefice Pio IV. La copia di questa lettera in carta pergamena con cornice di legno dorato si conserva nella S. Casa entro l’Armario delle S. Scudelle vicino all’Altare a cornu Evangelii: e la detta pietra si fa osservare ai Pellegrini, e Divoti nel S. Muro a Mezzo Giorno, vicino al piccolo vuoto, ove si tengono l’ampolline per servizio delle Messe.
Nel 1585 un di Palermo venuto a questo Santuario portò via seco un pezzetto di pietra delle S. Mura. Tornato in Patria, fu assalito da una gravissima infermità, della quale, acciò fosse più palese la cagione, in quel tempo, in cui commise il delitto, ogni anno era più tormentato del solito, cioè nel mese di Settembre, e di Ottobre. Apparve il male sempre senza rimedio, perché ogni cura il medicamento era sempre inefficace. Raccomandossi infine alla Ss. Vergine, e gli sovvenne la pietra già tolta dalla di lei S. Casa. E a tal memoria e riflesso provò primieraramente qualche scrupolo, indi a poco a poco un tal rimorso, che lo manifestò a un Sacerdote dopo lo spazio di venti anni. Fu da esso ammonito a rimandare profondamente la pietra, come cagione sicura del suo male. Profferite appena tali parole, come fossero state un supremo comandamento, l’atterrì in modo, che gli consegnò subito la pietra. Ricevutala con la venerazione dovuta, la portò al P.Provinciale dei Gesuiti, P. Gio. Battista Carminata, il quale la inviò a Roma al Cardinal Vastavillani Protettori all’ora del Santuario, con la relazione del fatto. Intanto l’Infermo, consegnata la pietra, fu rimesso nello stesso momento in salute. Il cardinale la spedì in Loreto al Governatore, ove giunta, dal medesimo, e dai Sacerdoti fù ricevuta, e con sacra pompa alla presenza di folto popolo, e di divoti Pellegrini portata nella S. Casa.
Quivi giunti i Sacerdoti non ebbero alcuna fatica di trovarle l’antico sito, dal quale, benché mancando da 20 anni, perché quasi additandolo Dio, subito si offerse ai loro sguardi; nel quale fu collocata. Le fu messo per memoria un grappetto di ferro, e si vede nel S. Muro, a Mezzo Giorno vicino alla Porta corrispondente al Coro, alto da terra circa 8 palmi.
Nel 1595 essendo Governatore del Santuario Monsig. Gallo, un Gentiluomo Maceratese di casa Pellicani pigliò parimenti un pezzetto di pietra dalle S. Mura per tenerlo secco con venerazione. Involtolla in un pannolino, e giunto a casa la pose sotto chiave qual prezioso tesoro. Fu questo ancora assalito subito da grave, e pericolosa infermità non mai conosciuta dai Medici, nonché sollevata, anzi nel decorso di tempo abbandonata affatto. Solamente, come assai divoto della Ss. Vergine, di continuo se le raccomandava nelle sue angustie. Ella un giorno finalmente gli ottenne lume di conoscere la cagione del suo male, che era la pietra tolta alle S. Mura della di lei S. Casa. Le ne domandò perdono, e promise farne una pronta restituzione. E in segno di ciò immediatamente fece aprire lo scrigno, ove l’aveva posta fra le sue cose più care, e preziose, e fattosi portare il pannolino ove era stata da lui avvolta, apertolo non vi trovò più la pietra. Pieno di stupore e rammarico insieme, chiese alla Vergine di nuovo perdono, e fece voto di quanto prima visitare la S. Casa. Ottenne subito la salute, e portossi a Loreto a soddisfare il voto, entrato nella S. Cappella osservò la pietra da lui tolta, ritornata prodigiosamente al suo luogo. Sorpreso da insolito stupore e tenerezza proruppe in dirotte lagrime e clamori, alle quali accorsi i Custodi della S. Cappella, raccontò loro il prodigio pubblicamente additando la pietra, alla quale, come all’altre, fu posto il segno di un grappetto di ferro per memoria. Questa è nel S. Muro di Tramontana poco sotto i gradini dell’Altare, alta da terra cinque palmi in circa. Siccome delle pietre, così ancora della calce, con cui sono esse fermate, né a Dio una cura particolare. Un cittadino d’Alessandria di Dio poca calce delle S. Mura, e per maggiore venerazione la racchiuse con un’Agnus in una piccola custodia d’argento. Giunto alla Patria la pose al collo della sua Moglie, non si sa per qual cagione. Ella subito si trovò invasata da Spiriti invernali, che continuamente la tormentavano. L’infelice Marito, non avvertendo la cagione, procurolle ogni rimedio, ma né Orazioni, né Esorcismi ottennero l’effetto. In tale stato fu la misera nove anni. Venuto in Alessandria il P. Battista Vannini della Compagnia di Gesù Predicatore Quaresimale, fu informato dallo stesso Marito dello stato della misera Moglie, il quale considerato l’jncominciamento dell’infortunio della sacra calce pigliata nel muri della S. Cappella, l’esortò a rimandarla a Loreto. Egli levata dal collo della Moglie la custodia ove era la calce, consegnolla immediatamente al P- suddetto, che la spedì al Loreto. Appena fatta la consegna gli Spiriti cominciarono ad obbedire agli Esorcismi, e giunta la calce in mano dei Custodi del Santuario, si trovo ella affatto libera.
Due Sacerdoti Piacentini pigliarono poca calce delle S. Mura, furono da acuta febbre sorpresi, né mai poterono liberarsi, se non dopo fatta la restituzione, e così in molti altri casi succeduti, e che tuttora succedono: che se volessimo quì narrare i casi in questo particolare avvenuti, e riferiti dagli Autori, e quelli la memoria dei quali sono appresso, e i moderni, e gli antichi Custodi del Santuario, saremmo fuori del nostro proposito di brevità, e si potrebbero formare volumi. E perché non sembri a qualcuno i riferiti esser casi antichi, ne porterò altri pochi tra gli molti per disingannarlo.Un Uffiziale di Nazion Francese di profession militare, di indole franca, ed allegra ricevé lo l’involto con roba tolta dalle S. Mura, con avviso di consegnarlo subito ai Custodi. Egli in presenza d’un suo Amico Cittadino Lauretano incominciò a deridere la semplicità, l’idea, e la premura del suo corrispondente. Avvertito dall’Amico a farne subito la consegna fù ancor egli con maggior coraggio deriso, e riputato semplice e ridendo rispose, che quando non avesse avuto che fare, lo porterebbe nella Chiesa ai custodi. Poco dopo fu sorpreso la tal violente febbre, che ad un’ora di notte disperato dai Medici, fu sagramentato per Viatico. In quell’estremo ricordandosi dell’avvenimento dell’Amico fece consegnare al signor D, Stefano Belli allora Curato l’involto. Fra poco incominciò a migliorare: e la mattina trovossi in stato tale, che si portò nella S. Cappella a chiedere perdono alla Ss. Vergine, e a ringraziarla. Accadde nel 1754 ai 9 dicembre, che un Uomo, che avea pigliato dalle S. Mura un piccolo sassolino mai poté veder la Porta, per uscir dalla Chiesa, benché gli fosse indicata, e sino a quella condotto, finché non restituì il Sassolino al Lampadaro Pietro Calvi, chìera nella Custodia in assenza dei Custodi. Un Padrone di Nave stato a Loreto, e pigliato un sassolino, mai poté partire dal Porto di Ancona se non fatta la restituzione. Ed il mirabile è, che viaggiando di conserva con altre Navi, tutte avevano vento, e partivano, solamente la sua era sempre senza vento. E questo è accaduto l’anno 1764, ed il Sassolino fù portato ai Custodi dal signor d’Angelo Giorgi, che si trovava in Ancona. Da questi, e da moltissimi casi succeduti, e che tuttora succedono, avvertamo i divoti di non toccare cosa alcuna delle S. Mura, perché oltre la scomunica fulminata dai Sommi Pontefici a questi tali, Dio è quello, che custodisce, e conserva qualsiasi minima particella di questa sua diletta Abitazione.
CAPITOLO XVIII.
Delle Cappellanìe, e Messe che si celebrano nella
S. CASA, coi loro Fondatori.
L’Augustissima Casa d’Austria tiene un Cappellano con carico di dir Messa tutti
i giorni per la famiglia Reale.
La Serenissima Casa di Baviera tiene due Cappellani, con obbligazione di
Messa quotidiana, ed oltre questi fa celebrare altra Messa quotidiana.
Il Re delle due Socilie tiene un Cappellano, con obbligo di dire la Messa ogni
settimana, che prima era di fondazione della Serenissima Casa Farnese.
Il Re di Francia tiene un Cappellano, con obbligazione di una Messa quotidiana,
due delle quali si celebrano all’Altare di S. Anna.
Ogni anno li 26 Agosto festa solenne in onore di S. Ludovico Re di Francia con
assistenza del Capitolo, e Clero, Magistrato, due Cori di Musica, e sbaro dei
cannoni ec. All’Altare della Ss. Annunziata, annesso alla S. Casa.
Più, ogni 1 Sabbato del mese una Messa solenne in musica, con l’assistenza
del Capitolo, e Clero, pel Re, e famiglia Reale.
La Serenissima Repubblica di Venezia tiene un Cappellano, con obbligo di
una Messa quotidiana.
Più, 12 Messe cantate all’anno, una per ciascun mese, con l’assistenza del
Capitolo, e clero.
Francesco Maria Duca di Urbino lasciò una Messa quotidiana.
Cosimo III, Granduca di Toscana lasciò per l’anima sua una messa quotidiana.
Francesco Loredano Doge di Venezia. Una Messa quotidiana per l’anima sua.
Margherita d’Austria, Duchessa di Parma, fondò per l’anima sua una Messa
quotidiana.
Dorotea Principessa di Lichtestein lasciò pure per l’anima sua una Messa
quotidiana.
L’eccelsa Casa Peretti lasciò una Messa quotidiana..
L’Ill.mo Sig. Francesco Maria Onorati lasciò 10 Messe quotidiane per l’anima
sua.
E.mo Cardin. di Spagna Portocarrero, lasciò fondate 355 Messe all’anno per
l’anima sua.
M. C. Re di Spagna mantiene un Cappellano Nazionale con obbligo di Messa
quotidiana per sé, e sua Real famiglia.
Nota. Altre diverse Cappellanìe si trovano, con l’obbligazione di celebrare per le
Cappelle di questo Santuario, come per esempio:
La Casa d’Arco una Messa quotidiana all’Altare della Ss. Annunziata.
Ogni giorno una Messa per l’Ecc.ma Casa Vastavillani all’Altare della Ss.
Concezione.
Ogni giorno due Messe pel Cardinal di Gioiosa.
Una Messa quotidiana per la Duchessa d’Arguillon, celebrata da un Sacerdote
a sua nominazione.
Ogni giorno due Messe pel fratello Luigi di S. Antonio Eremita di Besanzone,
celebrate da due Cappellani.
Cappellanìa, ossia Benefizio, sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, col peso di
una Messa ogni Settimana, e sei annue di requie all’Altare di Sant’Anna.
L’elettorale Casa di Sassonia tiene un Cappellano continuo, con pinque
assegnamento avendo questo l’obbligo della celebrazione di tre Messe la
Settimana ec. Ed oltre lì sopra detti obblighi ve ne sono moltissimi altri
quotidiani, mensuali, ed annuali, che per brevità si tralasciano.
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NUOVO, ED ESATTO
C A T A L O G O
DE PIU’ QUALIFICATI DONI
CONSAGRATI TUTTI
A MARIA VERGINE
PER DIVOZIONE, O VOTO;
Esistenti nel Tesoro della S. CASA, giusta l’ultimo,
e accurato inventario dell’anno 1788, tralasciate
le cose dei minor rilievo per brevità.
—oooOooo—
A MANO SINISTRA DEL TESORO.
NUMERO I.
Una Canacca, o sia Fornimento da Cavallo, composto di 33 pezzi d’oro di getto
smaltato verde al di fuori; ornato con rose di grosse perle, ed in mezzo, e ai
lati contornato di rubini,e smeraldi: dono della Principessa di Regozzi di
Transilvania.
Una scatola grande rotonda aperta di oro smaltato a vari colori, sopra cui vi è
un basso rilievo in una parte la casta Susanna, e dall’altra S. Giorgio a
cavallo: dono del principe di Baden Baden Tedesco.
Un pezzo di 9 Coralli ridotti a Camei legate in oro con perle; dono d’incognita
Persona.
Un Cuore d’oro lasciato in dono dalle RR. Monache di Torre di Specchj di Roma
nel 1765.
NUMERO II.
Una picciola Cassettina bislunga quadra composta di lastra d’argento
variamente intagliato, e traforato con ovatini di lapislazzuli: dono del Sig.
Andrea Gresti nel 1595.
Due vasi d’argento, ed un ramo di fiori dello stesso metallo, fra mezzo dati da
coralli; dono del Principe di Avellino Napolitano.
NUMERO III.
Altro Ramo dei Fiori con suo vaso di argento: dono del suddetto Principe, ed ai
lati due Ampolline parimenti di argento.
NUMERO IV.
Una corona di sette poste di grossi grani di adatta già signorina, frammezzo dati
da grossi bottoni d’oro smaltato: dono della Principessa di Ragozzi di
Transilvania.
Diverse altre Corone, due di grossi coralli, una framezzata da Bottoni d’oro, e
l’altra con Coppette dello stesso getto; ed in fondo sopra Croce di
Ebano,guernita bei 4 lati d’oro smaltato un Crocifisso di Corallo. Una di
agata sardonica, e grossi niccoli bislunghi, a guisa di Olive, framezzati con
grani minori tondi, guernita di coppette d’oro smaltato bianco. Due
lapislazzuli orientali, una delle quali guernita di coppette d’oro smaltato, e
medaglia d’oro appiedi; Aaltra di Diaspro marmorino, con medaglia d’oro
rappresentante il P. Eterno da una parte, e dall’altra Innocenzo X, ma la
medaglia è riposta al numero XX: donata dalla Contessa Chiara Pallavicini di
Parma; e l’altra di Diaspro sanguigno con i Pater noster a forma di olive:
altra di Corniola, e in mezzo una di giacinto orientale, tutta guernita d’oro, ed
appiedi vi resta un Semibusto rappresentante San Pietro inciso parimenti in
un giacinto; doni di diverse pie Persone
Due Coretti d’oro; donati, uno dalle P. Generale de’ Minori Conventuali nel
1770, e l’altro dal Marchese Bandini di Camerino nel 1774.
S’ammira finalmente nel piano un Canopeo da Pisside di lametta d’argento,
ricamato in oro, e perle: donato dalla Sig. Barbara Coler di Mohrenfelt di
Vienna d’Austria, 1761.
NUMERO V Una Fortezza d’argento, rappresentante la torre di Vensenne, prigione di Stato presso Parigi: donata nel 1595 dal Principe di Conty della Casa Reale di
Borbone, da cui fuggire, di libbre 200. Avanti, e intorno vi restano sei piante
di città, e terre, lavorate il lastra di argento, che sono: Ascoli, Fermo,
Recanati, Monte Santo, Castel-Fidardo, e Sarnano; dalle medesime donate.
NUMERO VI.
Altra canacca di minor grossezza di 67 pezzi simile alla prima già descritta al
numero I, e della stessa Donatrice.
Un Cuore d’oro: dono del Duca Grimaldi di Genova nel 1766.
Un ritratto in lamina d’oro, rappresentante la Contessa Conversavano di Napoli,
dalla medesima alla Vergine donato nel 1758.
NUMERO VII.
Un Presepio d’argento: donato dalla Contessa Dismieri di Torino.
Una Corona reale d’argento con diverse pietre: donò la Confraternita di S, Monica di Fabriano.
NUMERO VIII.
Altra palma d’argento, col suo Vaso; dello stesso donatore Avellino.
NUMERO IX.
Alquante Medaglie d’oro 10 con l’Effigie di Urbano VIII, 4 con l’Effigie
d’Alessandro VII e due altre una col Salvatore, e l’altra coll’Effigie di
Innocenzo X donate dalla Principessa D. Costanza Barberini.
Una Corona di 6 poste di agata zaffirina, con una Crocetta di oro, di rubini, e
diamanti; dono del Sig. Giacomo Menardi Romano.
Una gargantiglia d’oro smaltato nero, composta di 27 diamanti quadri, con una
Colomba in mezzo, che ha un diamante in petto a forma di cuore, con altri 4
piccioli: un pajo di Pendenti egualmente smaltati con 30 diamanti; dono della
Sig. Marchesa Costacuti di Roma.
Un gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, in forma di Croce, contornato di 32
diamanti, e 10 perle: donò il Marchese Patrizj Corsini del 1690.
Due gioielli d’oro smaltati a vari colori, uno traforato a tre ordini ornato di 39
rubini, e l’altro tondo fatto a fiorami, con 57 diamanti: donati dal Ser.mo Duca
Alberto di Baviera.
Altro gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, traforato a due ordini, guernito di 64
diamanti, 5 de quali pendono a goccie: donato da una Dama Tedesca..
La Lettera A d’oro contornata di 14 diamanti, ed un’Anello d’oro con grosso
diamante: dono del Principe Ferdinando di Lobkovvitz duca di Sagan.
Altro giojello traforato a tre ordini d’oro smaltato a diversi colori a due facciate:
Ora diviso in due parti, in una delle quali facciate nel mezzo vi sono due
manine, tenenti un piccolo coretto coronato da 33 rubini, e 5 perle pendenti,
e nell’altra vi è nel mezzo una Crocetta; tutto contornato di 53 diamanti: dono
della Casa Doria.
Due Orologi d’oro, uno de’ quali con Cassa di Lapislazzalo guernito di diamanti:
donati dal Duca di Gravina Napolitano.
Un’anello Cardinalizio d’oro con uno zaffiro ottangolare in mezzo: dono del
Cardin. Sant’Onofrio Barberini.
Altro anello cardinalizio d’oro consimile.
Altro anello d’oro con 7 diamanti di fondo: donò la Duchessa Strozzi.
Un smeraldo lavorato alla Genevrina, ligato in oro, smaltato verde, in forma di
Carafaggio: dono della Sig. Emilia Imperiali Genovese.
Un giojello ovato d’oro ornato di 25 diamanti, dono della principessa Ludovisi di
Bologna.
Un orologio da petto di argento, dentro una grossa granata ligata in oro,
contornato di 29 rubini: dono del marchese Carlo Antonio Visconti Milanese.
Due anelli d’oro con due smeraldi quadri lunghi: dono di D. Gregorio Fabrizi
Benefiziato di questa Basilica.
Una Croce da petto con suo nastro donata di 100 diamanti, e un paio di
pendenti guerniti di 52 diamanti, ed un anello lavorato a rosetta con 11
diamanti: dono di Persona incognita.
Altra croce da petto, e 2 boccole d’oro, con 12 zaffiri, e 47 diamanti: dono della
Princip. Di Santobuono Napolitana del 1749
Un Tofon d’oro, con nastro, e fascetta, guernita di 3 diamanti quadri: dono del
Principe Santacroce nel 1748.
Un giacinto bislungo ligato in oro: dono del Signore Giorgio Zagni Genovese.
Due anelli d’oro, uno con diamante quadro, e l’altro con 7 diamanti: donati dal
Sig. Antonfrancesco Lauretani Preposto di S. Salvatore di Macerata.
Un’anello d’oro con diamante quadro gruppito, rappresentante una sirena: dono
del Sig, Carlo Chiacci di Cremona.
Altro anello d’oro con hn smeraldo liscio, e nel cerchio sonovi nove diamanti:
dono del Marchese Villa.
Altro anello d’oro, con smalto bianco, e un diamante rotondo in mezzo, ed altri 8
ai lati: dono del Sig. Giuseppe Giannini Genovese.
Altro anello d’oro con 7 diamanti: dono della Sig. Angela Salicola di Bologna
nel 1687.
Altro anello d’oro chiamato Mariaggie, con diamanti, e rubini: dono della
Principessa di Ardore Napolitana nel 1730.
Una Croce di Malta d’oro smaltato bianco; ed altre due di S. Stefano d’oro
smaltato rosso; donate da divoti Cavalieri.
Il ritratto di Leopoldo I Imperadore in ismalto turchino lattato, e contornato di
filograna d’oro.
NUMERO X.
Un ostensorio tutto d’argento sostenuto da due Angioletti, e nel mezzo un
grosso topazzo orientale, incastrato in oro, con piede di getto triangolare:
donato dalla Confraternita della Purità della Vita di Bologna.
Due Calici d’argento, con patene, uno contornato di 24 granate sardoniche fra
grosse, e piccole legate in oro; ella altro tutto dorato guernito con 5 pietre
verdi: donati da pie Persone.
Due puttini d’argento, uno simile all’altro: donati dalla Sig. Ortensia Manfroni
Bernini.
NUMERO XI.
Un Bambin Gesù di statura naturale, con 3 chiodi in una mano, e la corona di spine nell’altra, posto sovra piedistallo il tutto d’argento: dono del Marchese Roberto Capponi di Firenze nel 1623.
NUMERO XII.
Uno scrigno quadro bislungo d’Ebano con ispecchi, e colonnette scanalate di cristal di monte, con incassatura, capitelli, e basi d’oro, contornato di circa 70 camei antichi, 48 rubini, e 42 grossi smeraldi su fregj d’oro smaltato a varj colori, e nel fondo dell’interno è tutto ricoperto di lastra d’oro intagliata a fogliami, intarsiata di lapislazzuli a varie forme di fiori, con in mezzo un quadrello bislungo, composto di varie preziose pietre orientali riportate a guisa di Mosaico, rappresentanti pure diversi fiori: dono di D Cristina Gran Duch. di
Toscana.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso d’argento dorato, guernita
all’intorno di vari ornamenti, e fogliami parimenti d’argento dorato, traforato
con ovatini di lapislazzuli, e calcidonia orientali, con piedistallo d’Ebano. Due
Candelieri compagni alla detta Croce incassati in Ebano, guerniti di varj
ornamenti d’oro smaltato, e perle. Una Calderuola, un Aspersorio, e di un
pajo di Ampolline similmente di cristal di monte, con un ornamento d’oro
smaltato a più colori: dono del Cardinal Mandruzzi.
Altra Croce composta di tavolette di lapislazzoli incastrate in Ebano, e guarnita
di grossi topazzi. Il piedistallo è tutto di Ebano con varj quadrelli formati di
diaspro orientale, lapislazzoli, agata, e diaspro siciliano: dono del Principe D.
Carlo Barberini.
Altra Croce composta di 4 pezzi eguali di diaspro orientale, con riporti, e
fornìmenti d’oro smaltato turchino, e sopravi rubini, spinelli, e garantine
sardoniche, con piede di cristal di monte: donata da un Duca di Baviera.
Un picciolo Quadro rappresentante in bassorilievo la Vergine Addolorata, la
quale è composta di varie pietre orientali, cioè: di diaspro marmorino nel
piano, di agata, alabastro, lapislazzoli, e diaspro sanguigno di Boemia
nell’Immagine, e di diaspro verde il Tavolino, dove essa si appoggia, con
cornice di Ebano: dono della Sig. Isabella Morroni Mantovana.
Una Corona, o sia Rosario di ambra gialla, donata dalla Sig. Rosa Masorini di
Vico.
Un grosso pezzo di Corallo, che si divide in due rami, con piedistallo di argento.
Altro ramo di Corallo incassato in una gamba d’Aquila d’argento di getto,
appoggiata su base tonda pure d’argento, doni di pie Persone.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso di getto, e ornamenti, e sovrapposti
il tutto d’oro; Due Candelieri, e Ampolline simili ugualmente guernite d’oro, fù
dono del Cardinale di Lorena.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso, guernita d’argento, con base
ovata, la donò il Cardin. d’Aragona.
Altra di cristal di monte con varj fornimenti. Una Pisside simile guernita di oro
smaltato a varj colori, e tre Candelieri: dono della Duchessa Virginia Savelli
Romana.
Altra simile di cristallo di monte con Crocifisso, e varj ornamenti d’argento di
getto dorato. Due Candelieri, una Calderuola con Aspersorio, una Bacinella,
e due Ampolline della stessa materia, dono di un Duca di Mantova.
Un bacile il grande con vaso d’argento dorato: dono diD. Pietro colonna a parte
del monastero di casa Nova, ma il vaso è riposto al numero XXVIII.
Una picciola Fruttiera ovata d’argento dorato, ed intagliato a fogliami, e nei
trafori guernita di fiori, e fogliami di corallo, con contorno a pizzetto,
similmente d’argento dorato, traforato, smaltato bianco, e turchino, con
rosette di corallo, dono di pia Persona.
Altre due Fruttiere di grossa lastra d’argento dorato e traforata, ed in mezzo un
grosso riporto tondo della stessa lastra smaltata turchino, ed altri simili
riporti di ovatini egualmente smaltati: furono donate dal commendatore
Pietro Colonna nel 1641.
Una Lampada di ambra gialla, incastrata in argento dorato: fu donata da Mons.
Vescovo di Sammogizia.
Altra lampada di cristal di monte lavorata a fogliami con cerchio d’argento
dorato, e 4 teste di Cherubini d’oro di getto smaltato a varj colori: la donò
una divota Persona.
Una Tazza in forma di Conchiglia, con collo, e testa di drago, e piede tondo, il
tutto di agata orientale contornato di oro smaltato a diversi colori: dono del
Duca di Pezzi nel 1572.
Altra Tazza tonda con sua base di agata orientale, con cerchio d’oro smaltato
bianco, e nero: donata dal Marchese di Sila.
Una Croce di ambra gialla, con Crocifisso, ed ornamento alle estremità di
ambra bianca, un calice, e Statuette con Candelieri compagni alla detta Croce, dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del gran Cancelliere di
Polonia, e Duchessa d’Oltrog.
Due statue d’alabastro; una rappresentante la Santissima concezione di M.V.
con piedistallo della stessa materia, e l’altra rappresentante S. Agata ligata
ad un Tronco; donate da pie Persone.
NUMERO XIII
Due collane d’oro smaltato, e ornate di varie figure di smalto al rilievo; la
maggiore composta di 19 castone, con 18 grossi diamanti, e l’altra di 15
castoni, con 30 rubini; donate dal principe D. Giovanni d’Austria.
Una Corona di lapislazzoli di 6 poste, con coppette d’oro smaltato turchino; e
bianco; ai lati d’ogni Patee noster sonovi tramezzini contornati di 187 piccioli
diamantini; ed appiedi vi è un giojello in forma di Stella, osservandosi, da
una parte l’effigie di S. Giuseppe, e dall’altra quella della Maddalena in
ismalto miniate, contornato da 60 diamanti: la donò una Persona incognita.
Un giojello d’oro smaltato verde, e rosso, che figura una Corona di Spine; nel
mezzo ha una Colonna, ed appiedi un picciolo giojelletto pendente fatto a
spighetta, tutto da 107 diamanti contornato: donato dal Principe di
Castelforte.
Una Pace d’oro smaltato a diversi colori, con in mezzo una Croce formata da 7
diamanti, e 18 grosse perle: donata da pia Persona.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e nero, composta di 40 castoncini: nel
mezzo pende una rosetta smaltata, e di appiedi una Colomba d’oro
smaltato, tutta contornata di 54 rubini: la donò la Sig. Giulia Vitale da Trieste.
Una croce da petto d’argento dorato, guernita di 25 diamanti, e 19 granate
balasce, dono del Sig. Giuseppe Borghini.
Un Ordine Capitolare d’oro, che nel mezzo ha l’effigie della B. V. , Tutto
tempestato di 98 diamanti, due grosse amatissime, ed una perla a goccia
appiedi: donato la sua Altezza Ludovico Giuseppe Vescovo di Trifingen, e
Principe del S. R. I. Nel 1770.
Un giojello d’oro in forma di mezza luna, nel mezzo vi è una Stella, e sopra di
essa un Giove smaltato bianco sedente ad un‘Aquila smaltata verde;guernito
di 60 diamanti, e 3 grosse perle pendenti fatte a pere: dono della
Principessa Donna Costanza Barberini.
Un Tofone con suo nastro d’oro smaltato rosso, e turchino, dono del Principe
Santa Croce nel 1748.
Una Croce di Cavaliere di Malta d’oro con 49 diamanti; fù donata dal
Commendatore Martorelli nel 1712.
Un giojello con suo nastro d’oro smaltato bianco, e nero, ed in mezzo ha una
Crocetta d’oro smaltato verde, tempestato di 178 amatiste: dono del Sig. D.
Ferdinando Gaetani Palermitano nel 1687.
Un’Aquila d’oro contornata di 26 rubini,4 smeraldi, e 7 perle pendenti: dono, e
lavoro del Granduca Francesco I di Toscana.
Un Fiore dorato tempestato di perle, e pietre di colori diversi, e nel mezzo un
Nettuno, col Delfino appiedi: dono della Principessa Stabilcolonna di Roma.
Un’Ordine di S. Jaco d’oro con suo nastro, e Croce di S. Giacomo in smalto
rosso in campo di smalto giallo; tutto contornato di 63 diamanti, e 30 topazzi
gialli, dono della Sig. Francesca Riva Belliseo Verach Spagunola.
Un Quadrettino incassato d’oro smaltato con cristallo, e pittura rappresentante
S. Cecilia giacente moribonda: dono di Persona divota.
NUMERO XIV.
Un’Ostensorio d’argento fatto a Tronco, composto a tre ordini in figura di nubi,
dalle quali escono raggi, Cherubini, spighe, e grappoli d’uva, simboli tutti del
Divinissimo Sacramento, ornati di molti smeraldi, topazzi, perle, giacinti, e
granate: dono di D. Dorotea di Neoburgo Duchessa di Parma.
Due Calici con Patene d’argento, e con Coppe dorate di singolar lavoro: donati
da pia Persona.
NUMERO XV,
Un Fanciullo d’argento di statura naturale simile al primo già descritto al numero
XI dello stesso donatore.
NUMERO XVI.
Un Piliale, una pianeta, due tomicelle, due manipoli, una borsa, un messale, e
un palliotto di teletta bianca di argento a fiori, e fogliami d’oro a Coralli: dono
del Principe di Avellino Napolitano.
Una Lampada, Lampadino d’argento dorato ornata di coralli: fù dono del
Principe di Castelforte.
Un Calice, e a Patena d’argento dorato, tutto contornato di coralli; molti di essi
sono ridotti a camei, rappresentanti vari Semibusti, e le Teste di Cherubini:
lo donò il P. Vincenzo Bartoli di Firenze della Congregazione di San Filippo di Recanati, dopo averci celebrato il suo Sagrificio nella S. cappella di 12
agosto 1791.
Un Camice di Pietra detto Amianto lavorato a tela, con cingolo, ricamo, e il
merletto appiedi di seta; fu donato da Persona incognita.
NUMERO XVII.
Una Gioia grande d’oro in forma di Stella, tempestata di 8 diamanti, 10 rubini,
16 girasoli, 36 grosse perle, ed un Cuor d’oro nel mezzo smaltato rosso,
guernito di un grosso smeraldo, 9 diamanti, 6 rubini, e questa iscrizione:
Ludovica Enrici III Galliae et Poloniae Regis Uxor 1598.
Altro giojello d’oro smaltato a diversi colori a guisa d’Arma coronato, e
tempestato di 29 diamanti; donato dal Prior Savelli Romano.
Altro giojello d’oro o in forma di rosa alquanto smaltato bianco, e turchino, con
un castone in mezzo a guisa di Stella, ornato di 25 diamanti: dono del Sig.
Procchieri Perugino.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e rosso, composta di 32 castoni tutti rilevati;
ed ornati di 20 grossi diamanti quadri di fondo, ed altri 16 di minor
grossezza, 20 grossi rubini, e 40 grosse perle, e appieni di è appeso il Tofon
d’oro di getto, a cui succede altra minor Collana dello stesso metallo
smaltato a diversi colori di 25 castoni,9 de’ quali hanno ciascuno in mezzo
un diamante, altri 11 hanno in mezzo un rubino in quadro, e nel maggiore
esistono intorno 4 rubini, e li altri 4 hanno in mezzo un zaffiro turchino; i quali
castori poi, con i 100 alamari d’oro di getto smaltati a più colori, che hanno
per cadauno di essi tre grosse perle a sedere, sono gaiamente distribuiti
parte in varie Stelle, e parte in altri diversi modi; il tutto è dono del Re
Cattolico Filippo IV.
Ed appiedi una gargantiglia d’oro smaltato bianco, e nero, consistente in 15
pezzi insieme concatenati con 38 perle, 11 delle quali sono fisse ad una per
pezzo, e le altre 27 pendenti: dono di Persona incognita.
NUMERO XVIII
Un Ostensorio d’oro con l’impugnatura, rappresentante S. Francesco d’Assisi,
all’intorno contornato viene da picciole figure di basso rilievo, smaltato a vari
colori, che rappresentano gli Evangelisti, con diversi Angioli, guernito di 109
diamanti, 386 rubini, 11 smeraldi, 2 perle,2 zaffiri, e di una grossa granata
orientale: dono del generale conte Melchiorre Halzfeldt.
Un Calice; e Patena d’oro, guernito di un diamante cedrino,3 tre grossi rubini, e
da altri 16 di minor grossezza, un smeraldo, ed un zaffiro orientale turchino:
dono di un Vescovo Polacco.
Altro Calice che ha la Coppa, e sotto coppa d’oro di getto con sua Patena, con
bassi rilievi, che rappresentano vari Misterj della Passione: dono d’una pia
Persona.
Altro calice, e Patena d’oro con piede di cristallo di monte: dono del Cardinale di
Lorena.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato, traforato, ed ornato di varie pietre: dono
di Persona divota.
Un Cuore d’oro, da una parte nel mezzo vi è intagliata l’Arme, e il Nome del
Duca di Beaurillier, detto S. Agnan, e dall’altra il millesimo, cioè: A. D.
MDCCXII.
NUMERO XIX.
Una Statua d’argento di getto, che rappresenta la Ss, Vergine, col bambino: fù
dono di Ludovico Perochel Senatore della Suprema Curia di Parigi, di peso
libre 21, ed un’oncia.
NUMERO XX.
Un Sopralegivo, un Velo da Calice, due Stole, un Manipolo, due Cuscini da
Altare, e una Coperta da Messale di teletta d’argento a fiori, e fogliami d’oro,
e coralli: pure dono del Principe di Avellino.
Un Martello, e una Cucchiara, parte di getto, e di lastra d’argento, con vari
ornamenti di basso rilievo, che servirono per la Porta Santa della Basilica di
Santa Maria Maggiore nell’Anno del Giubileo 1725, è dono del Cardinale
Pietro Ottoboni.
Bacile grandetondo con suo vaso, e due sottocoppe di grossa lastra d’argento
dorato, e cesellato a varj fogliami, e fiori, con diversi riporti, e castoni d’oro
smaltato giallo, verde, turchino, e bianco; tutto contornato di gioje, cioè 29
diamanti, 99 rubini, 16 smeraldi, e nel mezzo di esso Bacile un grosso zaffiro
turchino orientale: dono del Cardinale Vidoni; ma il vaso, e sottocoppe
esistono al N. XXVIII.
Una Carta di Gloria, con cornice di argento in parte dorato, intarsiata di
lapislazzoli orientali con vari riporti di lastra d’argento lavorata a faccette,
rappresentanti in ciascun dei lati di essa Cornice diverse Immagini, e
Serafini; all’intorno guarnita da grossi topazzi, grosse pietre di color d’acqua
marina, granate, e turchina; al di sopra nel mezzo ha un’Arme che
rappresenta una Croce con lettere ai lati, R; S: N: con testa di S. Gio.
Battista a’ piedi, e 6 Palle, la prima è di lapislazzolo orientale, 4 sono di
granate grezzi, e l’altra appiedi di cristallo faccettato, e tinto rosso; fu donata
dalla Compagnia della Misericordia di Livorno nel 1647.
Un Calice, e Patena d’oro, ornato con teste di Cherubini in basso rilievo, e nel
piede tre statuette rappresentanti la Ss.Vergine assisa sopra la S. Casa, col
Bambino in braccio, S. Giuseppe, e S. Gio. Battista, e sottopiede in lastra
d’oro riportata e intagliata l’Arme di D. Enrica Caraccioli Principessa di
Ardore di cui è dono, di peso di libbre 5, oncia una, e mezza nel 1733.
Un Ostensorio grande d’argento quasi tutto dorato, ed in parte contornato di
lastra d’argento lavorata a fogliami di basso rilievo; contornato di 24 pietre
verdi, e nel mezzo due cristalli grandi di monte, con Angioletti di getto
all’intorno, e due dentro che sostengono la lunetta, ed altri 2 Angioli grandi
appiedi genuflessi, che servono di sostegno: dono dell’Ecc.mo Raniero Zeno
Ambasciadore Venez. nel 1621.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato smaltato a colori varj, contornato di 356
granate sardoniche ligate in oro; dono di pia Persona.
Altro Calice, e Patena d’oro smaltato a più colori, all’intorno guarnito de 35
diamanti di fondo, e 69 rubini: donato dall’Imperatore Ferdinando II.
Una Pisside d’oro intagliata a basso rilievo di singolar lavoro, rappresentante un
Mappamondo con tutta la descrizione del Zodiaco, che posa sopra la testa di
un Angiolo sostenuto in piedi da base di nubi con varie teste di Cherubini; il
tutto di argento di getto dorato: dono di D. Rodrigo Antonio Guimareus della
Città di Porto in Portogallo nel 1791.
Un Ostensorio Ambrosiano di cristal di monte con dentro una lunetta guernita di granate sardoniche, sostenuta da due Angioletti d’argento di getto dorato, e fra
mezzo di essi pende un grosso topazzo obbligato a giorno, ed altro simile
incassato a capo del coperchio; all’intorno è ugualmente ornato di altre
granate quadre sardoniche ligate in argento dorato, con base dello stesso
metallo: dono della duchessa Savelli Romana.
Un Calice, e Patena d’oro con varie figure di alto e basso rilievo. Appiedi di
esso sonovi tre statuette che rappresentano le tre teologali virtù: fu un dono
di Clemente XIII Rezzonico, li lib. 8, onc, 7, e 6 ott.
Una Custodia, ossia Pisside con coperchio di cristal di monte, ligato in oro
smaltato a varj colori, contornato di 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle; ed a capo
un Angioletto d’oro con giglio composto di 5 diamanti: La Coppa poi è di
lapislazzolo orientale, con coperchio in manico d’oro smaltato a colori
diversi, varie figurine smaltate bianche, e festoncini d’intorno, con 4
diamanti, 4 rubini, e 6 perle, con base di diaspro orientale, il cerchio, e li tre
piedi parimenti d’oro smaltato a più colori in forma di Satiretti, similmente
smaltati bianchi, con 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle, e sotto la detta base è
posto in lastra d’oro il seguente motto: Ut quae tuae prole tuae Mundum
beasti == Et Regnum, et Regem prole beate velis == Henricus III Francorum
et Poloniae Rex Christianissimus MDLXXXIV.
Un pezzo di miniera d’argento che al naturale forma un Cagnolino, tal quale è
stato trovato nella miniera: mandato da una Signora del Messico del 1769.
Un Tavolinetto d’argento in parte dorato, il di cui piano viene formato da un
grosso topazzo ligato a giorno, ed un altro di minor grossezza pendente
appiedi; contornato di 27 smeraldi parte all’intorno, e parte a goccia: Dal suo
contorno spunta una rama di argento smaltato verde con 5 smeraldi cadenti
a pioggia sopra un Cocchio tirato da Cavalli, con dentro una figurina, ed altre
picciol d’intorno, il tutto di Corallo: dono di Francesco Pagani Spagnuolo nel
1771.
Una Metà, ossia Fondo di Conchiglia, con 3 perle attaccate, una delle quali è
alquanto grossa: donata dal Nobil Gio. Battista Pecorini Veneziano.
Un gioiello d’oro di getto smaltato a vari colori, con sua catenella ornata di 6
rubini, fatto a mezza luna guernita di 6 smeraldi, due altri grossi a’ lati di
esso, ed altro simile appiedi con 3 grosse perle; nel mezzo voi sonovi 8 otto
rubini, e varie figurine all’intorno di basso rilievo. Altro gioiello d’oro di getto
smaltato a diversi colori, rappresentante la resurrezione con il Salvatore in
mezzo circondato da un arco, in cui sonovi 6 diamanti, 10 rubini, 2 smeraldi,
2 perle a’ lati, ed una appiedi. Un Cappio d’oro smaltato nero, ornato da 4
diamanti, 4 rubini, 4 perle a’ lati, e un rubino basso, ossia giacinto in mezzo.
Altro simile contornato di 8 rubini, 4 perle a’ lati, ed un grosso smeraldo in
mezzo. Un giojello d’oro smaltato a più colori, rappresentante nel mezzo
Gallo ornato di rubini, smeraldi, e perle. Una Pietra a Cameo, con figura che
abbraccia una Croce, contornata di oro smaltato con due figurine, e teste di
Cherubini. Altri quattro piccioli giojelli d’oro smaltato a diversi colori, con
varie gioje. Sedici rosette d’oro di getto smaltato a varj colori tutte guernite di
perle, ed altre 7 con diamanti, e turchino, ed una Lingua d’oro, e sua
catenella dello stesso metallo, con 3 rubini della A. A. R. R. Della gran
arciduchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria: il tutto è suo dono.
Da due catenelle, e festoncino a rosetta d’oro, pende un Drago dello stesso
metallo tutto di getto smaltato a più colori, guernito viene da 32 diamanti, 22
rubini, 28 smeraldi, ed una grossa perla tonda a piedi; dono di un Duca di
Baviera.
Un Nettuno d’oro di getto coronato di frondi smaltate verdì, guernito di diamanti,
col Tridente nella destra, e Scudo d’oro alla sinistra, che ha in mezzo una
grossa perla a sedere, con sopra un diamante, con banda, e manto smaltato
rosso, stando con il ginocchio sinistro sopra una testudine e al di sopra è
formata da una grossa perla ovata a sedere, e il rimanente d’oro smaltato
verde, ed il piede destro fra mezzo a due Delfini che restano al di sotto
similmente d’oro smaltato bianco, ed alquanto rosso, imbrigliati a doppio filo
d’oro con madreperla a’ loro lati, e in testa hanno un diamante per ciascuno:
dono di una Principessa incognita Napolitana del 1717.
Un Vaso, ossia Bronzino d’argento dorato, ornato di 23 intarsiature di
lapislazzoli, con 57 riporti d’oro ingioiellata di 67 rubini; dono del Marchese
Olivares Spagnolo, sopra di esso posa un Pozzo d’oro smaltato a colori vari,
sostenuto da 4 Palle di agata sardonica, nella base resta di Salvatore, col la
Samaritana, all’intorno viene gueernito da amatiste, con l’iscrizione: Mulier
da mihi bibere. Nella bocca di esso sonovi due Colonnette di Corniola, che
sostengono una Corona, con due Secchj di Corniola ligati in oro, contornato
viene ancora da 44 rubini, 12 turchine, e 92 perle; lo donò il cardinal
Brancacci.
Un pezzo d’oro oro rozzo estratto dalle miniere del Brasile: fu donato da un
ambasciatore straordinario di Portogallo nel 1716. Pesa oncie 10 ed
un’ottava.
Una picciola Galera tutta di oro smaltato a più colori, guernita di 10 diamanti
quadri, 2 grossi zaffiri bianchi quadri di fondo, posti l’uno per bandiera, e 6
perle; dono della Principessa Maria Cristina di Mansfele.
Una grossa Pietra ovata di Belzuar, ligata in oro smaltato a vari colori, e
contornata di 12 smeraldi tondi, grezzi: la portò il P. Alfonso Messia al Perù,
di cui è dono.
NUMERO XXI.
Una Collana d’oro composta di 36 pezzi traforati, e smaltati bianchi, in neri,
infilati in giro, i quali sono guerniti di 610 diamanti; donata dall’Elettore di
Colonia il Bavaro.
Altra minor Collana d’oro composta di 36 pezzi smaltati a diversi colori, 19 di
essi sono guerniti di amatiste, e gli altri di rubinetti, frammezzo dati da
perline, e in mezzo vi è un picciolo giojello tondo smaltato, contornato di
amatiste, e rubinetti: dono della Marchesa Negroni Imperiali di Genova.
Un Ordine d’oro smaltato bianco, nero, rosso, con 3 alamari, 2 nastri, o nodi
passanti, una fiamma, e tofone appiedi tutto ornato di gioje, cioè, 386
diamanti, 11 grossi smeraldi, ed altri 131 di minor grossezza, 48 rubini: dono
del Duca di Madalona D, Domenico Caraffa del 1686.
Una Croce d’argento traforato, guernita di 7 grossi smeraldi quadri di color per
effetto ligati in oro, con 40 diamanti quadri brillanti all’intorno; dono del
Cardinale dì Altan Tedesco.
Una fermezza da maniglione d’oro smaltato bianco, nero, verde, con in mezzo
un grosso smeraldo bislungo di perfettissimo colore, ed intorno guernita di
14 diamanti tondi; dono della Duchessa Gaetani Romana del 1774.
Un’anello d’oro smaltato nero con un grosso smeraldo quadro in mezzo, e 3
diamanti per ciascun lato; dono del Cardinale Mellini.
Una Croce d’argento traforato con sua attaccaglia di doppio anello con grosso
filo d’oro, con 7 grossi smeraldi brillantati ligati in oro, e 18 diamanti ligati in
argento parte nei raggi, e parte all’intorno di essa; dono di Monsignor
Francesco Onofrio Hodierna Napolitano nel 1736.
Una Croce d’oro con 6 smeraldi disposti anch’essi in Croce, e contornata di 16
diamanti, dono di Monsignor Paolucci già Vescovo di Ferrara, e il Nunzio
Straordinario di Polonia nel 1698.
Altra Croce d’oro smaltato a varij colori, composta di 9 smeraldi, e 22 diamanti,
3 de’ quali formano i 3 chiodi distribuiti in due bracci, e nel tronco; dono
dell’Ab. Ettore Riccardi Toledano.
Altra croce d’oro di getto smaltato a colori diversi, al disotto una rosetta
punteggiata bianca, con iscrizione: Virgini Lauretanae 1572. Alexander
Riarius. Davanti è guarnita di 6 smeraldi, un rubinetto appiedi di essa
Croce,e 7 perle, 4 delle quali restano fermate ai lati, e 3 pendono ai bracci, e
nel piede.
Una Croce di argento traforato, pendente da un passante fatto a fiore, con un
appio similmente d’argento, il tutto è contornato da 38 diamanti, e 20
smeraldi ligati in oro. Un paio di pendenti d’argento traforato, ornati di
diamanti, e smeraldi, ed un giojello bislungo pur d’argento traforato,
tempestato di smeraldi, e diamanti; il tutto donato dalla Principessa di
Castellaneta nel 1741.
Un’anello d’oro traforato nei lati, con un smeraldo quadro bislungo in mezzo,
attorniato da 12 diamanti brillantati ligati in argento, dono di sua Eccell,
Francesca Filingeri Duchessa di Piselli nel 1763.
Altro anello d’oro, ossia Rosetta traforata nei lati, e nel mezzo ha un grosso
smeraldo ottangolare, contornato da 18 diamanti ligati in argento; dono della
Principessa della Riccia Napolitana del 1774.
Un’Alamaro d’argento con una Rosa in mezzo, tutto guernito di 68 diamanti, e 9
smeraldi: dono del Principe Dietrichstein.
Una Croce d’oro di getto smaltato a colori vari, con 7 smeraldi bislunghi, 2 perle
pendenti ai lati, ed una appiedi. Un’anello con grosso castone d’oro
smaltato, che ha in mezzo un grosso smeraldo: dono di un Duca di Baviera.
Una Croce d’oro ornata di smeraldi: donata dalla Co: Paravicini di Milano nel
1688.
Altra Croce d’oro con pizzetto all’interno smaltato a più colori, ed a capo un
Cappio d’oro traforato, il tutto ornato di 19 smeraldi; dono del Sig. Antonio
Conti di Ferrara.
Altra Croce d’oro contornata di 12 smeraldi: dono di una pia Persona Polacca
Altra Croce d’oro di getto smaltato a varj colori, composta di 7 grossi smeraldi;
dono di un Vescovo Polacco nel 1461.
Finalmente osserva si una grossa croce d’oro di getto smaltato a più colori,
intagliata all’intorno a fogliami con vari uccelli, composta di 8 grossi smeraldi
di Roccavecchia di forme diverse, e al di sopra un’Anello d’oro Episcopale,
con un grosso smeraldo quadro bislungo pur grezzo ligato a giorno; dono del
Card. Sfondrati Milanese Nipote di Gregorio XIV.
NUMERO XXII.
Un’Ostensorio d’argento dorato, guernito all’intorno di 130 diamanti, 14 rubini, e
140 perle; lo donò. Ludovico Mercatelli Priore della Cattedrale di Jesi nel
1737.
Un Calice d’argento dorato con Patena d’oro, all’intorno ornato di castoni, e
fogliami d’oro smaltato a diversi colori, parte di essi e con zaffiri ottangolari
bislunghi orientali, e parte con perle: dono di un Duca di Mantova.
Altro Calice e Patena d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra
d’argento cesellato a fogliami, con 3 Cherubini: dono di benigna Persona.
Due Calici d’argento con Patene dorate: donati da pie Persone.
NUMERO XXIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante la Vergine col Bambino, con
Corona di lastra d’argento in capo, Scettro dello stesso metallo nella destra,
e nella sinistra il Bambino con Diadema in testa, tenendo un Globo del
braccio sinistro, mezza Luna appiedi, ed all’intorno è circondata da raggi
parimenti di lastra d’argento dorato: fù donata dalla Città di Fossombrone nel
1660, di peso libre 19, ed un’oncia.
NUMERO XXIV.
Una lampada con 3 catene, composte ognuna di 5 gigli, e 5 stelle d’oro di
getto, guernito ogni giglio di 5 diamanti, ed i 7 rubini quadri ogni stella, le
quali restano fermate in 3 rami di lastra pur d’oro terminanti ciascuno in una
Stella di più raggi dello stesso metallo di getto, con in mezzo una grossa
perla, i quali disposti a triangolo sostengono, ed abbracciano al di dentro una
Corona Reale con raggi similmente d’oro traforato, smaltato a diversi colori,
e sopra di essa Corona altra simile assai più piccola, che ha dentro un
Lampadino di cristal di monte. Le descritte Corone sono all’intorno
tempestate di preziose gemme, più, e nemmeno grosse, che restano
gaiamente distribuiti in varie foggie, cioè: di 153 diamanti, 110 rubini, 281
perle, 51 smeraldi, 17 o quali, 4 zaffiri,2 granate, e un giacinto orientale.
Sotto puoi le medesime restavi annessa una Colomba d’oro di getto
smaltato bianco, e negli occhi, e piedini smaltata di altri propri rispettivi
colori, nel ne contiene un ramoscello d’olivo smaltato verde, nelle fronti è
ornato di 8 smeraldi disposti a guisa d’olive, e in petto a un grosso smeraldo
quadro bislungo intagliato colle Arme, e di iscrizione del principe D, Camillo
Panfily Donatore, Nipote di Innocenzo X. Pesa libbre 11, e un’oncia.
Un Cerchio d’oro fatto a rosetta contornato di 18 rubini, pendono 3 catene dello
stesso metallo unite ad un Cuore grande aperto di lamina d’oro tutto
tempestato di diamanti, e rubini: dono del Serenissimo Duca Massimiliano
Filippo di Baviera nel 1683.
La veste della S. Immagine di velluto paonazzo, ornata di 16 listre di 4 fiorami a
tutto ricamo di perle tonde picciole, e grosse, di lustrini, filo, e francia d’oro
appiedi: dono della Principessa di Ragozzi di Transilvania.
Palliotto di teletta d’argento turchino tutto tempestato di perle tonde orientali,
picciole, mezzane, grosse, fascette, e mezze lune d’oro di getto smaltato
bianco, ornati tutti di diamanti quadri, e triangolari, e fregio appiedi lavorato a
fogliami similmente di perle tonde di varia grandezza, con rosette, e castoni
d’oro di getto, pur smaltato bianco, guerniti di diamanti: donò I’Infanta di
Spagna, Moglie dell’Arciduca Alberto.
Una corona reale di lastra d’oro cesellata, composta di 8 raggi, 4 maggiori, e 4
minori, al di sopra a un picciolo cerchietto d’oro di lastrina d’oro, contornato
di 12 Stelle dello stesso metallo, all’intorno guernito di rubini, zaffiri bianchi
quadri orientali, e perle donata dal cavaliere Wincislao Brizia di Trevigi nel
1608.
Una Statuetta d’argento rappresentante la Ss.Vergine in piedi, col Bambino
nella sinistra, e lo scettro dorato nella destra, con Corona in testa, e raggi
all’intorno: dono di pia Persona.
Una Fruttiera tutta d’argento di getto traforato, e tirato a rami, e ha foglie in
parte dorato, ornata di 57 pittorine a minio più, e meno picciole ricoperte di
cristallo. Nel mezzo vi è un picciolo Crocefisso, con la B. V. fregiata da un
rubino in testa, e S. Giovanni da un smeraldo, a capo della Croce restavi un
rubino quadro, e 8 diamanti distribuiti in essa. All’intorno viene guernita di 37
smeraldi, e di 37 topazzi quadri; dono della Serenissima Duchessa di
Modena nel 1721.
Una corona reale di lastra d’oro composta di 4 raggi, due maggiori, e 2 minori,
ed all’intorno è contornata di diamanti: dono di Persona benigna.
Altra corona reale d’oro, con 12 raggi, e 6 de’ quali sono maggiori, e gli altri
alquanto minori, guernita di diamanti, smeraldi, e perle, dono di Persona
incognita.
Un Triregno d’argento in parte dorato, smaltato, con cCoce sopra di getto
dorato, ornato di fogliami intagliati, guernito di smeraldi, topazzi bianchi,
amatiste, e granate, e di una picciola Corona di lastra d’argento cesellata,
contornata di varie pietre di colori varj: il tutto è dono della Confraternita di S.
Maria della Purità di Bologna nel 1633.
Una Statuetta d’argento di getto in piedi, rappresentante S, Anatoglia, che ha
nella destra la Palma del Martirio, e nella sinistra, la Pianta della Terra di tal
nome, di cui mostra esser Voto stante la Iscrizione intagliata nel piedistallo
dorato.
Un Bacile ovato d’argento dorato, guarnito di incassi alture di lapislazzoli
orientali, con 48 riporti d’oro traforato, smaltato a colori varj, gioiellati di
rubini, ed altri 8 riporti più piccioli, con un smeraldo per cadauno: dono del
Marchese Olivares Spagnuolo.
Una Corona Reale di grossa lastra d’oro con fascia ornata di 5 castoni pur
d’oro, traforati, e smaltati a più colori, nel castone di mezzo restavi un grosso
rubino in quadro, e negli altri sonovi grossi smeraldi, e zaffiri turchini
orientali: dono di Persona pia.
Altra Corona d’oro smaltato nero composta di 7 raggi, con intagli all’intorno
della fascia, rappresentanti la Natività del Salvatore, con piccioli Cherubini
d’oro di getto ripartiti in giro, nel mezzo ha una grossa granata ottangolare
con iscrizione: Devota Comunitas Recaneti. In ciascuno di detti raggi vi è a
capo un pometto smaltato turchino, e framezzati da 7 Angioletti in piedi
similmente d’oro di getto, in atto di suonare il Violino, ed il settimo raggio ha
una granata quadra bislunga di minor grossezza. Pesa libbra una, oncie 3,
ottava una, e mezza. Appartiene alla suddetta altra minor Corona d’oro
consistente in 3 raggi, ornata intorno di 2 grosse perle, e nel mezzo della
fascia eravi la grossa Spinella la quale rimirasi al numero XXV,
La Machinetta di argento quasi tutto dorato, singolare travaglio che rappresenta
una Lampada, a capo della quale vi è una Corona Reale guarnita di varie
gioje intagliata di 8 raggi, che terminano tutti in un grosso giglio. Detta
Corona viene sostenuta dalle teste di 3 Angioli di getto disposti a triangolo
all’intorno fra le mani di essi, gira una picciola Collana guisa di festoncino
comporta di diversi pezzi a somiglianza di gigli, Corone, e trofei, tempestata
pur di gioje, e da uno dei detti gigli pende una Croce di Malta smaltata in
bianco, con lo spirito S. in mezzo formato di diamanti. I medesimi Angioli
posano sul dorso di tre Leoni di getto dorato giacenti sopra base tonda pure
d’argento dorato, e tra essi Leoni veggonsi disposte tre Armette coronate i
rappresentanti ognuna un Leoncino in piedi. Tutte le suddette gioje più, e
nemmeno grosse che ornano la solo riferita sono: 40 diamanti, 249 smeraldi,
200 rubini, 66 perle, e 4 zaffiri: donata dal Principe Guido Vaìni Gran
Maestro di Malta nel 1702.
Una Corona Reale d’oro composta di 16 raggi traforati, e smaltati bianchi, e
neri, 8 di essi sono maggiori, e li altri assai minori, contornata di 304
diamanti, e 38 rubini. Uno Scettro pur d’oro smaltato bianco, e nero, con 82
diamanti, e 57 rubini; il tutto fù dono di Cristina Alessandra Regina di Svezia
nel 1656.
Un Triregno d’oro smaltato a varj colori. Le 3 corone che il compongono sono
ornate di 392 diamanti, con una picciola corona pur d’oro contornata di 96
diamanti: dono dell’Infante di Savoia.
Due Corone Reali di lastra d’oro, una per l’Immagine della B.V., e l’altra pel
Bambino, contornate vengono da perle tonde, e da 254 diamanti ligati in oro:
dono di Catarina di Brandeburgo Principessa di Transilvania.
Una Corona Reale di lastra d’argento dorato intagliata a fiorami, ed altri varj
lavori, ornata di 42 diamanti, 185 rubini, 56 smeraldi, 128 perle, e 8 topazzi:
la donò il Senatore Ginnori di Firenze.
Altra Corona Reale di lastra d’oro, la maggior parte lavorata a fogliami, e fiori
diversi in ismalto di varj colori, contornata di diamanti, rubini, e perle: donata
da pia Persona.
Sotto la medesima sonovi annessi due fasce o siano Corone d’oro, una
maggiore dell’altra, ornate da diamanti di fondo, smeraldi, rubini, e perle:
donate dalla principessa Ragozzi di Transilvania.
Un Cuore grande d’oro aperto, da un lato del quale vi è il nome di Gesù formato
di 40 grossi diamanti, e dall’altro il nome di Maria, composto di 38 diamanti
più, e nemmeno grosse, all’intorno tempestato di altri 57 diamanti.
Nell’interno stavano 3 miniature in ismalto, rappresentanti da una parte
l’Effigie della B. V. col Bambino in braccio, e dall’altra quella di Enrica Maria
Regina d’Inghilterra moglie di Carlo I, di cui è dono, tenendo nella destra un
Cuore in atto di offerirlo al Bambino Gesù, che presentemente restano negli
esterni di esso cuore. Pesa libbre 3, oncie 3, e 3 ottave,
Un Alamaro, ossia Razionale ornato da quantità di diamanti, e smeraldi, nel
mezzo ha un Pellicano che nutrisce i suoi Polli, con un grosso rubino in
petto, e nei lati di esso fiammeggiano altri 10 piccioli rubini: dono della
Principessa d’Uceda Spagnola nel 1712.
Un picciolo Uffiziolo della B.V. racchiuso in copertina d’oro traforato, smaltato a
basso rilievo di colori diversi da quelle parti, e guernito de 109 diamanti;
dono di un Benefattore Spagnuolo nel 1713.
Un picciolo Cuore d’oro smaltato rosso che ha in mezzo un grosso rubino in
quadro balasso, con 9 diamanti quadri all’intorno ligati in argento; dono
d’incognita Persona.
Un giojello grande d’oro smaltato a più colori, nel mezzo ha un smeraldo grande
in forma di Ape, circondato da 14 perle, al di sopra una Corona con 3
diamanti, e 2 rubini, contornato di 95 smeraldi, e 7 diamanti, ed appiedi un
grosso medaglione pur d’oro, con l’Effigie del Principe D. Masseo Barberini
da una parte, e dall’altra un Sole nascente dal mare, fù dono del detto
Principe.
Una Collana composta di 32 pezzi piani d’oro traforati, elaborati alla Chinese, e
di altri 16 pezzi d’argento traforati a fogliami di basso rilievo, guernita di 303
diamanti piccioli, con Medaglia d’oro ovata appiedi di filograna d’oro, e di un
Semibusto della B. V. d’oro di getto da una parte, e S. Francesco di Sales
dall’altra: fù donata dal Principe Elettorale di Sassonia fratello di D. Maria
Amalia Regina di Napoli, il quale fù in Loreto l’anno 1738.
Un Cuore di lastra d’argento dorato, ornato da 2 palme incrociate, guernite di 24
diamanti, con una Corona che le abbraccia, contornata da 9 diamanti, sotto
di esse vi è una rosetta con un grosso rubino quadro bislungo, e di una
fascia pur d’argento dorato: dono di Pia Persona.
Tre paja di Pendenti d’oro traforato, un pajo guarnito di amatiste, altro pajo di
smeraldi, uno de’ quali grosso appiedi a goccia, e l’altro di cristallo cedrino di
monte, con grossa goccia di simil cristallo: furono donate dal P. Davia della
Compagnia di Gesù.
Un grosso topazzo che credessi orientaleligato in oro: fù donato dal Sig. Conte
Pilza.
Una Croce da petto con suo Cappio d’argento traforato e dorato, contornata da
un grosso diamante quadro di fondo in mezzo, ed altri 14 fra grossi, e piccioli
intorno: dono di Persona incognita.
Un grosso gioiello in forma di Rosa d’oro smaltato rosso, con fronde verdi,
guernito di un grosso rubino nel mezzo, ed altre 56 più, e meno grossi
intorno; dono di benigna Persona.
Un Cuore d’oro aperto smaltato bianco, e nero, ed entrambe le parti tempestato
di varj rubini; dono del Co: Fonsalita Governatore di Milano.
Un giojello tondo d’oro smaltato a diversi colori traforato all’intorno, e nel mezzo
evvi un grosso occhio di Gatto orientale bislungo, contornato di 12 rubini
quadri, 12 diamanti di mezzana grossezza, e smeraldi quadri bislunghi; dono
i un Palatino polacco nel 1499,
Un gioiello grande in forma di Cuore d’arg. dor. al di sopra guernito da 2 Cristalli
di rilievo in foglia rossa, rappresentanti in uno il Salvatore, e nell’altro la Vergine, appiedi altro Cristallo cedrino bislungo ottangolare coronato di 13
diamanti, 12 topazii, 22 turchine di roccavecchia, e 10 granate sardoniche.
Un’anello d’oro contornato di diamanti con grossa turchina; dono della
Principessa di Rosano Napolit.
Un picciolo Quadretto ovato di diaspro orientale dipintovi Sant’Antonio col
Bambino avanti, con cornice d’oro traforato, smaltato bianco, e turchino, con
suo cappio pur d’oro smaltato a più colori, il tutto contornato da 26 rubini
quadri diversi; dono del Marchese Pizzini Napolitano.
Una Croce da Cavalieri di S. Stefano, con in mezzo un grosso topazzo, ornata
di 9 diamanti, 4 granate che formano la detta Croce, con un Ungaro doppio
appiedi, ed una perla a goccia: dono del Principe Piccolomini d’Aragona nel
1720.
Un’Ala, ossia Pennacchio d’oro quasi tutto traforato, smaltato a varj colori,
tempestato dal 108 diamanti: dono di pia Persona.
Un gioiello d’oro traforato a 2 ordini smaltato a più colori, nel mezzo ha una
Colomba volante smaltata bianca, nel ne becco tiene un ramo smaltato
verde, ed è guernito di 7 rubini, e 3 perle pendenti a goccia: dono d’incognita
Persona.
Un Orologio ovato d’oro, con 2 attaccaglie, e chiavetta d’oro intagliato a fiorami,
circondato da 10 diamanti ligati in argento; dono di Persona pia.
Un gioiello pendente da una Corona, d’argento traforato in forma di Cuore
frezzato, che ha nel mezzo una lastrina tonda d’oro smaltato a varj colori,
rappresentante una Croce di S. Giacomo, tutto ornato di diamanti, e
smeraldi diversi, la donò il Marchese di Arigliano nel 1738.
Un Cuore d’oro con fascia d’argento traforata, e fregiata col Nome di Maria, con
31 diamanti sparsi nella fascia e Nome; dono di benigna Persona.
Un’Aquila a 2 teste coronata d’oro di getto, tempestata di 321 perle, e 333
rubini; la donò il Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un Fiore, ossia Ramo con suo fusto d’argento dorato composto di 22 tremolanti
dello stesso metallo, fregiati da 68 diamanti, e 18 perle: lo donò la
Contestabilessa Olimpia Pamphily Colonna nel 1704.
Una Perla bislunga assai grossa ligata in oro smaltato nero, che ha da un lato
Un picciolo Drago d’oro variamente smaltato, col ventre composto di una
grossa perla, con 3 picciole catenelle d’oro da cui pende: dono di pia
Persona.
Un grosso Cameo ovato di agata sardonica orientale, che nel fondo è di color
zaffirino, rappresentante la Dea Pallade ligato in argento, in addietro creduto
Giulio Cesare: la donò la Contessa Anna Catarina di Baviera.
Altro Cameo alquanto minore ovato di pietra sardonica in campo oscuro ligato
in argento dorato, con semibusto a basso rilievo che rappresenta Filippo II
Re delle Spagne; lo donò la Principessa D. Margherita Pio di Savoia nel
1726.
Una Coce d’oro da petto con 38 perle; lo donò il Sig. Antonio Perinetti di
Piacenza.
Due Razionali d’argento dorato con 3 grossi bottoni per ciascuno formati di
perle in giro, e nella sommità di essi restavi una grossa perla; donati, uno dal
Cardinale d’Urbino, e l’altro dal Cardinale del Carpio ambedue Protettori
della S. Casa.
Un vezzo di 31 perle concatenate in altrettante Rosette d’oro smaltato bianco, e
nero; lo donò la Sig. Lanti Veneta.
Un filo di 172 perle tonde formante 2 colli; lo donò un’incognita Persona.
Altro filo di 45 perle orientali, con 2 anelletti d’oro; dono d’occulta Persona.
Altro filo di perle orientali, donato da pia Persona.
Altro filo di 47 perle orientali perfettamente tonde. Un paio di pendenti piccioli
d’argento con un diamante tondo, attaccaglia con diamanti e, e una perla a
goccia; donollo il Cavaliere Antonfrancesco Bojardi Ferrarese nel 1717.
Un vezzo di 2 fili di perle tonde; lo donò del Sig. Filippo Cardirola di Sulmona
nel 1742
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e una a goccia; le donò una
divota Persona del 1749.
Un collo di 5 fili di perle tonde, lo dono del Sig. Agostino Marioni Veronese nel
1710.
Altro collo di 2 fili di 148 perle tonde orientali, con 2 anelletti: lo donò una
benigna Persona.
Altro collo di 62 perle tonde orientali; donollo D. Girolamo de Artegna e Bazza
dell’Indie nel 1704.
Altro collo di 4 fili di perle orientali tonde: lo donò la Contessa Felice Costanza
Giurichini Sentinelli Pesarese nel 1731.
Altro collo di 30 perle orientali: dono del nobile Giorgio Pisani Veneto.
Altro collo di 45 perle tonde orientali: lo donò la Sig. Cecilia Sanguinaccio di
Pesaro nel 1734.
Nastro formato di lastra d’oro tutto ornato di perle, pende da esso un giojello
tondo d’oro traforato, composto a 2 ordini, da una parte a una picciola
immagine della V., dall’altra quella di S. Teresa, contornato di alquante
rosette parimenti di perle: lo donò la Contessa Chiazza Napolitana.
Una grossa perla orientali a goccia ligata in oro, e con picciola Crocetta a capo:
donata da pia Persona.
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e altra maggiore a goccia;
donolle la Co. Di Verva.
Un vezzo, ossia filo di 55 perle orientali, tutte di conto: lo donò la Co. Pini di
Pisa nel 1765.
Una gioja da petto composta tutta di perle eguali, con alcune più grossa in
lastra d’oro: la donò la Sig. Aloisia Corsi della Città di Penna nel 1760.
Un nastro formato di foglie d’oro con 62 diamanti, e 108 perle orientali tonde;
donollo la Marchesa di Zoffrano.
Altro nastro d’oro traforato al di sopra, tutto ornato di perle a guisa di rosette:
dono del Sig. D. Gio: Errera Consigliere in S. Chiara di Napoli.
Cappio di lastra d’oro smaltato bianco, e nero, tempestato di rubini, e perle:
dono della Sig. Catarina Centoventi.
Un’Alamaro di argento traforato a fogliami di basso rilievo, guarnito di 24
diamanti, con grossa perla bislunga nel mezzo, e 2 altre minori ai lati: dono
della Principessa della Torrella.
Un giojello d’oro smaltato bianco, nero, e rosso, contornato di 5 grosse perle
disposte a guisa di Croce, e nelle parti sonovi 4 grossi diamanti, con altri 12,
più piccioli che fregiano dette perle: lo donò una Persona incognita.
Un picciolo nastro di argento traforato ornato di diamanti, col perla a goccia:
dono d’occulta Persona.
Un collo, ossia Vezzo consistente 35 pezzi d’oro smaltato nero, 17 de’ quali
sono in forma di rosette, con grossa perla a sedere nel mezzo di ciascun
pezzo circondato da 2 ordini di perline tonde, e gli altri sono a guisa di
nastrini, guerniti a seconda dei medesimi predetti pezzi. Un’alamaro ovato
da petto d’oro, tempestato di perle, che formano alquante rosette; donollo la
Sig. Teresa Paolini da Santobuono nel 1711.
Un Fiore di perle fatto a Farfalla, che ornava un cappio di gallone d’oro,
presentato con un Cuore dalle RR Monache di Torre di Specchj di Roma
descritto al N. I.
Otto Fiori di lastra d’oro traforato contornati di perle, in 4 di essi sopra Castone
d’oro sonovi 4 diamanti, e negli altri 4 parimenti sopra egual Castone 4
rubini: dono di pia Persona.
NUMERO XXV
Un’Aquila con 2 teste sotto corona imperiale, e picciolo Tofone appiedi il tutto
d’oro di getto smaltato a più colori, ricoperta di 398 diamanti, 37 de’ quali
sono grossi, con uno assai grande nel mezzo: donolla l’Imperatrice Maria
Madre dell’imperatore Leopoldo I.
Una Collana d’oro traforato e smaltato a diversi colori, composta di 42 pezzi in
piano concatenati con 2 anelletti pure d’oro, di alcuni di essi formati sono a
Cifra, altri a Stella, ed altri a guisa di festoncini, contornata da 21 diamanti, e
21 rubini: dono d’incognita Persona.
Un Centiglio d’oro dal cappello smaltato nero, composto di pezzi 41 traforati e
arabeschi, in ciascun lato di esso vi è un cerchietto pur d’oro, liscio,
contornato tutto di 125 diamanti: dono di un Duca di Baviera.
Una gargantiglia d’oro composta di 35 pezzi, ornata da 373 diamanti: donolla D.
io: battista borghesi Principe di Solmona.
Un’Anello d’oro smaltato nero, con grosso Castone pur d’oro, e in mezzo un
grosso diamante di fondo di peso grani 72: dono del Duca Carlo Doria.
Altro anello d’oro lavorato nel cerchio a basso rilievo, con grosso diamante
brillantato tondo nel mezzo color di paglia, contornato di 36 diamantini
brillanti ligati in argento: dono del Principe D. Girolamo Giustiniani di Roma
nel 1717.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso brillante di acqua perfetta, ornato di
18 brillantini, fù lasciato in dono da Monsig. Giancarlo Molinari morto Nunzio
postolico in Bruxelles nel 1764.
Altro anello d’oro smaltato verde, e turchino, con grosso diamante gruppito
quasi d’acqua cristallina legato in argento; donollo il Co: D. Francesco
Lichstein Canonico della Metropolitana di Salisburgo nel 1746.
Altro anello d’oro variamente smaltato con grosso diamante tondo brillantato di
fondo color paglia: lo donò una benigna Persona.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ornato
da 20 quadri diamantini pur di fondo, con altri 19 simili posti in giro del
cerchio: dono di Casimiro Re di Polonia.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori, traforato nei lati, guernito di un grosso
topazio giallo, orientale ottangolare bislungo: dono del Cardin. Ruspoli nel
1741.
Altro anello d’oro e castone di argento con grosso diamante in mezzo, e 12
minori ne’ 4 lati: donollo il conte Stanislao Potoski Polacco.
Altro anello d’oro fatto a quadrello guarnito di 14 diamanti, con uno grosso nel
mezzo: fu dono d’una Persona pia nel 1748.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con grosso diamante nel mezzo attorniato da
12 piccioli tutti brillantati: dono della Compagnìa del Ss. Sacramento di
Castel S. Pietro di Bologna.
Altro anello d’oro con diamante grosso ligato a giorno: dono di divota Persona.
Altro anello d’oro con diamante quadro di fondo bislungo; dono del Card.
Spinola detto S. Cecilia.
Altro anello d’oro intagliato e traforato nei lati con un grosso diamante brillantato
tondo legato in argento; dono della Sig. Chiara Cauzzi Maggi di Cremona nel 1758.
Altro anello d’oro con un bello, e grosso brillante di acqua perfettissima; dono
del Sig. Co: Ippolito Turconi di Milano nel 1768.
Altro anello d’oro intagliato con un diamante brillantato quadro lig. In argento:
dono di persona incognita nel 1747.
Altro anello d’oro intagliato nei lati con un grosso brillante di fondo di taglio
quasi ovale; dono di occulta Persona.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con grosso diamante tondo
brillantato ligato in argento: dono della Regina di Napoli che fu in Loreto
l’anno 1728.
Altro anello d’oro con in mezzo un ritratto in miniatura contornato di 26
brillantini; dono del conte di Merod marchese di Degniè.
Altro anello d’oro intagliato, con grosso brillante nel mezzo, attorniato da 12
diamantini brillantati, con altro contorno di 13 diamanti brillantati; donollo il
barone D. Giuseppe Cetti da Chieti nel 1788.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori con in mezzo un grosso diamante ovato
bislungo, 62 altri diamanti minori triangolari distribuiti per parte: lo donò il
Marchese Mancinfotte di Ancona.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta, ornato di un grosso brillante in mezzo, e
contornato da 12 brillanti: donollo una occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante di taglio ovale ligato in argento; dono
della Sig. Marchesa Silvia Imperiali Negroni di Genova.
Altro anello d’oro a quadriglia con 9 diamanti ligati in argento: lo donò la Sig.
Marianna Bresciani Zanettini nel 1770.
Altro anello d’oro di ismalto bianco, e verde, con un grosso diamante a guisa di
cuore ligato in castone d’oro, attorniato da smalto nero a fogliami di basso
rilievo: dono del Marchese di Vitry.
Altro anello d’oro intagliato, e fatto a Rosetta, che ha in mezzo un rubino quasi
tondo brillantato, col 2 contorni di diamantini brillantati ligati in argento: dono
di D. Marianna Montalto Principessa di Arianella nel 1754.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro orientale bislungo nel mezzo, e 6 diamanti,
3 per lato; dono della Sig. Paola Lercari Spinola Genovese nel 1669.
Altro anello d’oro traforato nei lati, con un rubino in mezzo contornato di 14
brillanti, e 6 più piccioli ripartiti 3 per lato: dono del Sig. Giuseppe Piatti
Veneto nel 1768.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo, ornato di 22 brillanti
ligati in argento: lo donò il Cardinal Serbelloni nel 1776 unito ad una Croce di
6 zaffiri attorniata di 152 brillanti, che osservati indosso alla Ss.Statua già
descritta alla pagina 43.
Altro anello d’oro detto Mariaggie con un grosso rubino, e di un brillante
uniforme, guarnito di 20 diamanti brillantati, al lato del rubino vi è un brillante
mezzano, e all’altro un rubino eguale. Al di sopra esiste una Coroncina con 2
diamanti brillantati, e sotto il detto Mariaggie altro brillante: lo donò la
Marchesa Patrizi Romana del 1773.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ovato nel mezzo, e 18 piccioli diamanti
d’intorno: dono del Card. Pico della Mirandola.
Altro anello d’oro alquanto intagliato con un rubino triangolare in mezzo, ornato
di brillanti: donollo il Cardinal Salviati.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso zaffiro ottangolare bislungo, guernito
di diamanti: lo donò un Duca di Parma.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con in mezzo un topazio del
Brasile, assomigliante ad un rubino, ligato in oro, circondato da 14 diamanti
brillantati ligati in argento, con questo si distinse M. Amalia Arciduchessa
d’Austria Duchessa di Parma, che fù in Loreto l’anno 1780.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo e 10 diamanti
all’intorno: lo donò il cardinal Portocarrero.
Altro anello d’oro con un rubino quadro, e 18 all’intorno: dono di Persona
incognita.
Altro anello d’oro con in mezzo un zaffiro, contornato di 14 brillanti: dono di Pia
Persona.
Altro anello d’oro fatto a rosetta, intagliato, e traforato, con in mezzo un grosso
rubino, e 14 diamanti intorno ligati in argento: donollo il Marchese Giacomo
Brignoli di Genova nel 1770.
Altro anello d’oro alquanto intagliato, e traforato nei lati, con in mezzo un grosso
zaffiro ottangolare attorniato da 29 diamantini brillantati ligati in argento:
dono della Marchesa Teresa Cambiasi di Genova nel 1777.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con in mezzo un grosso rubino contornato da
13 brillanti: lo donò la Duchessa Maria di Casoli nata Principessa d’Angri
Doria di Napoli nel 1790.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo di color paglia, e 2 piccioli
rubini uno per lato; lo dono un’occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo di peso grani 20: dono
del Sig. Benedetto, e Veronica Coniugi Delfini Veneti.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta intagliato, con in mezzo un diamante
brillantato, ornato di 12 diamanti, ed altri 4 piccioli posti 2 per lato, tutti ligati
in argento: donollo il Canonico Quarantotto di Roma nel 1743.
Un vezzo, ossia Collana guernita di 80 diamanti brillantati gradatamente ordinati
d’ambe le parti, e nel mezzo di essa pende una Croce d’argento dorato,
contornata di 24 diamanti quadri pur brillantati: dono della Principessa Pio di
Ferrara.
Una Croce d’oro composta di 5 grossi diamanti bislunghi di fondo, attorniata di
4 diamanti quadri di fondo disposti parte nei raggi, ed alquanti nell’estremità
di detta Croce; donollo il Cardinal Ghigi nel 1654 che fu poi Pontefice
nomato Alessandro VII.
Un giojello d’oro di getto traforato, composto a 2 ordini, il primo forma un Circolo
perfetto smaltato turchino, ornato di 23 diamanti quadri, col suo Cappietto
variamente smaltato, con in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ed
il secondo a guisa di Stella, con 6 piccoli raggi d’oro smaltato rosso, e
guernita di 30 diamanti ripartiti nei raggi; donollo una benigna Persona.
Altro gioiello ligato in argento dorato con 21 diamanti ligati in argento, e nel
mezzo di esso sotto cristallo si vede l’immagine di S. Gio. Nepomuceno in
ismalto; lo donò un Cavaliere Alemanno.
Una Croce di Malta d’oro ornata di 5 brillanti, ed altri 5 minori nell’attaccaglia:
donata dal Commendatore Spada di Bologna nel 1707.
Una grossa spinella quadra bislunga ligata in oro a guisa di giojello in ismalto a
più colori, che esisteva nella corona d’oro già descritta al N, XXIV.
Un’anello d’oro con grosso diamante cedolino quadro nel mezzo, con altri 11
intorno; dono della contessa Susanna Polissena di Martinez, nata Contessa
Dietrichstein.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, ed altri 14 minori intorno:
dono del Sig. Francesco Paravicini.
Altro anello d’oro fatto a spighetta, con 8 diamanti: dono del marchese di
Nulech d’Anversa.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo: lo donò il Marchese
agrati Milanese.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro: dono della Sig. Maddalena
Pezzi Bolognese.
Altro anello d’oro che ha in mezzo una Rosetta, composta di 4 diamanti quadri
di fondo, e 3 altri più ricciolie’ lati che formano una spighetta: lo donò la Sig.
Angela Salicola Bolognese.
Altro anello d’oro a spighetta con 2 diamanti quadri nel mezzo,4 minori intorno a
triangolo, e 2 altri, uno per lato: donollo Monsignor Arcivescovo Presmiglia
Polacco.
Altro anello d’oro con un diamante in mezzo, e 12 altri intorno: donollo il signor
Silvestro Basis Bergamasco.
Altro anello d’oro con 9 diamanti di fondo, che formano un quadro, essendo
minori quelli all’intorno: lo donò il Marchese Avoli.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante tondo gruppito, ed altri 6
minori quelli all’intorno: dono del Duca Moles.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, e 3 minori per lato; lo donò il
ardinal Altieri.
Altro anello d’oro tutto smaltato a vari colori di basso rilievo, con grosso
diamante quadro di fondo: lo donò l’Ab. Udratico de Grasci Bavarese.
Altro anello d’oro lavorato a basso rilievo, con grosso diamante quadro di fondo
nel mezzo quasi cedrino, ornato nei lati da altri diamanti;donollo il Duca di S.
Pietro.
Altro anello d’oro con diamante di fondo giallo: donollo il Cardinal Sacchetti.
Una Croce d’oro intagliata, e smaltata nero, con 5 grossi diamanti o parti di
fondo color rosa; fu donata dal cardinale Pignatelli, in occasione che
ricevette in Loreto la Berretta Cardinalizia nell’anno 1688 quale innalzato alla
Pontificia Dignità nomossi Innocenzo XII.
NUMERO XXVI
Un Ostensorio d’argento di getto dorato, nei cui raggi sonovi 8 riporti d’oro, 4 in
forma di grossi castoni tondi, uno de’ quali smaltato bianco, e nero, che resta
a capo un grosso smeraldo quadro fascettato, con altri 4 mezzani distribuiti
all’intorno, e 2 altri hanno un grosso rubino grezzo posti uno per lato, nel
quarto puoi che resta appiedi, vi è una grossa amatista ovata. Gli altri 4
riporti sono in forma di Gelsomino con frondi smaltate verdi. Nella Lunetta
vedonsi 2 grossi zaffiri orientali, e al di sopra una picciola Crocetta con
diamanti, il tutto da 106 diamanti tempestato, e 20 rubini quadri mezz. Il
descritto Ostensorio vien sostenuto dalla testa di un Angiolo in piedi, il quale
tiene in ambe le mani elevate 2 grossi smeraldi bislunghi grezzi, avendo
nella cima in il sinistro di essi una picciola Corona reale d’oro ornata di
diamanti, e nel destro un picciolo scettro guarnito pur di diamanti. Al collo, al
petto, e alla cinta restanvi infilate 51 perle tonde, e sotto il collo un bottone
che ha nel mezzo una grossa perla, attorniata da 12 diamanti di fondo. Esso
Angiolo posa sopra una Nube che le serve di base, con in mezzo l’Arme
Reale; donollo M Casimira Regina di Polonia, Moglie di Giovanni III
Un Calice, e Patena di argento dorato, centinato con lastra cesellata a fogliami,
e fiori, con 3 grossi riporti ovati di getto attorno alla Sottocoppa, e 3 altri
simili intorno al piede, tutti smaltati a figure, che rappresentano vari Misteri
della Passione. Detto Calice è guarnito da 45 perle, 24 topazzi gialli, 25
Altro Calice, e Patena d’argento dorato di lastra cesellata a fogliami diversi, e
Angioli che tengono ognuno uno strumento della éassione, con vari riporti
ovati pur d’argento dorato, con dentro molte figure rappresentanti la Cena, il
Salvatore in Croce, i Ss. Martiri, l’Annunziata, la Natività del Signore, e
l’Assunta; lo donò una pia Persona.
Altro Calice d’oro con Patena d’argento dorato, contornato di vari fogliami, e
fioretti a cesello, dono di Persona benigna.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato; lo donò un’incognita persona.
NUMERO XXVII.
Un fanciullo in piedi, in atto di correre col suo piedestallo, il tutto d’argento di
grosso oggetto di peso libre 20, e oncie 2: dono della Principessa D. Angiola
Colonna Borghese.
NUMERO XXVIII.
Una veste della S. Immagine di damasco bianco, ricamata a fogliami, fiori d’oro,
e coralli, contornata di Gallone d’oro; donolla il più volte nominato Principe di
Avellino.
Un Vaso di grossa lastra d’argento dorato, con 2 Sottocoppe compagne con
riporti d’oro ornati di varie gioie, accennate al N. XX.
Altro Vaso di lastra d’argento dorato, e cesellato con varie figure, a cui va unito
al Bacile descritto al N. XII
Due vasetti di lastra d’argento ad uso di generazioni ognuno con suoi manichi,
e nodo del piede di getto: donati da divota Persona.
Una Macchina in forma di Gabinetto composta di Ebano con la Pietà figurata
nel mezzo, miniata e chiusa sotto cristallo, ornata di varie statuette
rappresentanti Cherubini, e Angioletti diversi, tenendo ognuno un qualche
Mistero della Passione, con ornamenti intorno d’argento di getto in parte
dorato.Una Croce grande di Ebano filettata di argento con Crocifisso dorato,
titolo, e 4 raggi d’argento di getto traforato, e vari Cherubini dorati. La
suddetta croce viene elevata sopra piedestallo parimenti di ebano, e in cui
sonovi diversi Angioli piccioli, e grandi, ciascuno a vent’uno Stromento della
Passione.Ai lati vi sono due Statuette rappresentanti la Vergine Addolorata
alla destra, e S. Giovanni alla sinistra il tutto dorato.Veggonsi alquanti
Quadretti dipinti significanti S. Veronica, la Flagellazione, la Coronazione di
Spine, e il viaggio del Salvatore a Calvario. Miransi altre due Statuette e gli
Evangelisti S. Giovanni, e S. Luca. La base del piedestallo è guarnita di
diverse tasse alture di lastra d’argento dorato, e di 8 Cherubini. La base
vien’eretta su dorso di 8 Leoni similmente dorati; il tutto è dono di Clemente
VIII.
Un picciolo Quadretto con Cornice di foglia d’argento che contiene scritti a
minutissimo carattere, e ristretti in 4 globi i 4 Passj, e in altri gruppi sono in
mezzo nel Vangelo di S. Giovanni, In principio etc.; lo donò il Sig. Camillo
Comini da Città Ducale.
Altro picciolo Quadretto di grossa lastra d’argento, incastrato in Cornice liscia
d’argento dorato, ha nel mezzo un picciolo Quadretto arabescato con una Crocetta d’oro smaltato a varj colori, guernita di 10 diamanti ligato in oro: dono
fatto da un grande di Transilvania.
Una Pace di argento dorato con guernimenti d’oro, nel di cui Frontispizio sonovi
4 Colonnette smaltate turchino, e arabescate d’oro, tempestata all’intorno di
rubini, e diamanti. Alla cima di essa vi è il Salvatore risuscitato con la
Bandiera in mano ornata pur di rubini con 2 perle a’ lati del Salvatore. Nel
mezzo di detta Pace vi è una Pietà intagliata in diaspora sanguigno con 2
Camei d’agata orientale, incisi in basso rilievo, nel superiore resta vi
l’adorazione de’ Magi, e nell’inferiore il famoso Giudizio di Salomone: fu
donata dal Duca Carlo Emmanuele di Savoia.
Una Croce grande di Malta d’oro: dono del Co: Mario Floriani di Macerata.
Una Croce, con un pajo di Pendenti d’oro, il tutto guernito di rubini; dono di
Antonia Ruggeri, e Domenico suo Marito Cocchiere del Duca di Madalona
nel 1763.
Un Cuor d’oro liscio, con fiamma smaltata rosso a capo della quale sonovi 12
diamantini brillantati, e 3 maggiori appiedi. All’intorno di esso Cuore vi è un
giro di 16 brillanti mezzani, e nel fondo altro maggiore, presentato in dono
dal Cardinal Lanfredini Vescovo d’Osimo nel 1735.
Altro Cuor d’oro con Rosa in mezzo formata da 5 smeraldi, e 12 diamanti. Il giro
del Cuore viene ornato da 4 piccioli smeraldi, e 7 diamanti, e nel Cappio
restanvi 2 diamanti, e 2 smeraldi a’ lati: dono di Persona occulta.
Un grosso topazzo quadro bislungo racchiuso all’intorno in cassa d’argento
dorato, con conchiglia a capo, altra a piedi, ed altre 2 ai lati: dono del Nobil
Gio: Battista Pecorini Veneto nel 1733.
Una Croce d’oro variamente smaltato, contornato da 25 per le, con in mezzo
una Statuetta d’oro rappresentante la Vergine col Bambino in braccio,
attorniata da 4 grossi giacinti, e un altro a piedi in forma di mezza luna, con
una grossa perla, e sotto vi sta un Cameo, ed in fondo vi è un Bambinello
fasciato smaltato bianco, che giace in un Cuscino smaltato rosso: lo donò la
Marchesa Nerli Mantovana.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso d’oro a più colori smaltato, tutta
guernita di diamanti, e perle: dono della Co: Publei di Montalbano.
Un Triangolo d’oro smaltato a vari colori, rappresentante in bassorilievo la Ss.
Trinità, e la Vergine in atto di essere coronata, ed appiedi di essa 4
Angioletti. In ogni angolo vi è una Virtù, cioè: Fede, Speranza, e Carità,
contornato di 75 granate sardoniche; fu donato da tre baroni boemi,
Ludovica, Martanica, e Slavada, MDCX.
Una giojetta d’oro ornata di diamanti, e rubini da una parte vi è il Nome di Gesù,
e dall’altra l’Effigie di S. Francesco di Paola; la donò D. Vittoria Caraffa
Duchessa di Madalona del 1765.
Una Croce da petto composta di 7 grossi diamanti, e attorniata da 16 minori;
dono della Sig. Ortensia Manfroni Bernini nel 1762.
Un grosso topazzo cedrino ottangolare, con cornice d’oro traforato. Una Breccia
di giacinto ligata in oro con perla appiedi. Un giojello in forma di Cuore con 5
pietre, cioè, un grosso giacinto orientale, un’amatista, un zaffiro, un crisolito,
e nel mezzo un topazzo, con 12 perle ai lati. Altro giojello che ha nel mezzo
un grosso zaffiro in tavola ligato in oro, pendente da 3 catenelle dello stesso
metallo, con 3 perle appiedi. Altro giojello d’oro di getto variamente smaltato,
fatto a guisa di deposito, con 6 grossi diamanti quadri di fondo, 3 rubini,2
pietre rosse, una grossa perla pendente a ppiedi, e 2 altre minori che
restano uno per parte di esso giojello. Altro gioiello d’oro di getto smaltato a
colori più, che ha in mezzo una figura tenente nella destra una Croce pur
d’oro, tempestata di 14 diamanti. Altro giojello d’oro smaltato a colori diversi,
con un grosso zaffiro in mezzo, e 2 Satiri di smalto bianco uno per lato altro
giojello smaltato a vari colori, rappresentante dell’Arca di Noè con 3 figure, e
diversi animali, contornato di diamanti, e rubini. Sonovi altri molti giojelli d’oro
più, e meno grossi, attorniati da varie gioje; il tutto è dono della gran
duchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria.
Un giojello ovato d’oro, centinato con doppio anello d’oro a capo. Nel mezzo ha
una Croce di Malta smaltata in bianco, sopra cristallo di monte colorito da
smalto rosso, con arabeschi d’Aquilette d’oro all’intorno, donollo un Cavalier
Tedesco.
NUMERO XXIX.
Un grosso giojello rotondo d’oro smaltato a più colori, nel mezzo viene formato
da diamanti il Nome di Gesù, ornato pur di diamanti, con vari Misteri della
Passione; appiedi di esso una grossa perla a goccia, ed a capo una Collana
d’oro composta di 92 pezzi, contornati di diamanti: donolla il Principe
Ferdinando di Polonia.
Una Collana d’oro smaltato a vari colori, composta di 19 pezzi, parte guererniti
di diamanti, e parte da grosse perle: la donò la Duchessa Cristina di Lorena.
Altra minor collana d’oro composta da 42 pezzi smaltati bianchi, e neri, nel
mezzo pende una stella d’oro composta a 2 ordini di raggi, il tutto per netto
da 129 diamanti; dono del Co: Martiniz, e sua Consorte nel 1537.
Un’Aquila d’oro a 2 teste coronata, tutta tempestata di diamanti: la donò
un’incognita Persona.
Un gioiello fatto a nastro d’oro traforato e smaltato nero, e bianco, guernito di 93
diamanti; lo donò il Milord Petriz Inglese.
Un Cuor d’oro smaltato vermiglio, con grosso diamante nel mezzo;donollo il Co:
Filippo di S. Martino di Aliè di Torino.
Altro cuore d’oro con grosso diamante quadro di fondo ligato a giorno in ambe
le parti: donollo la principessa di Rosano.
Un giojello d’oro smaltato a colori diversi, rappresentante un’Arme smaltata
verde, ornato da 21 diamanti, e 35 rubini: dono della Principessa, Trivulzj
Milanese.
Un Cappio d’oro smaltato nero tempestato di 13 diamanti quadri: dono d’occulta
Persona.
Un giojello grande d’oro traforato composto a 2 ordini a guisa d’Arme coronata,
attorniato da 96 diamanti, 5 de’ quali pendono a gocce: donolla D. Maria
Vargas Spagnuola.
Altro giojello ovato d’oro che ha in mezzo l’Immagine di S. Veronica, contornato
da 30 diamanti; lo donò la Duchessa di Fiano Romana nel 1735.
Una Croce con sua attaccaglia, e catenella d’oro contornata di 9 grossi
diamanti,e 3 grosse perle pendenti: donolla il Duca di Baviera.
Un cuore doppio d’oro liscio, con a capo un grosso diamante; dono del Co;
Enrico e Co: Eleonora di Stratman Tedeschi del 1731.
Un Tofone d’oro con suo nastro, e grosso zaffiro quadro nel mezzo. Altro
Tofone d’oro con suo nastro smaltato rosso, e nero, guernito di 48 diamanti
brillantati; furono donati dal nominato Principe Santacroce.
Una Croce da Cavaliere di Malta in forma di giojello con sua catenella d’oro,
ornata di 34 diamanti: la donò il Co: Silvestro Spada di Terni nel 1721.
Altra Croce contornata di 13 rubini, composta di Castoni d’oro tempestati di 6
grossi diamanti quadri di fondo; dono di Persona benigna.
Un Ufficiziolo d’oro smaltato a basso rilievo a varj colori, con un Cameo grande
di agata zaffirina da una parte, e con una Rosa composta da 9 diamanti
nell’altra, attorniata da 24 rubini, e nell’interno vi è dipinta l’Arme di Lorena,
con il nome della Principessa Enrichetta Donatrice.
Due Fibbie da manigli tempestate da diamanti, e perle; dono della Sig.
Marianna Lanzeoraguoca Polacca.
Una Gamba con sua catenella d’oro, con grosso diamante verso il fine d’essa
ligato in argento attorniato da 30 minori diamanti; donolla il Gen. Susa
Turinese nel 1686.
Un Quadretto ottangolare con cornice d’oro variamente smaltato, e sua
attaccaglia pur d’oro composta di 5 pezzi traforati parimenti diversamente
smaltati, in mezzo vi è scolpito in agata sardonica un Geroglifico da una
parte, e dall’altra l’Immagine della Madonna Ss. Di Loreto dipinta sopra
cristallo: offerto da Persona divota.
Altro Quadretto ottangolare di agata zaffirina orientale, rappresentante in
bassorilievo la Madonna di Loreto, con piccioli raggi all’intorno, fregiati da 36
smeraldini: dono di Madama Margarita Regol Francese.
NUMERO XXX.
Una Croce di lastra d’oro smaltato nero, con suo titolo pur d’oro fregiato da 29
diamanti di fondo, 45 rubini, e 3 chiodi d’oro che hanno per testa un grosso
diamante pur di fondo per ciascuno. Il monticello d’oro smaltato bianco, e
turchino, e alquanto verde, che rappresenta il calvario, ornato di smeraldi, e
zaffiri turchini, e bianchi orientali, crisolite, topazzi, giacinti, granate,
amatiste, turchine di rocca, o quali, corniole, e malachita . Mirasi in prospetto
un antro figurato il Sepolcro guernito di rubini, e da un canto la vergine col
Salvatore morto, d’oro variamente smaltato; offerta dal Barone Ridolfo di
Teustenbac,
Un Calice, e Patena d’argento dorato centinato di lastra cesellata a fogliami, e
teste di Cherubini, con riporti ovati pur d’argento dorato, rappresentanti
ognuno in ismalto un mistero della Passione, con un’Arme appiedi, e questa
Iscrizione:Sigismundus Carolus Comes Barcu Can, Salisburgensis etc.
Altro Calice, e Patena d’argento traforato, e cesellato a fogliami, con Coppa
d’oro guernito di 6 riporti di lastra d’argento smaltati turchini, e neri, che
rappresentano il Salvatore, l’Assunta, l’Annunziata, la Cena, la Madonna di
Loreto, e i 2 Esploratori della terra promessa, caricati d’un grosso grappolo
d’uva;; donollo il Sig. Marco Mensel Tedesco.
NUMERO XXXI.
Una Statua rappresentante la Vergine col Bambino assisa dentro un
Tabernacolo quadro, sostenuto da 4 Colonne, il tutto dorato; donollo una pia
Persona,
Due piccioli Candelieri d’argento; donolli una occulta Persona.
NUMERO XXXII.
Un Masso naturale a guisa di Piramide, nella cui facciata, e nei lati scorgonsi
132 pezzi di smeraldi, 42 de’ quali sono assai grossi, e nella cima una Croce
con Crocifisso d’argento dorato, ornata di piccioli fiori smaltati turchini, con
varie gioje, e perle all’intorno, ed appiedi la genuflessa Immagine di A. M.
Maddalena; dato da D. Antonio Forca viceré di Napoli a nome di Filippo IV,
Re di Spagna.
Altro Masso artefatto parimenti a Piramide, composto a marcassìta, e rena
d’oro, cont. da 26 topazzi bianchi, e 46 grossi pezzi di smer., Ed altri 390
minori. In esso veggonsi 7 cavi in quadro distribuiti intorno, 2 sono nella
parte anteriore, in uno posto al di sopra vi è l’Effigie della Madonna di Loreto,
e nell’altro posto al di sotto l’Arme del Cardin. Ginnali Imolese Donatore,
ambedue a basso rilievo in lastra d’argento,e 5 sono in tavolette di pietra,
con varj misteri dipinti della Passione. S’ammira a capo una Croce eretta da
in un vasetto, e ai lati di esso la V. Addolorata, e S. Giovanni ugualmente
d’argento dorato.
Una Pianeta, Stola, Manipolo, Borsa, Palla, Cuscino, e Copertina del Messale
di ganzo d’argento tessuto a scacchj, ricamato di grossi festoni e fiorami
d’oro, quasi guernito il tutto di perle diverse, con castoni ornati di rubini
riportati sopra in forma di rosette d’oro di getto. Un Palliotto di ganzo
d’argento in parte d’oro, tessuto a scacchj, ricamato a fiorami d’oro che
sembrano Rose distribuite in varie foggie, contornato di lastrina d’oro
traforato. Nel mezzo vi è il Nome di Gesù d’oro di getto, attorniato da 88
rubini, e sotto un Coretto trapassato da tre chiodi d’oro di getto, guernito
guernito di 59 rubinetti, in un lato vi è la Vergine, e nell’altro lì’Angiolo
annunziatore, e sopra lo Spirito S. pur d’oro di getto smaltato bianco,
tempestato da 166 rubini. Tutte le nubi che ivi restano formate sono di
piccioli perle; il tutto è dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del
Gran Cancelliere di Polonia, e Duchessa d’Ostrog.
NUMERO XXXIII.
Una Collana composta di 15 grossi castoni d’oro variamente smaltato, ornati di
42 diamanti, 82 rubini, e 23 grosse perle. Un’Uffiziolo giojellato di diamanti,
rubini, perle, e 10 piccioli Camei di lavoro greco. Il di dentro è diviso in 3
parti, in una osservasi un Crocifisso d’oro smaltato, con Croce ornata di
smeraldi grezzi, e da altre gioje; nell’altra vi è dipinta la B. V.beata con
cornice d’oro guernita di rubini, e diamanti da un lato, e dall’altro la Natività
del Sig. incisa in lastra d’oro, ove sotto il detto Uffiziolo presentemente si
ammirano, e nella parte ultima vi è l’Immagine di S. Gerolamo pur d’oro
smaltato bianco, attorniato di varie gioje; il tutto è dono del Duca Guglielmo
di Baviera.
Una Croce d’oro traforato, smaltato a colori, composta di 22 diamanti, 17 de’
quali sono grossi bislunghi, con 3 grosse perle pendenti, e un grosso rubino
bislungo appiedi; donolla il Marchese Martinengo di Brescia.
Un giojello, ossia Rosa d’oro composta a 3 ordini in mezzo ha un grosso
diamante, e 14 altri intorno; donollo D. Eleonora Cavaniglia Duchessa di S.
Giovanni.
Altro giojello ovato attorniato da 50 diamanti con uno grosso nel mezzo; lo donò
il Sig. Ferrante Pollea di Piacenza.
Altro giojello d’oro con 7 granate orientali doppie, circondato da diamanti
brillantati, e un Cappietto d’oro smaltato rosso, con grosso diamante
brillantato, e sotto un Tofone di getto d’oro; donollo il Principe Sansevero
Napolitano nel suo ritorno da Vienna nel 1722.
Altro giojello d’oro a più colori smaltato, rappresentante l’Effigie della Vergine
col Bambino in braccio, e 2 Angeli ai lati ornato di 92 diamanti con grossa
perla appiedi; lo donò la Sig. Eleonora Mandrozzi Duchessa di Pulinghera.
Una croce di S. Stefano con 4 granate orientali che formano i 4 raggi, con sopra
una Corona, tutto contornato di brillanti; lasciolla in dono il marchese
Pierantonio Gierini di Firenze nel 1757.
Un giojello grande ovato d’oro traforato a 2 ordini, tempestato di 67 diamanti
con uno grosso nel mezzo; lo donò la Sig. Vittoria Strozzi di Firenze.
Altro giojello d’oro smaltato nero in forma di piume, con diversi fogliami ai lati,
ornato di 43 diamanti, 2 de’ quali sono grossi, ed alla cima un Coretto pur
d’oro smaltato nero; lo donò la Marchesa Giovanna Gonzaga Mantovana.
Altro giojello d’oro smaltato bianco, e nero, composto di 5 pezzi guerniti di
smeraldi: donollo una Dama Tedesca.
Una grossa perla fatta barchetta ligata in oro appesa a 3 catenelle pur d’oro,
con altre 5 perle cadenti al di sotto. Non è meno prodigiosa, che
inestimabile, mentre dalla parte superiore si ammira effiigiata a bassorilievo
la Ss. Vergine di Loreto sopra una nube. Fù trovata, e donata da un
Pescatore, che avea promesso alla Vergine la sua prima pescagione.
Un reliquiario d’oro smaltato a più colori, ornato di rubini, da una parte ha un
cameo in agata di bassorilievo rappresentante S. Gio: Battista, che battezza
il Salvatore al Giordano, e dall’altra è intagliata la Croce con vari Misteri della
Passione, e al di dentro sonovi riposte molte Reliquie: lo donà una Persona
incognita.
Una gargantiglia d’oro con 37 perle a goccia, ed altre 13 ligate in essa, dono
d’occulta Persona.
NUMERO XXXIV.
Una Croce con 2 Candelieri di diaspro di Boemia con Crocifisso, e titolo
d’argento dorato, il tutto guernito da piccioli riporti di lastra d’oro, nodi, e
pometti pur d’oro di getto, smaltato a più colori: dono del Principe, e
Principessa Lichtenstain nel 1484.
NUMERO XXXV.
Un Triregno di lastra d’argento traforata, e intagliata a fiorami in parte dorati;
donollo la Compagnia dei Battilana di Gubbio.
Una Statuetta di argento di getto rappresentante la Vergine in piedi, sopra
piedestallo d’Ebano ornato di teste di Cherubini d’argento di getto dorato,
con Corona in testa, Bambino nella sinistra, e scettro nella destra, donolla il
Sig. Virgilio Groschedel Consigliere dell’Elettore di Baviera nel 1656.
Un Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata; lo dono una benigna
Persona.
NUMERO XXXVI.
Un’Ostensorio ovato assai grande a 4 ordini di lastra d’argento cesellata. Il
primo è tutto a raggi dorati, il 2 a tronchi, e rami d’Albero, il 3 a tronchi, e
rami di Vite, con grappoli di uva, e manipoletti di spiche ligati alle Viti, ed il 4
rappresenta il P. Eterno con sotto lo Spirito S. sfavillante raggi dorati. Nel
mezzo la Madonna di Loreto pur raggiante che ha in petto una Custodia di
cristallo a guisa di cuore, ornata di 5 ricciole Collane composte di pietre di
diversi colori, e di un fregio nel lembo della Veste guarnito di topazzi gialli,
smeraldi, ed altre pietre di vari colori. Ai lati sonovi 2 figure di Personaggi
genuflessi sopra gli predetti manipoli. Il detto Ostensorio viene elevato da un
tronco d’argento di getto, nella cui parte anteriore al di sopra in ismalto a più
colori si vede l’Arme della Principessa di Neoburg, già Duchessa di Parma,
Donatrice nel 1729, e al di sotto d’essa vendesi la città di Parma sostenuta
dall’Italia: in fondo sopra la base altr’effigie di un Vecchio che versa acqua
da un vasetto dorato, rappresentanti del fiume Po, e al lato opposto ergersi
la città di Piacenza. I descritti Personaggi sono il Duca, e Duchessa delle
Città suddette.
Due Rose con rami, e frondi di lastrina d’oro, e nelle cime hanno u zaffiro
turchino ottangolare, ciascuna posta in vaso d’oro: furono donate una da
Gregorio XIII, e l’altra da Clemente VIII.
Un Putto nudo di argento tutto di rilievo, con collana, e smaniglie d’oro
gemmate, che posa sopra un guanciale dello stesso metallo contornato d’un
fregio formato di perle, rubini, smeraldi, e di altre gemme; donollo la Madre
dell’ultimo Duca di Mantova.
Due Vasi d’argento sessagonali istoriati a basso rilievo con doratura intorno.
Ciascuno di essi ha un’alboretto carico di Limoncelli parte dorati, e parte
coloriti verdi, e da balaustre guernite di fiori diversi, e Pavoncelli paonazzi, e
verdi, e molte figurine. Altri 2 Vasi d’argento ognuno de’ quali ha in mezzo
un’alboretto d’aranci con pomi coloriti verdi, con picciola balaustra intorno, e
varie piantine dei fiori colorati. Altri 6 vasi d’argento di lastra cesellata, in
parte dorato, con 4 testine di Cherubini, il tutto fu offerto dal Card. Antonio
Barberini Protettore della S. Casa.
Altri 2 Vasi d’argento in forma ottangolare che hanno in mezzo un alboretto di
Limoncelli, con picciola balaustra intorno, e piantine di varj fiori. Altri 2 poco
più piccioli dello stesso metallo, con alboretto di Cerase, guerniti conforme i
predetti; donolli il Card. Filomarini.
Un Libro latino, ossia Panegirico di lode della S. Casa coperto nero, contornato
di argento dorato; dono del P. Partenio della Compagnia di Gesù.
NUMERO XXXVII.
Una Collana d’oro variamente ismaltato, composta di 20 pezzi con contornati di
103 diamanti, e 40 grosse perle; la donò l’Imperatrice Anna Madre
dell’Imperatore Mattìa.
Un Tofone d’oro pendente da 2 nastri, ornati di 262 diamanti, e 36 rubini. Un
picciolo giojello d’oro traforato, e ismaltato bianco, contornato di 29 diamanti
ligati a giorno, con in mezzo un grosso girasole, ossia opale ovato, e sopra
vi è una Croce di S. Giacomo d’oro ismaltato rosso; dono di D Baldassarre
Mendozza Spagnuolo.
Un’Anello d’oro con grosso giacinto ottangolare; lo donò Monsignor della
Gengha a nel 1762.
Una Croce d’argento dorato, con 5 grossi zaffiri turchini orientali ligati in oro
contornato di diamanti; donolla una pia Persona.
Altra Croce d’oro guernito di 6 amatiste, ornata di diamanti, e 3 perle pendenti;
donolla la Co: Leoni Veneta.
Un giojello grande d’oro fatto a foggia di fiore guernito de 154 diamanti; donollo
la Sig. Paolina Bernardi Veneta.
Altro gioiello grande ovato d’oro composto a 2 ordini tempestato di 131
diamanti; donollo la Co: Galeffi di Boemia.
Altro gioiello fatto a rosa d’oro traforato composto a 5 ordini guernito di 61
diamanti: dono non lo uno di Casa Loretti.
Un Quadretto di lastra d’oro in ismalto di basso rilievo a colori diversi
rappresentante la Ss. Annunziata contornato d’oro traforato in 33 fioretti, di
varia specie, e grandezza; lo donò la Marchesa Colcoquela Aragonese nel
1720.
Un Cuore cesellato di lastra d’oro, con un grosso rubino in mezzo attorniato da
17 diamanti; dono di Monsignor Gaucci d’Ascoli.
Una Croce di Malta con grosso diamante nel mezzo, e 53 minori all’intorno:
dono del Sig. Priore Vaini Romano.
Un ritratto di lastra d’oro incassato in cornice d’oro variamente ismaltato, ornato
di 4 diamanti quadri, e 16 rubini quadri da un lato, e dall’altro sonovi 2 alberi
incrociati col motto, Umanitas, con altri 4 diamanti, e 16 rubini, donollo il
Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un’Ordine di S. Giacomo d’oro con suo Cappio dello stesso metallo traforato,
con in mezzo un ovato di smalto turchino nel quale posa una Croce d’oro
ismaltato rosso, il tutto da 32 diamanti, il 95 picciole turchine tempestato;
offerto da un incognito Cavaliere Spagnuolo.
NUMERO XXXVIII.
Una Croce, e piedistallo di Ebano, con Crocifisso d’oro di getto smaltato bianco,
ed ornamenti d’oro con 34 diamanti, 16 smeraldi, 17 rubini, un’amatista, una
granata, 37 perle, e 2 spiche d’oro nel detto piedestallo, con opali, rubini, e
smeraldi in forma di grani; lo donò la Madama Isabella arciduchessa
d’Austria, Duchessa di Mantova.
Un Calice, e Patena d’oro con teste di Cherubini, e varie misteriose figure, con
un’Arme, e questa Iscrizione: Virgini Lauretanae, Joannes Petrus Vulpius
Episcopus Novarensis 1636.
Altro Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata. Nel nodo maggiore vi sono
al di dentro a tutto rilievo picciole figure rappresentanti la Natività del
Signore, e sotto questa Iscrizione. Ill.ma D. Marchionissa Victoria de Populis
Donat. Kal. Maji 1664.
Un Quadretto con un Cuor d’oro sopra velluto nero, con Cappio pur d’oro:
donato dall’Ab. Cherrè di Parigi nel 1730.
NUMERO XXXIX.
Una Statuetta d’argento di getto che rappresenta la Vergine in piedi, col
Bambino in braccio, posante sopra un Globo di nubi, e sotto vi è un picciolo
piedestallo di lastra d’argento cesellato con 3 teste di Cherubini parimenti
d’argento di getto. La suddetta, e il piedestallo vengono attorniate da grosso
filo, e lastra d’argento in guisa di fusti, foglie, e fiori di rose. Ai lati del detto
piedestallo sonovi 2 Statuette d’argento, rappresentante S. Domenico alla
destra, e S. Rosa alla sinistra; offerto da occulta Persona.
Una Sottocoppa rotonda di mezzana grandezza, con suo piede il tutto di lastra
d’argento; donolla una pia Persona.
Degno di particolare ammirazione è tutto il soffitto ricoperto di fatti Istorici dal
famoso pennello del celebre Pittore Cristoforo Roncagli detto il Pomarancio.
Dello stesso Autore è il Quadro grande rappresentante un Crocifisso collocato
sull’Altare di Marmo, le Colonne del quale tutti in un pezzo di marmo di
Carrara addimostrano la loro rarità.
Sullo stesso Altare spiccano gli candelieri, carte glorie, e croce di metallo dorato
tempestato di coralli, e di ai lati del medesimo li 2 Torcieri consimili, doni del
Principe d’Avellino.
Il Paliotto d’argento di getto che con li 2 gradini, e basi laterali d’argento ricopre
quotidianamente il detto Altare, è quell’istesso, che nelle maggiori Solennità
serve per l’Altare della Ss. Annunziata. Il detto Paliotto rappresenta in 3
quadri da 4 colonne tramezzati a destra la Nunziata, e a sinistra la
Visitazione, e nel mezzo la S. Casa.
Elevate al piano delle 2 Colonne si vedono le 2 Statue grandi d’argento, una
delle quali del peso di libbre 150 rappresenta la Principessa Adelaide di
Baviera; l’altra del peso di libbre 188, e e mezza, rappresenta il Co: Gio:
Giorgio Clari Barone Boemo di Praga Gran Consigliere di Leopoldo I.
Avanti l’altare dirimpetto alle dette Statue vi sono 2 bellissimi Torcieri grandi
d’argento del peso di libbre 120, donati dal Cardinale Altieri Protettore della
S. Casa, in mezzo alli quali si vede appesa una Lampada d’argento di
egregio lavoro del peso di libbre 25, oncie 4 donata dalla signora Co:
Antonia Breiner d’Harac di Vienna in Austria nell’anno 1769.
A cornu Evangelii del medesimo Altare si conserva in grande Armario il famoso
Quadro d’Altare con cornice dorata in cui si vede al vivo rappresentata dalla
maestra mano di Federico Baroccio la B. V dall’Angelo annunziata.
A cornu Epistolae nell’altro consimile Quadro rappresentante la Natività di M. V.
si ammira l’arte come cui lo perfezionò il rinomato Pittore Annibale Carracci..
A MANO DESTRA DEL TESORO:
NUMERO XL.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; il donò una benigna Persona.
Un Calice, e Coppa dorata, con l’impugnatura, e piede il tutto d’argento di getto
lavorato a basso rilievo, rappresentanti varj misterj della Passione; dono
d’occulta Persona.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra traforata e
cesellata da grappoli di uva; donollo Monsig. Carlo M. Pianetti Vescovo di
Latina nel 1712.
Due Patene d’argento dorato che appartengono ai suddetti.
NUMERO XLI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Simone con Diadema in testa,
e Sega in mano di peso libre 32 e oncie 6.
NUMERO XLII.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo maggiore, con
Diadema in testa, e Bordone in mano di peso come sopra.
Nei lati della vicina Finestra a mano destra in un Quadro bislungo di mezzana
grandezza con cornice dorata si vede rappresentata dal celebre Carlo Loth
l’Adultera condotta avanti al Signore.
NUMERO XLIII.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; dono di pia Persona.
Un Calice d’argento che ha l’impugnatura, e Sottocoppa traforata di getto,
contornato di teste di Cherubini, Angioli con varj Stromenti della Passione, e
Statuette con Iscrizione. D. Isabella Tolfa Doria Duchessa di Evoli 1639.
Una Patena d’argento dorato che va unita al detto Calice.
Altro calice d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata a fogliami, teste
di Cherubini, e Statuette;donollo una incognita Persona Bolognese.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a lastra cesellata con grappoli
d’uva; lo donò il Sig. Giuseppe Giardini di Nola nel 1758.
Una Patena d’argento dorato che accompagna il medesimo.
Altro Calice di lastra d’argento cesellata rappresentante vari Cherubini, e diversi
misterj della Passione, con l’Arme intagliata appiedi di Monsig. De Carolis.
Altro calice dorato di lastra d’argento cesellata a fogliami, e teste di cherubini; lo
donò una benigna Persona.
NUMERO XLIV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo minore con
Diadema in testa, e Bastone in mano, di peso libre 34.
NUMERO XLV.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Andrea con Croce traversa, e
Diadema in testa di peso libre 34, e oncie 6.
NUMERO XLVI.
Due laterali d’argento che vanno uniti al Paliotto già descritto.
Un Semibusto d’argento rappresentante S. Cecilia con Iscrizione al piedestallo.
Georgius e Wisentbaris Cathedralis Nerbipoii Decanus ec. 1727.
Una Croce grande con suo piedestallo d’Ebano con Crocifisso, e ornamenti
d’argento; offerta da Persona divota.
Due Calderuole d’argento, e due Candelieri grandi pur d’argento dorato.
Un incensi d’argento in parte dorato, che nel coperchio forma un Ghiandone
dentro a 3 rami, e fuste di Quercia, lo donò Guidobaldo II della Rovere Duca
d’Urbino.
Una Croce di Ebano, l’anteriore viene ricoperto da diaspro, con sopra un
Crocifisso, e ornamento d’argento.
Vi sono 2 piante di Città d’argento, cioè, la Presidenza di Montalto, e Nancì
Capitale della Lorena con cornice dorata.
MUMERO XLVII.
Una picciola Croce composta di 6 vari pezzi di agata ligata in oro, con fascette
di lastra d’oro, e Crocifisso d’argento di getto dorato con piedestallo
ottangolare ovato, di amatista, e fascia all’intorno d’argento dorato. Due
piccioli Candelieri d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata; donolla
una benigna Persona.
Un Calice d’argento con Coppa dorata con l’impugnatura ed il piede di getto
centinato lavorato a basso rilievo a fogliami, e figure, con Arme, e Iscrizione
intagliata. Domenico Joma Tomacelli Cibo.
Altri 3 Calici d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata con fogliami,
figure, Angioletti, e misterj della Passione, con 5 Patene d’argento dorato
doni tutte d’occulte Persone.
NUMERO XLVIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante S. Tommaso collo Squadro in
mano, e Diadema in testa. Pesa libbre 30, oncie 6.
NUMERO XLIX.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Matteo con Diadema in testa,
Borsa, e Libro in mano, di peso eguale all’altra.
Nei lati della finestra di mezzo a mano sinistra in un quadretto con cornice
dorata si distingue il Pennello dello Sghidone di Parma, che con delicatezza
rappresenta la Natività della B. V.
Il quadretto al lato del medesmo con cornice parimenti dorata addimostra la
Conversione fatta per grazia di Maria SS.ma dell’eretico scrittore Giusto
Lipsio, quale ha voluto che ne apparisca perpetua memoria in una Penna
d’oro fermata nel mezzo d’esso sopra un picciolo ricamo, e nel sotto apposto
seguente distico.
FAUSTE VIRGO PARENS CALAMI; QUAESO; ACCIPE VOTUM
TERRENA UT LINQUENS VERBA SUPREMA FERAT
IUSTI LIPSI ANAOHMA,
In faccia al medemo vi è un Quadretto di marmo di basso rilievo con cornice di
noce ornata di varj riporti di legni dorati, rappresentante la Ss. Annunziata
con Angelo, e Gloria di Serafini donato nell’anno 1703 dal Sig. Giuseppe
Mazzoli di Siena.
NUMERO L.
Un Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a cesello con varie teste di
Cherubini di getto; offerto nel 1725 da pia Persona.
Altro Calice d’argento lavorato a fogliami con diversi Cherubini intorno, e
sottopiede v’è l’Iscrizione. D. Margaritae Carelli Viduae, etc Nobilis Anglae.
Una Patena d’argento dorato che appartieni al detto Calice.
Altri 4 Calici d’argento cesellati parte a fogliami, e teste di Cherubini, e parte
con varj misterj della Passione, con 4 Patene d’argento dorato appartenenti
a medesimi; offerti da incognite Persone.
NUMERO LI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Paolo con Diadema in testa, e
Spada in mano, pesa libbre 42.
NUMERO LII.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Filippo con Dadema in testa, e
con Crocetta in mano, di peso libre 32.
NUMERO LIII.
In questo Credenzone si conserva una parte dei nuovi Argenti fatti per 7 Altari
consistente in 7 Croci, 28 Candelieri grandi, e 14 piccoli, de’ quali se ne darà
a suo tempo un più distinto ragguaglio, allorché saranno terminate le
Carteglorie, Lampade, e Cornucopi, con tutti gli Candelieri per gli altri Altari,
che attualmente si lavorano, e l’altra parte si conserva nel Credenzone al
numero XLVI.
NUMERO LIV.
Un Calice d’argento tutto dorato che ha la Sottocoppa e impugnatura
triangolare, tutto di getto lavorato a basso rilievo con varie figure, festoncini,
Cherubini, Angioletti, e molti Stromenti della Passione; lo donò il Principe, e
Principessa Santobuono Napolitani.
Altro Calice d’argento tutto dorato quasi simile all’altro; fu donato nel 1730 da
occulta Persona.
Altro Calice d’argento tutto dorato, col Sottocoppa di lastra cesellata
rappresentante varj Misterj della Passione, e teste di Cherubini; donollo il
Cardinal Portocarrero.
Altro calice d’argento tutto dorato, e cesellato con molte figure, e semibusti
allusivi al SS. Sagramento; lo donò una Persona benigna.
Altro Calice tutto d’oro, che a là Sottocoppa di lastra traforata, e cesellata a
fogliami, con l’impugnatura parte di getto, e parte di lastra lavorata a
fogliami, e grappoli d’uva; donollo il Cardinale Portocarrero Seniore.
Cinque Patene d’argento dorato, appartenenti ai suddetti Calici.
NUMERO LV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Pietro con Diadema in testa, e Chiavi in mano. Pesa libbre 40.
NUMERO LVI.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Bartolomeo con Diadema in
testa, e Coltello in mano. Pesa libbre 31, oncie 6.
Nel lato sinistro della contigua Finestra si osserva un Quadretto con cornice di
Ebano, ornata di 4 riporti di lastra d’argento traforato, e cesellato a fiorami
con Pitture in pietra negra rappresentante la Madonna di Loreto sopra la S.
Casa portata dagli Angeli, e di al basso un’Ecclesiastico genuflesso, con
appresso S. Francesco, e avanti un Angelo che fuga la morte donato dal
Nobil Uomo Carlo Contarini Veneto.
In faccia al detto Quadretto è il grande attestato della particolare divozione
verso Maria Ss. del Sig. Girolamo Luterio Romano, quali con tutta la sua
Eredità donò il Quadro rappresentante la Natività del Salvatore con la B- V.,
e S. Giuseppe opera stupenda di Raffaele d’Urbino.
Sotto il detto Quadro evvi un quadretto con cristallo, e cornice intagliata, e
dorata, quale rappresentando la B. V. con il Bambino giacente palesa il
merito di Claudio Ridolfi detto il Veronese.
NUMERO LVII.
Una Croce di Busso con moltissime figurine intagliate, rappresentanti il
Testamento nuovo, e il vecchio; la donò il Cardinale Gio: Francesco Albani
nel 1697, che fu poi Pontefice sotto il Nome di Clemente XI.
Altra minor Croce di Busso di egual travaglio; la donò D. Bartol. Nigri di Castel
Casale Mag. Nel 1610.
Una Noce di Cocco di Spagna divisa in 2 parti, in una parte al di dentro è
lavorata in tagli rappresentante il presepio con molte figurine, e nell’altra
l’Adorazione dei Magi, conservata in una Scattola tonda ricoperta di corame
negro; la donò la Sig. Anna Maria Sembrini Maceratese.
Un Quadretto che rappresenta la Ss. Annunziata di lastra d’argento in parte
dorato sopra velluto rosso con cornice nera, contornata di varj riporti
d’argento; donollo un’incognita Persona.
Altro quadretto con cornice nera, che contiene scritti a minutissimo carattere il
Parter noster, Credo, Te Deum ec. E le altre orazioni talmente disposte, che
formano un Crocifisso; lo donò il P. Vincenzo da Mercartello Provinciale de’
Cappuccini della Marca.
Altro picciolo Quadretto di Ebano rappresentante il P. Eterno, lo Spirito S., il
Nome di Gesù, 6 Santi, e la B. V. Nel mezzo; lo donò una Persona occulta.
Sonovi anche diverse Scattole con dentro pezzi d’oro, d’argento, varie gioje, e
moltissime altre cose.
NUMERO LVIII.
Una statua d’argento di getto rappresentante S. Taddeo con diadema in testa, e
Picca in mano. Pesa libbre 31, e oncie 6.
NUMERO LIX.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Giovanni con Siadema in
testa, e Calice in mano. Pesa libbre 34, e 6 oncie.
NUMERO LX.
Una Risurrezione d’argento consistente 4 figure di getto rappresentanti il
Salvatore, e 3 Soldati atterriti intorno al Sepolcro di lastra d’argento, con
diversi pezzi di cristallo, e base pur di lastra con l’Arme di getto della
Principessa Olimpia Ludovisi di peso libre 15 meno un’ oncia.
NUMERO LXI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno; donollo il nominato
Principe d’Avellino.
Due vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXII.
Altro Ramo di Fiori d’argento ornato di coralli, con suo vaso, pur dono del
Principe d’Avellino Napolit.
Due Ampolline d’argento ai lati.
NUMERO LXIII.
Un Giardinetto d’argento ornato di ambra, granate, e cristal di monte. Nel
mezzo scorgesi una Fontana circondata da 4 colonnette di lastra, e 4
Alboretti di getto, con fogliami di lastra, dalle quali innalzarsi un pergolato di
viti il tutto d’argento. Il medemo è contornato da balaustrate, su cui miransi
alquanti uccelli, e Scimmiette, e nel piano in un lato il Giardiniero con Zappa
in spalla, e di una Donna con Vaso in mano, e nell’altro altra Donna che
tiene in capo una Canestra, ed un Fanciullo per la mano; offerto nel 1700
dalla Co: di Lemos Spagnuola.
Ai lati d’esso nel piano sonovi 2 Rame di Fiori d’argento coi loro vasi, ornate di
coralli; le donò il Principe d’Avellino.
NUMERO LXIV.
Una Statua di lastra d’argento cesellata rappresentante S. Paterniano
pontificalmente vestito, che tiene in ampie le mani la Città di Fano, da cui fu
donata. Nel braccio sinistro resta appoggiato il Pastorale pur d’argento. La
medema posa sopra piedestallo dorato, con in mezzo l’Arme della detta
Città, e un Cherubino per lato.
Due Candelieri grandi triangolari d’argento dorato, in ogni lato e di lastra
cesellata d’oro sopra lapislazzoli si vede uno dei Misteri della Passione;
donolli la Casa Borghese.
NUMERO LXV.
Un’Incensiere, e Navicella d’oro con 4 catene dello stesso metallo, il tutto
lavorato a ramoscelli, ghiande, e frondi di quercia; donollo Francesco M. U.
della Rovere Duca d’Urbino. Pesa 9 lib., e 6 oncie.
Una Crocetta d’Ebano, incastrata in lastra d’oro con Crocifisso di getto d’oro
smaltato a varj colori. Due Candelieri compagni alla descritta Croce, ornato il
tutto di granate sardoniche grezze, e pezzi quadri di cristal di Monte; dono
del Cardin. Andrea d’Austria.
NUMERO LXVI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno, offerto dal Principe
d’Avellino.
Due Vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXVII.
Altro Ramo dei Fiori d’argento guernito di coralli con suo vaso, parimenti dono
del Principe d’Avellino.
Due Ampolline d’argento ai lati.
Sopra la Porta del Tesoro da una catenella d’argento resta appesa una
Sciabola con l’impugnatura, e fodero di lastra d’argento dorato, con riporti di
verde antico, ornato di 128 smeraldi, e rubini, 167 turchine, con tracolla, e
passamano d’oro, con 2 fibbie, e attacca glia d’argento dorato con 12
turchine: donata dal Principe Giuseppe Landgravio d’Hassia Darmstade nel
1720.
Nello stesso sito di pure pendente una Galera, Timone, 32 Banchi, 2 Antenne,
fiamma picciola d’argento, 28 remi con punte d’oro, caicchio a pompa, 2
Cannoncini pur d’argento di getto, con altre 3 fiamme, e Bandiera a poppa di
lastra d’oro; offerta da Ferdinando I, Gran-Duca di Toscana nel 1592.
Degna parimenti di osservazione è la generosità del Canonico Raffaelli di
Cingoli quale con 15 quadri fra grandi, e piccioli di varj eccellenti Pittori,
ornati di cornici dorate, e intagliate ha decorato la Sagrestia del Tesoro, e
primieramente il Quadro grande sopra il Lavamano di marmo, che
rappresenta la Scuola della B. V. è opera di Guido Reno; Del Baroccio è il
S. Francesco sopra il Genuflessorio a mano destra, e del Calot il famoso
Quadro ricoperto con cristallo sotto il medemo rappresentante lì quattro
Novissimi.
Il Quadro in alto vicino alla porta della Chiesa rappresentante la Deposizione
del Redentore dalla Croce è opera del Tintoretto, l’altro nel mezzo nella
stessa linea del Bastanese, ed il terzo di Andrea del Sarto.
La Madonna sotto il Quadro della Deposizione di Giacomo Parmegianino, il
Quadretto in rame di Benvenuto Garofolo, e la Madonna vicina alla Porta del
Tesoro di un Scolaro di Raffaele.
Il Quadro grande fralle due finestre rappresentante il Salvatore condotto a Pilato
di Gherardo della notte, ed il S. Girolamo sotto il medemo di Claudio
Veronese, ed essendo varia circa gli altri 4 quadri l’opinione de’ Pittori si
tralascia di asserirne il preciso Autore.
*****************************************
D E S C R I Z I O N E
Delle Poste per diverse Parti a miglia italiane.
Da Loreto a Roma
Loreto città Recanati città m. 5
Sambucheto m. 5
Macerata città m. 7
Tolentino città m.10
Valcinarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenove m. 9
Foligno città m.10
Le Vene m. 8
Spoleto città m. 9
Strettura m. 9
Terni città m. 9
Narni città m 7
Otricoli m.10
Borghetto m. 7
Civita castellana m. 5
Rignano m. 8
Castelnuovo castello m. 7
Malborghetto m. 7
Prima Porta m. 4
ROMA m. 8
___________
Miglia 172
Da Roma a Napoli
Torre a mezza via m. 9
Marino terra m. 6
Velletri città m.10
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Terracina città m. 9
Fondi città m. 8
Itri castello m. 8
Mola borgo m. 9
Garigliano osteria m. 6
Si passa il fiume in barca.
Sessa città m. 8
Torre francolisse m. 8
Capua città m. 7
Avversa città m. 8
Napoli città m. 6
_________
miglia 136
Da Loreto ad Assisi
Recanati città m. 5
Macerata città m. 13
Tolentino città m. 10
Valcimarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenuove osteria m. 9
Foligno città m.10
Assisi città m. 8
_______
miglia 83
Da Assisi a Firenze
Perugia città m .10
Torretta. Osteria m. 9
Corsaja borgo m. 9
Castiglione aretino m. 8
Bastardo osteria m. 7
Ponte a Levar borgo m. 7
Fiughine osteria m. 8
Freghi osteria m. 9
Firenze città m. 8
_______
miglia 75
Da Bologna a Milano per Cremona
Samoggia osteria m, 10
Modena città m. 10
Bonporto m. 8
S. Martino m. 7
Concordia m. 8
S. Benedetto m. 8
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Mantova città m. 6
Castelluccio m. 7
Avoltoi m. 17
S. Giac. della Pieve m. 9
Cremona città m. 8
Pizzighettone m. 12
Zorlesco m. 10
Lodi città m. 10
Marignano castello m. 10
Milano città m. 10
________
miglia 150
Da Milano a Torino
Rosa villa m. 20
Bufalora villa m. 10
Novara città m. 16
Vercelli città m. 15
S. Germano villa m. 10
Torino città m. 10
________
miglia 81
Da Loreto a Venezia
Siloro m. 6
Ancona città m. 10
Fiumicino osteria m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 17
Cattolica osreria m. 10
Rimini città m. 15
Savignano castello m. 19
Cesena città m. 10
Forlì città m. 13
Faenza città m. 10
Lugo castello m. 12
Bastìa m. 12
Argenta m. 3
S. Nicolò m. 10
Ferrara città m. 10
Si passa il Po
Francolino m. 5
Passo di Rosati m. 7
Rovigo città m. 6
Boara m. 2
Solesina osteria m. 8
Monselice castello m. 15
Battaglia m. 3
Padova città m. 7
Lizzasusina m. 10
Venezia m. 5
________
miglia 240
Da Venezia a Udine
Mestre m. 6
Trevigi città m. 10
Lovadina m. 10
Si passa il Piave
Conegliano m. 5
Sacile m. 10
Fontana fredda m. 4
Pordenon m. 7
Valvason m. 8
Gradisca vdi sedian m. 5
Panchianis m. 3
Bressan m. 3
Udine città m. 5
_______
miglia 75
Da Loreto a Bologna
Camerano castello m, 8
Ancona m. 9
Case bruciate m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 6
Cattolica castello m. 10
Rimini m. 10
Savignano castello m. 10
Cesena m. 10
Forlimpopoli m. 8
Forlì m. 5
Faenza m. 10
Imola m. 10
Castel S. Pietro m. 12
Bologna m. 8
__________
Miglia 151
Da Genova a Milano
Pontedecimo borgo m. 7
Borgo m. 8
Isola borgo m. 4
Arquà castello m. 10
Portella osteria m. 10
Tortona città m. 8
Voghera castello m. 10
Bastìa osteria m. 8
Pavia città m. 8
Binasco m. 10
Milano m. 10
________
miglia 93
Da Milano a Trento per Brescia
Cascinabianca ost. m. 7
Martinengo villa m. 22
Coccai villa m. 10
Brescia città m. 10
Ponte di S. Marco m. 10
Castelnuovo m. 9
Valderini osterìa m. 10
Vonborgo m. 10
Rovere castello m. 10
Trento città m. 10
______
Miglia 108
†††††††††††††††
I N D I C E
DELLE COAE NOTABILI CHE SI CONTENGONO
NEL PRESENTE LIBRO
Cap, I Della Città di Loreto, e sua regione Pag. 2
II S. Casa di Loreto, e suo antico culto 3
III Traslazione della S. Casa 5
IV S. Casa, e sue vestigie 8
V S. Casa riconosciuta nella Marca 13
VI Del Tempio Loretano 16
VII Facciata del Tempio 19
VIII Porte del Tempio 21
IX Interno del Tempio 23
X Ornamenti del Tempio 25
XI Ornamenti esteriori della S. Casa 29
XII Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura 32
XIII Degli ornamenti interiori della S. Casa 37
nella parte del S. Camino
XIV Ornamentidella S. Statua 41
XV Ornamento del resto della S. Casa 44
XVI Indulgenze, e Privilegi conceduti alla S. Casa 47
XVII La S. Casa divinamente conservata 52
XVIII Delle Cappellanìe, e Messe, che si celebrano
nella S. Casa, coi nomi dei loro Fondatori. 57
Esatto Catalogo de’ più qualificati Doni che si conservano
nel Tesoro di S, Casa, e pregievoli Pitture 59
Descrizione delle Poste per molte Parti 112
⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛⊛
§N O T I Z I E
D E L L A
S A N T A C A S A
DI MARIA VERGINE
VENERATA IN LORETO
RACCOLTE DAL fu D. ANTONIO LUCIDI
Già Benefiziato, e Custode di detta S. CASA
Estratte dall’Angelita, Torsellino, Saragli,
Renzuoli, ed altri rari Scrittori.
AGGIUNTAVI LA NUOVA DESCRIZIONE
Di tutti li preziosi Doni, che si conservano nel suo
Tesoro; e si conservano e risplendono nella
Santa Cappella, ed in fine le Porte
per diverse parti del Mondo.
In questa ultima impressione ornate di varie
Figure e diligentemente corrette
LORETO MDCCXCII
Nella Stamperia Srtorj con licenza de’ Sup.,
e Privilegio di Sua Santità Regnante.
NOTIZIE
DELLA S. CASA
CAPITOLO PRIMO
Della Città di LORETO, e sua Regione.
La città di Loreto, è posta ai confini della Marca Anconitana, presso le rive dell’Adriatico Mare, ed alla giusta metà del Piceno, la di cui lunghezza dai Geografi, e Cosmografi è tenuta di cento miglia come uni italiane dalla Foglia di Pesaro al Tronto d’Ascoli, e di larghezza cinquanta, dall’Appennino all’Adriatico, riguardando da Levante l’Illirico, a Mezzodì il Reame di Napoli, a Settentrione la Romagna, ed a Ponente l’Umbria. La Marca tutta è paese fertilissimo al parere di molti, che tale la descrissero, e come anche a nostri dì chiaramente si vede. Abramo Ortelio così ne scrive: Habet haec Regio ahrum fertilem, omnos generis frugum copiam producentem etc. è ripartita in pianure coltivate fra Inter posti ameni Colli, che la rendono insieme vaga, ed abbondante di viveri, talmente che ne somministra anche agli Stranieri, e molto ne scrivono Leandro Alberti nella sua Italia, e nella sua geografia Antonio Magni.
La sua riviera è giocondissime, e vaga per giardini, colma di Viti, e fruttiferi Alberi; abbonda pure di Aranci, Limoni, ed Olive, che ne trasmette altrove, come il Maggino afferma, e lo stesso pure lo Storico Lauretano, dicendo: Picenum regio Italiae satis opulenta etc. fu chiamata da Appiano Giardino d’Italia, e da Boezio maestosa Idea, che fa mostra di sé al Colle Lauretano. Nei tempi andati fu ornata di più città, e più magnifiche, che al presente, ed ora nella Marca novella contansi da trenta Città con i suoi Vescovi popolata del pari, che adorna di moltissime Terre, e Castelli, delle quali ne scrivono Tito Livio, Tolomeo, Plinio, Pietro Mario, Silio Italico, e Giulio Cesare. Evvi di Ducato di Civitanova, e vi è Fermo con quarantotto Luoghi di suo antico dominio. Vi è il Presidato di Montalto celebre per aver dato alla Chiesa Sisto V, Francescano.
Vi si contano i Governi di Ascoli, Fano, Ancona, ora ornata del Porto franco, Jesi, San Severino, Fabriano, Camerino, e Macerata,ov’è la Pubblica Rota, e Gran Tribunale di tutta la Provincia come ancora la Tesoreria della Marca, e pubblico emporio della regione: Città doviziosa, e comoda, ove continuamente concorrono i Popoli al suo Governo soggetti con ogni sorta di vettovaglie, senza verun dazio delle robbe, e merci; dei quali privilegj godé sempre Loreto, per ordine proprio di Giulio II; Leone X, e Sisto V, i quali la propagarono di Abitazioni, la cinsero di Mura, e la fornirono di Baloardi, e Terrapieni. Nel 1765, poli sono stati i medesimi restaurati per ordine di Roma, e presidiata la Città di Soldati, e ben provveduta di ogni sorta d’armi per schermirsi da qualunque nemico insulto, oltre l’Armeria pubblica per difesa di S. Casa, suo Tempio, e Palazzo, da lungo tempo eretti, per contestazione di che descrisse Ortelio: Lauretum muris, fossis, etc. Turribus cinctum, atque propulsatariis armis instructum.
In tal modo assicurata la città con le armi, Clemente VII procurò di abborracciar l’aere, facendo seccare le acque stagnanti, e recider le selve che eranvi intorno: la qual’opera fu poi Pio V proseguita.
Fu parimenti da Clemente VII suddetto atterrato in gran parte il vicin Colle , che sovrastava al Loreto, e continuata tal’opera da Sisto V, apertavi in esso la via Romana da Gregorio XIII fra i Monti Appennini, per comodo di venire da Roma a Loreto in carrozza.
CAPITOLO II
SANTA CASA di Loreto, e suo antico culto.
Il santuario più celebre, è frequentato fra quanti se ne ve n’erano nella Chiesa, Cattolica da’ suoi fedeli più favorito dal Cielo con non mai interrotti prodigi, e miracoli è quello, che si venera in Loreto, piccola, ma felice città del Piceno. Non è altro questo, che la S. Casa, ora detta di Loreto, la quale fabbricata in Nazaret, fu propria ed abitata dai Ss.Coniugi Gioacchino, e di Anna, l’uno di Nazaret, e l’altra di Bettelemme. Qui fù conceputa, data alla luce, ed è allevata MARIA Ss. Loro unica, e di un’inigenia Figliola fino al terz’anno della di lei età, dopo la quale condotta da loro, e consegrata a Dio nel Tempio di Gerusalemme. Morti quivi i S. Genitori, Ella ne restò erede; e data poi in Isposa all’uomo castissimo S. Giuseppe vennero insieme ad abitarla, e vi dimorarono fino alla partenza di Bett. Fu ella ancora in questa med, Casa visitata dall’Arc. S. Gabr, annunciando l’Incarnazione del Verbo nel di lei purissimo Seno; e ricevuto da lei il consenso divenne vera Madre di Dio, e il Divino Verbo d’umana spoglia ammantato suo vero Figlio; e conseguentemente in questo sacrosanto Albergo si dié principio, anzi si gettò il fondamento all’umana Redenzione. Ritornata poi dall’Egitto la tornò ad abitare con di lei S. Sposo Giuseppe, finché questi in essa compì i suoi giorni; e col Santissimo Figliol suo fino all’in cominciamento della predicazione, cioè al trentesimo anno della sua età, il quale appunto per sì lungoa dimora fatta in questa S. CASA, ancorché nato forse in Betlemme, fù poi sempre chiamato Gesù Nazareno. Tornò Ella più volte ancora ad abitarla con S. Giovanni; e con S. Luca, dopo l’Ascensione del Signore, dove i Ss. Apostoli si congregavano per conferire e decretare cose spettanti alla nuova legge di grazia alla presenza di lei lasciata loro dal Redentore direttrice, e maestra.
Per tali, e tante maraviglie, misterj operati in questa S. CASA fu tenuta da’ Ss. Apostoli, e dai primi Fedeli in grande venerazione, e consagrata in Tempio per celebrarvi i Divini Ufficj. È però dentro di essa innalzato da’ medesimi un’Altare con l’Immagine del Redentore Crocifisso vi celebravano la Santa Messa, vi dispensavano l’Eucaristico Pane, e vi facevano orazione. Che se in altri luoghi ove Gesù Cristo aveva operata qualche azione singolare, sanno molti Sagri Autori, che vi furono edificate Chiese, ed Altari; quanto più si dovrà credere, che i Santi Apostoli la consacrasse, e l’avessero come Chiesa, non essendo altra Chiesa, che più meriti d’essere così chiamata quanto questa, ove lo stesso Iddio prendendo umana spoglia volle essere conceputo dalla sua Vergine e Madre Santissima; esser nudrito, allevato, ed abitare corporalmente con gli Uomini: ove con umiltà impareggiabile soggettossi non solamente a’ voleri della sua Genitrice, e del putativo suo Padre: erat subditus illis: ma ancora ai sudori, alle fatiche, erat quasi annorum reiginta ut putabatur filius Joseph. Laonde que’ primi Fedeli vedendola così onorata, e frequentata dai Ss. Apostoli se ne affezionarono talmente, che per molti anni seguirono anco essi a frequentarla, e venerarla, chiamando la Casa dell’Incarnazione del Verbo Domus Incarnationis.
Benché nell’anno 137, della nostra Redenzione Adriano imperatore facese profanare i principali luoghi di Terra Santa ponendovi Statue, ed Altari de’ falsi Dei, acciò che in avvenire i Fedeli non potessero più in essi piegar le ginocchia, e farvi orazioni; tuttavia la S. CASA non può mai come quelli profanata, ma sempre continua, e stabile vi perseverò la dovozione, e la frequenza. Anzi l’anno 300 quando S. Elena Madre del gran Costantino si portò a venerare quei luoghi Santi, e a toglier loro l’abominazione, giunta a Nazaret la vennerò, e la fece circondare d’un magnifico Tempio, nella fronte del quale, fece porre questa iscrizione: Haec est ara in qua primun jactum est humanae salutis fundamentum. Quindi ha bene, che vieppiù si accrebbe la divozione, ed il concorso non sono di Asia, e di Africa, ma ancora della nostra Europa, e per molti secoli si conservò. Indi non poche rivoluzioni successero in quelle parti, possedendo la Palestina diversi Principi. Finalmente l’anno 1245, essendo restata tutta in potere de’ Parti, S. Lodovico, l’ottavo di questo nome, Re di Francia, vi andò con poderoso Esercito per liberarla, ma non riuscito nell’intento, a cagione della peste, che indebolì il suo Esercito, vi restò schiavo. Perloché venuto a composizione cogl’Infedeli, recuperò la libertà. Prima però di allontanarsi da quelle parti volle portarsi in Nazaret e a venerare la S, CASA.
Era quel giorno la vigilia della Festa dell’Annunciazione della Ss. Vergine, la quale passò in digiuno di pane, e acqua.Pigliata la via del monte Tabor appena da lontano la vidde, che sceso da Cavallo si prostrò in terra ed umile l’adorò.
La mattina giorno della Festa, vestito di cilizio si portò appiedi alla S. Abitazione, ove con segni di Cristianissima Religione ascoltata la Messa, che fece cantare con gran solennità, ed apparato, si cibò dell’Eucaristico Pane. Serva tutto questo di chiarissima prova in qual concetto, e venerazione fosse stata sempre appresso de’ Fedeli, la S. CASA:. L’esempio del Santo Re fu tale, che non sono efficacemente mantenne la frequenza, e la divozione ad essa; ma vieppiù l’accrebbe, e la dilatò.
CAPITOLO III
Traslazione della SANTA CASA
restato libero agl’Infedeli il possesso della Palestina, che fu l’anno 1291, mancò la frequenza a quei Santi luoghi per timore della fierezza dei Turchi, tuttavia non mai si spense affatto; poiché trovandosi quelli o in Gerusalemme, oppur vicini a qualche città principale, alla quale era l’accesso se non sicuro, almeno non tanto pericoloso per cagion del commercio, la S. CASA solamente come quella ch’era lontana, nella Galilea, e fuor di mano restò del tutto abbandonata, ed esposta alle abominazioni qual gemma. In mezzo al loto;Sicché le fù impedito affatto l’accesso non solo de’ lontani, ma degli stessi Galilei. Io però come quelli, che sempre veglia all’onor della sua Genitrice, a favore della quale non cessa di mostrarsi ora terribile ai nemici di essa, ed ora agli amici soave, e benefico, prevedendo le innumerabili scelleraggini, che si sarebbono commesse in quella Ss, Abitazione, nello stesso anno la fece spiccare dagli angeli dal suol nativo di Nazaret, e trasferire, come Elia nel Paradiso Terrestre, ed Abacuc nel lago di Babilonia, in luogo ove fedeli la potessero come prima con libertà frequentare. Nell’anno adunque di nostra redenzione 1291 ai 9 maggio, del pontificato di Niccolò V, da Nazaret e fu trasportata nella Schiavonia vicino alle rive del Mare Adriatico sopra un Colle, fra le due Terre allora di Tersatto, e di Fiume. Appena si accorsero gli abitatori della casa non mai ivi per l’addietro veduta, che in gran numero concorsero a contemplarla prima esternamente, poi nell’interno ancora: E fissando lo sguardo nelle antiche pareti, nell’Altare, nell’Immagine della gran Madre di Dio si sentirono sorprendere da un insolito sacro orrore, e tenerezza, che prostrati nel suolo, e compunti vi adoravano la Maestà Divina. E benché eglino non sapessero di chi fosse, d’onde fosse venuta, e come ivi portata; tuttavia restavano attoniti ringraziando Dio, e la gran Vergine del benefizio. Con molti segni, e prodigj la medesima Vergine di giorno in giorno faceva loro intendere, che quella era la di lei S. CASA.
Fra gli altri, due furono i principali. L’uno l’istantanea guarigione di Alessandro Priore di San Giorgio di Tersatto, il quale sin da tre anni si trovava idropico confinato in letto già gonfio, e quasi immarcito senza alcuna speranza di corporale salute. Inteso da’ Domestici il portentoso arrivo di quella Casetta, e che la Madre di Dio, di cui v’era l’Immagine faceva grazie particolari, di vero cuore se le raccomandò. Ella gli apparve la notte pietosamente consolandolo; e gli rivelò cos’era quella Casa, i misteri ineffabili in essa operati, in che modo fosse stata portata, e da che parte: e in questo mentre si sentì perfettamente guarito. Stupefatto si alzò dal letto, e la mattina manifestò al suo popolo il gran prodigio; e perché era Uomo di autorità con prontezza creduto. L’altro fu che Niccolò Frangipani Nobile Romano, allora Governatore di quella Regione detto Ban di Croazia, e Schiavonia per l’imperatore Ridolfo I, e insieme Signor di Tersatto, appena avvisato del prodigio vi si portò, la vidde, la considerò attentamente, e ancor egli prostrato vi adorò l’Imperatrice dell’Universo. Ma oltre la relazione d’Alessandro di San Giorgio, e la di lui guarigione istantanea, e manifesta, volle maggiormente accertarsi. Perlocché scelte quattro persone le più prudenti, e fedeli del Paese, e fra queste lo stesso Alessandro, le spedì a Nazaret e colle misure, acciò dal confronto di queste, dalla contemplazione del luogo, e dalle relazioni dei Nazareni medesimi venissero in cognizione del lor Tesoro. Partono subito, e giunti felicemente colà trovato il sito ove era la S. CASA mirano il pavimento restato, e i fondamenti, come appunto fossero stati tagliati a pian di suolo; e scontrate le misure le trovano giuste, e uniforme. Poi dalle informazione di que’ sconsolati pochi Fedeli, che ancora non avevano abbandonato Nazaret, e dal compiuto seco loro fatto della partenza di quella Casa vengono in cognizione della di lei ammirabile Traslazione fra loro. Sì che giubilanti tornati in patria, accertano il loro Signore, e il popolo tutto, che quella Casa fra loro portata è la Casa di Maria Vergine, ov’Ella concepì l’Eterno Verbo per noi fatto Uomo. La qual cosa divulgata, si aumentò in que’ popoli, ed è in queste vicine Province la divozione alla gran Madre di Dio, ed il concorso alla di lei S. CASA.
Ma siccome nell’eterna Sapienza aveva disposto, che la Schiavonia, e Tersatto fosse unicamente come la casa di Obedenon depositaria dell’Arca, e non mai posseditrice; così dopo tre anni, e mezzo di dimora in quelle parti fu trasferito con lo stesso Ministerio Angelico questo sacrosanto Albergo dalla Schiavonia nella Marca d’Ancona, e da Tersatto in Loreto. Accadde nel 1294 ai 10 Dicembre, nel Pontificato di S. Celestino V, cioè tre giorni prima che egli rinunziasse il Pontificato. Gli successe Bonifacio VIII. Il sito dove fu posato fu il lido dello stesso mare Adriatico per contro alla Schiavonia in una selva del Territorio di Recanati, di cui era padrona una Nobil Donna della Città medesima chiamata Laureta, dalla quale poi derivò il nome della S. CASA di Loreto. Ma perché quivi concorrendo in gran numero i divoti mossi o dall’insolito prodigio, o dalle continue grazie, che si ottenevano dalla gran Madre di Dio, erano molestati da’ Ladroni, che nascosti nelle vicine selve incendiavano le loro vite; dopo la dimora in questo luogo di otto mesi, cioè nel 1295 fù trasferita con lo stesso prodigio più verso Recanati sopra di un Colle di due Cittadini Fratelli. Ancora quì fù breve la dimora; poiché venuti fra di loro a contese, volendo ciascun di loro appropriarsi l’offerte, che si facevano da’ divoti, fu all’improvviso, non più ivi veduta, ma bensì trasferita al solito prodigiosamente non più d’un tiro di frezza lontano posata in mezzo della pubblica via, che da Recanati conduceva al suo Porto. E benché fosse così spesso trasferita, non partì mai dal territorio di Recanati: ed è la prima posata, che pur nella selva, ritenne mai sempre il nome della S. CASA di Loreto.
CAPITOLO IV
SANTA CASA, e sue vestigie.
E’ cosa veramente ammirabile come l’increata Sapienza abbia voluto, che ovunque è stata la S. CASA sia restato notabile vestigio di lei, e memoria particolare. Quando stava nel primo suolo di Nazaret, S. Elena, come si disse, le fece fabbricare intorno un magnifico Tempio, di cui presentemente si vedono le vestigia, ed i frantumi; e dopo che gli Angeli la staccarono dai suoi fondamenti, e la posarono nella Schiavonia, vi rimasero, ed ancora vi sono, il pavimento e i fondamenti, che giungono fino al piano del suolo. Nel Colle di Tersatto, in mezzo alla cui cima in vaga pianura, chiamata in loro lingua da quella gente raunizza, ove fu posata, e poi tolta la S. CASA, Niccolò Frangipani per memoria, e consolazione de’ sconsolati suddetti sopra le di lei vestigie vi innalzò una piccola Cappelletta simile a lei; e vi fu aggiunta a questa poi da’ suoi discendenti una Chiesa, ed un Convento dei Padri dell’Osservanza Riformati di S. Francesco, nella quale fù posta questa iscrizione incisa in pietra, che fino al presente si legge, cioè: Hic est locus in qua olim fuit Sanctissima Domus Beatae Virginis de Laureto, quae nunc in Recineti partibus colitur.
Nel luogo, dove nel Piceno la prima volta fu posata; e vi dimorò; come si disse otto mesi, finché vi durò la Seiva di Laureta, che fu fino all’anno 1275 sempre vi si sono vedute le di lei vestigie nel suolo. Anzi entro lo spazio delle quattro parti non vi nascevano spine, né ortiche, come ivi d’intorno, e per tutto solevano nascere, ma solamente erbette tenere, e fiori. Chiamasi questo luogo sin da quel tempo la Bandirola, e i Pellegrini andavano per devozione a visitarloi. Questo prodigio dei fiori si vedeva sin dal tempo di Girolamo Angelita, com’egli stesso afferma scrivendo al Pontefice Clemente VII. Inoltre è fama universale, che quando gli Angeli, portando la S. CASA si avvicinarono alla Selva, che noi diciamo Tufa, di color castagno rozzamente riquadrate in forma di mattoni nostrani, ma ineguali talmente fra loro, o per lunghezza, per altezza, che l’una mai confronta con l’altra. La forma quadrangolare, ma lunga, e non ha altro pregio, che nell’antichità. Misurata internamente è lunga 42 palmi romani, e 10 oncie, larga 18, e 4 oncie, ed alta 19, e 4 oncie. Prima che esternamente fosse adornata de’ marmi, e sculture avea il suo tetto aguzzo, sopra del quale si vedeva un semplice Caminetto, ed un piccolo Campanile, con due campanelle, come si vede in alcune povere Chiesole. Internamente sotto questo v’era una tavola come per volta, che noi diciamo soffitto dipinto di color azzurro, e partito in piccoli quadretti, ciascuno dei quali aveva nel mezzo una Stelletta di legno dorato. Sotto questo immediatamente seguivano attorno le S. Mura lunette informate di stucco di mezzana grandezza, le quali si toccavano insieme, ed avevano ne’ lor mezzi incastrati alcuni vasi di terracotta vetrati. È opinione, che questi vasi fossero stati ad uso della S. Famiglia, adoperati dalla Ss. Vergine a preparar il cibo a Gesù Cristo Figliuolo suo, e al suo casto sposo S. Giuseppe, e che i Ss. Apostoli come S. Reliquie di li collocasse a il luogo così eminente.
Le S. Mura, come dalla pianta che qui si pone, sono di grossezza 2 palmi, e 7 oncie, ma fatti non molto a misura, e a perpendicolo, nelle quali dalla metà all’alto, si vedono certi vestiti si di pittura assai antica, e dalla metà al basso le nude pietre, essendo stata dalla gran frequenza dell’affollato popolo consumata la calce.Nel S. Muro volto a Tramontana, che parmi dovesse essere la facciata della S. Abitazione, vi era quasi in mezzo una porta, ed era l’unica, alta 10 palmi, e larga 6, e 3 oncie, simile a quelle, che da poveri si usano, e per architrave aveva un rozzo Legno, che tuttora si mira in esso muro incorrotto e senza tarlo. A mano sinistra era un piccolo Armario che ancora sussiste, alto 3 palmi, e 6 oncie. È fama, che in questo Armario tenesse la Ss. Vergine la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Nel vicino muro a Ponente v’era una finestra alta 4 palmi, e palmi 9 alta da terra. Dirimpetto nel muro volto ad Oriente vi era basso, e piccolo camino alto 6 palmi, e 2 oncie, largo 3, e 5 oncie, di manifattura come le altre case, povera, ed ordinaria. Finalmente nel muro volto a Mezzo-Giorno dirimpetto alla suddetta Porta (ora chiusa con muro) v’era l’Altare alto 5 palmi, e il lungo 6, e 3 oncie con l’Immagine del Redentor Crocifisso dipinta da S. Luca, che per maggior consolazione de’ fedeli qui viene dimostrata; sul cui Altare è fama che celebrassero i S. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, e per ordine di Clemente VII fu trasferito in mezzo alla S. CASA verso il Camino, e il quadro fu posto sopra la finestra. Entro lo stesso muro verso l’angolo destro, v’era incavata una nicchia ove era collocata la S. Statua della gran Madre di Dio col suo Bambino in braccio, ora trasferita in mezzo al muro d’Oriente sopra il S. Camino. Ella è tutta di rilievo intagliata in legno di Cedro, alta 4 palmi, e il Bambino un palmo, e 8 oncie. Stà dritta in piedi, e tiene con la sinistra il suo Figliuolo verso la cinta, e con la destra, fatto un piccolo gruppo con le pieghe del manto, le sostiene. La faccia della Madre, e del Figliuolo è miniata di incerta mistura, che pare argento, ma pel tempo, e per continuo fumo de’ lumi è divenuta affatto bruna. In capo, intagliato nello stesso legno, come un velo, o panno bianco, sopra il quale posa una corona fatta a punte. I capelli sono lunghi ondeggianti, divisi, e sciolti, che discendono alle spalle alla Nazarena come ancora è la veste lunga sino a piedi di color rubino lumeggiata d’oro, stretta ai fianchi da una cinta di fondo dorato ornata di vari fioretti rossi, e verdi di figura piana, e larghetta parte della quale pende dal nodo, e va a nascondersi sotto il manto, che è di colore azzurro con fodera di color carminio, sparso di stellette dorate. Posa diritto in piedi il Bambino sopra il gruppo del Manto sostenuto dalla destra materna. È vestito ancor Egli alla Nazarena, con veste, e manto, conforme a’ colori di quello della sua Genitrice. Colla sinistra sostiene un piccolo globo significante il Mondo, e con la destra stà in atto di benedire col pollice, indice, medio alzati, e le due altre dita strette alla palma. Ambidue nella positura, e ne’ sembianti mostrano un’amabilissima Maestà, che sorprendendo, danno insieme conforto, e tenerezza. Si trovava in questo stato la S. CASA quando da Nazaret in Schiavonia, e da essa in Loreto fu traslata. Dell’altra disposizione, che poi le fù data d’ordine di Clemente VII se ne tratterà diffusamente a suo luogo, ed ora per compimento del capitolo presente, e per maggiore soddisfazione de’ divoti, si pone qui la Tavola dello spaccato, ossia interno della S.CASA, acciò i lontani la possino avere in qualche modo sotto gli occhi, e dei presenti da loro medesimi possino confrontare le cose, e i siti esposti in questo capitolo, e così confermare, ed accrescere la loro divozione.
DICHIARAZIONE DELLA PARTE INTERIORE DELLA S. CASA
Santo Muro a Settentrione
N.1 Volta della S. CASA fa d’ordine di Paolo III, col suo occhio in mezzo, e grata di ferro, la quale posa solamente sopra le mura, che sostengono i marmi esteriori, distinte affatto dalle S. Mura.
N. 2 Piccolo Armario fabbricato con lo stesso muro con traversa di legno incorrotto, e senza ombra di tarlo. È fama come si è detto, che qui la Ss. Vergine conservasse la S. Bibbia, e i Ss. Apostoli l’Eucarestia.
N. 3 Porta unica ora serrata, che aveva la S. CASA, col suo architrave sopra senza Carlo, e di incorrotto. Fu ferrata per ordine di Clemente VII con aprirne altre, che fossero più atte al numeroso Popolo.
N. 4 Porta moderna corrispondente ad altra aperta per più comodo del Popolo.
N. 5 Sasso portato via, e miracolosamente da sé ritornato al suo luogo. Per segno a una grappa di ferro.
N. 6 pitture antiche fatte in Nazaret e dipinte a fresco su S. Muro.
N. 7 cornicione della volta, che posa ne’ muri de’ marmi.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato delle S Muro incorrotto, e senza tarlo.
, Santo Muro a Mezzo-Giorno
N. 1 Credenzino, ove si conservano recentemente le reliquie. E’ tradizioni come si disse, che questo fosse il sito e parte della Nicchia, ove fu trovata la B.ma Vergine; e l’altra parte fosse levata nell’aprirsi la nuova Porta del Santuario, comunemente chiamata del S. Camino.
N. 2 Porta del Santuario, o S. Camino a perdita d’ordine di Clemente VII, per comodo dei Sacerdoti, e per ritiro de’ Personaggi.
N. 3 Altra porta corrispondente all’altra, fatta aprire dallo stesso S. éontefice per comodo del popolo.
N. 4 Pila di pietra per uso dell’Acqua Santa fermata nel S. Muro, venuta con essa da Nazaret.
N. 5 Armario dell’Ampolline per le Messe.
N. 6 Pietra del S. Muro fatta estrarre con breve di Pio V da Giovanni Soarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, il quale della Ss.Vergine fu obbligato restituirla, per segno è circondata da una picciola lama di ferro.
N. 7 Immagine di S. Ludovico VIII, Re di Francia dipinta in Nazaret nel S. Muro.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato nel S. Muro tuttavia senza tarlo, e incorrotto. Da questi legni così incastrati, e poi segati si suppone, che anticamente nella S. CASA vi fosse qualche divisione, per cui si formassero due stanze.
N. 9 Cornicione della volta, che posa sopra i muri, che sostengono i marmi.
N.10 Altre pitture antiche fatte a fresco in Nazaret.
Santo Muro d’Occidente.
N. 1 La Croce di Legno con l’Immagine dipinta sopra di essa del Crocifisso alta 5 palmi, ed altrettanto larga, l’asta, e le teste 2 palmi. Venne questa da Nazaret colla S. CASA, ed era il Quadro dell’Altare. I Principi d’Aragona gli fecero una Cappella nel Tempio, ove fu trasportata più volte, e sempre miracolosamente ritornò in questo sito. È fama, che tanto questa, quanto la statua della Ss. Vergine, siano opere di S. Luca Evangelista.
N. 2 Unica finestra della S. Casa ora d. della Nunziata.
N. 3 Legno incastrato nel S. Muro, e poi segato senza tarlo, e di incorrotto.
N. 4 Volta della S, CASA sostenuta dal muro de’ marmi.
Santo Muro d’Oriente.
N. 1 Statua di Cedro della B. Vergine col suo Bambino venuta da Nazaret colla S. CASA, la quale tuttavia dopo anni 498 della sua venuta in Loreto si mantiene incorrotta, e senza nemmeno ombra di tarlo.
N. 2 Il S. Camino tanto ad uso della S. Famiglia di Gesù, Giuseppe, e Maria.
N. 3 Credenzino, ove si conserva la veste della S. Vergine, e nel disotto una delle S. Scudelle.
Nel Mezzo
Altare formato della stessa materia delle S. Mura, ove celebravano la Messa i Ss. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, detto altare di S. Pietro. L’antico sito era nel S. Muro posto a Mezzo-Giorno, come si disse, dirimpetto all’antica Porta, trasferito ora nel mezzo per ordine di Clemente VII con l’aggiunta della grata, la quale divide la parte del Santuario detta del S. Camino dal resto della S. CASA.
CAPITOLO V
S.CASA riconosciuta nella Marca.
Osservate i Recanatesi le varie mutazioni fatte dalla S. CASA in così poco spazio di tempo, benché niuno di loro sapesse, che Stanza o Chiesa fosse mai quella; nulladimeno restavano stupefatti, riverenti, ed insieme divoti della gran Madre di Dio, nella quale vedevano la di lei Immagine, ed ogni giorno diverse grazie, e miracoli farsi a quelli, che, piamente visitandola di vero cuore se le raccomandavano. Ancora di tempo in tempo veniva a visitarla alcuni della Schiavonia o collocazione di traffico, oppure mossi dalla fama sparsa di tali miracoli, di quelli che trovavano presenti sospirando, e con lacrime dicevano,ch’eglino di quella S. CASA erano stati i fortunati possessori, indi da Dio privati. Queste, ed altre cose dicevano, ma non v’era chi loro ponesse mente, o credesse. Quando un divoto romito, che ivi spesso si tratteneva in orazione, sentendo un dì tali cose narrare, ed osservando la loro affliizione, o per desiderio di saperne la cagione, o per caritativamente consolarli minutamente l’interrogò. E da quelli intendendo, che quella sacra Abitazione era stata da loro posseduta, e venerata in Tersatto, trasferita miracolosamente da Nazaret, e che era la stessa Casa, ove nacque la Ss. Vergine, ove vi concepì l’Eterno Verbo, lo allevò, e lo nutrì, entrò in desiderio di saperne dalla medesima Vergine la verità. Dopo molti digiuni, ed orazioni fu consolato. Gli apparve Ella, gli rivelò come aveva fatto ad Alessandro di Teriata, i misteri operati in essa Casa trasferita dalla Galilea, e dalla Schiavonia in quel luogo per ministero Angelico, senza dimora si portò in Recanati a manifestare il prodigio, e la inesplicabile sorte a’ Maggiori della Città. Nel principio a cagione dell’insolito portento, e per la grandezza della cosa, non fu creduto: ma poi a poco a poco animando molti particolari, operò in modo, che fu risoluto di spedire nella Schiavonia, a Tersatto, indi nella Galilea a Nazaret Persone non men fine, prudenti per certificarsi della verità. Furono adunque spediti sedici uomini scelti dalla Provincia della marca a pubbliche spese colle misure della S. CASA, fu l’anno 1296. Giunti in Tersatto, sono appieno informati da quei Abitatori ancor mesti della venuta fra loro, della dimora, e della partenza della S. CASA; e condotti al luogo, osservate le vestigie, sopra delle quali i Frangipani avea fatta innalzare una Cappelletta, con la quale confrontare le misure, e fatto il calcolo dei tempi in tutto corrispondente partono tutti lieti per Nazaret. Quivi giunti, furono da quei Popoli fedeli rimasti, appieni informati, e condotti al luogo. Ivi vedono in frantumi, le rovine del Tempio di S. Elena ruinato dagli Infedeli, e tra queste mirano il pavimento, i fondamenti della S.CASA restati nel suolo, e adattate le misure seco loro portate, le trovano giuste, e conformi, e della stessa materia della Casa loro miracolosamente trasferita, onde tieni di giubilo ritornarono in Recanati. Informarono tutti di quanto trovato aveano in Tersatto, e in Nazaret, e che dai segni, e dalle relazioni avute non avevano alcun dubbio, anzi certezza, che quella tra loro fosse la vera Casa della Madre di Dio già stata a Nazaret. Si accrebbe comunemente negli animi dei Marcheggiani la divozione, e lo zelo verso la S. Abitazione, e la Regina del Cielo, che la costituirono Protettrice, e Padrona di lor stessi, e della loro Provincia. Sparsa appena la voce, e il nome della S.CASA, Abitazione di Gesù Cristo, prima Chiesa della legge di grazia, consagrata con tanti misteri, che non solo i Recanatesi, e i Popoli vicini, ma ancora i lontani a cento , o mille venivano processionalmente con Musiche, ed abiti diversi a venerarla, e riconoscerla. Crescevano per mezzo di lei le grazie, e i miracoli, e con questi ancora la divozione, ed il concorso. Tantopiù che talora si vedevano sopra la S. Abitazione di notte alcune fiamme, che tutto quello spazio d’intorno empivano di meraviglioso splendore. Il vescovo di Recanati ne informò il Pontef. Bonifacio VIII, coll’ordine del quale fabbricò il Borgo di Loreto. Il medesimo Pontefice persuaso del celeste prodigio, ed acceso di tanto zelo, conferì molto alla devozione, e al concorso, poiché nel 1300 fece pubblicare la prima volta l’anno Santo per impetrare da Dio la pace. Questa santa novità diede ai Fedeli un grand’animo di andare a Roma per sì grand’Indulgenze, e quelli che potevano passare per Loreto, con allegrezza particolare visitavano la S.CASA.
Intanto i Recanatesi, nel dominio dei quali era il Borgo di Loreto temendo che la S. Magione, per essere qui sola, senza fondamento, ed appoggio col tempo potesse rovinare, pensarono al provvedimento. Vi fecero un muro di mattoni contro i fondamenti così vicini alle S. Mura, che in qualunque accidente di pericolo le sostenesse. È fama antichissima come afferma il P. Battista Mantovano, che quasi elle contente del divino appoggio, sdegnassero quello dell’arte umana; e per divina virtù fecero da loro stesse allontanare le nuove mura.Il P- Torsellino aggiugne di avere udito lo stesso del P. Raffaele Riera, Uomo di singolare autorità, ed informato di questa verità da chi aveva il tutto coi propri occhi veduto. La distanza era, che fra il nuovo muro, e quello della S. CASA vi poteva comodamente passare un Putto con una torcia in mano, e così restarono fino al tempo di Clemente VII, quando fu innalzato il nuovo muro pe’ marmi, il quale al presente ancora il lontano dalle S. Mura, come pazientemente, si vede da una fessura vicina alla porta di tramontana, nella quale si suole porre una piccola candela accesa, a di cui lume apparisce questa distanza. Crescevano intanto con la frequenza dei Popoli i doni, e le limosine
V’era più luogo ad altri Voti ancor preziosi. Forse (stimano alcuni autori) per dar luogo a questi, che si risolvesse di elevare dalla sacra cappella l’antico Crocefisso Quadro dell’Alt., e ne seguisse il Miracolo d’essere trovato all’antico loco. Gli stessi Recanatesi per la medesima cagione, e per comodo al gran concorso di fabbricarono attorno ampi portici, ornandole di pitture, che esprimevano le traslazioni, ed insieme innalzarono un Altare appoggiato al S. Muro di Ponente nella parte esteriore sotto la finestra, detto poi dell’Annunziata, perché non potendo tutti per la gran moltitudine entrare nel A. Recinto ad ascoltare la Messa, almeno udir la potesse in altra parte.
Sebbene ogni giorno era quasi festivo, e solenne per il concorso dr’ Divoti, tuttavia la Ss. Vergine volle mostrare qualche giorno le fosse più grato, che ivi con maggior Solennità si celebrasse. E fu che Paolo di Montorso Romito, che abitava in un vicino Bosco, e che questo si intratteneva orando nella S. CASA, osservata per lo spazio di dieci anni continui, che sulla mezza notte delli 8 Settembre scendeva dal Cielo una fiamma, e si posava sopra di lei; perlocché si pose a supplicare la Vergine, che la cagione le manifestasse: Ella apparendogli, disse, che siccome in quel giorno si celebrava il Natale di lei succeduto in quella casa, così voleva che nella medesima solennemente si celebrasse. Ne diede parte al Vescovo, e ai Maggiori di Recanati, i quali lietamente, e prontamente ubbidirono con far solenne quel giorno: tanto più che ogni anno seguitava a vedersi tal fiamma. Era questa così palese, che non restava persona, che oro dalle mura della Città, o dalle finestre, e dai tetti delle loro Case non mirasse spettacolo così divoto. Durò, dicono i Scrittori, a vedersi fino al tempo di Paolo III. Accertati in questo mentre i Pontefici della verità, con Privilegi, ed Indulgenze particolari accrebbero la Solennità, ed il concorso. Passa la fama delle prodigiose fiamme, dalle città vicine alle lontane, si aumentò il concorso de’ divoti, per lo che i Recanatesi stimando convenirsi accrescere le Abitazioni per ricevere i Pellegrini, e Confluenti, e per accrescimento di comodo de’ Sacerdoti Ministri, circa all’anno 1322, fabbricarono una Chiesa, e molte case, talmenteché il Borgo finora di Loreto, fù innalzato all’essere di Castello.
CAPITOLO VI.
Del Tempio Lauretano.
Era cresciuta molto la diminuzione dei Popoli verso la S. CASA, ma non mai tanto come quando dai principali Personaggi del Mondo fu solennemente visitata. Furono questi moltissimi sì Ecclesiastici, che Secolari, le memorie dei quali hanno formato un Tesoro. Non riferisco i loro nomi, e le grazie, poiché il mio assunto è di narrare brevemente, e semplicemente la Storia Loretana per comodo de’ Pellegrini divoti. Chi desiderasse una piena notizia ricorra al Torsellino, Seragli, e gli altri, che copiosamente ne trattano. Io solamente ne scelgo due Sommi Pontefici, che fra gli altri molti vennero personalmente a visitare la S. CASA. Sia il primo Pio II, prima chiamato Enea Piccolomini Senese, il quale assalito da una ostinata febbre mentre che doveva portarsi in Ancona, a facilitare l’impresa contro del Turco, ove s’adunava l’Armata, mosso dalla fama dei miracoli, e grazie, che continuamente la Ss. Vergine otteneva da Dio nella S. Casa, se le raccomandò. E come fosse stato un certo di avere integrata la salute, le spedì un Calice d’Oro. Fatto il voto, cessò la febbre, e talmente ricuperò le perdute forze, che con gran comitiva di Cardinali, e gran Signori si pose in viaggio, e giunse a Loreto perfettamente guarito. Entrato nella Sagrosanta Abitazione, e prostrato avanti la sua Liberatrice, soddisfece il voto, e fù nel 1464. Non viddesi mai nella sS Cappella così vago spettacolo per esser ricolma di Principe, Cavalieri, e Baroni prostrati avanti alla gran Madre di Dio.
Molti erano venuti da Roma col Pontefice ad ammirare la grande Armata; altri molti, e particolarmente i primi Uffiziali d’Ancona ad incontrarlo. Intanto la salute di Pio ammirata da gran Signori di diverse Nazioni, e da tanti provdi Guerrieri fù cagione, che si dilatasse la fama del Santuario Loretano per tutta l’Europa. Fu il secondo Pietro Barbo Veneto Card. Di San Marco il quale colpito dalla Peste in Ancona, non potendo come gli altri portarsi in Roma all’Elezione del nuovo Pontefice, ricordevole della potente intercessione di Maria, tanto efficace a Pio, si fece portare in Loreto, e giunto alla S. Casa, volle quivi rimanere solo, e placidamente si addormentò. Fù fama, che dormendo, non solo fosse assicurato della corporale salute, ma altrisì del futuro innalzamento al Pontificato. Se fosse illusione ovvero rivelazione, lo decide l’evento. Destatosi perfettamente guarito, colmo d’allegrezza con istupore universale, e particolarmente de’ suoi famigliari, che erano appieno informati, uscì dalla S. Cappella. Fece subito chiamare il Rettore della Chiesa, a cui palesò il suo pensiero di voler ivi innalzare un nuovo, e magnifico Tempio alla Regina del Cielo. Ordinogli intanto, che a suo conto facesse scelta dei Muratori, e preparasse i materiali bisognevoli.
Giunto in Roma, cadde in lui il Pontificato, ed è innalzato alla gran dignità col nome di Paolo II, ricordevole della ricoperata salute, ordinò senza indugio, che atterrata l’antica Chiesa fatta fabbricare dai devoti di Recanati, si fabbricasse il magnifico Tempio, che al presente si ammira. È vero ch’egli non lo poté compire; tuttavia il P. Battista Mantovano ci assicura, che fù da lui quasi a perfezione condotto. Sisto IV, e Giulio II, successori, ed imitatori di Paolo, non tanto nel pontificato, quanto nella particolar divozione della Vergine Loredana, furono quelli, che compirono l’opera, l’adornamento. Terminò il primo non solo la fabbrica, ma ancora tornato, e provvidela d’ottimi Sacerdoti, e di eccellenti Cantori. Il secondo la fortificò esternamente, e in tal guisa, che la fece divenire una ben ordinata, e fortissima Rocca, sì per la varietà delle mura, come per la struttura di esse, che a guisa di bastioni, con corridori coperti, che alla di lei sommità e intorno girano per uso di presidio, e comodo alla città. Provvidela ancora a nell’interno con fondarvi un muro di Musici, e di due grandi Organi dorati, ed ornati di vaghe pitture. Fece fondere due vaste Campane, e di ordinò li amplissimi fondamenti del Campanile.gli otto di lastroni, che sostenevano la grande cupola, non reggendo a tanto peso, rlassatisi in parte, minacciavano ruina: perloché.ispedì subito il suo Architetto Antonio Sangallo per rimedio a tanto pericolo. Fece questo immediatamente ai lati del Pilastroni profondi, e ampi cavi, ne quali fece fabbricare nuovi muri di rinforzo con unire ai grandi Archi laterali un nuovo ordine d’archi minori frapposti alli maggiori, coi quali assicurò mirabilmente la Cuppola, ed insieme accrebbe al Tempio come tuttavia si osserva, nuovo ornamento e decoro.
Richiedevasi per compimento dell’opera la facciata de’ marmi bianchi. Gregorio XIII, con la sopraintendenza di Lattanzio Ventura Architetto l’incominciò, e Sisto V la compì perfettamente. Questi appena assunto alla dignità Pontificia, come nato, e allevato, e per lo più vissuto nella Marca, ben si avvidde quanto gli conveniva non solamente di imitare gli Antecessori, ma lungamente superarli. Ed in fatti fù tale la di lui divozione, e nell’impegno, che pare non volesse lasciare ai suoi Successori luogo ad ulteriori ingrandimenti.
La chiesa da principio fu semplicemente offiziata, ed è amministrata da Pietro di Gregorio Prepositp Teremano, e da altri pochi Sacerdoti Ministri, pel sostentamento de’ quali, e per gli infermi, Mons. Niccolò degl’Asti Vesc. Di Recanati, e Macerata comprò terreno del proprio ed assegnollo per fondo. Leone X, la fece Collegiata con fondarvi 12 Canonicati, 12 Mansionarìe,o Benefiziati, e 6 Chiericati di Coro, assegnando loro il mantenimento dall’entrate del Santuario. Sisto V, la dichiarò cattedrale, ed oltre l’aver confermati i 22 Canonicati,e Mansionarìe, aggiunse 4 Dignità, cioè: l’Arcidiaconato, l’Arcipretatato, Primiceriato, e Tesorierato: ed oltre ai sopradetti 6 Chiericati Corali, ne aggiunsero altri sei. Gli assegnò per suo primo vescovo Mons. Francesco Cantucci Perugino Uomo celebre non meno in pietà, che in dottrina. Stabilì la Diocesi con tre riguardevoli Terre, cioè Castelfidardo, ch’era della Diocesi di Ancona; M. Lupone di Fermo; e M. Cassiano d’Osimo. Confermò vieppiù l’uso delle funzioni introdotte fino dalla Protettoria del Cardin. Morone per ordine Pontificio, cioè: che si facessero nella Chiesa di Loreto, come appunto si fanno in Cappella Papale. Innalzò il Castello di Loreto all’esser di Città deputando Magistrati, ed ornando leggi pel suo Governo, ed acciò la nuova città non fosse solamente di nome, fece comprare il Colle che le sovrasta, detto Montereale, e fatto a sufficienza appianare, obbligò ciascuna Comunità della Provincia secondo il disegno a fabbricarvi una Casa; concedendo alle Persone, che venissero ad abitarla, o vi fabbricassero, favori, e Privilegi particolari. Fece tuttociò con tanto gradimento della Provincia, che a di lui memoria eresse la magnifica Statua di Bronzo posta su pavimento della Regia Scalinata fuor del Tempio.
CAPITOLO VII.
Facciata del Tempio.
Poiché mi sono proposto oltre la breve Istoria Loretana di narrare ancora qualche altra cosa fu lo stesso soggetto, che possa recar diletto al Forastiere divoto che si porta in questo gran Santuario, e nel tempo stesso non lo allontani, e non lo frastorni dalla divozione anzi vieppiù lo incoraggisca, e l’infiammi; incominceremo a descrivere minutamente ciascuna parte del Tempio, e le opere particolari, che lo costituiscono, e l’adornano. E siccome tutte queste sono eccellenti, e magnifiche sì per lavoro, come per la materia, e conseguentemente per il notabil travaglio, e spesa, onde potrà riflettere a qual segno sia cresciuta, e dilatata la divozione; e l’affetto dell’Imperatrice dell’Universo in questa sua S Casa. Tutti gli ornamenti, e qualsivoglia altra cosa, sono stati fatti con l’elemosine, e doni de’ Divoti, oppure con le entrate; e sì gli uni che le altre o hanno ovvero ebbero lo stesso principio, cioè la divozione, la gratitudine dell’affetto: e così nel considerarli rifletta ancora agli innumerabili benefizi, che di continuo, e largamente si concedono in questo luogo. Daremo principio da quella parte, che prima delle altre ci si presenta allo sguardo, cioè la facciata del Tempio. Ella è posta ad Occidente, fabbricata di pezzi di pietra di Istria così diligentemente squadrati, e con tanto artificio uniti insieme, che sembra fatta d’un pezzo solo. Ha innanzi disse una maestosa scalinata di otto gradini divisa a 4 a 4 da un frapposto pianetto. Sopra questa vi è il pavimento di lastra della medesima pietra, che insieme con la Scalinata occupa tutta la facciata. Nel piano del pavimento sopra li scalini a mano destra vi è una base ottangolare attorniata di nicchie, con figure rappresentanti le Virtù, e Tavole istoriate a mezzo rilievo, e Cartelloni, il tutto fatto di Bronzo, sopra del quale posa la Statua gigantesca del gran Pontefice Sisto V, parimenti di Bronzo, sedente in abito Pontificio col Triregno in capo, in atto di dare al Popolo la Benedizione: opera del Bernardini fatta a spese della Provincia della Marca nel 1587, in memoria di sì degno Pontef., benemerito della stessa Provincia.
Tutta la facciata è divisa in due ordini. Il primo è formato di 4 pilastroni ciascuno dei quali è composto di 4 pilastri, due di fronte e due di fianco con basi, capitelli, cornicioni, e scolature d’ordine Corinto. Fra questi pilastroni si formano tre vuoti, o piani,nei quali, vi sono tre Porte con sue colonne, ed adornamenti. Sopra la Porta di mezzo, che è la maggiore vi è una nicchia, entro la quale posa una vaga Statua di bronzo della Ss.Vergine col suo figliuolo in braccio, a similitudine della Statua Loretana, opera di Girol. Lombardi ciascuna delle due Porte minori laterali ha sopra di sé un Cartellone di Marmo nero con Iscrizione di lettere incise, e dorate. Nel primo. SIXTUS V. P. M. Picenus Ecclesiam hanc ex Collegiata Cathedram constituit XIV, Kal, Apr.MDLXXXV. P. A. P. Nel secondo.
SIXTUS V. P. M. Picenus Episcopali dignitate ornatumCivitas jure donavit An.
MDLXXXVI. P. A. P. Ciascuna di queste iscrizioni ha sopra di se una finestra,
con vaghi ornamenti, la quale corrisponde, e porge lume alla sua nave laterale.
Sopra lo scolatore incomincia il secondo ordine ch’è diviso in due pilastroni, ciascuno dei quali parimenti è composto di 4 pilastri due di fronte, e due di fianco, con sue basi e capitelli, e cornicione di ordine Corinto, tra quali si forma un solo volto, o piano. In questo si apre una gran finestra, che corrisponde, ed illumina la navata maggiore nel mezzo, ornata di Archi, Colonne, Conchiglie, Rosoni, e di altri ornamenti, ed ingegnosissimi rari capricci. Sopra questa sede un cartellone di marmo nero con iscrizione andrà alle lettere incavate, e dorate, che da lontano ben si distinguono; iscrizione, più veneranda e magnifica, cioè: Deiparae Domus, in qua Verbum caro factum est: ai lati della sopraddetta si aprono due ale, che vanno a terminare in due grandi volte, appresso alle quali sorgono due Torrioncini, che hanno in faccia le sfere, e sopra le Campane degli Orologi, uno Astronomico, e l’altro Italiano. Sopra il Cornicione segue il timpano, termine della Facciata, sull’acuto del quale vi è una gran Croce con due Candelieri ai lati di bronzo con basi, ed ornamenti di pietra. Il disegno di questa facciata, e palazzo è del Bramante, ed alla esecuzione ebbe sopraintendente il Ventura. Nel pontificato di Gregorio XIII, sotto la protezione del Card.Vastavillani fu cominciata in quello di Sisto V sotto la protezione del Car. Gallo fu terminata. Le misure di sì vaga facciata, come del nuovo Campanile innalzato sotto il Pontificato di Benedetto XIV, e compiuto l’anno 1753, sù disegno del Vanvitelli; che si espongono qui impresse a vista delli Lettori.
CAPITOLO VIII.
Porte del Tempio.
Le tre Porte del Tempio Loretano, oltre gli adornamenti di marmo, hanno ancora quelli di bronzo quali per l’invenzione, per il disegno, per l’opera, del loro genere, una non cede all’altra. Sono queste porte di bronzo finora ammirate come uniche, non che rare. Nell’ingresso maggiore, che corrisponde alla navata di mezzo, vi è una grande, e magnifica Porta di bronzo divisa in due parti, e ciascuna di esse è distribuita in diverse riquadrature maggiori, e minori.
Nelle maggiori si esprimono alcuni fatti della S. Scrittura appartenenti al Vecchio Testamento; nelle minori al Nuovo: cioè i principali Misteri della vita della Ss. Vergine. Sono tutte ornate di varie bizzarrìe, Fregi, Festoni, Armi, Statue intiere, Semibusti, Arpìe, Satiri, e Centauri, ch’escono graziosamente dagl’incartocciati fogliami. Ho risoluto per brevemente ristringermi, di accennare soltanto le maggiori, come appartenenti al Vecchio Testamento, che comunemente non si distinguono da tutti, e tralasceremo le minori, che da ognuno si conoscono, e distinguono.
Nella prima parte adunque posta a destra della Porta maggiore nella prima riquadratura si esprime la creazione di Adamo nel Paradiso Terrestre. Nella seconda, la maledizione dei primi Genitori dopo trasgredito il precetto con Abramo, che con la Sappa lavora la terra, ed Eva che fila con la rocca. Nella terza, la fuga di Caino instabile e timido dopo l’uccisione di Abele. Nella parte sinistra a capo nella prima riquadratura, la formazione di Eva dalla costa di Adamo addormentato. Nella seconda, l’espulsione dei suddetti afflitti, e piangenti dal Paradiso Terrestre. Nella terza, Abele assalito da Caino che l’uccide. Queste son Opere ammirande di Giacomo, e Antonio Lombardi figliuoli, ed allievi del celebre Girolamo Statuario, e insieme Fonditore.
Negl’ingressi, che corrispondono alle navate minori, laterali, ancor essi hanno le Porte di Bronzo, e benché siano dei minor grandezza di quella principale, tuttavia però non sono di minor pregio, ed ingegno. È cosa veramente meravigliosa il mirare in sì piccoli spazi le figure, e gli atti di esse così ben formati, ed espressi, nelle prospettive di Valli, Monti, Mari, Città, Anfiteatri, Deserti, ed altre cose ingegnosissime, e vaghissime, che sorprendono. Sono ancora queste divise in due parti, e queste parti medesime sono distribuite in riquadrature attorniate da Fregi, Festoni, Statue de’ Profeti, e Sibille, da Gogliami, Arme, Scudi, e da altre molte vaghissime capricciose invenzioni. Nella prima minor Porta posta a mano destra, e nella parte destra a capo nella prima riquadratura, si esprime la creazione di Adamo assai diversa per l’invenzione, dall’altra posta nella Porta maggiore. Nella seconda Asar dolente col moribondo Ismaele, e l’Angelo che la conforta. Nella terza Adamo, che sacrifica il suo figlio Isacco nel Monte, e i Servi che aspettano nella valle sottoposta. Nella quarta Mosè, che passa col popolo Ebreo il Mar Rosso, e l’esercito di Faraone sommerso, e confuso fra l’onde, e gli Ebrei nell’opposto solo giubilanti. Nella quinta la Manna, che cade nel deserto agli Ebrei, i quali si veggono occupati in provedersene. Nella parte sinistra parimente da capo nella prima riquadratura alla formazione di Eva dalla costa d’Adamo addormentato con disposizione diversa dalla prima. Nella seconda Rachele, che dà a bere ai Cameli di Giacobbe, e i Servi cortesi e grati verso di lei.
Nella terza il trionfo di Giuseppe nell’Egitto è saltato da Faraone, degli Egizj, che l’onorano, e fanno applauso. Nella quarta Giuditta, che recide il capo di Oleferne, e la Servente col panno, per porvi il reciso capo. Nella quinta, Mosé nel deserto, che con la Verga fa scaturire dal Selce acque copiose, e gli Ebrei gli avidi a dissetarsi. Ciascuna di queste riquadrature, siccome tutte l’altre ha la sua prospettiva competente e distinta.
Nella seconda Porta laterale posta a mano sinistra, e nella parte destra a capo, si esprime nella prima riquadratura il sacrificio di Caino incontro al sagrificio d’Abele. Nella seconda il sacrificio di Noè fatto dopo il diluvio, e l’Iride che simboleggia la pace. Nella terza la riduzione dell’Arca con Davidde giubilante, ed il Popolo, che festeggiando lo segue. Nella quarta la comparsa di Dio a Mosé mentre pasceva l’armento del Suocero. Nella quinta, Abigaille incontro a Davidde mentre passa per il Carmelo. Nella parte sinistra parimente a capo, e nella prima riquadratura l’uccisione di Abele fatta da Caino d’invenzione assai diversa dall’altra. Nella seconda, la scala di Giacobbe con gli Angeli, che discendono, e ascendono per essa. Nella sala il Trono di Salomone colle Guardie, e Cortegiani. Nella quarta l’esaltazione del serpente di bronzo nel deserto, ed i percossi, che languenti lo mirano. Nella quinta il Re Assuoero in Trono, appié del quale Ester supplicante per suo popolo Ebreo. La prima porta laterale è opera di Antonio Bernardini, e la seconda di Tiburzio Verzelli. Silvio Serragli Computista del Santuario nella sua Storia Loretana si afferma, che dalle memorie della Computistarìa si rileva, che la sola fattura di queste tre porte passò il valore di 30 mila scudi, non compresa la materia. In somma sono queste tre Porte fatte con arte, e maestrìa, che non mai abbastanza si può esprimere con parole. Non vi è persona di qualche poco intendimento, che nel contemplarle non provi un particolar diletto, e non resti stupefatta, e sorpresa.
CAPITOLO IX.
Interno del Tempio.
Il Sagro Tempio Loretano a figura di Croce composto in tutte le sue parti a tre navate. È lungo C. 45, largo C. 35 e 147 in circa di giro. Il capo, e le braccia della Croce vanno a finire con tre Cappelle. Quella di mezzo è più grande, e forma Tribuna; le laterali più piccole, e minori a proporzione. Negli 4 angoli della Crociata sotto i gradini sono formate in un ottangolo 4 Sagristìe, o Salvarobbe.
La prima detta Dispensa della S. Cappella, rassegnata ai custodi del santuario, ove da essi si conservano le preziose Vesti della S. Statua, l’imbiancherie, ed argenti per l’Altare entro laS. Casa, e le gemme, ori, voti, denari dell’elemosine, ed offerte, e qualunque altra preziosa cosa donata al Santuario, infin che giunga il destinato tempo di consegnarsi al Governatore, ed alli Ministri. La seconda chiamata S. Giovanni, è ad uso principale dei canonici, ove vengono i loro capitoli, e del Can. Sindaco per consegnare ai Corali di semestre in semestre le loro paghe, che consistono tutte in danaro. Serve ancora ai Sagrestani Vescovili per conservare i paramenti solenni, e le argenterie della chiesa. La terza è assegnata ai suddetti sagrestani, ove tengono ben custodite negli Armari le argenterie del Coro, e paramenti. Quivi si apparano tutte le Messe da cantarsi tanto in S. cappella, quanto per la Chiesa, secondo l’intenzione dei Benefattori. Si chiama Sagristia della Cura, perché serve ancora ai Curati quasi di Archivio, e qui si apparano nelle funzioni spettanti al loro uffizio. La quarta detta la Tesorerìa, perché stabilita a conservare danari, elemosine, entrate in denaro, gemme, ori, e qualunque altra cosa preziosa del Santuario.
Incomincia l’asta della Croce ad Occidente, la quale più lunga dell’altre parti, formata da 12 pilastroni, cioè 6 per parte, riquadrate coi suoi cordoni negli angoli, che ancora girano nelle lunette delle volte, e sono alti palmi 68. La navata di mezzo è la maggiore, sopra i cui pilastroni sorge il basamento, che sostiene gli archi acuti alla gotica, e la volta alta palmi 88. Gli archi, e la volta delle navate laterali sono minori, ma dell’istessia forma, e lavoro, e posano sopra i soli pilastroni alti da terra palmi 68, ogni arco alla sua cappella corrispondente di larghezza palmi 20, e 12 di sfondo.
Posa la Sagros. Abitazione nel centro della Crociata in vago pavimento di marmo scaccato di quadretti rossi e bianchi, e sollevato dal piano della Chiesa così parimente scaccato da 4 gradini di pietra bianca alto ciascuno un palmo, e 9 oncie. Le stà sopra una magnifica Cuppola sostenuta da 8 gran pilastroni, che attorno ad essa disposti in giro formano un’ottangolo, sopra quali posano altrettanti archi, cioè quattro maggiori, e quattro minori, ed i maggiori sono di altezza palmi 78. Ciascuno di detti pilastroni rende per di sopra una colonna piana, che fa un angolo ottuso d’ordine Corinto alto palmi 38, e su questa incomincia a sorgere la grand’opera con un Architrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 21. Segue il tamburro con 8 gran finestroni, al quale succede un altroArchitrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 30. Finisce col suo proporzionato lanternino circondato da 8 finestre, secondo la forma ottangolare, che rendono.
Sotto gli scalini del pavimento a linea retta dell’asta segue ad Oriente il capo della Croce, il quale è composto a tre navate, conforme l’ordine con tre pilastroni per parte, sopra i quali posano due archi l’uno minore, l’altro maggiore, e finisce con tre Cappelle, quella in cui termina la navata di mezzo è assai ampia, e forma tribuna, le laterali sono più piccole a proporzione della prima. A Tramontana ha il braccio destro, e a Mezzo-Giorno il sinistro, i quali hanno gli stessi pilastroni, ed Archi, e terminano con le tribune corrispondenti alle navate minori, e maggiori.
La Cappella a destra della Tribuna del braccio destro non ha Altare, invece del quale ha una gran Porta che conduce alla Sagristìa del Tesoro, ove s’apparano i Sacerdoti per celebrare nell’Altare della S. Cappella, o in quello della Nunziata. Entrata questa, in faccia vi è un altra Porta maggiore, e più magnifica, ornata di pietra bianca, che dà l’ingresso al Tesoro, ove in armarj di noce ben ordinati si conservano le gemme, gli ori, gli argenti, e i preziosi paramenti offerti al Santuario da Personaggi, e gran Signori, dei quali a suo luogo se ne darà sufficiente notizia. Succede a questa un’altra Sagristìa grande detta Vescovile, alla quale si va per mezzo d’un corridore, che conduce per linea retta ai Portici della Piazza, nella qual Sagristìa s’apparano in banconi diversi, secondo il rango, i Sacerdoti, che debbono celebrare negli Altari della Chiesa. Come questa, così tutte le altre Sagristìe sono abbondantemente provvedute di sacri Arredi, e argenterìe convenienti al luogo, alle persone, ed alle solennità.
CAPITOLO X.
Ornamenti del Tempio.
Quest’opera, che finora abbiamo veduta così bella, e magnifica nella propria disposizione; conviene ora mirarla adornata, poiché oltre il pregio dell’arte se l’accresce quello della rarità, le ricchezze, che l’adornano, e la distinguono. Nelle navate laterali corrisponde ad ogni arco la Cappella ciascuna delle quali deve ornarsi di ricchi marmi, e di moderni Altari per stabilirvi il quadro di Mosaico. Nella prima Cappella vicina alla Porta della sinistra navata, la di cui Pittura a fresco è del Pomarancio, invece dell’altare vi è il magnifico Fonte Battesimale di Bronzo, opera di Tiburzio Verzelli gran Fonditore.
Questa stupenda mole pel delicato lavoro, e moltopiù per le giuste, e meravigliose invenzioni, considerata insieme forma un mezzo sessagono piramidale. È alta in tutto palmi 25 larga 15. Si divide in piedi, vaso, e coperchio. Posa il piede sopra un vago pavimento di pietra elevato di tre scalini parimenti di pietra, che formano ancor essi il sessagono. Egli era formato di graziose volute, legature, incartocciamenti, di fogliami, e di altre invenzioni. Nella parte interiore sono posti a giro, negli angoli 4 putti nudi, alati, di tutto rilievo in atto di sostenere, e con le mani alzate, e colle feste il gran vaso. Segue il corpo di questo con tre finestrini, cioè uno per ciascuna parte per comodo del Ministro, e de’ Battezzanti, ed hanno per serraglio tre quadri. Nel primo si rappresenta la probatica Piscina; nel secondo il Cieco nato; e nel terzo l’Eunuco di Candace…
I frammenti, ed i contorni sono empiuti di volume con Festoni, e mezzi Angoli a tutto rilievo, da Cherubini, e da mille altre vaghissime, e capricciosissime invenzioni. Negli angoli quali in forma di tanti trofei pendono quattro quadri minori come targhette nelle quali sono effigiate le traslazioni della S. Casa. Succede questo il coperchio ultima parte del cessarono piramidale, nelle cui tre facciate vi sono altrettanti quadri, nel primo la circoncisione degli ebrei, nel secondo S. Gio. Battista al Giordano, e nel terzo Naaman Siro nello stesso fiume. Non solamente questi quali, ma tutti gli altri sono accompagnati di prospettive d’Architettura, di Fiumi, Campagne, Boschi, convenienti alle Storie che rappresentano. Fra il vaso, è il coperchio in ciascuna cantonata della sua Statua di tutto rilievo in piedi alta sei palmi, cioè, della Fede, della Speranza, della Carità, e della Perseveranza. Finisce il coperchio con un pianetto, sul quale vi sono due Statue della stessa grandezza delle altre, cioè: di Gesù Cristo
umile, che riceve il Battesimo, e S. Gio. Battista, che glielo conferisce. Tutta questa gran mole costò al Santuario seimila scudi di fattura non compresa la materia, come afferma il Serragli.
Nella crociata come si disse, posa la S. Casa attorniata da pilastroni, che sostengono la Cuppola. E’ coperta questa al di fuori di grammi di piombo di persone in tutto 133 mila libre, ed al di dentro parte è posta tutta d’oro, parte dipinta, e parte ombreggiata ad oro, e dipinta insieme. Nella testuggine si rappresenta la Coronazione in Paradiso della Ss.Vergine dall’Augustissima Trinità con una moltitudine di Celesti festosi Spiriti, che formano melodie, canti, e suoni. Sopra il primo cornicione tutto dorato, va in giro dipinta una balaustrata distinta da otto bassi, sulle quali possano ritti in piedi, e in abiti pontificali i 4 S. Dottori Grecim ed i 4 Latini, e fra mezzo vi sono disposti Stemmi Pontifici, e de’ Cardinali Protettori, nel Tamburro a lato de’ finestroni, vi sono dipinte le Virtù, ed altri ornamenti. Sotto l’ultimo cornicione parimenti messo a oro ne’ 4 gran vuoti sopra gli archi minori, vi sono dipinti i 4 Evangelisti, e gli archi maggiori al di sotto sono ornati di riquadrature, e rosoni tutti i dorati. Quest’opera sì pel disegno ed invenzione, sì per l’esecuzione di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Nella Tribuna volta ad Oriente, che forma il mezzo del capo della Croce vi è l’Altare di S. Filippo Neri adornata dalla Provincia della Marca con quadro del medesimo Santo, i laterali, ed altre Pitture opera dei Gasparini di Macerata. Recentemente è l’Altare ancora del Venerabile, come Cappella la più capace, e comoda al gran concorso di quelli, che si hanno da comunicare. Ha sempre un vago, ricco, e stabile adornamento di Argenterìe, cioè: Tribuna, Ciborio, Scalinata, Candelieri, Vasi, Ceroferarj, e cinque gran Lampade. Il candelabro verso la S. Casa tutto di Bronzo di esquisito lavoro del più volte nominato Girolamo Lombardi. Il medesimo altare è circondato da un ampio giro di Balaustrate di marmo sostenute da colonnette, e distinte da Pilastrini ornati di faccia. Nel destro lato di questa Tribuna, vi è la Cappella, in cui deve erigersi il nuovo Altare di marmo col Mosaico, qual Cappella sarà corrispondente all’altra dalla parte sinistra di d. Tribuna, ove sopra il nuovo bellissimo Altare di Marmo si osserva il famoso Mosaico rappresentante la Natività della B V. li laterali della quale sono stupendi per essere opera a fresco del Minchiotti di Forlì. Al lato sinistro di questa Cappella fuori d’ordine, appoggiato al muro in facciata all’arco, vi è il deposito del Card. Sermoneta Gaetano con Statua di bronzo al naturale;
Architettura, e Statue di marmo rappresentanti le Virtù, è opera di Girolamo Lombardi.
Forma il braccio destro della Croce verso Tramontana, la Tribuna, incominciata ad adornare dal Cardin. di Trento, e poi terminata dai Sig. d’Aragona, è per ciò detta la Cappella d’Aragona; nei laterali della quale si vedono rappresentati alcuni atti di S. Tommaso d’Aquino opera del Gasparini Maceratese, qual Cappella sarà resa più delle altre magnifica per il nuovo Altare di Marmo, che deve erigersi con l’altro Quadro di Mosaico. Al lato destro vi è una Cappella ornata di Pitture, e stucchi dorati come l’altre, ma invece dell’Altare vi è una gran Porta, che introduce alla Sagristia del Tesoro. Al lato sinistro vi è la Cappella, con nuovo Altare, di Marmi, e Quadro di Mosaico rappresentante al vivo la Visitazione di S. Elisabetta, li laterali della quale sono opera del Muziano, e tutte le altre pitture ad affresco di Francesco Orvietano.
Il sinistro, ed ultimo braccio della Croce è formato dalla Tribuna posta a Mezzo-Giorno, in cui vi è il coro, ove quotidianamente si salmeggia, e si fanno le orazioni come in Cappella Pontificia. Vi sono Arcibanchi di noce, a 2 ordini di sedili ripartiti in nicchie con suoi genuflessorj. Sta a capo il Trono Vescovile apparato con la Sedia Pontificale, ed ha appiedi l’Altare, ma senza Quadro, ed isolato, talmente che nel celebrare il Sacerdote, sta sempre voltato con la faccia verso il Popolo. Gli serve di Quadro la stessa S. Casa, che gli sta dirimpetto. Questo Coro è ufficiato da 4 Dignità, da 19 Canonici, e da 12 Beneficiari, e da altrettanti Chierici Corali tutti Sacerdoti, e nelle Domeniche, e maggiori Solennità si aggiungono loro 20 Chierici del Collegio Illirico, mantenuti dal Santuario. Ha un pieno coro di Musici fissi e stipendiati, cioè: un ;Maestro di Cappella, un’Organista, e i 16 Musici, cioè 4 per voce. L’Altare è sempre adornato di Argenterìe, ed in esse sempre si servono i Celebranti. Nelle maggiori Solennità, oltre i paramenti preziosi, l’Argenterìe solamente dell’Altare con le quali è adornato superano 600 libre, senza l’importo del lavoro. Il Principe di Bessignano l’adornò con un notabile Soffitto dipinto alla Chinese, e dorato, con due Cantorìe, ed attorno d’insigni quadri, fra i quali quello dell’Adultera, che ora sta riposto nel Tesoro, col sacrificio di Melchisedech, e la Nascita del Redentore, tutte opere egregie del Lotto. Al destro fianco ha la Cappella dell’Annunziata del Duca, perché adornata dai Duchi d’Urbino con gentili bassi rilievi di marmo bianco intagliati. In essa fa spicco particolare il nuovo Altare di Marmi col Quadro di Mosaico rappresentante la SS.ma Annunziata, li laterali della quale e le altre pitture a fresco sono di Federico Zuccheri. Al lato sinistro del coro vi è la cappella di Sant’Anna del Principe di Bessignano, di cui si farà più distinta la descrizione, allorché sarà resa degna di ammirazione col nuovo Altare di Marmo, e Quadro di Mosaico li di cui laterali tutti a fresco son‘opera del Minchiotti di Forlì. Vicino al medesimo Coro a destra, e sopra la Sagristìa della Cura vi stà il primo organo di Giulio II, messo a oro, con eccellenti pitture, e particolarmente nei telari, che gli servono a modo di porte per difenderlo dalla polvere, vi è dipinta la Natività di N S. opera sorprendente, attribuita al Baccicio, ed alcuni altri al Bassano. A sinistra sopra la Tesoreria viene il secondo organo dallo stesso Pontefice parimenti adornato d’oro, e di pitture come l’altro.
CAPITOLO XI. Ornamenti esteriori della SANTA CASA.
Eretto, fortificato, ed adornato il gran Tempio Loretano, pareva cosa molto indecente, che solamente la Sagrosanta Abitazione della Vergine restasse rozza, e disadorna, Giulio II fu il primo che incominciò a pensare di adornarla esternamente di preziosi marmi, e sculture. Il grande disegno sarebbe stato certamente eseguito, e la devozione particolare, che professava alla Vergine l’avrebbe accelerato, se la morte, che pone il termine a tutte le cose create, non l’avesse nel principio del pensiero tolto di vita. Tale idea non fu discara a Leone X anzi talmente l’infiammò all’esecuzione, che subito spedì Periti a Carrara ed altrove per la provisione dei marmi, e fattane scelta gli fece condurre al Loreto. Fu fatta ancora nello stesso tempo ottima elezione di maestri, scultori i più celebri di quei tempi con la direzione d’Antonio Sansuino insigne Architetto, e Statuario. Ma ancora questo pontefice non fece altro, che il preparamento de’
marmi, perché la morte del medesimo lasciò la cura ad altri per la grand’opera. Sembra che la Ss.Vergine avesse scelto Clemente VII, il quale innalzato alla Dignità Pontificia, prontamente e con grand’animo si accinse all’opera, e pose in effetto il pensiero di Giulio, il preparamento di Leone. E però diede ordine, che subito si demolisse il muro attorno la Santa casa, fabbricato dai devoti Recanatesi, si incominciasse il nuovo, atto a sostenere l’incrostatura de’ marmi. Perlocché fu levato dalla S. Casa il suo tetto, le travi, e il tavolato, che le serviva di volta, e con le altre materie furono collocate sotto il pavimento in mezzo alla medesima.
E qui non devo lasciare di narrare un fatto mirabile accaduto in quella occasione della persona di Raniero Nerucci da Pisa Architetto soprastante all’opera. Aveva egli avuto preciso ordine dal Pontefice d’aprire nelle S. Mura tre nuove porte, chiusa l’antica, dunque l’una in faccia all’altra per comodo del Popolo e l’altra per li Sacerdoti, Ministri, e Personaggi. Nell’atto di principiare ad aprire la prima Porta, al primo colpo di martello dato alla Sagra Parete restògli il braccio stupido, e senza moto, ed egli insensato, pallido, e come morto fu condotto alla propria abitazione. Dopo lo spazio di più ore per intercessione della Ss Vergine, supplicata fervidamente dai suoi congiunti, riebbe la prima salute. Avvertito il Pontefice dell’accaduto al Nerucci, non si mutò di pensiero; anzi con ordine più pressante comandò, che si aprissero le Porte, ma che prima di venire all’esecuzione, si preparassero gli Operai, con orazione, e digiuni. Tuttavia il Nerucci non si esponeva, o gli alti almeno non volevano essere i primi. Un chierico della Chiesa chiamato Ventura Perino, così da Dio ispirato, dopo tre giorni d’orazione, e di digiuni, pigliato il Martello, e rivolto alla gran Madre di Dio, le disse: io non percuotono le Mura della vostra S. Casa, ma è Clemente, che così vuole per vostra gloria. Piacciavi adunque di volere ciò che vuole Vicario del Figliolo vostro. Si presenta al S. Muro, e umile, e coraggioso insieme, lo percuote, e dal primo colpo gli si arrende, ed aiutato dagli altri Operai, si aprono facilmente le Porte. Fù ancora in questo tempo trasportato dall’antico sito l’Altare, e posto in mezzo, come presentemente si vede, e il Quadro del Crocifisso fu accomodato sopra la finestra. Inoltre fu fatta la nuova nicchia sopra il S. Camino, ove fu collocata la S. Statua come ora vedesi.
Nel mentre che così si adornavano le S. Mura, accade che alcuni Schiavoni portarono in Recanati una relazione della Traslazione della S. Casa da Nazaret in Schiavonìa, estratta dagli annali di fiume, che diede occasione a Girolamo Angelita Nobile Recanatese, e Segretario della Città di compilarla, ed aggiungere quella dalla Schiavonìa in Loreto, e dedicarla, e di inviarla allo stesso Sommo Pontefice. O fosse questa relazione, o l’affetto, e divozione di Clemente alla Ss. Vergine, oppure questa vieppiù infiammata da quella, volle egli maggiormente certificarsi delle medesime Traslazioni. Quindi scelti fra i suoi Camerieri Giovanni Senese con due altri fedeli, e divoti, e li spedì prima in Loreto a prender le misure, e attentamente osservare ogni arte della Sagrosanta Magione, e poi nella Schiavonìa a Tersatto, e nella Galilea a Nazaret e furono pienamente informati della verità, e del tempo della Traslazione in ciascun luogo, particolarmente in Nazaret, oltre all’esatto confronto delle misure di Loreto corrispondente a fondamenti ivi restati pigliarono ancora queste due pietre di quelle con le quali si fabbricavano le case comunemente, che poi tornati, e confrontate con le S. Mura furono trovate della stessa qualità, e similitudine. Tornati in Roma, informarono il pontefice, il quale fece intendere al nero si di compire con la più possibile sollecitudine l’ornamento dei marmi, e che in uno di questi fossero descritte le Traslazioni; ma ciò non fu eseguito per cagione della di lui morte poco dopo succeduta. Era quasi giunta al termine questa grande opera, quando fu innalzato al pontificato Paolo II e solamente restava a farsi la volta, che copri dovea la S. Casa; e benché ella non dovesse posare sopra le S. Mura, ma bensì sopra i nuovi muri de’ marmi, nulladimeno fu necessario levare dalle medesime le lunette, e li vasi nel loro mezzo incastrati. S’era sempre più dilatata l’antica opinione, che quei vasi fossero stati adoperati dalla Ss Vergine in servizio del suo Figlio Gesù Cristo, e di S. Giuseppe; e che gli Apostoli per maggior sicurezza l’avessero collocati in luogo così eminente. Furono dunque con le lune elevati ancor quelli, e posti nell’Armario del S.Muro a Tramontana. Recentemente di questi vasi se ne trovano solamente sei, cioè: quattro nella S. Cappella, e due in quelle del Palazzo Apostolico che serve ancora per Cappella della Penitenzierìa. Indi affinché ciò, che era stato necessariamente levato dalla S. Abitazione per negligenza non si perdesse, o confondesse con altre cose, fu stimato bene di collocarlo entro la medesima S. Casa sotto il pavimento di marmo. Solamente per memoria lasciato fuori un pezzetto di tavola dell’antico soffitto, e le stellette di legno dorate, che lo adornavano, le quali si conservano nel sopraddetto Armario a Tramontana in Cassetta di puro argento. Le travi, come si disse, furono sepolte sotto il pavimento, ed alcune restarono fuori, le furono poste sotto il Cornicione della Volta. Una solamente di queste non si sa come sia restata fuori al paro del pavimento vicino al S. Muro Occidentale sotto la finestra senza alcun riparo; o difesa essendo continuamente sotto i piedi dell’affollato Popolo, calpestato e premuto. È cosa ammirabile, che così esposta, e calpestata per tanti secoli non si consumi, ma intera duri, e senza tarlo. È fama, che prima fosse coperta d’argento, e si fosse consumato, indi di lama di ferro parimente consumato, e poi senza difesa alcuna lasciato, ancora si conserva forte, e costante; ed è cosa probabile, poiché si vedono in essa alcune punte di ferro ivi restate, e consumate al paro del legno. Questa meraviglia si vede ancora nel rinnovarsi il pavimento di marmo di quando in quando consumato dal Popolo, ma non già la trave, come fu veduta nel 1751, che sopravanzava allo stesso pavimento da 4 pollici. Con questa occasione fu particolarmente veduto, che la S. Casa sta posata sopra il suolo senza alcun fondamento. Compita la Volta sotto il medesimo Pontificato si aggiunsero le balaustre, che mancavano per il compimento dell’architettura dei marmi, e le quattro Porte di Bronzo. Tuttavia non si potea dire opera affatto compita, mancando la maggior parte delle Statue, le quali dal Pontificato di Giulio III, fino a quello di Gregorio XIII furono compite.
CAPITOLO XII.
Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura.
La struttura de’ Marmi attorno le S. Mura, che circonda esternamente le S. Mura, si regge tutta sopra uno zoccolo di bianco, e poi di marmo nero di figura quadrilunga come la quadratura della S. Casa ed eccone per maggior chiarezza la pianta. Palmi 61 Romani ha di lunghezza, e 39 di larghezza. Sorgono dal zoccolo le 4 facciate di scelto, e bianco marmo di Carrara, alte 50 palmi, e scompartite in giro da 16 Colonne scanellate, quali ripartiscono l’intero concio d’effigiati Quadri di replicate nicchie, e di porte.. Dai cantoni spargono in fuora le quattro Colonne, che formano due facciate, e sono guida di tutte l’altre egualmente disposte sopra piedistalli d’esquisito lavoro di arabeschi, e in riquadrature, che tengono nei loro vuoti incastonate pietre di diversi colori, e qualità; come ancora nei vani dei medesimi piedistalli e nelle Porte. Su queste, e col medesimo ordine s’ergono diffusi del colonnato a mezzo rilievo, quali terminano con capitelli sfogliati d’ordine Corinto sopra i quali posa l’architrave adornato di vaghissimi intagli. Fra questo architrave e capitelli delle colonne va in giro come una fascia con facce di Leoni sopra festoni pomati sostenuti da due a Aquile con i colli ritorti l’una verso l’altra, che compongono quasi un framezzo fra i quadri, e l’architrave. Segue altra grande fascia, o fregio ornato da capricciosi duplicati rivolti, a cui succede immediatamente il Cornicione, e Scolatore, sopra cui posa la balaustra. È composta questa di colonnette a mezzo suro, sostenute da basette, e piani, e distinte a luogo a luogo proporzionatamente da pilastrini, nelle principali facciate dei quali sono scolpiti a mezzo rilievo a copia Fanciulli nudi, scherzanti con diversi atteggiamenti, e positure. Ecco tutta la costruzione dell’opera:
Benché le colonne siano distinte l’una dall’altra, sono ordinate a due a due, e quindi formano fra di loro maggiori, e minori spazi le facciate più lunghe, cioè quelle di Mezzo-Giorno, e Settentrione hanno dunque spazi maggiori, e tre minori. Nelle maggiori vi è una Tavola, o Quadro per ciascuno, che l’empie, e sotto, in mezzo ha una Porta con Cornice e Timpano di fino intaglio, che termina ai lati con due puttini sedenti di tutto rilievo.Nei spazj minori vi sono due nicchie una sopra, una sotto. In quella di sopra vi sono collocate le Statue delle Sibille in piedi, e in quelle di sotto de’ Profeti tutti a sedere. In ciascun lato delle sopradette Porte vi sono i Stemmi del Pontefice Leone X, e vari emblemi di penne, ed anelli, ch’empiono i vuoti tra le Colonne, e le Porte. Le facciate più corte come quella d’Oriente, e d’Occidente a due apazj minori, ed uno maggiore. Le minori hanno le nicchie con me sopra; nelle quali vi sono le Sibille, ed i Profeti. Nei maggiori a quello volto ad Occidente vi è un solo quadro e tavola sotto cui è la finestra della S. Casa, e ai lati di queste due tavole minori, ch’empiono i vuoti tra essa, e le Colonne, e sotto vi è l’Altare parimenti di marmo con le sue facciate adornate secondo l’ordine dei pilastri, e dei vuoti fra essi. A quello volto ad oriente, siccome vi è un gran vuoto a cagione che non vi è alcuna finestra, oppure Altare, così vi sono due tavole, o quadri, l’uno sotto l’altro; e infine la lapide con lettere incavate con la narrazione, e memoria delle ammirabili Traslazioni della S. Casa, ordinata come si disse da Clemente VII al Neruccio, e per cagione della morte di questo fatta eseguire dall’VIII di questo nome medesimo.
Quest’opera così magnifica, e sorprendente, nella quale si segnalarono con la loro divozione, e generosità tanti Sommi Pontefici, ebbe li Architetti, Statuari, e Scultori lo più eccellenti di que’ tempi. L’architettura è del Bramante, la scultura d’Andrea Contucci di Montesansovino, al quale a cagion della morte succedé Niccolò Tribolo, e sotto questi lavorarono altri eccellenti professori, cioè Flavio Bandinelli, Domenico Lamìa, Francesco Sangallo, Raffaele Montelupo, Girolamo ombardi, e Fra Aurelio Eremita suo fratello, Simone Fiorentino detto il Mosca, Cav. Girolamo della Porta; e suo fratello: così ancora Simone Cioli, Raniero Pietrasanta, Francesco di Tada con 10 Scarpellini, ed altri molti, i quali donarono alla Ss. Vergine parte delle loro opere: perché fra gli Architetti e Scultori, furono spesi più di 50.000 Scudi Romani non compresi materiali, ed i lavori giornalieri, la mercede dei quali ascese a Ducati 1940 in circa. Furono posti i fondamenti del 1514 sotto Leone X, e perfezionata nel 1569 sotto Gregorio XIII. La materia è di bianco marmo di Carrara: le tavole, o quadri quasi di tutto rilievo rappresentano alcuni fatti della vita di Maria Ss.
Le Statue, le Sibille, ed i Profeti, che predissero l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la Verginità della di lui Madre. Girolamo lombardi fece se profeti incominciando dal Geremìa, due Aurelio suo fratello: i Cav. della Porta fece un Profeta, e nove Sibille, e Tommaso suo fratello, una Sibilla, e un Profeta. Gli otto Angioletti sopra le Porte, tre sono del Mosca, le cinque del Tribolo.
Dichiarazione de’ Marmi attorno la S. Casa
Dicemmo nel precedente Capo, che gli ornamenti principali dei Marmi che compongono le facciate della S. Casa consistono in tavole, o quadri, ed in nicchie. Nelle prime si rappresentano alcuni fatti della Ss.Vergine, e nelle seconde sono collocate le Statue delle Sibille, e de’ Profeti, i quali predissero rispettivamente ai Gentili, ed Ebrei, l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la dignità della gran Madre di Dio.
Facciata a Tramontana.
N. 1. Tavola rappresentante la Natività della Ss. ergine su seduta in questa sua S. Casa. Fù ella abbozzata da Andrea Cabtucci detto il Sansovino, e finita da Flavio Bandinelli, e da Raffaele da Montelupo l’Anno 1531. In questa s’ammora
dagli intendenti con modo particolare un Fanciullo, che scherza con un piccolo Cane, ed una Donna vicino che ne mostra di letto. La frattura di essa solamente fù di Scudi 525.
N.2. Rappresenta lo Sposalizio della Ss. Vergine con S. Giuseppe abbozzo del Sansovino del 1531, compita poi nel 1533 da Raffaele da Montelupo, e dal Tribolo. Quest’ultimo felice quella figura d’uomo assai lodata, che sdegnato ombre al ginocchio la verga di legno secco, perché non gli ha fiorito, come quella di San Giuseppe. La sola fattura di scudi 730.
N. 3. La Sibilla Elespontica dell’Asia minore.
N. 4. La Sibilla Frigia nell’Asia.
N. 5. La Sibilla Tiburtina del Lazio in Italia.
N. 6. Il Profeta Isaia.
N. 7. Il Profeta Daniele.
N. 8. Il profeta Amos. Statua molto stimata.
N. 9. Porta della Scala a lumaca, che conduce sopra la volta della S Casa, fatta di Bronzo con Scorniciature, Quadri, Festoni, Arme, e di altri vaghi ornamenti.
Facciata a Ponente.
N. 1. In questa tavola si rappresenta l’Annunziazione della Ss. Vergine eseguita in questa S. Casa dall’Arcangelo S. Gabriele, opera abbozzata, e compita dal Sansovino nel 1523. La figura della Vergine e assai ammirata in tutte le sue parti. La sola fattura importò scudi 525.
N. 2. La Visitazione della Madonna a S. Elisabetta. Tavola minore: opera di Raffaele da Montelupo, fatta nel 1530 di fattura gli furono dati scudi 200.
N. 3. La descrizione di Bettelemme di S. Giuseppe nel pagare il Tributo Imperiale; opera di Francesco Sangallo nel 1530 e la fattura importò scudi 200.
N. 4. La Sibilla Libica della Libia nell’Africa.
N. 5. La Sobilla di Delfo nell’Acaja.
N. 6. Il Profeta Geremia grandemente stimato per la positura, abito, panneggiamento, e pel gesto.
N. 7. Il Profeta Ezechiele.
N. 8. La finestra della S. Casa detta della Nunziata: perché esternamente corrisponde sotto la Tavola, che rappresenta un tal Mistero.
N. 9. Altare detto della Ss, Annunziata.
N.10, Pradella, e gradini del medesimo.
Facciata a Mezzo-Giorno.
N. 1. La Tavola della Nascita di Gesù Cristo, ossia Presepio; opera la più singolare, e perfetta del Sansavino compita nel 1528 per cui ebbe di sola fattura scudi 525.
N. 2. L’adorazione dei Magi, opera assai perfetta, e a Miranda da Raffaele da Monte lupo fatta nel 1532, la di cui fattura ascese a scudi 750.
N. 3. La Sibilla Persica, della Persia nell’Asia maggiore e, ovvero della Caldea.
N. 4. La Sibilla Cumea, di Cuma in Italia.
N. 5. La Sibilla Eritrea, d’Eritrea nell’Asia minore.
N. 6. Il Profeta Malachìa.
N. 7. Il Profeta David vestito da vento regio con la corona in capo, e de’ a piedi alla testa recisa di collina. Questa fu molto ammirata, e lodata da Carlo V Imperatore.
N. 8. Il Profeta Zaccherìa.
N. 9. Porta della S. Casa.
N.10. Porta del S. Camino, per cui s’entra a venerarlo.
Facciata ad oriente.
N. 1. Tavola del transito di Maria Ss. con l’assistenza de’ Ss. Apostoli; opera di Domenico Lamìa nel 1516, aggiunta di Niccolò Tribolo, di Raffaele di Montelupo, e di Francesco Sangallo, la di cui fattura fu di scudi 795.
N. 2. Le traslazioni della S. Casa; opera incominciata da Niccolò tribolo nel 1533, e compita da Francesco Sangallo, dalle cui fattura fù di scudi 750.
N. 3. La Sibilla Samia, dell’isola di Samo del Mar Egeo.
N. 4. La Sibilla Cumana. o Amaltea di Ponto nell’Asia.
N. 5. Il Prof. Mosè lodato assai per le muscolature.
N. 6. Il profeta Balaam.
N. 7. Iscrizione della Traslazione di S. Casa, e dei Misterj operati in essa, posta nel basamento d’ordine di Clemente VII fatta eseguire da Clemente VIII la di cui copia si porrà qui in fine. Le Statue de’ Profeti sono dieci, cinque ne fece Girolamo Lombardi Venez., e incominciò da Geremia l’anno 1551 per scudi 345 l’una. Poi nel 1579 ne fece un’altra breve Sc. 460.Fra Aurelio Eremita suo fratello ne fece due una per scudi 300, e l’altra per scudi 340. Il Cavalier della éorta insieme con Tommaso suo fratello ne fece due nel 1575 per Scudi 450 l’una. Le statue delle sibille sono 10, nove ne furono fatte dal suddetto Cavalier della Porta, ed una dal suo fratello Tommaso per scudi 100 l’una, donando l’inporto di una alla Ss Vergine. Gli 8 Angeli collocati sopra i Timpani delle 4 Porte, 5 ne fecero Niccolò Tribolo, Raffaele Montelupo, e Francesco Sangallo, gli altri tre furono fatti da Simone Mosca per Scudi 35 l’uno. Finalmente nelle 4 Porte di bronzo a bassorilievo fatte da Girolamo Lombardi nel 1576 fu speso Scudi 800 per ciascheduna. Chi desiderasse relazione più particolare questa Opera, veda il Serragli nella Parte II Cap, XI e XII.
ISCRIZIONE SOPRA ACCENNATA.
Christiane Hospes, qui pietatis votivae causa huc advenisti, Sacram Lauretanam Aedem videsDivinis Misteriis et miraculorum gloria toto Orbe Terrarum venerabilem, Hic Sanctissima Dei Genitrix MARIA in lucem edita, hic ab Angelo salutata, hic AETERNUM DEI VERBUM CARO FACTUM EST. Hanc Angeli primum e Palestina ad Illyricum advexere ad Tersactum Oppidum Anno salutis MCCXCI Nicolao IV Summo Pontigice triennio post initio Pontificatus Bonifacii VIII, in Oicenum translataprope Recinetum Urbem in huius Collis nemore eadem Angelorum opera collocata est ubi loco intra anni spatium ter commutato, hic postremo Sedem Divinutus fixit Anno ab hinc CCC. Ex eo tempore tam stupendae rei novitate vicinis Populis in admirationem commotis tum deinceps Miraculorum fama longe, lateque propagata Sanctae haes Domus magnam apud omnes Gentes venerationem habuit, cuius Parietes nullis fundamentis subnixi, post tot saeculorum aetates integri, stalilesque permanent. Clemens Papa VII illam marmoreo ornatu circumquaq. Convestivit Anno Domini MDXXV, Clemens VIII brevem admirandae Translationis Historiam in hpc lapide inscribi iussit Anno MDXCV.
Tu pie Hospes Reginam Angelorum, et Matrem Gratianum hic religiose venerare, ut eius meritis, et precibus a dolcissimo Filio vitae auctore, et peccato rum veniam, et corporis salutem, et aeterna gaudia consequaeris.
CAPITOLO XIII.
Degli Ornamenti interiori della S. Casa
nella parte del S. Camino.
Abbiamo finora trattato degli esteriori adornamenti, conviene ora a trattare degli interiori, che sono adatti a confermare, ed accrescere vieppiù la divozione ed il concetto di questo gran Santuario. Questi altro non sono che memorie, e doni di Personaggi, e gran Signori, offerti alla gran Madre di Dio, o per impetrare grazie, o in un ringraziamento delle grazie ricevute. E per proseguire più ordinatamente con facilità, e chiarezza fa d’uopo dividere l’interno della S. Casa in due parti, come è appunto presentemente divisa. La prima è del S. Camino cioè da questo fino altra mezzo dell’altare, chiamata parte del S. Camino, o Santuario. La seconda dall’altare fino al fine della S. Casa, chiamata parte della medesima.
La parte del S. Camino è coperta ogni facciata da capo a piedi di lame di purissimo argento, le quali sono così ispesse, e le unite, che sembrano una sola lama, ed un continuato lavoro, che non l’lascia visibile alcuna parte, ancorché minima delle S. Pareti. Alcune poche sono piccole, e moltissime melanzane, e non poche grandi, pesanti, e di getto, ed alcune grandissime, e pesantissime in forma di quadri con adornamenti, e cornice dello stesso metallo; queste ultime sono poste in ordine, e schierate sopra, e ai lati della Nicchia della S. Statua, le principali occupano l’intiera affacciata di Tramontana, e Mezzo-Giorno. Nella prima s’ammira il gran Quadro, e Voto di Alessio, e Gaspare Peretti nipoti di Sisto V di libbre 300 di argento, e nella seconda sopra la porta quello del principe di Vadenonte di Lorena di libbre 150. Al lato destro della Nicchia vi è quello di Marcantonio Colonna di non minor peso, e valore. Sotto il suddetto molto Peretti vi è la finta Porta d’argento del Card, Magalotti,
tutti arabeschi di getto traforati, colle scorniciaeture ricoperte di lame, innanzi alla quale è collocato il genuflessorio parimente di argento del Card. Colonna..
Sopra la detta éorta vi sono le due Statue d’argento genuflesse con le mani giunte l’una delle quali rappresenta Tiberio Pignatelli, l’altra Francesco Peretti Nipote di Sisto V in ciascuna parte particolarmente negli angoli, sono disposti in quantità di Putti d’argento quali a mezzo, e quali a tutto rilievo; quali a cesello, quali tutti di getto, e pesantissimi, quali nudi, e quali fasciati, e più d’uno adornato di gemme. Attorno alla Nicchia se ne contano 18, tutti d’oro purissimo, uno in mezzo all’arco anteriore della medesima con un cuore fiammeggiante in mano, è dono del Co. Brainer Alemanno. E 4 a mezzo rilievo de’ Serenissimi di Baden. I tre a tutto rilievo sono il primo nudo del Principe di Carbogano, l’altro infasciato dell’imperatore Ferdinando II, ed il terzo del Real Principe di Savoja.
Li altri 4 sono il primo nudo del Duca di S. Elìa Napolitano, il secondo infasciato di Sigismondo terzo re di Polonia, il terzo del Duca di Acquasparta, l’ultimo dell’Elettorale Casa di Baviera. Vi sono inoltre varie statue d’oro, e d’argento. La principale d’argento, è un Angelo di libbre 350, che offerisce con le mani alzate alla Ss. Vergine un Putto d’oro di libbre 24 dono del Re Cristianissimo Lodovico VIII mandato in occasione della nascita di Lodovico XIV detto poi il Grande ottenuto dopo 22 anni di sterilità. L’altra del Principe di Condè, e la terza del General Daun Viceré di Napoli. Vi sono parimenti di argento sei altre Statue d’Angeli con Candelieri, nelle quali continuamente ardono candele di cera, cioè 4 alla grata dell’Altare innanzi alla S, Statua, e due ai lati interiori della Nicchia.
I 2 più grandi pesantissimi tutti di getto del Duca, e Duchessa di Laurenzano, l’altre di pie Persone. Due d’oro di mirabil lavoro con Candelieri, sui quali continuamente ardono Candele di cera posti in fuori al piano della Nicchia con basette di Ebano adornate tutte con Cifre, e Fogliame di lastra d’oro traforati, dono di Leopoldo Imperatore Austriaco. Sopra questi vi sono due altre Statue di Angeli uno a destra tutto d’oro assai pesante adornato per ogni parte di varie preziose gemme, che offerisce alla Ss. Vergine un cuore fiammeggiante, entro il quale vi è un Lampadino che arde sempre. Il suddetto cuore è tutto tempestato di ispessissimi, e grossissimi diamanti, e le fiamme si sono formate di rubini, dono di Maria d’Este regina d’Inghilterra Moglie di Giacomo II. A sinistra in faccia né corrisponde un altro, che parimenti offerisce un cuore, ma è tutto di argento, ed il cuore solamente d’oro con corona a capo, tutto tempestato di diamanti, rubini, smeraldi, e molte perle orientali assai grosse, forma parimente un Lampadino, che arde di continuo, dono di Laura Martinozzii d’Este Duchessa di Modena Madre della suddetta Regina. Risplendono ancora avanti la S. Statua in ordine vago appese 23 lampade d’oro purissimo di diverse grandezze, e di lavoro esquisito, le quali sempre ardendo danno testimonianza della particolare divozione verso la Regina del Cielo dei donatori, che le hanno a tal’effetto abbondantemente dotate. Con due di questi si distinse Violante Beatrice di Baviera gran Principessa di Toscana. Una per cadauna ne donarno le famiglie Basadonna, Papacoda, e Piccaloga Genovesi, le Famiglie Riccardi, e di Orlandini di Firenze, la famiglia Pignatelli, la famiglia Palma: di Sant’Elìa, la famiglia Torrea, la Città di Macerata, e Fam. Sforzacosta di d. Città, le altre ugualmente disposte rammendano la venerazione di Sigismondo III Re di Polonia, e di Alfonso d’Este Duca di Modena, di Francesco M. Della Rovere Duca di Urbino, del Co.Jabonovvski Palatino Polacco, del Principe di Lorena di
Vademonte, e di una Dama Spagnola, che al pari di altre due pie incognite Persone occultato volle il proprio nome. L’altra ben grande dimostra la divozione di Francesco d’Este Duca di Modena. La maggiore poi di tutte del peso di libbre 37 d’oro è una perpetua memoria della grazia da Dio riportata per intercessione di Maria SS. dalla Sereniss. Repubblica di Venezia preservata nell’anno 1576 dall’orribile flagello della Peste, alle Lampade tutte siccome suole ispesso darsene diversa la disposizione, così non puol rendersi stabile la descrizione della rispettiva loro situazione.
In quella medesima parte si concervano alcune Reliquie preziosamente adornate, ed insieme i doni offerti da gran Signori. Nella Credenzino sopra la Porta (il quale è fama che fosse parte della Nicchia antica entro cui fu trovata la S. Statua) si conservano le reliquie. A destra è collocato un Semibusto d’argento, che rappresenta S. Barbara V. M. Il cui capo è cinto di Corona d’oro tempestata di gemme, e il collo d’una collana parimente gemmata, che termina al petto con una vaghissima, e ricca Croce. Nella sommità della testa a un’apertura con cristallo, dalla quale si vede l’intiero Cranio della medesima Santa; questo è dono di una Arciduchessa d’Austria. A sinistra v’è una Statua d’oro alta più di un palmo in piedi vestita di manto, e di insegne reali, corona in capo, nelle mani lo scettro, il Mondo gemmatati, che posa sopra una base d‘Ebano con fogliami d’oro traforati, con cristalli nelle facciate rappresenta S. Ladislao, e dentro la base si conservano fra le gemme alcune pezzette intinte nel sangue del medesimo Santo, dono di Ladislao III re di Polonia e di Svezia. Fra queste due un poco addietro si vede un altro se mi gusto d’argento di S. Gereone condottiere della S. Legione Tebea vestito d’abito militare sopra una base d’Ebano arabescata a trafori d’argento con cristalli alle facciate. Entro il Capo vi è il Cranio del Santo, e nella base, le Reliquie d’alcuni Santi suoi Compagni. Dono di Polissena Pernesta Vice.Regina di Boemia. Sotto questo vi è una trama di Rose con foglie, tronchi, e fiori d’argento, ed in mezzo alla principal Rosa, vi è sotto cristallo la Reliquia di S. Rosalìa V Palermitana dono del P. Maestro Calvanini Generale del Terz’Ordine di San Francesco. Non poco lontano è collocata la tazza di cristallo di Monte legata in oro col suo coperchio, ed ornata di varie gemme, ove S. Eduvige duchessa di Polonia, solea prendere la purificazione dopo essersi comunicata; dono di una Arciduchessa d’Inforuk.
In mezzo fa vaga comparsa un pezzo di legno della S. Croce di Gesù Cristo, chiusa in una Croce di cristallo di monte, legata in filagrana d’oro, e questa racchiusa in nobilissimo Ostensorio d’oro a due facciate, e di mirabil lavoro. La reliquia è dono del Card. Cibo Seniore, e l’Ostensorio del medesimo, che era d’argento, è stato anni sono cangiato in oro d’alcuni Signori del Messico, lasciato al Santuario, e oro, e prezzo pel medesimo. Fù compito anni sono sotto il governo di Monsignor Potenziani da Rieti già Governatore vigilantissimo del Santuario, e Città di Loreto.
CAPITOLO XIV.
Ornamento della Santa Statua.
In questa medesima parte, in mezzo della facciata d’Oriente sopra il S. Camino v’è una Nicchia, ov’è collocata, e si venera la S. Statua della Ss. Vergine Lauretana intagliata a tutto rilievo in legno di Cedro, opera di S. Luca Evangelista, venuta insieme colla medesima S. Casa da Nazaret. Questa Vicchia è composta di due archi, l’interiore è più grande, il posteriore più piccolo, ambedue con due imposte, pilastrini, e cornici tramezzate da un piano proporzionato, e va a finire concavo, che riceve la S. Statua.. E’ coperta tutta di lastra di purissim’oro con lavori a cesello di arabeschi, e scudetti di diversi emblemi allusivi alla gran Madre di Dio. Il primo Arco, il maggiore è contornato da cornice, ed arabeschi di oro, che formano l’Arco, l’Imposte, e i Pilastrini. Il secondo minore, è ornato di fascia di lapislazzuli, con arabeschi, e scudetti dell’emblemi sovrapposti, e per imposte, e in mezzo a alcuni Cherubinetti fra nuvole, e fra splendori; il concavo fatto a spese del Santuario con voti d’oro, ed altre cose non servibili. Il festone di lapislazzuli fu donato dal Card.d’Augusta, e tutto il resto, quasi di 100 libbre dalla Famiglia Palma Artois de’ Duchi di S. Elìa Napolitana, e particolarmente dal duca Francesco, poi morto sacerdote della Compagnia di Gesù. Nei due lati della sommità dell’arco interiore vi sono due Cori d’oro ornati di grossi zaffiri, e diamanti, che formano alcune cifre, e geroglifici della Principessa Madre l’uno, e l’altro del Figlio Principe di Basen.
Entro questa ricchissima Nicchia si venera la Vergine Lauretano. Ella ha avanti una grata di argento, chiamato il guardinfante, che dagl’omeri infino a piedi la cinge. Si copre questa di una veste assai ricca di ricamo d’oro, o d’argento, fralle molte a questo effetto donate da gran Signori, sulla quale si fermano ordinatamente le gioje, che formano l’adornamento. Essendo moltissime queste gioje, del valore delle quali, a giudizio dei più eccellenti Professori, è difficile cosa il formarne una giusta idea, se ne accenneranno soltanto le maggiori, e quelle principalmente che le lontananza sono le più visibili. Le due corone d’oro l’una in capo alla B. Vergine, e l’altra in quello del suo Divin Figliuolo ricche talmente di grossissimi diamanti; che appena lasciano distinguere il metallo in cui sono legate, sono dono del Re Cristianissimo Ludovico XIII. Il cerchio d’oro, fra le corone, e la fronte della Vergine, ornato di stelle framezzate di castoni di diamanti, e grosse perle orientali, dono dell’Infante di Savoia. La Principessa d’Armstadt, donò le due grosse perle legate in oro, che pendono dalla destra del S. Bambino, ed i due polsini sotto nella medesima destra l’uno contornato di rubini con ismeraldo in mezzo, dono della famiglia Rospigliosi, e l’altro con amatisto orientale contornato di diamanti, ed uno fra gli altri grosso a spighetta fermato sopra il suddetto amatisto, della Duchessa Salviati. Nella sinistra mano ha egli un mondo d’oro smaltato di color celeste, contornato di diamanti, nella sommità con Crocetta compagna, dono dell’Arciduca Leopoldo d’Austria. S’ammira in petto della Ss. Madre i tre grossi smeraldi della gran Principessa di Toscana Violante Beatrice di Baviera, contornati da altri minori, e questi da diamanti con un anello a man fede composto da un sol rubino, con cui fu sposata dal suo gran Principe. Segue sotto l’ornamento da petto lungo più d’un palmo, e largo a proporzione, composto di moltissimi grossi diamanti, rubini, smeraldi, che fu ornamento Regio d’Anna di Neroburgo Regina di Spagna Moglie di Carlo II, e dalla medesima poi offerto alla Regina del Cielo. Altro ornamento d’oro dal petto composto di Diamanti, di D. Diego Ribas d’Alcalà, il quale ha sopra un picciolo fiocchetto, ma di grossi diamanti, della Famiglia Barberini. Seguono altri preziosi giojelli, e croci. Una bottoniera di 56 bottoncini, e 112 alamari d’oro di getto, nelle quali vi sono 6054 diamanti; dono della Moglie di Filippo IV Re di Spagna, li quali alamari disuniti tra loro sono gajamente sparsi in dosso alla S. Statua, ora in una maniera ora in un’altra. Degna di ammirazione è una Croce da Donna assai stimata, e vaga, composta di 8 grossi, e 8 piccoli risplendenti purissimi brillanti: donata da una incognita Dama Tedesca. Meritano tutta l’osservazione altre due Croci, una dell’Ordine Teutonico, l’altra dell’Ordine di S. Martino, ambedue tempestate da una parte di brillanti, e dall’altra di rubini donate da un Principe di Baviera Gran Maestro degli stessi ordini. Sonovi diversi altri giojelli, fra le quali di maggior comparsa sono quelli di diamanti, ed altre varie gemme del Card. Ottoboni, del Duca d’Arc, e del Card, Nerli. Altro giojello tutto carico di smeraldi in tavola, contornato di diamanti, ed altri smeraldi a perelle pendenti donato dal Card. Ludovico Portocarrero. Una croce d’oro con grosso diamante di fondo in mezzo, ed altri 12 intorno, e di a piedi tre pendenti a goccia dono del Principe di Dietrinchstain, altra Croce d’oro con 11 grossi diamanti, dono del Card. Spinola. Un giojello d’oro ovato, e nel mezzo un grosso zaffiro contornato di 96 diamanti posti a tre ordini dono del Conte di Pegna Aranda. Due Croci vescovili una del Card. Marescotti di diamanti, e l’altra del Card. Corsi di rubini. Una croce di S, Giacomo contornata di zaffiri, e diamanti, dono di D. Michele dell a Tuente Decano di Trussillo nel Perù. Un gioiello d’oro smaltato, che figura una corona di spine, nel mezzo evvi una Colonna, ed una Crocetta a piedi tutto contornato di 157 diamanti, dono del Marchese Serra Napolitano. Altro giojello d’oro guarnito de 158 diamanti, col ritratto della Regina Maria de’ Medici Donatrice.. Una croce d’oro di zaffiri contornata di diamanti dono il cardinal d’Acugna, e l’altra di brillanti dono nell’anno 1776 il Cardin. Serbelloni. Due Cuori d’oro uniti con Corone Elettorali, e cifre, tutti contornati di diamanti, zaffiri dorati dall’Elettore di Baviera, che fu poi Carlo VII Imperatore. Due Occhi smaltati al naturale in lastra d’oro, contornati di 84 diamanti, col nastro di 34, dai quali pende un Cuore d’oro guarnito di 12 grossi diamanti, quale aprendosi mostra l’Arme, e il nome della Donatrice Cristina di Savoia. Altro gioiello d’oro, con un grosso rubino in mezzo, in forma di cuore contornato di 149 diamanti è dono del cardinale Alberto di Polonia.
È questa la sincera descrizione delle Gioje più preziose, che attualmente adornano la S. Statua lasciando di descrivere le molte altre benché pregevoli a solo oggetto di non stancare il Leggitore con lunga, e superflua narrazione. Prima per altro di passare all’altra parte della S. Casa fù d’uopo porre in vista quanto in questa prima parte di particolare si conserva. A mano sinistra del S. Camino vicino alla Porta, vi sono due credenzini, l’uno sotto l’altro. Si conserva nell’inferiore una delle S. Scudelle, legata in argento con la custodia dello stesso metallo, nella quale si passano le acque per gli Infermi, ci si toccano le divozioni, e si dà a baciare ai divoti, e confluenti. In quello di sopra e dentro una cassa d’argento con suoi cristalli per ciascuna parte, e adornata di varie, e molte gemme, dono del Cardinal Montalto nipote di Sisto V si conserva una veste tutta tessuta in lana, che comunemente chiamiamo Camelotto, di color rosso, la quale colla S. casa fù trasportata da Nazaret, e trovata indosso alla S. Statua. È fama che questa sia la Veste usata dalla Ss. Vergine tra noi vivendo. Da cristalli si vede, e si riconosce chiaramente il colore, la materia, e la polvere penetrata, e sopra di essa posata, senza alcuna signora, pure alcuna ombra di Prodi giura. Sono 498 anni che qui fù trasferita insieme con la S. Casa. Tutte le altre moltissime Vesti, che si dispongono indosso alla S. Statua, doni di gran Signori, ricchissime, e forti, essendo cose corruttibili, si corrompono, periscono, questa di semplice lana, con polvere, per tanti secoli ancora intatta, senza tignola, deve dirsi ch’Ella abbia qualche prerogativa sopra dell’altre.
CAPITOLO XV.
Ornamento del resto della S. CASA.
Dalla parte del S. Camino già descritta passiamo all’altra detta della S. Casa. Incomincia questa dal tramezzo di legno, al quale immediatamente appoggia l’Altare, a cui serve d’ornamento, fino alla fine della medesima S, Casa. Questo tramezzo oppure tavolato, che forma la divisione ha tre aperture con due ferrate. Quella di mezzo è grande di figura quadra; di larghezza a paragone dell’Altare in modo, che chiunque, ed in qualsivoglia sito si trovi in S. Cappella può godere comodamente la S. Statua, e gl’ornamenti di faccia dall’altra parte. Le laterali sono più piccole, e formano finestrini, e sotto hanno la loro Porta, per cui si passa da una parte all’altra. Inoltre è adornato di cornicione, e da capo a piedi è ricoperto di lama d’argento non vedendosi in alcuna maniera il legno- sopra ciascuna porta vi è lo stemma, e sotto questo cartello col nome del Card. Francesco Dietrichstein, per ordine, ed a spese del quale fu fatto quest’ornamento sopra le 300 libre d’argento. Ora l’apertura di mezzo non ha più la stessa forma quadrata, perché sopra l’antico quadro si si è innalzato un Arco, che rendendola più alta fa maggiormente distinguere, e godere li preziosi doni collocati nell’altra parte. Fù fatto quest’arco dell’anno 1763 con gli argenti lasciati da impiegarsi entro la S. Casa dall’Ab.Sciare Nobil Sacerdote Francese. Mpnsign, Giovanni Potenziani allora Governatore impiegolli in quest’opera così universalmente ammirata, e lodata. In mezzo al noto Arco vi è riportato un cartellone parimenti d’argento formato graziosamente da nuvole, ed abbellito da splendori dorati, nel di cui piano si legge in lettere di getto, e dorate lo stesso saluto che fece l’Angelo Gabriele in questa S. Casa alla gran Vergine: Ave gratia plena, e sotto vicino alla ferrata vi sono due Angeli della famiglia Barberini con cornucopj sui quali ardono fiaccole di libra, in ciascuna Festa della Madonna. L’adornamento dell’altare è composto d’agate, diaspri orientali, e il lapislazzuli di maraviglioso lavoro, oltre il riquadrature nel prospetto di lastra d’argento; nelle due laterali vi sono a mezzo rilievo gli Stemmi de Medici gran Duchi di Toscana, e in quella di mezzo parimenti a mezzo rilievo il gran Duca Cosimo II con le mani giunte, e ornate nella Sagra Magione, del quale questo stupendo adornamento fù dono. Ai lati interiori del medesimo altare vi sono due cancelli d’argento, con suoni pomi, e nodi del Card. Ludovico Portocarrero. Entro quest’Altare, e fra questi ornamenti è chiuso l’antico Altare dei S. Apostoli venuto colla S. Casa, il quale con l’aprirsi uno sportello nella riquadratura di mezzo si fa vedere. Egli è composto della stessa pietra tenera, che noi diciamo tufo, della quale sono fabbricate le S. Mura, qual pietra però è alquanto più alta della nostra, ed ineguale.
In questa parte ancora, vi sono Reliquie, e doni. Quivi si mirano intorno le S. Mura scoperte, e nude, le quali, benché per il corso di cinque secoli, siano premute dall’affollato, e stretto popolo, e da questo continuamente toccate, e baciate; tuttavia sono intatte, ed intere, e si sostengono senza alcun fondamento, ed appoggio. Nel S. Muro volto a Mezzo-Giorno, vi è appeso il gran Quadro tutto d’argento, e di getto, e quasi a tutto rilievo, con sua cornice, di Ranuccio Farnese Duca di Parma in atto di porre il proprio Figlio sotto la protezione della Vergine già liberato da una malattia. In petto all’altro S. Muro a Tramontana vi è lo stupendo Armario del medesimo Duca di libbre 500 di fine argento, il quale forma una Tribuna con colonna, capitelli, base, e timpano quasi tutti di rilievo con altri adornamenti d’architettura, di figura, e Sacri Misterj, meravigliosamente lavorati. Quì dentro all’aprirsi d’una grata si vede il picciolo Armario fatto col S. Muro, in cui è fama, che la Ss, Vergine vi tenesse la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Si conservano ora nel bellissimo tre sacre Scudelle fatte legare in oro dal Card. Sandoval, con quello che la prima volta dal Congo fu portato in Ispagna. Due hanno la figura di Ciotole, ed una di piattino piano. Così adornate si tengono racchiuse in una d’argento pesantissima di getto, donata dal Principe Ferdinando d’Alcalà per tal’effetto. Quivi di sotto, entro una cassetta parimente d’argento si conservano le stellette dorate, staccate dall’antico soffitto della S. Casa, ed un pezzo di tavola del medesimo avvolta in un setino. Il mirabil si è, che questo Armario ha un frammezzo di tavola tutto d’un pezzo fino al fondo, e si vede essere stato posto nel fabbricarsi il muro, e pure in tanto tempo non ha nemmeno un segno di corruzione, o di tarlo. Poco sotto vi è appeso un cornucopio d’oro grande, assai ricco, e di egregio lavoro, col compagno nell’altra del S. Muro in faccia nelle quali continuamente ardono candele di libra, dono della gran Duchessa D. Maria Maddalena d’Austria. Nelli due S. Muri di Tramontana, e Mezzogiorno, vi sono tre braccia per ciascuno con sue padelle, il tutto d’argento dorato, nei quali ardono candele di libra delle principali feste della Madonna, dono del Principe Tommaso di Savoia. Nel muro volto ad Occidente sopra alla Finestra si vede il Crocefisso antico, Quadro dell’Altare de’ S. Apostoli, opera di S. Luca Evangelista, come altrove si disse. Egli è una Croce fatta di grossa tavola di Cedro, sopra cui vi è dipinto il Redentore Crocifisso con 4 chiodi. Nel fine di ciascun braccio della Croce vi sono dipinte due figure, cioè nel destro la Ss. Vergine e nell’altro S. Giovanni Evangelista. E’ ora questo circondato da gran fregj, e cornice d’argento con tre gran Statue dello stesso metallo, cioè sopra del Padre Eterno in atto di benedire con la destra, e sostenere il Mondo con la sinistra: ai lati due grand’Angeli, che pajono sostenere volando la gran Croce.
Tutto l’ornamento ascende a libre 300 d’argento: dono del principe Taddeo Barberini. Ancora la finestra ha il suo ornamento d’argento, cioè una cornice con suoi piani donata dal Duca Gaetani. Qui sotto del pavimento s’ammira l’antica Trave, che era del soffitto di questa S. Casa, ora posta non si sa come, a paro dello stesso pavimento, la quale prenuta collo stare in piedi dell’affollato popolo, benché si consumi il pavimento di marmo, ella non si consuma, ma resiste intatta, senza tarlo, e incorrotta per tanti secoli. Sono appese ed affollate attorno le S. Mura 47 lampade d’argento tutte dorate ad ardere continuamente, e di in mezzo vi è un candelabro d’argento di 68 libbre donato dall’Elettore Guglielmo di Baviera, ed una gran Lampada donata dalla famiglia Rasponi. Nella parte del S. Camino ai lati, e dinanzi alla Statua fra Lampade d’oro, cornucopj d’argento, ed in altri pezzi ardono altri 27 lumi a oglio, come gli altri dotati. Fra dentro e fuori attorno la S. Casa ardono continuamente 94 Lampade d’argento prescindendo da quelle appese avanti gli Altari della Chiesa, dei quali ne daremo distinta la Relazione, allorché ridotti tutti a perfezione con i nuovi Marmi verranno in essi stabiliti gli altri rispettivi Quadri dei Mosaici.
CAPITOLO XVI.
Indulgenze, e Privilegj conceduti alla S. CASA.
Tutto il Mondo Cattolico fu sempre affezionato, e divoto di questo gran Santuario: oltre i preziosi doni, come finora abbiam veduto, non vi è Città, e Luogo così sconosciuto, ed abbietto, in cui non siano innalzate Chiese, e Cappelle, o Altari almeno alla Madonna di Loreto. E questo non solamente nella nostra Europa, ma fino nell’Indie, e nel Paraguai. Certamente la santità del luogo consagrato con tanti misterj, trasferito con tanti non più allora veduti prodigj, divinamente conservato sì lungo tempo, la cagione principale di tirare a sé tanta moltitudine di gente, e destare una divozione ed affetto sì universale:
dopo questo però ha contribuito molto, e in ogni tempo la vigilanza dei Sommi Pontefici. E siccome il nostro Salvatore fra noi vivenvo aveva con la sua Abitazione santificata questa povera Casa, e i S. Apostoli dopo l’Ascensione al Cielo del medesimo, avendola consacrata, vi dispensavano ai Fedeli di tesori delle divine grazie; così i S. Pontefici successori di questi, e Vicarj di quello, non cessarono mai di eccitare il Popolo Cristiano a questo Emporio di Benedizioni celesti col dispensarvi i celesti Tesori, dei quali sono rimaste il loro mani le chiavi..
Fin quando la S. Sede era in Avignone Bened. XIV il primo che nel 1341 concesse Indulgenza Plenaria nella S. Casa mosso dalla divozione dei Recanatesi, mentre le fabbricarono attorno la Chiesa, che poi, come si disse, fu disfatta per ordine di Paolo II. Ritornato poi in Roma Urbano VI certificato dal Vescovo di Recanati delle prodigiose fiamme, che sollevano scendere dal Cielo, e posarsi sopra di essa allp 8 di Settembre, e della rivelazione fatta all’Eremita Paolo di Montorio, concedé in tal giorno a chi la visitasse Indulg. Plenaria. Poi aggiunte quelle concedute da GregorioXI, alla cattedrale d’Ancona , che sono le medesime concedute a S. Marco di Venezia da Alessandro III per la festa dell’Ascensione del Signore. Tali Indulgenze per esser di somma considerazione furono confermate da Bonifazio IX e promulgata la loro durata a tutti e tre mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, dopo averne conceduta un’altra particolare pel dì solenne della Nunziata. Anzi Martino V per aumentare la devozione de’ Popoli ancor lontani, terminato che fu lo scisma, concedé ai Recanatesi la facoltà di far le fiere nei suddetti tre mesi, come dalla bolla: ad laudem, gloriam, et honorem Lauretanae Virginis. Ed inoltre tutte le concedute dai suoi Predecessori riconfermò Niccolò V dopo aver arricchita la S. Cappella di presenti degni d’un Pontefice, considerando segnalato il giorno della Nunziata lo onorò anch’esso di molte indulgenze.
Paolo II come si è detto, liberato nella Santa cappella dal mal contagioso, ed ivi sorpreso da placido sonno gli fu palesata la volontà divina del suo innalzamento al Pontificato, che dall’evento si conobbe essere stata vera rivelazione, ed egli stesso lo confessò nella sua Bolla: magna et stupenda miracula, quae ibidem eiusdem Almae Virginis opera apparent et nos in personam nostram experti sumus, et, innalzato dunque al Pontificato, oltre la fabbrica del gran Tempio intrapresa, e quasi compita l’arricchì di copiose indulgenze.Concedé a chi visitasse la S. Casa Indulgenza Plenaria in tutte le Domeniche dell’Anno, nelle Feste della Ss. Vergine, nei giorni della Settimana Santa, di Pasqua di Pentecoste, del Corpo del Signore con la sua ottava. Aggiunge il Serragli, che da Paolo II, da Sisto IV, e da Giulio II con Bolla particolare nella sola S. Casa furono concedute quante indulgenze sono mai per tutta Roma. Tolse il Santuario, i suoi Ministri, le robe dalla giurisdizione del Vescovo, e dal dominio di Recanati, e lo accolse sotto la sua protezione, della Santa Sede, e dei Ss Apostoli Pietro, e Paolo, concedendo ai Sacerdoti del Tempio la potestà di assolvere da’ casi riservati al Vescovo, ed dalla medesima Santa Sede. Non meinor cura ebbe Sisto IV, il quale nell’anno 1473 fece coprire la fabbrica del Tempio, e confermò l’Indulgenze dei suoi Antecessori, concedendo un’altra Plenaria per la Nascita della Ss. Vergine, forse perché ancora duravano in tal tempo a vedersi le prodigiose fiamme. Dichiarò inoltre un Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per il temporale con 8 Cappellani per il Divin culto, per udire comunemente le Confessioni de’ Pellegrini, con facoltà di poter loro commutare qualunque voto fuori di quel cinque alla S. Sede riservati.
Nel 1507 Giulio II confermò, e rinnovò tutte le Indulgenze allora concedute, incominciando da quella d’Urbano VI e di Martino V terminando con un’altra nuova Plenaria per il giorno della Nunziata. Esentò nuovamente dalla giurisdizione di Recanati il Santuario, con la Terra allora di Loreto, dichiarandolo un suo Sacello, e Pontificia Cappella, e tutti i Ministri di esso familiari, e commensali del Papa. Due volte visitò la S. Casa, nell’andare, e nel ritornare dalla Mirandola, dove però l’illeso per miracolo di Maria Ss Loret. Da una bomba, la di cui grossa pesante palla egli stesso alla sua presenza fé appendere al S. Muro di Mezzog., ove ancora presentemente si mira. Leone X nel 1513 nella sospensione generale dell’Indulg. dichiarò rimanere nel loro vigore quelle del Santuario Loretano: anzi con una nuova culla le confermò, e aggiunsegli le indulgenze delle sette principali Chiese di Roma, visitandosi sette Altari nel Tempio da deputarsi dal Governatore, ed altra Plenaria nella Solennità del S. Natale. Inoltre fondò in esso la Collegiata insigne; vi stabili Canonicati, Mansionarie, e gli altri sacri Ministri. Ancorché il éontificato di Adriano IV fosse sì breve, di un anno solo pure con le affettuose espressioni nella sua Bolla, e conferma dell’Ondulgenze, e Privilegj fé palese la sua divozione non ordinaria.
Quale fosse quella di Clemente VII, si è veduta in occasioni, la quale parve, che volesse superare non solamente quella di Leone il suo diretto parente, ma di tutti i suoi Predecessori. Egli per accertarsi della verità delle Traslazioni spedì a Tersatto, ed a Nazaret, e trovata incontrastabile della verità, a perpetua memoria ordinò l’iscrizione da incidersi in marmo negli ornamenti esteriori delle S. Mura. Per le grandi cose ordinate, e fatte eseguire, per l’accrescimento de’ Privilegj, e conformazioni dell’Indulgenze, vien chiamato dagli storici Loretani, il gran Clemente. Paolo III nel 1535 arricchì il Santuario di nuove Indulgenze: fondò un Seminario di Giovani, che cantassero lodi alla gran Madre di Dio, e proseguì l’adornamento de’ marmi. Giulio III nel 1554 informato, che i Sacerdoti della Chiesa non erano sufficienti di numero per udire le Confessioni de’ Confluenti, e Pellegrini, commise a S. Ignazio Lojola, che mandasse a Loreto per aiuto di quelli alcuni soggetti della sua nuova Religione, ne spedì 14 che poi nel Pontificato di Paolo IV furono accresciuti fino a 32 fra i quali molti di diverse nazioni, tutti in qualità di Penitenzieri Pontifici, in luogo dei quali dopo la soppressione della Compagnia di Gesù sono stati destinati li PP. Minori Conventuali. Pio IV fece collocare nelle Nicchie le Sibille, e i Profeti, acctrscé li Sacerdoti, la fondò il Collegio della Penitenzierìa assegnandoli rendite assai con onore: confermò tutte le indulgenze: fondò il collegio lirico, le fece tradurre in otto le lingue la breve, ed antichissima Istoria della S. Casa dal Teremano, le quali poi furono incise in marmi, e disposte nei Pilastri delle Cappelle delle navate. Concedé ancora l’Altare privilegiato per i Defonti, con le stesse Indulgenze, e Privilegj di quelle di S. Gregorio di Roma; e finalmente nell’anno 1576 un plenissimo particolar Giubileo come il passato in Roma per quelli che visitassero la S. Casa. Clemente VIII, dopo aver conceduta Indulgenza Plenaria quotidiana perpetua fece porre la breve istoria della Traslazione ordinata da Clemente VII e permesse la celebrazione della festa della Traslazione ai 10 Dicembre. Paolo V con la sua celebre bolla di più confermò, erano rese chiarissimi i Privilegj Loretani. Fece inoltre innalzare due nobilissime Fontane, l’una nella Piazza del Tempio detta della Madonna, l’altra in quella di Porta Romana detta dei Galli ornate tutte di bronzi, e marmi. Urbano VIII riconfermò la festa della Traslazione ai 10 Dicembre con un Breve particolare nel 1632 dilatandola ancora tutta la Provincia della Marca. Innocenzo X l’Anno Santo 1650 dichiarò con sua Bolla non sospendere in modo alcuno le Indulgenze Lauretane, ma lasciarle nel loro pieno vigore. Alessandro VIII inviò donativi alla S. Casa, e particolarmente una coltre tessuta d’oro, la quale s’espone nella Vhiesa interiormente sopra la Porta maggiore nelle maggiori Solennità dell’anno. Clemente IX fece porre nel Martirologio Romano la festa della Traslazione al 10 Dicemb. Laireti in Piceno Translatio Almae Domus, in qua Verbum caro factum estm etc.. Clemente X fece ripulire la Chiesa, edificare il Cimiterio, e racchiudere entro Armarj li nobilissimi Vasi della Spezieria di S. Casa.. E ancora nel pubblicare l’anno Santo 1675 dichiarò, e stabilì l’Indulgenze Loretane. Innocenzo VII approvò, e concesse la Messa propria, e l’Offizio della Traslazione con la breve Istoria della medesima nella sesta lezione. Come ancora nella Bolla dell’erezione della nuova Congregazione Loretana nel Governo del Santuario invece del Protettore. E finalmente ampliò la stessa Messa, ed Offizio per la Provincia della Marca. Clemente XI mandò doni al Santuario, e particolarmente i sagri Arredi per accompagnare il Santissimo Viatico agl’Infermi, e concedé alla Città di Segna in Dalmazia l’Offizio, e la Messa della Traslazione per li 10 Maggio, e poi a tutta la Provincia di Carniola.
Benedetto XIII dopo aver dichiarato l’anno Santo 1725 stabilì le Indulgenze Loretane, concedé la Messa ed Offizio a tutto il Dominio Veneto, alla Dalmazia, ed allo stato Pontificio nel 1728, innalzò l’Insigne cattedrale di Loreto in Basilica, dandone ogni segno d’essa, cioè Chiavi, Confalone, e Campana come le Patriarcali di Roma. Clemente XII dilatò la Messa, e l’Offizio della Traslazione al Dominio de’ Duchi di Parma, e Piacenza, poi a tutti i sudditi del Re Cattolico infino all’Indie. Benedetto XIV, oltre a molte grazie, o confermate, o concedute alle 10 Maggio 1750 aggiunse ancora il permesso di recitare, in giorno non impedito, una volta il mese nella Basilica l’Officio suddetto della Traslazione. Clemente XIII, che da Prelato, poi dal Cardinale sempre mai mostrò una tenerissima divozione a questo Santuario, col fare delle funzioni Episcopali, le Communioni Generali, e l’assistenza alle Processioni, innalzato alla dignità Pontificia non ne mostrò minore col governo di esso, e col dono di un Calice d’oro, d’ammirabil lavoro di 8 libbre, e 3 oncie insieme con la Patena dello stesso metallo: con ordine preciso, che se ne facesse uso per le principali solennità dell’anno, e per i Cardinali, che celebrano in S, Cappella, e per altri Sacerdoti riguardevoli.
CAPITOLO XVII
La S. CASA divotamente conservata.
Se ben si riflette a questa Sacros. Abitazione è impossibile, che naturalmente possa stare, e così reggersi per tanti secoli. Le di lei S. Mura non tirate e a perpendicolo, non eguali, e senza alcuna sorta di fondamento, usando solamente sopra del suolo, come anni sono nel rinnovarsi il pavimento fu veduto, minacciano ogni momento rovina. Fin d’allora, che ivi voti canadesi osservando le tali fabbricarono loro attorno un forte muro per sostenerle, ti dirò questo prodigiosamente allontanato in modo, che fra esso, e le S. Mura comodamente pronti a passare un Fanciullo, e conobbero, che l’unico sostegno loro, e difesa, era la Divina Onnipotenza, e lo stesso Dio, fra le quali s’era d’umana spoglia ammantato. Questa medesima Onnipotenza permette, e vuole le divisioni delle Sacre Reliquie degli stessi stromenti di sua Passione, perfino della sua Ss. Croce già divisa in particelle quasi infinite, che in altrettanti luoghi trasferite, e divise; solamente non è permesso mai, che qualunque particella di queste S. Pareti sia dal loro intero divisa. E se qualunque indotto da qualche umana permissione, o da qualche indiscreta di divozione abbisi osato di portar via qualche pezzetto, o miracolosamente da se stesso è tornato al suo luogo onde fu tolto, oppure a forza di infortunj e malori, è stato il delinquente forzato a riportarlo. Sono moltissimi casi succeduti in ogni tempo riferiti dagli Autori della Storia Loretana, e di quando in quando va succedendo fino al presente. Io per non partirmi dalla proposta brevità, ne riporterò qualcuno pigliato dagli Autori, qualcun altro succeduto al nostro tempo per avvertire gli Indiscreti divoti, e dimostrare insieme, che tuttavia la stessa Onnipotenza è quella che costantemente la conserva, e la difende.
Monsignor Gio. Suarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, Uomo non meno in pietà, che in dottrina singolare, nel 1561 dovendo portarsi in Trento al Concilio, venne a visitare la S. Casa. Soddisfatta la divozione, ricercò una pietra delle S. Mura per spedirla in Portogallo, e qual Reliquia collocarla in una Cappella da dedicarsi nella sua Diocesi alla gran Madre di Dio. Avvertito della Scomunica, nella quale incorreva chiunque avesse tolta qualche cosa delle S. Mura senza replica si ripose in viaggio. Giunto in Trento ottenne segretamente dal pontefice Pio IV un Breve, col quale egli si concedeva il bramato intento. Per subito con questo al Loreto Francesco Stella Senese suo Cappellano. Quivi egli giunto non trovò alcuno dei sacerdoti ministri, né alcun altro, il quale ardisse dalle S. Pareti estrarre la pietra, talmente che per soddisfare il Padrone, egli stesso fu necessitato di estrarla alla presenza di molta gente mal soddisfatta. Dopo un lungo, e disastroso viaggio, in cui più d’una volta ebbe a lasciar la vita, giunto in Trento, consegnò al Vescovo la pietra estratta dalle S. Mura, che racchiusa in una cassa di argento, speravo in breve spedirla a Coimbra. Fù immediatamente assalito da febbre, e da dolori acerbissimi, che non permettevagli alcuna requie, nemmen col sonno. Dopo moltissimi rimedj, tutti inutili, convengono i Professori, che il male non sia naturale, e conseguentemente di alcun profitto la loro arte. Così abbandonato dai Medici il povero Prelato, oltre i dolori del corpo, gli si aggiungono timori e di inquietudini d’animo, che lo riducono all’estremo di sua vita. In tale stato ridotto dagli umani soccorsi isperimentati inutili, si passa ai divini, i quali non furono pochi tanti Padri, ed anime buone ivi adunate in quel tempo. Particolarmente fù fatto raccomandare alle orazioni, e digiuni di due Monasteri di Religiose celebri per Santità. Dopo due giorni la superiora di ciascun Monastero, fra loro assai lontano, manda al Vescovo questa concorde risposta: che se egli voleva recuperare la salute, rimandasse la Madonna di Loreto la sua pietra. Stupefattoli insieme col Stella, poiché fuori di loro due era la pietra tutti ignota, né in alcuna maniera appropriata persino Trento, riconobbe la cagione del suo male, e di vero cuore a Dio, e alla Vergine chiese perdono, e spedì subito lo stesso Stella a Loreto colla pietra, per farne prontissima restituzione. Il viaggio fu tutto affatto diverso dal primo, cioè questo felice, è breve. Giunto prima in Loreto fu dal Cairo, e dal popolo sì locale che forastiere tutti brillanti di divozione, e di gioja processionalmente incontrata la Sacra Reliquia, e ricevuta con sacra pompa, fu ricollocata al suo luogo. Ed acciocché in avvenire fosse riconosciuta, per memoria le fu posto attorno una piccola lama di ferro. Confrontato poi il tempo, e l’ora in cui fu riposta al suo luogo la pietra con la perfetta guarigione del Vescovo, fu trovata essere accaduta nello stesso momento. Lo Stella fece in Loreto l’esposizione del fatto: il Vescovo ristabilito in perfetta salute, mandò lettera al Governatore della S. Casa di proprio pugno, e questo mandolla allo stesso pontefice Pio IV. La copia di questa lettera in carta pergamena con cornice di legno dorato si conserva nella S. Casa entro l’Armario delle S. Scudelle vicino all’Altare a cornu Evangelii: e la detta pietra si fa osservare ai Pellegrini, e Divoti nel S. Muro a Mezzo Giorno, vicino al piccolo vuoto, ove si tengono l’ampolline per servizio delle Messe.
Nel 1585 un di Palermo venuto a questo Santuario portò via seco un pezzetto di pietra delle S. Mura. Tornato in Patria, fu assalito da una gravissima infermità, della quale, acciò fosse più palese la cagione, in quel tempo, in cui commise il delitto, ogni anno era più tormentato del solito, cioè nel mese di Settembre, e di Ottobre. Apparve il male sempre senza rimedio, perché ogni cura il medicamento era sempre inefficace. Raccomandossi infine alla Ss. Vergine, e gli sovvenne la pietra già tolta dalla di lei S. Casa. E a tal memoria e riflesso provò primieraramente qualche scrupolo, indi a poco a poco un tal rimorso, che lo manifestò a un Sacerdote dopo lo spazio di venti anni. Fu da esso ammonito a rimandare profondamente la pietra, come cagione sicura del suo male. Profferite appena tali parole, come fossero state un supremo comandamento, l’atterrì in modo, che gli consegnò subito la pietra. Ricevutala con la venerazione dovuta, la portò al P.Provinciale dei Gesuiti, P. Gio. Battista Carminata, il quale la inviò a Roma al Cardinal Vastavillani Protettori all’ora del Santuario, con la relazione del fatto. Intanto l’Infermo, consegnata la pietra, fu rimesso nello stesso momento in salute. Il cardinale la spedì in Loreto al Governatore, ove giunta, dal medesimo, e dai Sacerdoti fù ricevuta, e con sacra pompa alla presenza di folto popolo, e di divoti Pellegrini portata nella S. Casa.
Quivi giunti i Sacerdoti non ebbero alcuna fatica di trovarle l’antico sito, dal quale, benché mancando da 20 anni, perché quasi additandolo Dio, subito si offerse ai loro sguardi; nel quale fu collocata. Le fu messo per memoria un grappetto di ferro, e si vede nel S. Muro, a Mezzo Giorno vicino alla Porta corrispondente al Coro, alto da terra circa 8 palmi.
Nel 1595 essendo Governatore del Santuario Monsig. Gallo, un Gentiluomo Maceratese di casa Pellicani pigliò parimenti un pezzetto di pietra dalle S. Mura per tenerlo secco con venerazione. Involtolla in un pannolino, e giunto a casa la pose sotto chiave qual prezioso tesoro. Fu questo ancora assalito subito da grave, e pericolosa infermità non mai conosciuta dai Medici, nonché sollevata, anzi nel decorso di tempo abbandonata affatto. Solamente, come assai divoto della Ss. Vergine, di continuo se le raccomandava nelle sue angustie. Ella un giorno finalmente gli ottenne lume di conoscere la cagione del suo male, che era la pietra tolta alle S. Mura della di lei S. Casa. Le ne domandò perdono, e promise farne una pronta restituzione. E in segno di ciò immediatamente fece aprire lo scrigno, ove l’aveva posta fra le sue cose più care, e preziose, e fattosi portare il pannolino ove era stata da lui avvolta, apertolo non vi trovò più la pietra. Pieno di stupore e rammarico insieme, chiese alla Vergine di nuovo perdono, e fece voto di quanto prima visitare la S. Casa. Ottenne subito la salute, e portossi a Loreto a soddisfare il voto, entrato nella S. Cappella osservò la pietra da lui tolta, ritornata prodigiosamente al suo luogo. Sorpreso da insolito stupore e tenerezza proruppe in dirotte lagrime e clamori, alle quali accorsi i Custodi della S. Cappella, raccontò loro il prodigio pubblicamente additando la pietra, alla quale, come all’altre, fu posto il segno di un grappetto di ferro per memoria. Questa è nel S. Muro di Tramontana poco sotto i gradini dell’Altare, alta da terra cinque palmi in circa. Siccome delle pietre, così ancora della calce, con cui sono esse fermate, né a Dio una cura particolare. Un cittadino d’Alessandria di Dio poca calce delle S. Mura, e per maggiore venerazione la racchiuse con un’Agnus in una piccola custodia d’argento. Giunto alla Patria la pose al collo della sua Moglie, non si sa per qual cagione. Ella subito si trovò invasata da Spiriti invernali, che continuamente la tormentavano. L’infelice Marito, non avvertendo la cagione, procurolle ogni rimedio, ma né Orazioni, né Esorcismi ottennero l’effetto. In tale stato fu la misera nove anni. Venuto in Alessandria il P. Battista Vannini della Compagnia di Gesù Predicatore Quaresimale, fu informato dallo stesso Marito dello stato della misera Moglie, il quale considerato l’jncominciamento dell’infortunio della sacra calce pigliata nel muri della S. Cappella, l’esortò a rimandarla a Loreto. Egli levata dal collo della Moglie la custodia ove era la calce, consegnolla immediatamente al P- suddetto, che la spedì al Loreto. Appena fatta la consegna gli Spiriti cominciarono ad obbedire agli Esorcismi, e giunta la calce in mano dei Custodi del Santuario, si trovo ella affatto libera.
Due Sacerdoti Piacentini pigliarono poca calce delle S. Mura, furono da acuta febbre sorpresi, né mai poterono liberarsi, se non dopo fatta la restituzione, e così in molti altri casi succeduti, e che tuttora succedono: che se volessimo quì narrare i casi in questo particolare avvenuti, e riferiti dagli Autori, e quelli la memoria dei quali sono appresso, e i moderni, e gli antichi Custodi del Santuario, saremmo fuori del nostro proposito di brevità, e si potrebbero formare volumi. E perché non sembri a qualcuno i riferiti esser casi antichi, ne porterò altri pochi tra gli molti per disingannarlo.Un Uffiziale di Nazion Francese di profession militare, di indole franca, ed allegra ricevé lo l’involto con roba tolta dalle S. Mura, con avviso di consegnarlo subito ai Custodi. Egli in presenza d’un suo Amico Cittadino Lauretano incominciò a deridere la semplicità, l’idea, e la premura del suo corrispondente. Avvertito dall’Amico a farne subito la consegna fù ancor egli con maggior coraggio deriso, e riputato semplice e ridendo rispose, che quando non avesse avuto che fare, lo porterebbe nella Chiesa ai custodi. Poco dopo fu sorpreso la tal violente febbre, che ad un’ora di notte disperato dai Medici, fu sagramentato per Viatico. In quell’estremo ricordandosi dell’avvenimento dell’Amico fece consegnare al signor D, Stefano Belli allora Curato l’involto. Fra poco incominciò a migliorare: e la mattina trovossi in stato tale, che si portò nella S. Cappella a chiedere perdono alla Ss. Vergine, e a ringraziarla. Accadde nel 1754 ai 9 dicembre, che un Uomo, che avea pigliato dalle S. Mura un piccolo sassolino mai poté veder la Porta, per uscir dalla Chiesa, benché gli fosse indicata, e sino a quella condotto, finché non restituì il Sassolino al Lampadaro Pietro Calvi, chìera nella Custodia in assenza dei Custodi. Un Padrone di Nave stato a Loreto, e pigliato un sassolino, mai poté partire dal Porto di Ancona se non fatta la restituzione. Ed il mirabile è, che viaggiando di conserva con altre Navi, tutte avevano vento, e partivano, solamente la sua era sempre senza vento. E questo è accaduto l’anno 1764, ed il Sassolino fù portato ai Custodi dal signor d’Angelo Giorgi, che si trovava in Ancona. Da questi, e da moltissimi casi succeduti, e che tuttora succedono, avvertamo i divoti di non toccare cosa alcuna delle S. Mura, perché oltre la scomunica fulminata dai Sommi Pontefici a questi tali, Dio è quello, che custodisce, e conserva qualsiasi minima particella di questa sua diletta Abitazione.
CAPITOLO XVIII.
Delle Cappellanìe, e Messe che si celebrano nella
S. CASA, coi loro Fondatori.
L’Augustissima Casa d’Austria tiene un Cappellano con carico di dir Messa tutti
i giorni per la famiglia Reale.
La Serenissima Casa di Baviera tiene due Cappellani, con obbligazione di
Messa quotidiana, ed oltre questi fa celebrare altra Messa quotidiana.
Il Re delle due Socilie tiene un Cappellano, con obbligo di dire la Messa ogni
settimana, che prima era di fondazione della Serenissima Casa Farnese.
Il Re di Francia tiene un Cappellano, con obbligazione di una Messa quotidiana,
due delle quali si celebrano all’Altare di S. Anna.
Ogni anno li 26 Agosto festa solenne in onore di S. Ludovico Re di Francia con
assistenza del Capitolo, e Clero, Magistrato, due Cori di Musica, e sbaro dei
cannoni ec. All’Altare della Ss. Annunziata, annesso alla S. Casa.
Più, ogni 1 Sabbato del mese una Messa solenne in musica, con l’assistenza
del Capitolo, e Clero, pel Re, e famiglia Reale.
La Serenissima Repubblica di Venezia tiene un Cappellano, con obbligo di
una Messa quotidiana.
Più, 12 Messe cantate all’anno, una per ciascun mese, con l’assistenza del
Capitolo, e clero.
Francesco Maria Duca di Urbino lasciò una Messa quotidiana.
Cosimo III, Granduca di Toscana lasciò per l’anima sua una messa quotidiana.
Francesco Loredano Doge di Venezia. Una Messa quotidiana per l’anima sua.
Margherita d’Austria, Duchessa di Parma, fondò per l’anima sua una Messa
quotidiana.
Dorotea Principessa di Lichtestein lasciò pure per l’anima sua una Messa
quotidiana.
L’eccelsa Casa Peretti lasciò una Messa quotidiana..
L’Ill.mo Sig. Francesco Maria Onorati lasciò 10 Messe quotidiane per l’anima
sua.
E.mo Cardin. di Spagna Portocarrero, lasciò fondate 355 Messe all’anno per
l’anima sua.
M. C. Re di Spagna mantiene un Cappellano Nazionale con obbligo di Messa
quotidiana per sé, e sua Real famiglia.
Nota. Altre diverse Cappellanìe si trovano, con l’obbligazione di celebrare per le
Cappelle di questo Santuario, come per esempio:
La Casa d’Arco una Messa quotidiana all’Altare della Ss. Annunziata.
Ogni giorno una Messa per l’Ecc.ma Casa Vastavillani all’Altare della Ss.
Concezione.
Ogni giorno due Messe pel Cardinal di Gioiosa.
Una Messa quotidiana per la Duchessa d’Arguillon, celebrata da un Sacerdote
a sua nominazione.
Ogni giorno due Messe pel fratello Luigi di S. Antonio Eremita di Besanzone,
celebrate da due Cappellani.
Cappellanìa, ossia Benefizio, sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, col peso di
una Messa ogni Settimana, e sei annue di requie all’Altare di Sant’Anna.
L’elettorale Casa di Sassonia tiene un Cappellano continuo, con pinque
assegnamento avendo questo l’obbligo della celebrazione di tre Messe la
Settimana ec. Ed oltre lì sopra detti obblighi ve ne sono moltissimi altri
quotidiani, mensuali, ed annuali, che per brevità si tralasciano.
*********************
NUOVO, ED ESATTO
C A T A L O G O
DE PIU’ QUALIFICATI DONI
CONSAGRATI TUTTI
A MARIA VERGINE
PER DIVOZIONE, O VOTO;
Esistenti nel Tesoro della S. CASA, giusta l’ultimo,
e accurato inventario dell’anno 1788, tralasciate
le cose dei minor rilievo per brevità.
—oooOooo—
A MANO SINISTRA DEL TESORO.
NUMERO I.
Una Canacca, o sia Fornimento da Cavallo, composto di 33 pezzi d’oro di getto
smaltato verde al di fuori; ornato con rose di grosse perle, ed in mezzo, e ai
lati contornato di rubini,e smeraldi: dono della Principessa di Regozzi di
Transilvania.
Una scatola grande rotonda aperta di oro smaltato a vari colori, sopra cui vi è
un basso rilievo in una parte la casta Susanna, e dall’altra S. Giorgio a
cavallo: dono del principe di Baden Baden Tedesco.
Un pezzo di 9 Coralli ridotti a Camei legate in oro con perle; dono d’incognita
Persona.
Un Cuore d’oro lasciato in dono dalle RR. Monache di Torre di Specchj di Roma
nel 1765.
NUMERO II.
Una picciola Cassettina bislunga quadra composta di lastra d’argento
variamente intagliato, e traforato con ovatini di lapislazzuli: dono del Sig.
Andrea Gresti nel 1595.
Due vasi d’argento, ed un ramo di fiori dello stesso metallo, fra mezzo dati da
coralli; dono del Principe di Avellino Napolitano.
NUMERO III.
Altro Ramo dei Fiori con suo vaso di argento: dono del suddetto Principe, ed ai
lati due Ampolline parimenti di argento.
NUMERO IV.
Una corona di sette poste di grossi grani di adatta già signorina, frammezzo dati
da grossi bottoni d’oro smaltato: dono della Principessa di Ragozzi di
Transilvania.
Diverse altre Corone, due di grossi coralli, una framezzata da Bottoni d’oro, e
l’altra con Coppette dello stesso getto; ed in fondo sopra Croce di
Ebano,guernita bei 4 lati d’oro smaltato un Crocifisso di Corallo. Una di
agata sardonica, e grossi niccoli bislunghi, a guisa di Olive, framezzati con
grani minori tondi, guernita di coppette d’oro smaltato bianco. Due
lapislazzuli orientali, una delle quali guernita di coppette d’oro smaltato, e
medaglia d’oro appiedi; Aaltra di Diaspro marmorino, con medaglia d’oro
rappresentante il P. Eterno da una parte, e dall’altra Innocenzo X, ma la
medaglia è riposta al numero XX: donata dalla Contessa Chiara Pallavicini di
Parma; e l’altra di Diaspro sanguigno con i Pater noster a forma di olive:
altra di Corniola, e in mezzo una di giacinto orientale, tutta guernita d’oro, ed
appiedi vi resta un Semibusto rappresentante San Pietro inciso parimenti in
un giacinto; doni di diverse pie Persone
Due Coretti d’oro; donati, uno dalle P. Generale de’ Minori Conventuali nel
1770, e l’altro dal Marchese Bandini di Camerino nel 1774.
S’ammira finalmente nel piano un Canopeo da Pisside di lametta d’argento,
ricamato in oro, e perle: donato dalla Sig. Barbara Coler di Mohrenfelt di
Vienna d’Austria, 1761.
NUMERO V Una Fortezza d’argento, rappresentante la torre di Vensenne, prigione di Stato presso Parigi: donata nel 1595 dal Principe di Conty della Casa Reale di
Borbone, da cui fuggire, di libbre 200. Avanti, e intorno vi restano sei piante
di città, e terre, lavorate il lastra di argento, che sono: Ascoli, Fermo,
Recanati, Monte Santo, Castel-Fidardo, e Sarnano; dalle medesime donate.
NUMERO VI.
Altra canacca di minor grossezza di 67 pezzi simile alla prima già descritta al
numero I, e della stessa Donatrice.
Un Cuore d’oro: dono del Duca Grimaldi di Genova nel 1766.
Un ritratto in lamina d’oro, rappresentante la Contessa Conversavano di Napoli,
dalla medesima alla Vergine donato nel 1758.
NUMERO VII.
Un Presepio d’argento: donato dalla Contessa Dismieri di Torino.
Una Corona reale d’argento con diverse pietre: donò la Confraternita di S, Monica di Fabriano.
NUMERO VIII.
Altra palma d’argento, col suo Vaso; dello stesso donatore Avellino.
NUMERO IX.
Alquante Medaglie d’oro 10 con l’Effigie di Urbano VIII, 4 con l’Effigie
d’Alessandro VII e due altre una col Salvatore, e l’altra coll’Effigie di
Innocenzo X donate dalla Principessa D. Costanza Barberini.
Una Corona di 6 poste di agata zaffirina, con una Crocetta di oro, di rubini, e
diamanti; dono del Sig. Giacomo Menardi Romano.
Una gargantiglia d’oro smaltato nero, composta di 27 diamanti quadri, con una
Colomba in mezzo, che ha un diamante in petto a forma di cuore, con altri 4
piccioli: un pajo di Pendenti egualmente smaltati con 30 diamanti; dono della
Sig. Marchesa Costacuti di Roma.
Un gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, in forma di Croce, contornato di 32
diamanti, e 10 perle: donò il Marchese Patrizj Corsini del 1690.
Due gioielli d’oro smaltati a vari colori, uno traforato a tre ordini ornato di 39
rubini, e l’altro tondo fatto a fiorami, con 57 diamanti: donati dal Ser.mo Duca
Alberto di Baviera.
Altro gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, traforato a due ordini, guernito di 64
diamanti, 5 de quali pendono a goccie: donato da una Dama Tedesca..
La Lettera A d’oro contornata di 14 diamanti, ed un’Anello d’oro con grosso
diamante: dono del Principe Ferdinando di Lobkovvitz duca di Sagan.
Altro giojello traforato a tre ordini d’oro smaltato a diversi colori a due facciate:
Ora diviso in due parti, in una delle quali facciate nel mezzo vi sono due
manine, tenenti un piccolo coretto coronato da 33 rubini, e 5 perle pendenti,
e nell’altra vi è nel mezzo una Crocetta; tutto contornato di 53 diamanti: dono
della Casa Doria.
Due Orologi d’oro, uno de’ quali con Cassa di Lapislazzalo guernito di diamanti:
donati dal Duca di Gravina Napolitano.
Un’anello Cardinalizio d’oro con uno zaffiro ottangolare in mezzo: dono del
Cardin. Sant’Onofrio Barberini.
Altro anello cardinalizio d’oro consimile.
Altro anello d’oro con 7 diamanti di fondo: donò la Duchessa Strozzi.
Un smeraldo lavorato alla Genevrina, ligato in oro, smaltato verde, in forma di
Carafaggio: dono della Sig. Emilia Imperiali Genovese.
Un giojello ovato d’oro ornato di 25 diamanti, dono della principessa Ludovisi di
Bologna.
Un orologio da petto di argento, dentro una grossa granata ligata in oro,
contornato di 29 rubini: dono del marchese Carlo Antonio Visconti Milanese.
Due anelli d’oro con due smeraldi quadri lunghi: dono di D. Gregorio Fabrizi
Benefiziato di questa Basilica.
Una Croce da petto con suo nastro donata di 100 diamanti, e un paio di
pendenti guerniti di 52 diamanti, ed un anello lavorato a rosetta con 11
diamanti: dono di Persona incognita.
Altra croce da petto, e 2 boccole d’oro, con 12 zaffiri, e 47 diamanti: dono della
Princip. Di Santobuono Napolitana del 1749
Un Tofon d’oro, con nastro, e fascetta, guernita di 3 diamanti quadri: dono del
Principe Santacroce nel 1748.
Un giacinto bislungo ligato in oro: dono del Signore Giorgio Zagni Genovese.
Due anelli d’oro, uno con diamante quadro, e l’altro con 7 diamanti: donati dal
Sig. Antonfrancesco Lauretani Preposto di S. Salvatore di Macerata.
Un’anello d’oro con diamante quadro gruppito, rappresentante una sirena: dono
del Sig, Carlo Chiacci di Cremona.
Altro anello d’oro con hn smeraldo liscio, e nel cerchio sonovi nove diamanti:
dono del Marchese Villa.
Altro anello d’oro, con smalto bianco, e un diamante rotondo in mezzo, ed altri 8
ai lati: dono del Sig. Giuseppe Giannini Genovese.
Altro anello d’oro con 7 diamanti: dono della Sig. Angela Salicola di Bologna
nel 1687.
Altro anello d’oro chiamato Mariaggie, con diamanti, e rubini: dono della
Principessa di Ardore Napolitana nel 1730.
Una Croce di Malta d’oro smaltato bianco; ed altre due di S. Stefano d’oro
smaltato rosso; donate da divoti Cavalieri.
Il ritratto di Leopoldo I Imperadore in ismalto turchino lattato, e contornato di
filograna d’oro.
NUMERO X.
Un ostensorio tutto d’argento sostenuto da due Angioletti, e nel mezzo un
grosso topazzo orientale, incastrato in oro, con piede di getto triangolare:
donato dalla Confraternita della Purità della Vita di Bologna.
Due Calici d’argento, con patene, uno contornato di 24 granate sardoniche fra
grosse, e piccole legate in oro; ella altro tutto dorato guernito con 5 pietre
verdi: donati da pie Persone.
Due puttini d’argento, uno simile all’altro: donati dalla Sig. Ortensia Manfroni
Bernini.
NUMERO XI.
Un Bambin Gesù di statura naturale, con 3 chiodi in una mano, e la corona di spine nell’altra, posto sovra piedistallo il tutto d’argento: dono del Marchese Roberto Capponi di Firenze nel 1623.
NUMERO XII.
Uno scrigno quadro bislungo d’Ebano con ispecchi, e colonnette scanalate di cristal di monte, con incassatura, capitelli, e basi d’oro, contornato di circa 70 camei antichi, 48 rubini, e 42 grossi smeraldi su fregj d’oro smaltato a varj colori, e nel fondo dell’interno è tutto ricoperto di lastra d’oro intagliata a fogliami, intarsiata di lapislazzuli a varie forme di fiori, con in mezzo un quadrello bislungo, composto di varie preziose pietre orientali riportate a guisa di Mosaico, rappresentanti pure diversi fiori: dono di D Cristina Gran Duch. di
Toscana.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso d’argento dorato, guernita
all’intorno di vari ornamenti, e fogliami parimenti d’argento dorato, traforato
con ovatini di lapislazzuli, e calcidonia orientali, con piedistallo d’Ebano. Due
Candelieri compagni alla detta Croce incassati in Ebano, guerniti di varj
ornamenti d’oro smaltato, e perle. Una Calderuola, un Aspersorio, e di un
pajo di Ampolline similmente di cristal di monte, con un ornamento d’oro
smaltato a più colori: dono del Cardinal Mandruzzi.
Altra Croce composta di tavolette di lapislazzoli incastrate in Ebano, e guarnita
di grossi topazzi. Il piedistallo è tutto di Ebano con varj quadrelli formati di
diaspro orientale, lapislazzoli, agata, e diaspro siciliano: dono del Principe D.
Carlo Barberini.
Altra Croce composta di 4 pezzi eguali di diaspro orientale, con riporti, e
fornìmenti d’oro smaltato turchino, e sopravi rubini, spinelli, e garantine
sardoniche, con piede di cristal di monte: donata da un Duca di Baviera.
Un picciolo Quadro rappresentante in bassorilievo la Vergine Addolorata, la
quale è composta di varie pietre orientali, cioè: di diaspro marmorino nel
piano, di agata, alabastro, lapislazzoli, e diaspro sanguigno di Boemia
nell’Immagine, e di diaspro verde il Tavolino, dove essa si appoggia, con
cornice di Ebano: dono della Sig. Isabella Morroni Mantovana.
Una Corona, o sia Rosario di ambra gialla, donata dalla Sig. Rosa Masorini di
Vico.
Un grosso pezzo di Corallo, che si divide in due rami, con piedistallo di argento.
Altro ramo di Corallo incassato in una gamba d’Aquila d’argento di getto,
appoggiata su base tonda pure d’argento, doni di pie Persone.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso di getto, e ornamenti, e sovrapposti
il tutto d’oro; Due Candelieri, e Ampolline simili ugualmente guernite d’oro, fù
dono del Cardinale di Lorena.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso, guernita d’argento, con base
ovata, la donò il Cardin. d’Aragona.
Altra di cristal di monte con varj fornimenti. Una Pisside simile guernita di oro
smaltato a varj colori, e tre Candelieri: dono della Duchessa Virginia Savelli
Romana.
Altra simile di cristallo di monte con Crocifisso, e varj ornamenti d’argento di
getto dorato. Due Candelieri, una Calderuola con Aspersorio, una Bacinella,
e due Ampolline della stessa materia, dono di un Duca di Mantova.
Un bacile il grande con vaso d’argento dorato: dono diD. Pietro colonna a parte
del monastero di casa Nova, ma il vaso è riposto al numero XXVIII.
Una picciola Fruttiera ovata d’argento dorato, ed intagliato a fogliami, e nei
trafori guernita di fiori, e fogliami di corallo, con contorno a pizzetto,
similmente d’argento dorato, traforato, smaltato bianco, e turchino, con
rosette di corallo, dono di pia Persona.
Altre due Fruttiere di grossa lastra d’argento dorato e traforata, ed in mezzo un
grosso riporto tondo della stessa lastra smaltata turchino, ed altri simili
riporti di ovatini egualmente smaltati: furono donate dal commendatore
Pietro Colonna nel 1641.
Una Lampada di ambra gialla, incastrata in argento dorato: fu donata da Mons.
Vescovo di Sammogizia.
Altra lampada di cristal di monte lavorata a fogliami con cerchio d’argento
dorato, e 4 teste di Cherubini d’oro di getto smaltato a varj colori: la donò
una divota Persona.
Una Tazza in forma di Conchiglia, con collo, e testa di drago, e piede tondo, il
tutto di agata orientale contornato di oro smaltato a diversi colori: dono del
Duca di Pezzi nel 1572.
Altra Tazza tonda con sua base di agata orientale, con cerchio d’oro smaltato
bianco, e nero: donata dal Marchese di Sila.
Una Croce di ambra gialla, con Crocifisso, ed ornamento alle estremità di
ambra bianca, un calice, e Statuette con Candelieri compagni alla detta Croce, dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del gran Cancelliere di
Polonia, e Duchessa d’Oltrog.
Due statue d’alabastro; una rappresentante la Santissima concezione di M.V.
con piedistallo della stessa materia, e l’altra rappresentante S. Agata ligata
ad un Tronco; donate da pie Persone.
NUMERO XIII
Due collane d’oro smaltato, e ornate di varie figure di smalto al rilievo; la
maggiore composta di 19 castone, con 18 grossi diamanti, e l’altra di 15
castoni, con 30 rubini; donate dal principe D. Giovanni d’Austria.
Una Corona di lapislazzoli di 6 poste, con coppette d’oro smaltato turchino; e
bianco; ai lati d’ogni Patee noster sonovi tramezzini contornati di 187 piccioli
diamantini; ed appiedi vi è un giojello in forma di Stella, osservandosi, da
una parte l’effigie di S. Giuseppe, e dall’altra quella della Maddalena in
ismalto miniate, contornato da 60 diamanti: la donò una Persona incognita.
Un giojello d’oro smaltato verde, e rosso, che figura una Corona di Spine; nel
mezzo ha una Colonna, ed appiedi un picciolo giojelletto pendente fatto a
spighetta, tutto da 107 diamanti contornato: donato dal Principe di
Castelforte.
Una Pace d’oro smaltato a diversi colori, con in mezzo una Croce formata da 7
diamanti, e 18 grosse perle: donata da pia Persona.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e nero, composta di 40 castoncini: nel
mezzo pende una rosetta smaltata, e di appiedi una Colomba d’oro
smaltato, tutta contornata di 54 rubini: la donò la Sig. Giulia Vitale da Trieste.
Una croce da petto d’argento dorato, guernita di 25 diamanti, e 19 granate
balasce, dono del Sig. Giuseppe Borghini.
Un Ordine Capitolare d’oro, che nel mezzo ha l’effigie della B. V. , Tutto
tempestato di 98 diamanti, due grosse amatissime, ed una perla a goccia
appiedi: donato la sua Altezza Ludovico Giuseppe Vescovo di Trifingen, e
Principe del S. R. I. Nel 1770.
Un giojello d’oro in forma di mezza luna, nel mezzo vi è una Stella, e sopra di
essa un Giove smaltato bianco sedente ad un‘Aquila smaltata verde;guernito
di 60 diamanti, e 3 grosse perle pendenti fatte a pere: dono della
Principessa Donna Costanza Barberini.
Un Tofone con suo nastro d’oro smaltato rosso, e turchino, dono del Principe
Santa Croce nel 1748.
Una Croce di Cavaliere di Malta d’oro con 49 diamanti; fù donata dal
Commendatore Martorelli nel 1712.
Un giojello con suo nastro d’oro smaltato bianco, e nero, ed in mezzo ha una
Crocetta d’oro smaltato verde, tempestato di 178 amatiste: dono del Sig. D.
Ferdinando Gaetani Palermitano nel 1687.
Un’Aquila d’oro contornata di 26 rubini,4 smeraldi, e 7 perle pendenti: dono, e
lavoro del Granduca Francesco I di Toscana.
Un Fiore dorato tempestato di perle, e pietre di colori diversi, e nel mezzo un
Nettuno, col Delfino appiedi: dono della Principessa Stabilcolonna di Roma.
Un’Ordine di S. Jaco d’oro con suo nastro, e Croce di S. Giacomo in smalto
rosso in campo di smalto giallo; tutto contornato di 63 diamanti, e 30 topazzi
gialli, dono della Sig. Francesca Riva Belliseo Verach Spagunola.
Un Quadrettino incassato d’oro smaltato con cristallo, e pittura rappresentante
S. Cecilia giacente moribonda: dono di Persona divota.
NUMERO XIV.
Un’Ostensorio d’argento fatto a Tronco, composto a tre ordini in figura di nubi,
dalle quali escono raggi, Cherubini, spighe, e grappoli d’uva, simboli tutti del
Divinissimo Sacramento, ornati di molti smeraldi, topazzi, perle, giacinti, e
granate: dono di D. Dorotea di Neoburgo Duchessa di Parma.
Due Calici con Patene d’argento, e con Coppe dorate di singolar lavoro: donati
da pia Persona.
NUMERO XV,
Un Fanciullo d’argento di statura naturale simile al primo già descritto al numero
XI dello stesso donatore.
NUMERO XVI.
Un Piliale, una pianeta, due tomicelle, due manipoli, una borsa, un messale, e
un palliotto di teletta bianca di argento a fiori, e fogliami d’oro a Coralli: dono
del Principe di Avellino Napolitano.
Una Lampada, Lampadino d’argento dorato ornata di coralli: fù dono del
Principe di Castelforte.
Un Calice, e a Patena d’argento dorato, tutto contornato di coralli; molti di essi
sono ridotti a camei, rappresentanti vari Semibusti, e le Teste di Cherubini:
lo donò il P. Vincenzo Bartoli di Firenze della Congregazione di San Filippo di Recanati, dopo averci celebrato il suo Sagrificio nella S. cappella di 12
agosto 1791.
Un Camice di Pietra detto Amianto lavorato a tela, con cingolo, ricamo, e il
merletto appiedi di seta; fu donato da Persona incognita.
NUMERO XVII.
Una Gioia grande d’oro in forma di Stella, tempestata di 8 diamanti, 10 rubini,
16 girasoli, 36 grosse perle, ed un Cuor d’oro nel mezzo smaltato rosso,
guernito di un grosso smeraldo, 9 diamanti, 6 rubini, e questa iscrizione:
Ludovica Enrici III Galliae et Poloniae Regis Uxor 1598.
Altro giojello d’oro smaltato a diversi colori a guisa d’Arma coronato, e
tempestato di 29 diamanti; donato dal Prior Savelli Romano.
Altro giojello d’oro o in forma di rosa alquanto smaltato bianco, e turchino, con
un castone in mezzo a guisa di Stella, ornato di 25 diamanti: dono del Sig.
Procchieri Perugino.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e rosso, composta di 32 castoni tutti rilevati;
ed ornati di 20 grossi diamanti quadri di fondo, ed altri 16 di minor
grossezza, 20 grossi rubini, e 40 grosse perle, e appieni di è appeso il Tofon
d’oro di getto, a cui succede altra minor Collana dello stesso metallo
smaltato a diversi colori di 25 castoni,9 de’ quali hanno ciascuno in mezzo
un diamante, altri 11 hanno in mezzo un rubino in quadro, e nel maggiore
esistono intorno 4 rubini, e li altri 4 hanno in mezzo un zaffiro turchino; i quali
castori poi, con i 100 alamari d’oro di getto smaltati a più colori, che hanno
per cadauno di essi tre grosse perle a sedere, sono gaiamente distribuiti
parte in varie Stelle, e parte in altri diversi modi; il tutto è dono del Re
Cattolico Filippo IV.
Ed appiedi una gargantiglia d’oro smaltato bianco, e nero, consistente in 15
pezzi insieme concatenati con 38 perle, 11 delle quali sono fisse ad una per
pezzo, e le altre 27 pendenti: dono di Persona incognita.
NUMERO XVIII
Un Ostensorio d’oro con l’impugnatura, rappresentante S. Francesco d’Assisi,
all’intorno contornato viene da picciole figure di basso rilievo, smaltato a vari
colori, che rappresentano gli Evangelisti, con diversi Angioli, guernito di 109
diamanti, 386 rubini, 11 smeraldi, 2 perle,2 zaffiri, e di una grossa granata
orientale: dono del generale conte Melchiorre Halzfeldt.
Un Calice; e Patena d’oro, guernito di un diamante cedrino,3 tre grossi rubini, e
da altri 16 di minor grossezza, un smeraldo, ed un zaffiro orientale turchino:
dono di un Vescovo Polacco.
Altro Calice che ha la Coppa, e sotto coppa d’oro di getto con sua Patena, con
bassi rilievi, che rappresentano vari Misterj della Passione: dono d’una pia
Persona.
Altro calice, e Patena d’oro con piede di cristallo di monte: dono del Cardinale di
Lorena.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato, traforato, ed ornato di varie pietre: dono
di Persona divota.
Un Cuore d’oro, da una parte nel mezzo vi è intagliata l’Arme, e il Nome del
Duca di Beaurillier, detto S. Agnan, e dall’altra il millesimo, cioè: A. D.
MDCCXII.
NUMERO XIX.
Una Statua d’argento di getto, che rappresenta la Ss, Vergine, col bambino: fù
dono di Ludovico Perochel Senatore della Suprema Curia di Parigi, di peso
libre 21, ed un’oncia.
NUMERO XX.
Un Sopralegivo, un Velo da Calice, due Stole, un Manipolo, due Cuscini da
Altare, e una Coperta da Messale di teletta d’argento a fiori, e fogliami d’oro,
e coralli: pure dono del Principe di Avellino.
Un Martello, e una Cucchiara, parte di getto, e di lastra d’argento, con vari
ornamenti di basso rilievo, che servirono per la Porta Santa della Basilica di
Santa Maria Maggiore nell’Anno del Giubileo 1725, è dono del Cardinale
Pietro Ottoboni.
Bacile grandetondo con suo vaso, e due sottocoppe di grossa lastra d’argento
dorato, e cesellato a varj fogliami, e fiori, con diversi riporti, e castoni d’oro
smaltato giallo, verde, turchino, e bianco; tutto contornato di gioje, cioè 29
diamanti, 99 rubini, 16 smeraldi, e nel mezzo di esso Bacile un grosso zaffiro
turchino orientale: dono del Cardinale Vidoni; ma il vaso, e sottocoppe
esistono al N. XXVIII.
Una Carta di Gloria, con cornice di argento in parte dorato, intarsiata di
lapislazzoli orientali con vari riporti di lastra d’argento lavorata a faccette,
rappresentanti in ciascun dei lati di essa Cornice diverse Immagini, e
Serafini; all’intorno guarnita da grossi topazzi, grosse pietre di color d’acqua
marina, granate, e turchina; al di sopra nel mezzo ha un’Arme che
rappresenta una Croce con lettere ai lati, R; S: N: con testa di S. Gio.
Battista a’ piedi, e 6 Palle, la prima è di lapislazzolo orientale, 4 sono di
granate grezzi, e l’altra appiedi di cristallo faccettato, e tinto rosso; fu donata
dalla Compagnia della Misericordia di Livorno nel 1647.
Un Calice, e Patena d’oro, ornato con teste di Cherubini in basso rilievo, e nel
piede tre statuette rappresentanti la Ss.Vergine assisa sopra la S. Casa, col
Bambino in braccio, S. Giuseppe, e S. Gio. Battista, e sottopiede in lastra
d’oro riportata e intagliata l’Arme di D. Enrica Caraccioli Principessa di
Ardore di cui è dono, di peso di libbre 5, oncia una, e mezza nel 1733.
Un Ostensorio grande d’argento quasi tutto dorato, ed in parte contornato di
lastra d’argento lavorata a fogliami di basso rilievo; contornato di 24 pietre
verdi, e nel mezzo due cristalli grandi di monte, con Angioletti di getto
all’intorno, e due dentro che sostengono la lunetta, ed altri 2 Angioli grandi
appiedi genuflessi, che servono di sostegno: dono dell’Ecc.mo Raniero Zeno
Ambasciadore Venez. nel 1621.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato smaltato a colori varj, contornato di 356
granate sardoniche ligate in oro; dono di pia Persona.
Altro Calice, e Patena d’oro smaltato a più colori, all’intorno guarnito de 35
diamanti di fondo, e 69 rubini: donato dall’Imperatore Ferdinando II.
Una Pisside d’oro intagliata a basso rilievo di singolar lavoro, rappresentante un
Mappamondo con tutta la descrizione del Zodiaco, che posa sopra la testa di
un Angiolo sostenuto in piedi da base di nubi con varie teste di Cherubini; il
tutto di argento di getto dorato: dono di D. Rodrigo Antonio Guimareus della
Città di Porto in Portogallo nel 1791.
Un Ostensorio Ambrosiano di cristal di monte con dentro una lunetta guernita di granate sardoniche, sostenuta da due Angioletti d’argento di getto dorato, e fra
mezzo di essi pende un grosso topazzo obbligato a giorno, ed altro simile
incassato a capo del coperchio; all’intorno è ugualmente ornato di altre
granate quadre sardoniche ligate in argento dorato, con base dello stesso
metallo: dono della duchessa Savelli Romana.
Un Calice, e Patena d’oro con varie figure di alto e basso rilievo. Appiedi di
esso sonovi tre statuette che rappresentano le tre teologali virtù: fu un dono
di Clemente XIII Rezzonico, li lib. 8, onc, 7, e 6 ott.
Una Custodia, ossia Pisside con coperchio di cristal di monte, ligato in oro
smaltato a varj colori, contornato di 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle; ed a capo
un Angioletto d’oro con giglio composto di 5 diamanti: La Coppa poi è di
lapislazzolo orientale, con coperchio in manico d’oro smaltato a colori
diversi, varie figurine smaltate bianche, e festoncini d’intorno, con 4
diamanti, 4 rubini, e 6 perle, con base di diaspro orientale, il cerchio, e li tre
piedi parimenti d’oro smaltato a più colori in forma di Satiretti, similmente
smaltati bianchi, con 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle, e sotto la detta base è
posto in lastra d’oro il seguente motto: Ut quae tuae prole tuae Mundum
beasti == Et Regnum, et Regem prole beate velis == Henricus III Francorum
et Poloniae Rex Christianissimus MDLXXXIV.
Un pezzo di miniera d’argento che al naturale forma un Cagnolino, tal quale è
stato trovato nella miniera: mandato da una Signora del Messico del 1769.
Un Tavolinetto d’argento in parte dorato, il di cui piano viene formato da un
grosso topazzo ligato a giorno, ed un altro di minor grossezza pendente
appiedi; contornato di 27 smeraldi parte all’intorno, e parte a goccia: Dal suo
contorno spunta una rama di argento smaltato verde con 5 smeraldi cadenti
a pioggia sopra un Cocchio tirato da Cavalli, con dentro una figurina, ed altre
picciol d’intorno, il tutto di Corallo: dono di Francesco Pagani Spagnuolo nel
1771.
Una Metà, ossia Fondo di Conchiglia, con 3 perle attaccate, una delle quali è
alquanto grossa: donata dal Nobil Gio. Battista Pecorini Veneziano.
Un gioiello d’oro di getto smaltato a vari colori, con sua catenella ornata di 6
rubini, fatto a mezza luna guernita di 6 smeraldi, due altri grossi a’ lati di
esso, ed altro simile appiedi con 3 grosse perle; nel mezzo voi sonovi 8 otto
rubini, e varie figurine all’intorno di basso rilievo. Altro gioiello d’oro di getto
smaltato a diversi colori, rappresentante la resurrezione con il Salvatore in
mezzo circondato da un arco, in cui sonovi 6 diamanti, 10 rubini, 2 smeraldi,
2 perle a’ lati, ed una appiedi. Un Cappio d’oro smaltato nero, ornato da 4
diamanti, 4 rubini, 4 perle a’ lati, e un rubino basso, ossia giacinto in mezzo.
Altro simile contornato di 8 rubini, 4 perle a’ lati, ed un grosso smeraldo in
mezzo. Un giojello d’oro smaltato a più colori, rappresentante nel mezzo
Gallo ornato di rubini, smeraldi, e perle. Una Pietra a Cameo, con figura che
abbraccia una Croce, contornata di oro smaltato con due figurine, e teste di
Cherubini. Altri quattro piccioli giojelli d’oro smaltato a diversi colori, con
varie gioje. Sedici rosette d’oro di getto smaltato a varj colori tutte guernite di
perle, ed altre 7 con diamanti, e turchino, ed una Lingua d’oro, e sua
catenella dello stesso metallo, con 3 rubini della A. A. R. R. Della gran
arciduchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria: il tutto è suo dono.
Da due catenelle, e festoncino a rosetta d’oro, pende un Drago dello stesso
metallo tutto di getto smaltato a più colori, guernito viene da 32 diamanti, 22
rubini, 28 smeraldi, ed una grossa perla tonda a piedi; dono di un Duca di
Baviera.
Un Nettuno d’oro di getto coronato di frondi smaltate verdì, guernito di diamanti,
col Tridente nella destra, e Scudo d’oro alla sinistra, che ha in mezzo una
grossa perla a sedere, con sopra un diamante, con banda, e manto smaltato
rosso, stando con il ginocchio sinistro sopra una testudine e al di sopra è
formata da una grossa perla ovata a sedere, e il rimanente d’oro smaltato
verde, ed il piede destro fra mezzo a due Delfini che restano al di sotto
similmente d’oro smaltato bianco, ed alquanto rosso, imbrigliati a doppio filo
d’oro con madreperla a’ loro lati, e in testa hanno un diamante per ciascuno:
dono di una Principessa incognita Napolitana del 1717.
Un Vaso, ossia Bronzino d’argento dorato, ornato di 23 intarsiature di
lapislazzoli, con 57 riporti d’oro ingioiellata di 67 rubini; dono del Marchese
Olivares Spagnolo, sopra di esso posa un Pozzo d’oro smaltato a colori vari,
sostenuto da 4 Palle di agata sardonica, nella base resta di Salvatore, col la
Samaritana, all’intorno viene gueernito da amatiste, con l’iscrizione: Mulier
da mihi bibere. Nella bocca di esso sonovi due Colonnette di Corniola, che
sostengono una Corona, con due Secchj di Corniola ligati in oro, contornato
viene ancora da 44 rubini, 12 turchine, e 92 perle; lo donò il cardinal
Brancacci.
Un pezzo d’oro oro rozzo estratto dalle miniere del Brasile: fu donato da un
ambasciatore straordinario di Portogallo nel 1716. Pesa oncie 10 ed
un’ottava.
Una picciola Galera tutta di oro smaltato a più colori, guernita di 10 diamanti
quadri, 2 grossi zaffiri bianchi quadri di fondo, posti l’uno per bandiera, e 6
perle; dono della Principessa Maria Cristina di Mansfele.
Una grossa Pietra ovata di Belzuar, ligata in oro smaltato a vari colori, e
contornata di 12 smeraldi tondi, grezzi: la portò il P. Alfonso Messia al Perù,
di cui è dono.
NUMERO XXI.
Una Collana d’oro composta di 36 pezzi traforati, e smaltati bianchi, in neri,
infilati in giro, i quali sono guerniti di 610 diamanti; donata dall’Elettore di
Colonia il Bavaro.
Altra minor Collana d’oro composta di 36 pezzi smaltati a diversi colori, 19 di
essi sono guerniti di amatiste, e gli altri di rubinetti, frammezzo dati da
perline, e in mezzo vi è un picciolo giojello tondo smaltato, contornato di
amatiste, e rubinetti: dono della Marchesa Negroni Imperiali di Genova.
Un Ordine d’oro smaltato bianco, nero, rosso, con 3 alamari, 2 nastri, o nodi
passanti, una fiamma, e tofone appiedi tutto ornato di gioje, cioè, 386
diamanti, 11 grossi smeraldi, ed altri 131 di minor grossezza, 48 rubini: dono
del Duca di Madalona D, Domenico Caraffa del 1686.
Una Croce d’argento traforato, guernita di 7 grossi smeraldi quadri di color per
effetto ligati in oro, con 40 diamanti quadri brillanti all’intorno; dono del
Cardinale dì Altan Tedesco.
Una fermezza da maniglione d’oro smaltato bianco, nero, verde, con in mezzo
un grosso smeraldo bislungo di perfettissimo colore, ed intorno guernita di
14 diamanti tondi; dono della Duchessa Gaetani Romana del 1774.
Un’anello d’oro smaltato nero con un grosso smeraldo quadro in mezzo, e 3
diamanti per ciascun lato; dono del Cardinale Mellini.
Una Croce d’argento traforato con sua attaccaglia di doppio anello con grosso
filo d’oro, con 7 grossi smeraldi brillantati ligati in oro, e 18 diamanti ligati in
argento parte nei raggi, e parte all’intorno di essa; dono di Monsignor
Francesco Onofrio Hodierna Napolitano nel 1736.
Una Croce d’oro con 6 smeraldi disposti anch’essi in Croce, e contornata di 16
diamanti, dono di Monsignor Paolucci già Vescovo di Ferrara, e il Nunzio
Straordinario di Polonia nel 1698.
Altra Croce d’oro smaltato a varij colori, composta di 9 smeraldi, e 22 diamanti,
3 de’ quali formano i 3 chiodi distribuiti in due bracci, e nel tronco; dono
dell’Ab. Ettore Riccardi Toledano.
Altra croce d’oro di getto smaltato a colori diversi, al disotto una rosetta
punteggiata bianca, con iscrizione: Virgini Lauretanae 1572. Alexander
Riarius. Davanti è guarnita di 6 smeraldi, un rubinetto appiedi di essa
Croce,e 7 perle, 4 delle quali restano fermate ai lati, e 3 pendono ai bracci, e
nel piede.
Una Croce di argento traforato, pendente da un passante fatto a fiore, con un
appio similmente d’argento, il tutto è contornato da 38 diamanti, e 20
smeraldi ligati in oro. Un paio di pendenti d’argento traforato, ornati di
diamanti, e smeraldi, ed un giojello bislungo pur d’argento traforato,
tempestato di smeraldi, e diamanti; il tutto donato dalla Principessa di
Castellaneta nel 1741.
Un’anello d’oro traforato nei lati, con un smeraldo quadro bislungo in mezzo,
attorniato da 12 diamanti brillantati ligati in argento, dono di sua Eccell,
Francesca Filingeri Duchessa di Piselli nel 1763.
Altro anello d’oro, ossia Rosetta traforata nei lati, e nel mezzo ha un grosso
smeraldo ottangolare, contornato da 18 diamanti ligati in argento; dono della
Principessa della Riccia Napolitana del 1774.
Un’Alamaro d’argento con una Rosa in mezzo, tutto guernito di 68 diamanti, e 9
smeraldi: dono del Principe Dietrichstein.
Una Croce d’oro di getto smaltato a colori vari, con 7 smeraldi bislunghi, 2 perle
pendenti ai lati, ed una appiedi. Un’anello con grosso castone d’oro
smaltato, che ha in mezzo un grosso smeraldo: dono di un Duca di Baviera.
Una Croce d’oro ornata di smeraldi: donata dalla Co: Paravicini di Milano nel
1688.
Altra Croce d’oro con pizzetto all’interno smaltato a più colori, ed a capo un
Cappio d’oro traforato, il tutto ornato di 19 smeraldi; dono del Sig. Antonio
Conti di Ferrara.
Altra Croce d’oro contornata di 12 smeraldi: dono di una pia Persona Polacca
Altra Croce d’oro di getto smaltato a varj colori, composta di 7 grossi smeraldi;
dono di un Vescovo Polacco nel 1461.
Finalmente osserva si una grossa croce d’oro di getto smaltato a più colori,
intagliata all’intorno a fogliami con vari uccelli, composta di 8 grossi smeraldi
di Roccavecchia di forme diverse, e al di sopra un’Anello d’oro Episcopale,
con un grosso smeraldo quadro bislungo pur grezzo ligato a giorno; dono del
Card. Sfondrati Milanese Nipote di Gregorio XIV.
NUMERO XXII.
Un’Ostensorio d’argento dorato, guernito all’intorno di 130 diamanti, 14 rubini, e
140 perle; lo donò. Ludovico Mercatelli Priore della Cattedrale di Jesi nel
1737.
Un Calice d’argento dorato con Patena d’oro, all’intorno ornato di castoni, e
fogliami d’oro smaltato a diversi colori, parte di essi e con zaffiri ottangolari
bislunghi orientali, e parte con perle: dono di un Duca di Mantova.
Altro Calice e Patena d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra
d’argento cesellato a fogliami, con 3 Cherubini: dono di benigna Persona.
Due Calici d’argento con Patene dorate: donati da pie Persone.
NUMERO XXIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante la Vergine col Bambino, con
Corona di lastra d’argento in capo, Scettro dello stesso metallo nella destra,
e nella sinistra il Bambino con Diadema in testa, tenendo un Globo del
braccio sinistro, mezza Luna appiedi, ed all’intorno è circondata da raggi
parimenti di lastra d’argento dorato: fù donata dalla Città di Fossombrone nel
1660, di peso libre 19, ed un’oncia.
NUMERO XXIV.
Una lampada con 3 catene, composte ognuna di 5 gigli, e 5 stelle d’oro di
getto, guernito ogni giglio di 5 diamanti, ed i 7 rubini quadri ogni stella, le
quali restano fermate in 3 rami di lastra pur d’oro terminanti ciascuno in una
Stella di più raggi dello stesso metallo di getto, con in mezzo una grossa
perla, i quali disposti a triangolo sostengono, ed abbracciano al di dentro una
Corona Reale con raggi similmente d’oro traforato, smaltato a diversi colori,
e sopra di essa Corona altra simile assai più piccola, che ha dentro un
Lampadino di cristal di monte. Le descritte Corone sono all’intorno
tempestate di preziose gemme, più, e nemmeno grosse, che restano
gaiamente distribuiti in varie foggie, cioè: di 153 diamanti, 110 rubini, 281
perle, 51 smeraldi, 17 o quali, 4 zaffiri,2 granate, e un giacinto orientale.
Sotto puoi le medesime restavi annessa una Colomba d’oro di getto
smaltato bianco, e negli occhi, e piedini smaltata di altri propri rispettivi
colori, nel ne contiene un ramoscello d’olivo smaltato verde, nelle fronti è
ornato di 8 smeraldi disposti a guisa d’olive, e in petto a un grosso smeraldo
quadro bislungo intagliato colle Arme, e di iscrizione del principe D, Camillo
Panfily Donatore, Nipote di Innocenzo X. Pesa libbre 11, e un’oncia.
Un Cerchio d’oro fatto a rosetta contornato di 18 rubini, pendono 3 catene dello
stesso metallo unite ad un Cuore grande aperto di lamina d’oro tutto
tempestato di diamanti, e rubini: dono del Serenissimo Duca Massimiliano
Filippo di Baviera nel 1683.
La veste della S. Immagine di velluto paonazzo, ornata di 16 listre di 4 fiorami a
tutto ricamo di perle tonde picciole, e grosse, di lustrini, filo, e francia d’oro
appiedi: dono della Principessa di Ragozzi di Transilvania.
Palliotto di teletta d’argento turchino tutto tempestato di perle tonde orientali,
picciole, mezzane, grosse, fascette, e mezze lune d’oro di getto smaltato
bianco, ornati tutti di diamanti quadri, e triangolari, e fregio appiedi lavorato a
fogliami similmente di perle tonde di varia grandezza, con rosette, e castoni
d’oro di getto, pur smaltato bianco, guerniti di diamanti: donò I’Infanta di
Spagna, Moglie dell’Arciduca Alberto.
Una corona reale di lastra d’oro cesellata, composta di 8 raggi, 4 maggiori, e 4
minori, al di sopra a un picciolo cerchietto d’oro di lastrina d’oro, contornato
di 12 Stelle dello stesso metallo, all’intorno guernito di rubini, zaffiri bianchi
quadri orientali, e perle donata dal cavaliere Wincislao Brizia di Trevigi nel
1608.
Una Statuetta d’argento rappresentante la Ss.Vergine in piedi, col Bambino
nella sinistra, e lo scettro dorato nella destra, con Corona in testa, e raggi
all’intorno: dono di pia Persona.
Una Fruttiera tutta d’argento di getto traforato, e tirato a rami, e ha foglie in
parte dorato, ornata di 57 pittorine a minio più, e meno picciole ricoperte di
cristallo. Nel mezzo vi è un picciolo Crocefisso, con la B. V. fregiata da un
rubino in testa, e S. Giovanni da un smeraldo, a capo della Croce restavi un
rubino quadro, e 8 diamanti distribuiti in essa. All’intorno viene guernita di 37
smeraldi, e di 37 topazzi quadri; dono della Serenissima Duchessa di
Modena nel 1721.
Una corona reale di lastra d’oro composta di 4 raggi, due maggiori, e 2 minori,
ed all’intorno è contornata di diamanti: dono di Persona benigna.
Altra corona reale d’oro, con 12 raggi, e 6 de’ quali sono maggiori, e gli altri
alquanto minori, guernita di diamanti, smeraldi, e perle, dono di Persona
incognita.
Un Triregno d’argento in parte dorato, smaltato, con cCoce sopra di getto
dorato, ornato di fogliami intagliati, guernito di smeraldi, topazzi bianchi,
amatiste, e granate, e di una picciola Corona di lastra d’argento cesellata,
contornata di varie pietre di colori varj: il tutto è dono della Confraternita di S.
Maria della Purità di Bologna nel 1633.
Una Statuetta d’argento di getto in piedi, rappresentante S, Anatoglia, che ha
nella destra la Palma del Martirio, e nella sinistra, la Pianta della Terra di tal
nome, di cui mostra esser Voto stante la Iscrizione intagliata nel piedistallo
dorato.
Un Bacile ovato d’argento dorato, guarnito di incassi alture di lapislazzoli
orientali, con 48 riporti d’oro traforato, smaltato a colori varj, gioiellati di
rubini, ed altri 8 riporti più piccioli, con un smeraldo per cadauno: dono del
Marchese Olivares Spagnuolo.
Una Corona Reale di grossa lastra d’oro con fascia ornata di 5 castoni pur
d’oro, traforati, e smaltati a più colori, nel castone di mezzo restavi un grosso
rubino in quadro, e negli altri sonovi grossi smeraldi, e zaffiri turchini
orientali: dono di Persona pia.
Altra Corona d’oro smaltato nero composta di 7 raggi, con intagli all’intorno
della fascia, rappresentanti la Natività del Salvatore, con piccioli Cherubini
d’oro di getto ripartiti in giro, nel mezzo ha una grossa granata ottangolare
con iscrizione: Devota Comunitas Recaneti. In ciascuno di detti raggi vi è a
capo un pometto smaltato turchino, e framezzati da 7 Angioletti in piedi
similmente d’oro di getto, in atto di suonare il Violino, ed il settimo raggio ha
una granata quadra bislunga di minor grossezza. Pesa libbra una, oncie 3,
ottava una, e mezza. Appartiene alla suddetta altra minor Corona d’oro
consistente in 3 raggi, ornata intorno di 2 grosse perle, e nel mezzo della
fascia eravi la grossa Spinella la quale rimirasi al numero XXV,
La Machinetta di argento quasi tutto dorato, singolare travaglio che rappresenta
una Lampada, a capo della quale vi è una Corona Reale guarnita di varie
gioje intagliata di 8 raggi, che terminano tutti in un grosso giglio. Detta
Corona viene sostenuta dalle teste di 3 Angioli di getto disposti a triangolo
all’intorno fra le mani di essi, gira una picciola Collana guisa di festoncino
comporta di diversi pezzi a somiglianza di gigli, Corone, e trofei, tempestata
pur di gioje, e da uno dei detti gigli pende una Croce di Malta smaltata in
bianco, con lo spirito S. in mezzo formato di diamanti. I medesimi Angioli
posano sul dorso di tre Leoni di getto dorato giacenti sopra base tonda pure
d’argento dorato, e tra essi Leoni veggonsi disposte tre Armette coronate i
rappresentanti ognuna un Leoncino in piedi. Tutte le suddette gioje più, e
nemmeno grosse che ornano la solo riferita sono: 40 diamanti, 249 smeraldi,
200 rubini, 66 perle, e 4 zaffiri: donata dal Principe Guido Vaìni Gran
Maestro di Malta nel 1702.
Una Corona Reale d’oro composta di 16 raggi traforati, e smaltati bianchi, e
neri, 8 di essi sono maggiori, e li altri assai minori, contornata di 304
diamanti, e 38 rubini. Uno Scettro pur d’oro smaltato bianco, e nero, con 82
diamanti, e 57 rubini; il tutto fù dono di Cristina Alessandra Regina di Svezia
nel 1656.
Un Triregno d’oro smaltato a varj colori. Le 3 corone che il compongono sono
ornate di 392 diamanti, con una picciola corona pur d’oro contornata di 96
diamanti: dono dell’Infante di Savoia.
Due Corone Reali di lastra d’oro, una per l’Immagine della B.V., e l’altra pel
Bambino, contornate vengono da perle tonde, e da 254 diamanti ligati in oro:
dono di Catarina di Brandeburgo Principessa di Transilvania.
Una Corona Reale di lastra d’argento dorato intagliata a fiorami, ed altri varj
lavori, ornata di 42 diamanti, 185 rubini, 56 smeraldi, 128 perle, e 8 topazzi:
la donò il Senatore Ginnori di Firenze.
Altra Corona Reale di lastra d’oro, la maggior parte lavorata a fogliami, e fiori
diversi in ismalto di varj colori, contornata di diamanti, rubini, e perle: donata
da pia Persona.
Sotto la medesima sonovi annessi due fasce o siano Corone d’oro, una
maggiore dell’altra, ornate da diamanti di fondo, smeraldi, rubini, e perle:
donate dalla principessa Ragozzi di Transilvania.
Un Cuore grande d’oro aperto, da un lato del quale vi è il nome di Gesù formato
di 40 grossi diamanti, e dall’altro il nome di Maria, composto di 38 diamanti
più, e nemmeno grosse, all’intorno tempestato di altri 57 diamanti.
Nell’interno stavano 3 miniature in ismalto, rappresentanti da una parte
l’Effigie della B. V. col Bambino in braccio, e dall’altra quella di Enrica Maria
Regina d’Inghilterra moglie di Carlo I, di cui è dono, tenendo nella destra un
Cuore in atto di offerirlo al Bambino Gesù, che presentemente restano negli
esterni di esso cuore. Pesa libbre 3, oncie 3, e 3 ottave,
Un Alamaro, ossia Razionale ornato da quantità di diamanti, e smeraldi, nel
mezzo ha un Pellicano che nutrisce i suoi Polli, con un grosso rubino in
petto, e nei lati di esso fiammeggiano altri 10 piccioli rubini: dono della
Principessa d’Uceda Spagnola nel 1712.
Un picciolo Uffiziolo della B.V. racchiuso in copertina d’oro traforato, smaltato a
basso rilievo di colori diversi da quelle parti, e guernito de 109 diamanti;
dono di un Benefattore Spagnuolo nel 1713.
Un picciolo Cuore d’oro smaltato rosso che ha in mezzo un grosso rubino in
quadro balasso, con 9 diamanti quadri all’intorno ligati in argento; dono
d’incognita Persona.
Un giojello grande d’oro smaltato a più colori, nel mezzo ha un smeraldo grande
in forma di Ape, circondato da 14 perle, al di sopra una Corona con 3
diamanti, e 2 rubini, contornato di 95 smeraldi, e 7 diamanti, ed appiedi un
grosso medaglione pur d’oro, con l’Effigie del Principe D. Masseo Barberini
da una parte, e dall’altra un Sole nascente dal mare, fù dono del detto
Principe.
Una Collana composta di 32 pezzi piani d’oro traforati, elaborati alla Chinese, e
di altri 16 pezzi d’argento traforati a fogliami di basso rilievo, guernita di 303
diamanti piccioli, con Medaglia d’oro ovata appiedi di filograna d’oro, e di un
Semibusto della B. V. d’oro di getto da una parte, e S. Francesco di Sales
dall’altra: fù donata dal Principe Elettorale di Sassonia fratello di D. Maria
Amalia Regina di Napoli, il quale fù in Loreto l’anno 1738.
Un Cuore di lastra d’argento dorato, ornato da 2 palme incrociate, guernite di 24
diamanti, con una Corona che le abbraccia, contornata da 9 diamanti, sotto
di esse vi è una rosetta con un grosso rubino quadro bislungo, e di una
fascia pur d’argento dorato: dono di Pia Persona.
Tre paja di Pendenti d’oro traforato, un pajo guarnito di amatiste, altro pajo di
smeraldi, uno de’ quali grosso appiedi a goccia, e l’altro di cristallo cedrino di
monte, con grossa goccia di simil cristallo: furono donate dal P. Davia della
Compagnia di Gesù.
Un grosso topazzo che credessi orientaleligato in oro: fù donato dal Sig. Conte
Pilza.
Una Croce da petto con suo Cappio d’argento traforato e dorato, contornata da
un grosso diamante quadro di fondo in mezzo, ed altri 14 fra grossi, e piccioli
intorno: dono di Persona incognita.
Un grosso gioiello in forma di Rosa d’oro smaltato rosso, con fronde verdi,
guernito di un grosso rubino nel mezzo, ed altre 56 più, e meno grossi
intorno; dono di benigna Persona.
Un Cuore d’oro aperto smaltato bianco, e nero, ed entrambe le parti tempestato
di varj rubini; dono del Co: Fonsalita Governatore di Milano.
Un giojello tondo d’oro smaltato a diversi colori traforato all’intorno, e nel mezzo
evvi un grosso occhio di Gatto orientale bislungo, contornato di 12 rubini
quadri, 12 diamanti di mezzana grossezza, e smeraldi quadri bislunghi; dono
i un Palatino polacco nel 1499,
Un gioiello grande in forma di Cuore d’arg. dor. al di sopra guernito da 2 Cristalli
di rilievo in foglia rossa, rappresentanti in uno il Salvatore, e nell’altro la Vergine, appiedi altro Cristallo cedrino bislungo ottangolare coronato di 13
diamanti, 12 topazii, 22 turchine di roccavecchia, e 10 granate sardoniche.
Un’anello d’oro contornato di diamanti con grossa turchina; dono della
Principessa di Rosano Napolit.
Un picciolo Quadretto ovato di diaspro orientale dipintovi Sant’Antonio col
Bambino avanti, con cornice d’oro traforato, smaltato bianco, e turchino, con
suo cappio pur d’oro smaltato a più colori, il tutto contornato da 26 rubini
quadri diversi; dono del Marchese Pizzini Napolitano.
Una Croce da Cavalieri di S. Stefano, con in mezzo un grosso topazzo, ornata
di 9 diamanti, 4 granate che formano la detta Croce, con un Ungaro doppio
appiedi, ed una perla a goccia: dono del Principe Piccolomini d’Aragona nel
1720.
Un’Ala, ossia Pennacchio d’oro quasi tutto traforato, smaltato a varj colori,
tempestato dal 108 diamanti: dono di pia Persona.
Un gioiello d’oro traforato a 2 ordini smaltato a più colori, nel mezzo ha una
Colomba volante smaltata bianca, nel ne becco tiene un ramo smaltato
verde, ed è guernito di 7 rubini, e 3 perle pendenti a goccia: dono d’incognita
Persona.
Un Orologio ovato d’oro, con 2 attaccaglie, e chiavetta d’oro intagliato a fiorami,
circondato da 10 diamanti ligati in argento; dono di Persona pia.
Un gioiello pendente da una Corona, d’argento traforato in forma di Cuore
frezzato, che ha nel mezzo una lastrina tonda d’oro smaltato a varj colori,
rappresentante una Croce di S. Giacomo, tutto ornato di diamanti, e
smeraldi diversi, la donò il Marchese di Arigliano nel 1738.
Un Cuore d’oro con fascia d’argento traforata, e fregiata col Nome di Maria, con
31 diamanti sparsi nella fascia e Nome; dono di benigna Persona.
Un’Aquila a 2 teste coronata d’oro di getto, tempestata di 321 perle, e 333
rubini; la donò il Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un Fiore, ossia Ramo con suo fusto d’argento dorato composto di 22 tremolanti
dello stesso metallo, fregiati da 68 diamanti, e 18 perle: lo donò la
Contestabilessa Olimpia Pamphily Colonna nel 1704.
Una Perla bislunga assai grossa ligata in oro smaltato nero, che ha da un lato
Un picciolo Drago d’oro variamente smaltato, col ventre composto di una
grossa perla, con 3 picciole catenelle d’oro da cui pende: dono di pia
Persona.
Un grosso Cameo ovato di agata sardonica orientale, che nel fondo è di color
zaffirino, rappresentante la Dea Pallade ligato in argento, in addietro creduto
Giulio Cesare: la donò la Contessa Anna Catarina di Baviera.
Altro Cameo alquanto minore ovato di pietra sardonica in campo oscuro ligato
in argento dorato, con semibusto a basso rilievo che rappresenta Filippo II
Re delle Spagne; lo donò la Principessa D. Margherita Pio di Savoia nel
1726.
Una Coce d’oro da petto con 38 perle; lo donò il Sig. Antonio Perinetti di
Piacenza.
Due Razionali d’argento dorato con 3 grossi bottoni per ciascuno formati di
perle in giro, e nella sommità di essi restavi una grossa perla; donati, uno dal
Cardinale d’Urbino, e l’altro dal Cardinale del Carpio ambedue Protettori
della S. Casa.
Un vezzo di 31 perle concatenate in altrettante Rosette d’oro smaltato bianco, e
nero; lo donò la Sig. Lanti Veneta.
Un filo di 172 perle tonde formante 2 colli; lo donò un’incognita Persona.
Altro filo di 45 perle orientali, con 2 anelletti d’oro; dono d’occulta Persona.
Altro filo di perle orientali, donato da pia Persona.
Altro filo di 47 perle orientali perfettamente tonde. Un paio di pendenti piccioli
d’argento con un diamante tondo, attaccaglia con diamanti e, e una perla a
goccia; donollo il Cavaliere Antonfrancesco Bojardi Ferrarese nel 1717.
Un vezzo di 2 fili di perle tonde; lo donò del Sig. Filippo Cardirola di Sulmona
nel 1742
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e una a goccia; le donò una
divota Persona del 1749.
Un collo di 5 fili di perle tonde, lo dono del Sig. Agostino Marioni Veronese nel
1710.
Altro collo di 2 fili di 148 perle tonde orientali, con 2 anelletti: lo donò una
benigna Persona.
Altro collo di 62 perle tonde orientali; donollo D. Girolamo de Artegna e Bazza
dell’Indie nel 1704.
Altro collo di 4 fili di perle orientali tonde: lo donò la Contessa Felice Costanza
Giurichini Sentinelli Pesarese nel 1731.
Altro collo di 30 perle orientali: dono del nobile Giorgio Pisani Veneto.
Altro collo di 45 perle tonde orientali: lo donò la Sig. Cecilia Sanguinaccio di
Pesaro nel 1734.
Nastro formato di lastra d’oro tutto ornato di perle, pende da esso un giojello
tondo d’oro traforato, composto a 2 ordini, da una parte a una picciola
immagine della V., dall’altra quella di S. Teresa, contornato di alquante
rosette parimenti di perle: lo donò la Contessa Chiazza Napolitana.
Una grossa perla orientali a goccia ligata in oro, e con picciola Crocetta a capo:
donata da pia Persona.
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e altra maggiore a goccia;
donolle la Co. Di Verva.
Un vezzo, ossia filo di 55 perle orientali, tutte di conto: lo donò la Co. Pini di
Pisa nel 1765.
Una gioja da petto composta tutta di perle eguali, con alcune più grossa in
lastra d’oro: la donò la Sig. Aloisia Corsi della Città di Penna nel 1760.
Un nastro formato di foglie d’oro con 62 diamanti, e 108 perle orientali tonde;
donollo la Marchesa di Zoffrano.
Altro nastro d’oro traforato al di sopra, tutto ornato di perle a guisa di rosette:
dono del Sig. D. Gio: Errera Consigliere in S. Chiara di Napoli.
Cappio di lastra d’oro smaltato bianco, e nero, tempestato di rubini, e perle:
dono della Sig. Catarina Centoventi.
Un’Alamaro di argento traforato a fogliami di basso rilievo, guarnito di 24
diamanti, con grossa perla bislunga nel mezzo, e 2 altre minori ai lati: dono
della Principessa della Torrella.
Un giojello d’oro smaltato bianco, nero, e rosso, contornato di 5 grosse perle
disposte a guisa di Croce, e nelle parti sonovi 4 grossi diamanti, con altri 12,
più piccioli che fregiano dette perle: lo donò una Persona incognita.
Un picciolo nastro di argento traforato ornato di diamanti, col perla a goccia:
dono d’occulta Persona.
Un collo, ossia Vezzo consistente 35 pezzi d’oro smaltato nero, 17 de’ quali
sono in forma di rosette, con grossa perla a sedere nel mezzo di ciascun
pezzo circondato da 2 ordini di perline tonde, e gli altri sono a guisa di
nastrini, guerniti a seconda dei medesimi predetti pezzi. Un’alamaro ovato
da petto d’oro, tempestato di perle, che formano alquante rosette; donollo la
Sig. Teresa Paolini da Santobuono nel 1711.
Un Fiore di perle fatto a Farfalla, che ornava un cappio di gallone d’oro,
presentato con un Cuore dalle RR Monache di Torre di Specchj di Roma
descritto al N. I.
Otto Fiori di lastra d’oro traforato contornati di perle, in 4 di essi sopra Castone
d’oro sonovi 4 diamanti, e negli altri 4 parimenti sopra egual Castone 4
rubini: dono di pia Persona.
NUMERO XXV
Un’Aquila con 2 teste sotto corona imperiale, e picciolo Tofone appiedi il tutto
d’oro di getto smaltato a più colori, ricoperta di 398 diamanti, 37 de’ quali
sono grossi, con uno assai grande nel mezzo: donolla l’Imperatrice Maria
Madre dell’imperatore Leopoldo I.
Una Collana d’oro traforato e smaltato a diversi colori, composta di 42 pezzi in
piano concatenati con 2 anelletti pure d’oro, di alcuni di essi formati sono a
Cifra, altri a Stella, ed altri a guisa di festoncini, contornata da 21 diamanti, e
21 rubini: dono d’incognita Persona.
Un Centiglio d’oro dal cappello smaltato nero, composto di pezzi 41 traforati e
arabeschi, in ciascun lato di esso vi è un cerchietto pur d’oro, liscio,
contornato tutto di 125 diamanti: dono di un Duca di Baviera.
Una gargantiglia d’oro composta di 35 pezzi, ornata da 373 diamanti: donolla D.
io: battista borghesi Principe di Solmona.
Un’Anello d’oro smaltato nero, con grosso Castone pur d’oro, e in mezzo un
grosso diamante di fondo di peso grani 72: dono del Duca Carlo Doria.
Altro anello d’oro lavorato nel cerchio a basso rilievo, con grosso diamante
brillantato tondo nel mezzo color di paglia, contornato di 36 diamantini
brillanti ligati in argento: dono del Principe D. Girolamo Giustiniani di Roma
nel 1717.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso brillante di acqua perfetta, ornato di
18 brillantini, fù lasciato in dono da Monsig. Giancarlo Molinari morto Nunzio
postolico in Bruxelles nel 1764.
Altro anello d’oro smaltato verde, e turchino, con grosso diamante gruppito
quasi d’acqua cristallina legato in argento; donollo il Co: D. Francesco
Lichstein Canonico della Metropolitana di Salisburgo nel 1746.
Altro anello d’oro variamente smaltato con grosso diamante tondo brillantato di
fondo color paglia: lo donò una benigna Persona.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ornato
da 20 quadri diamantini pur di fondo, con altri 19 simili posti in giro del
cerchio: dono di Casimiro Re di Polonia.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori, traforato nei lati, guernito di un grosso
topazio giallo, orientale ottangolare bislungo: dono del Cardin. Ruspoli nel
1741.
Altro anello d’oro e castone di argento con grosso diamante in mezzo, e 12
minori ne’ 4 lati: donollo il conte Stanislao Potoski Polacco.
Altro anello d’oro fatto a quadrello guarnito di 14 diamanti, con uno grosso nel
mezzo: fu dono d’una Persona pia nel 1748.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con grosso diamante nel mezzo attorniato da
12 piccioli tutti brillantati: dono della Compagnìa del Ss. Sacramento di
Castel S. Pietro di Bologna.
Altro anello d’oro con diamante grosso ligato a giorno: dono di divota Persona.
Altro anello d’oro con diamante quadro di fondo bislungo; dono del Card.
Spinola detto S. Cecilia.
Altro anello d’oro intagliato e traforato nei lati con un grosso diamante brillantato
tondo legato in argento; dono della Sig. Chiara Cauzzi Maggi di Cremona nel 1758.
Altro anello d’oro con un bello, e grosso brillante di acqua perfettissima; dono
del Sig. Co: Ippolito Turconi di Milano nel 1768.
Altro anello d’oro intagliato con un diamante brillantato quadro lig. In argento:
dono di persona incognita nel 1747.
Altro anello d’oro intagliato nei lati con un grosso brillante di fondo di taglio
quasi ovale; dono di occulta Persona.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con grosso diamante tondo
brillantato ligato in argento: dono della Regina di Napoli che fu in Loreto
l’anno 1728.
Altro anello d’oro con in mezzo un ritratto in miniatura contornato di 26
brillantini; dono del conte di Merod marchese di Degniè.
Altro anello d’oro intagliato, con grosso brillante nel mezzo, attorniato da 12
diamantini brillantati, con altro contorno di 13 diamanti brillantati; donollo il
barone D. Giuseppe Cetti da Chieti nel 1788.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori con in mezzo un grosso diamante ovato
bislungo, 62 altri diamanti minori triangolari distribuiti per parte: lo donò il
Marchese Mancinfotte di Ancona.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta, ornato di un grosso brillante in mezzo, e
contornato da 12 brillanti: donollo una occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante di taglio ovale ligato in argento; dono
della Sig. Marchesa Silvia Imperiali Negroni di Genova.
Altro anello d’oro a quadriglia con 9 diamanti ligati in argento: lo donò la Sig.
Marianna Bresciani Zanettini nel 1770.
Altro anello d’oro di ismalto bianco, e verde, con un grosso diamante a guisa di
cuore ligato in castone d’oro, attorniato da smalto nero a fogliami di basso
rilievo: dono del Marchese di Vitry.
Altro anello d’oro intagliato, e fatto a Rosetta, che ha in mezzo un rubino quasi
tondo brillantato, col 2 contorni di diamantini brillantati ligati in argento: dono
di D. Marianna Montalto Principessa di Arianella nel 1754.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro orientale bislungo nel mezzo, e 6 diamanti,
3 per lato; dono della Sig. Paola Lercari Spinola Genovese nel 1669.
Altro anello d’oro traforato nei lati, con un rubino in mezzo contornato di 14
brillanti, e 6 più piccioli ripartiti 3 per lato: dono del Sig. Giuseppe Piatti
Veneto nel 1768.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo, ornato di 22 brillanti
ligati in argento: lo donò il Cardinal Serbelloni nel 1776 unito ad una Croce di
6 zaffiri attorniata di 152 brillanti, che osservati indosso alla Ss.Statua già
descritta alla pagina 43.
Altro anello d’oro detto Mariaggie con un grosso rubino, e di un brillante
uniforme, guarnito di 20 diamanti brillantati, al lato del rubino vi è un brillante
mezzano, e all’altro un rubino eguale. Al di sopra esiste una Coroncina con 2
diamanti brillantati, e sotto il detto Mariaggie altro brillante: lo donò la
Marchesa Patrizi Romana del 1773.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ovato nel mezzo, e 18 piccioli diamanti
d’intorno: dono del Card. Pico della Mirandola.
Altro anello d’oro alquanto intagliato con un rubino triangolare in mezzo, ornato
di brillanti: donollo il Cardinal Salviati.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso zaffiro ottangolare bislungo, guernito
di diamanti: lo donò un Duca di Parma.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con in mezzo un topazio del
Brasile, assomigliante ad un rubino, ligato in oro, circondato da 14 diamanti
brillantati ligati in argento, con questo si distinse M. Amalia Arciduchessa
d’Austria Duchessa di Parma, che fù in Loreto l’anno 1780.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo e 10 diamanti
all’intorno: lo donò il cardinal Portocarrero.
Altro anello d’oro con un rubino quadro, e 18 all’intorno: dono di Persona
incognita.
Altro anello d’oro con in mezzo un zaffiro, contornato di 14 brillanti: dono di Pia
Persona.
Altro anello d’oro fatto a rosetta, intagliato, e traforato, con in mezzo un grosso
rubino, e 14 diamanti intorno ligati in argento: donollo il Marchese Giacomo
Brignoli di Genova nel 1770.
Altro anello d’oro alquanto intagliato, e traforato nei lati, con in mezzo un grosso
zaffiro ottangolare attorniato da 29 diamantini brillantati ligati in argento:
dono della Marchesa Teresa Cambiasi di Genova nel 1777.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con in mezzo un grosso rubino contornato da
13 brillanti: lo donò la Duchessa Maria di Casoli nata Principessa d’Angri
Doria di Napoli nel 1790.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo di color paglia, e 2 piccioli
rubini uno per lato; lo dono un’occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo di peso grani 20: dono
del Sig. Benedetto, e Veronica Coniugi Delfini Veneti.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta intagliato, con in mezzo un diamante
brillantato, ornato di 12 diamanti, ed altri 4 piccioli posti 2 per lato, tutti ligati
in argento: donollo il Canonico Quarantotto di Roma nel 1743.
Un vezzo, ossia Collana guernita di 80 diamanti brillantati gradatamente ordinati
d’ambe le parti, e nel mezzo di essa pende una Croce d’argento dorato,
contornata di 24 diamanti quadri pur brillantati: dono della Principessa Pio di
Ferrara.
Una Croce d’oro composta di 5 grossi diamanti bislunghi di fondo, attorniata di
4 diamanti quadri di fondo disposti parte nei raggi, ed alquanti nell’estremità
di detta Croce; donollo il Cardinal Ghigi nel 1654 che fu poi Pontefice
nomato Alessandro VII.
Un giojello d’oro di getto traforato, composto a 2 ordini, il primo forma un Circolo
perfetto smaltato turchino, ornato di 23 diamanti quadri, col suo Cappietto
variamente smaltato, con in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ed
il secondo a guisa di Stella, con 6 piccoli raggi d’oro smaltato rosso, e
guernita di 30 diamanti ripartiti nei raggi; donollo una benigna Persona.
Altro gioiello ligato in argento dorato con 21 diamanti ligati in argento, e nel
mezzo di esso sotto cristallo si vede l’immagine di S. Gio. Nepomuceno in
ismalto; lo donò un Cavaliere Alemanno.
Una Croce di Malta d’oro ornata di 5 brillanti, ed altri 5 minori nell’attaccaglia:
donata dal Commendatore Spada di Bologna nel 1707.
Una grossa spinella quadra bislunga ligata in oro a guisa di giojello in ismalto a
più colori, che esisteva nella corona d’oro già descritta al N, XXIV.
Un’anello d’oro con grosso diamante cedolino quadro nel mezzo, con altri 11
intorno; dono della contessa Susanna Polissena di Martinez, nata Contessa
Dietrichstein.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, ed altri 14 minori intorno:
dono del Sig. Francesco Paravicini.
Altro anello d’oro fatto a spighetta, con 8 diamanti: dono del marchese di
Nulech d’Anversa.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo: lo donò il Marchese
agrati Milanese.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro: dono della Sig. Maddalena
Pezzi Bolognese.
Altro anello d’oro che ha in mezzo una Rosetta, composta di 4 diamanti quadri
di fondo, e 3 altri più ricciolie’ lati che formano una spighetta: lo donò la Sig.
Angela Salicola Bolognese.
Altro anello d’oro a spighetta con 2 diamanti quadri nel mezzo,4 minori intorno a
triangolo, e 2 altri, uno per lato: donollo Monsignor Arcivescovo Presmiglia
Polacco.
Altro anello d’oro con un diamante in mezzo, e 12 altri intorno: donollo il signor
Silvestro Basis Bergamasco.
Altro anello d’oro con 9 diamanti di fondo, che formano un quadro, essendo
minori quelli all’intorno: lo donò il Marchese Avoli.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante tondo gruppito, ed altri 6
minori quelli all’intorno: dono del Duca Moles.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, e 3 minori per lato; lo donò il
ardinal Altieri.
Altro anello d’oro tutto smaltato a vari colori di basso rilievo, con grosso
diamante quadro di fondo: lo donò l’Ab. Udratico de Grasci Bavarese.
Altro anello d’oro lavorato a basso rilievo, con grosso diamante quadro di fondo
nel mezzo quasi cedrino, ornato nei lati da altri diamanti;donollo il Duca di S.
Pietro.
Altro anello d’oro con diamante di fondo giallo: donollo il Cardinal Sacchetti.
Una Croce d’oro intagliata, e smaltata nero, con 5 grossi diamanti o parti di
fondo color rosa; fu donata dal cardinale Pignatelli, in occasione che
ricevette in Loreto la Berretta Cardinalizia nell’anno 1688 quale innalzato alla
Pontificia Dignità nomossi Innocenzo XII.
NUMERO XXVI
Un Ostensorio d’argento di getto dorato, nei cui raggi sonovi 8 riporti d’oro, 4 in
forma di grossi castoni tondi, uno de’ quali smaltato bianco, e nero, che resta
a capo un grosso smeraldo quadro fascettato, con altri 4 mezzani distribuiti
all’intorno, e 2 altri hanno un grosso rubino grezzo posti uno per lato, nel
quarto puoi che resta appiedi, vi è una grossa amatista ovata. Gli altri 4
riporti sono in forma di Gelsomino con frondi smaltate verdi. Nella Lunetta
vedonsi 2 grossi zaffiri orientali, e al di sopra una picciola Crocetta con
diamanti, il tutto da 106 diamanti tempestato, e 20 rubini quadri mezz. Il
descritto Ostensorio vien sostenuto dalla testa di un Angiolo in piedi, il quale
tiene in ambe le mani elevate 2 grossi smeraldi bislunghi grezzi, avendo
nella cima in il sinistro di essi una picciola Corona reale d’oro ornata di
diamanti, e nel destro un picciolo scettro guarnito pur di diamanti. Al collo, al
petto, e alla cinta restanvi infilate 51 perle tonde, e sotto il collo un bottone
che ha nel mezzo una grossa perla, attorniata da 12 diamanti di fondo. Esso
Angiolo posa sopra una Nube che le serve di base, con in mezzo l’Arme
Reale; donollo M Casimira Regina di Polonia, Moglie di Giovanni III
Un Calice, e Patena di argento dorato, centinato con lastra cesellata a fogliami,
e fiori, con 3 grossi riporti ovati di getto attorno alla Sottocoppa, e 3 altri
simili intorno al piede, tutti smaltati a figure, che rappresentano vari Misteri
della Passione. Detto Calice è guarnito da 45 perle, 24 topazzi gialli, 25
Altro Calice, e Patena d’argento dorato di lastra cesellata a fogliami diversi, e
Angioli che tengono ognuno uno strumento della éassione, con vari riporti
ovati pur d’argento dorato, con dentro molte figure rappresentanti la Cena, il
Salvatore in Croce, i Ss. Martiri, l’Annunziata, la Natività del Signore, e
l’Assunta; lo donò una pia Persona.
Altro Calice d’oro con Patena d’argento dorato, contornato di vari fogliami, e
fioretti a cesello, dono di Persona benigna.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato; lo donò un’incognita persona.
NUMERO XXVII.
Un fanciullo in piedi, in atto di correre col suo piedestallo, il tutto d’argento di
grosso oggetto di peso libre 20, e oncie 2: dono della Principessa D. Angiola
Colonna Borghese.
NUMERO XXVIII.
Una veste della S. Immagine di damasco bianco, ricamata a fogliami, fiori d’oro,
e coralli, contornata di Gallone d’oro; donolla il più volte nominato Principe di
Avellino.
Un Vaso di grossa lastra d’argento dorato, con 2 Sottocoppe compagne con
riporti d’oro ornati di varie gioie, accennate al N. XX.
Altro Vaso di lastra d’argento dorato, e cesellato con varie figure, a cui va unito
al Bacile descritto al N. XII
Due vasetti di lastra d’argento ad uso di generazioni ognuno con suoi manichi,
e nodo del piede di getto: donati da divota Persona.
Una Macchina in forma di Gabinetto composta di Ebano con la Pietà figurata
nel mezzo, miniata e chiusa sotto cristallo, ornata di varie statuette
rappresentanti Cherubini, e Angioletti diversi, tenendo ognuno un qualche
Mistero della Passione, con ornamenti intorno d’argento di getto in parte
dorato.Una Croce grande di Ebano filettata di argento con Crocifisso dorato,
titolo, e 4 raggi d’argento di getto traforato, e vari Cherubini dorati. La
suddetta croce viene elevata sopra piedestallo parimenti di ebano, e in cui
sonovi diversi Angioli piccioli, e grandi, ciascuno a vent’uno Stromento della
Passione.Ai lati vi sono due Statuette rappresentanti la Vergine Addolorata
alla destra, e S. Giovanni alla sinistra il tutto dorato.Veggonsi alquanti
Quadretti dipinti significanti S. Veronica, la Flagellazione, la Coronazione di
Spine, e il viaggio del Salvatore a Calvario. Miransi altre due Statuette e gli
Evangelisti S. Giovanni, e S. Luca. La base del piedestallo è guarnita di
diverse tasse alture di lastra d’argento dorato, e di 8 Cherubini. La base
vien’eretta su dorso di 8 Leoni similmente dorati; il tutto è dono di Clemente
VIII.
Un picciolo Quadretto con Cornice di foglia d’argento che contiene scritti a
minutissimo carattere, e ristretti in 4 globi i 4 Passj, e in altri gruppi sono in
mezzo nel Vangelo di S. Giovanni, In principio etc.; lo donò il Sig. Camillo
Comini da Città Ducale.
Altro picciolo Quadretto di grossa lastra d’argento, incastrato in Cornice liscia
d’argento dorato, ha nel mezzo un picciolo Quadretto arabescato con una Crocetta d’oro smaltato a varj colori, guernita di 10 diamanti ligato in oro: dono
fatto da un grande di Transilvania.
Una Pace di argento dorato con guernimenti d’oro, nel di cui Frontispizio sonovi
4 Colonnette smaltate turchino, e arabescate d’oro, tempestata all’intorno di
rubini, e diamanti. Alla cima di essa vi è il Salvatore risuscitato con la
Bandiera in mano ornata pur di rubini con 2 perle a’ lati del Salvatore. Nel
mezzo di detta Pace vi è una Pietà intagliata in diaspora sanguigno con 2
Camei d’agata orientale, incisi in basso rilievo, nel superiore resta vi
l’adorazione de’ Magi, e nell’inferiore il famoso Giudizio di Salomone: fu
donata dal Duca Carlo Emmanuele di Savoia.
Una Croce grande di Malta d’oro: dono del Co: Mario Floriani di Macerata.
Una Croce, con un pajo di Pendenti d’oro, il tutto guernito di rubini; dono di
Antonia Ruggeri, e Domenico suo Marito Cocchiere del Duca di Madalona
nel 1763.
Un Cuor d’oro liscio, con fiamma smaltata rosso a capo della quale sonovi 12
diamantini brillantati, e 3 maggiori appiedi. All’intorno di esso Cuore vi è un
giro di 16 brillanti mezzani, e nel fondo altro maggiore, presentato in dono
dal Cardinal Lanfredini Vescovo d’Osimo nel 1735.
Altro Cuor d’oro con Rosa in mezzo formata da 5 smeraldi, e 12 diamanti. Il giro
del Cuore viene ornato da 4 piccioli smeraldi, e 7 diamanti, e nel Cappio
restanvi 2 diamanti, e 2 smeraldi a’ lati: dono di Persona occulta.
Un grosso topazzo quadro bislungo racchiuso all’intorno in cassa d’argento
dorato, con conchiglia a capo, altra a piedi, ed altre 2 ai lati: dono del Nobil
Gio: Battista Pecorini Veneto nel 1733.
Una Croce d’oro variamente smaltato, contornato da 25 per le, con in mezzo
una Statuetta d’oro rappresentante la Vergine col Bambino in braccio,
attorniata da 4 grossi giacinti, e un altro a piedi in forma di mezza luna, con
una grossa perla, e sotto vi sta un Cameo, ed in fondo vi è un Bambinello
fasciato smaltato bianco, che giace in un Cuscino smaltato rosso: lo donò la
Marchesa Nerli Mantovana.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso d’oro a più colori smaltato, tutta
guernita di diamanti, e perle: dono della Co: Publei di Montalbano.
Un Triangolo d’oro smaltato a vari colori, rappresentante in bassorilievo la Ss.
Trinità, e la Vergine in atto di essere coronata, ed appiedi di essa 4
Angioletti. In ogni angolo vi è una Virtù, cioè: Fede, Speranza, e Carità,
contornato di 75 granate sardoniche; fu donato da tre baroni boemi,
Ludovica, Martanica, e Slavada, MDCX.
Una giojetta d’oro ornata di diamanti, e rubini da una parte vi è il Nome di Gesù,
e dall’altra l’Effigie di S. Francesco di Paola; la donò D. Vittoria Caraffa
Duchessa di Madalona del 1765.
Una Croce da petto composta di 7 grossi diamanti, e attorniata da 16 minori;
dono della Sig. Ortensia Manfroni Bernini nel 1762.
Un grosso topazzo cedrino ottangolare, con cornice d’oro traforato. Una Breccia
di giacinto ligata in oro con perla appiedi. Un giojello in forma di Cuore con 5
pietre, cioè, un grosso giacinto orientale, un’amatista, un zaffiro, un crisolito,
e nel mezzo un topazzo, con 12 perle ai lati. Altro giojello che ha nel mezzo
un grosso zaffiro in tavola ligato in oro, pendente da 3 catenelle dello stesso
metallo, con 3 perle appiedi. Altro giojello d’oro di getto variamente smaltato,
fatto a guisa di deposito, con 6 grossi diamanti quadri di fondo, 3 rubini,2
pietre rosse, una grossa perla pendente a ppiedi, e 2 altre minori che
restano uno per parte di esso giojello. Altro gioiello d’oro di getto smaltato a
colori più, che ha in mezzo una figura tenente nella destra una Croce pur
d’oro, tempestata di 14 diamanti. Altro giojello d’oro smaltato a colori diversi,
con un grosso zaffiro in mezzo, e 2 Satiri di smalto bianco uno per lato altro
giojello smaltato a vari colori, rappresentante dell’Arca di Noè con 3 figure, e
diversi animali, contornato di diamanti, e rubini. Sonovi altri molti giojelli d’oro
più, e meno grossi, attorniati da varie gioje; il tutto è dono della gran
duchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria.
Un giojello ovato d’oro, centinato con doppio anello d’oro a capo. Nel mezzo ha
una Croce di Malta smaltata in bianco, sopra cristallo di monte colorito da
smalto rosso, con arabeschi d’Aquilette d’oro all’intorno, donollo un Cavalier
Tedesco.
NUMERO XXIX.
Un grosso giojello rotondo d’oro smaltato a più colori, nel mezzo viene formato
da diamanti il Nome di Gesù, ornato pur di diamanti, con vari Misteri della
Passione; appiedi di esso una grossa perla a goccia, ed a capo una Collana
d’oro composta di 92 pezzi, contornati di diamanti: donolla il Principe
Ferdinando di Polonia.
Una Collana d’oro smaltato a vari colori, composta di 19 pezzi, parte guererniti
di diamanti, e parte da grosse perle: la donò la Duchessa Cristina di Lorena.
Altra minor collana d’oro composta da 42 pezzi smaltati bianchi, e neri, nel
mezzo pende una stella d’oro composta a 2 ordini di raggi, il tutto per netto
da 129 diamanti; dono del Co: Martiniz, e sua Consorte nel 1537.
Un’Aquila d’oro a 2 teste coronata, tutta tempestata di diamanti: la donò
un’incognita Persona.
Un gioiello fatto a nastro d’oro traforato e smaltato nero, e bianco, guernito di 93
diamanti; lo donò il Milord Petriz Inglese.
Un Cuor d’oro smaltato vermiglio, con grosso diamante nel mezzo;donollo il Co:
Filippo di S. Martino di Aliè di Torino.
Altro cuore d’oro con grosso diamante quadro di fondo ligato a giorno in ambe
le parti: donollo la principessa di Rosano.
Un giojello d’oro smaltato a colori diversi, rappresentante un’Arme smaltata
verde, ornato da 21 diamanti, e 35 rubini: dono della Principessa, Trivulzj
Milanese.
Un Cappio d’oro smaltato nero tempestato di 13 diamanti quadri: dono d’occulta
Persona.
Un giojello grande d’oro traforato composto a 2 ordini a guisa d’Arme coronata,
attorniato da 96 diamanti, 5 de’ quali pendono a gocce: donolla D. Maria
Vargas Spagnuola.
Altro giojello ovato d’oro che ha in mezzo l’Immagine di S. Veronica, contornato
da 30 diamanti; lo donò la Duchessa di Fiano Romana nel 1735.
Una Croce con sua attaccaglia, e catenella d’oro contornata di 9 grossi
diamanti,e 3 grosse perle pendenti: donolla il Duca di Baviera.
Un cuore doppio d’oro liscio, con a capo un grosso diamante; dono del Co;
Enrico e Co: Eleonora di Stratman Tedeschi del 1731.
Un Tofone d’oro con suo nastro, e grosso zaffiro quadro nel mezzo. Altro
Tofone d’oro con suo nastro smaltato rosso, e nero, guernito di 48 diamanti
brillantati; furono donati dal nominato Principe Santacroce.
Una Croce da Cavaliere di Malta in forma di giojello con sua catenella d’oro,
ornata di 34 diamanti: la donò il Co: Silvestro Spada di Terni nel 1721.
Altra Croce contornata di 13 rubini, composta di Castoni d’oro tempestati di 6
grossi diamanti quadri di fondo; dono di Persona benigna.
Un Ufficiziolo d’oro smaltato a basso rilievo a varj colori, con un Cameo grande
di agata zaffirina da una parte, e con una Rosa composta da 9 diamanti
nell’altra, attorniata da 24 rubini, e nell’interno vi è dipinta l’Arme di Lorena,
con il nome della Principessa Enrichetta Donatrice.
Due Fibbie da manigli tempestate da diamanti, e perle; dono della Sig.
Marianna Lanzeoraguoca Polacca.
Una Gamba con sua catenella d’oro, con grosso diamante verso il fine d’essa
ligato in argento attorniato da 30 minori diamanti; donolla il Gen. Susa
Turinese nel 1686.
Un Quadretto ottangolare con cornice d’oro variamente smaltato, e sua
attaccaglia pur d’oro composta di 5 pezzi traforati parimenti diversamente
smaltati, in mezzo vi è scolpito in agata sardonica un Geroglifico da una
parte, e dall’altra l’Immagine della Madonna Ss. Di Loreto dipinta sopra
cristallo: offerto da Persona divota.
Altro Quadretto ottangolare di agata zaffirina orientale, rappresentante in
bassorilievo la Madonna di Loreto, con piccioli raggi all’intorno, fregiati da 36
smeraldini: dono di Madama Margarita Regol Francese.
NUMERO XXX.
Una Croce di lastra d’oro smaltato nero, con suo titolo pur d’oro fregiato da 29
diamanti di fondo, 45 rubini, e 3 chiodi d’oro che hanno per testa un grosso
diamante pur di fondo per ciascuno. Il monticello d’oro smaltato bianco, e
turchino, e alquanto verde, che rappresenta il calvario, ornato di smeraldi, e
zaffiri turchini, e bianchi orientali, crisolite, topazzi, giacinti, granate,
amatiste, turchine di rocca, o quali, corniole, e malachita . Mirasi in prospetto
un antro figurato il Sepolcro guernito di rubini, e da un canto la vergine col
Salvatore morto, d’oro variamente smaltato; offerta dal Barone Ridolfo di
Teustenbac,
Un Calice, e Patena d’argento dorato centinato di lastra cesellata a fogliami, e
teste di Cherubini, con riporti ovati pur d’argento dorato, rappresentanti
ognuno in ismalto un mistero della Passione, con un’Arme appiedi, e questa
Iscrizione:Sigismundus Carolus Comes Barcu Can, Salisburgensis etc.
Altro Calice, e Patena d’argento traforato, e cesellato a fogliami, con Coppa
d’oro guernito di 6 riporti di lastra d’argento smaltati turchini, e neri, che
rappresentano il Salvatore, l’Assunta, l’Annunziata, la Cena, la Madonna di
Loreto, e i 2 Esploratori della terra promessa, caricati d’un grosso grappolo
d’uva;; donollo il Sig. Marco Mensel Tedesco.
NUMERO XXXI.
Una Statua rappresentante la Vergine col Bambino assisa dentro un
Tabernacolo quadro, sostenuto da 4 Colonne, il tutto dorato; donollo una pia
Persona,
Due piccioli Candelieri d’argento; donolli una occulta Persona.
NUMERO XXXII.
Un Masso naturale a guisa di Piramide, nella cui facciata, e nei lati scorgonsi
132 pezzi di smeraldi, 42 de’ quali sono assai grossi, e nella cima una Croce
con Crocifisso d’argento dorato, ornata di piccioli fiori smaltati turchini, con
varie gioje, e perle all’intorno, ed appiedi la genuflessa Immagine di A. M.
Maddalena; dato da D. Antonio Forca viceré di Napoli a nome di Filippo IV,
Re di Spagna.
Altro Masso artefatto parimenti a Piramide, composto a marcassìta, e rena
d’oro, cont. da 26 topazzi bianchi, e 46 grossi pezzi di smer., Ed altri 390
minori. In esso veggonsi 7 cavi in quadro distribuiti intorno, 2 sono nella
parte anteriore, in uno posto al di sopra vi è l’Effigie della Madonna di Loreto,
e nell’altro posto al di sotto l’Arme del Cardin. Ginnali Imolese Donatore,
ambedue a basso rilievo in lastra d’argento,e 5 sono in tavolette di pietra,
con varj misteri dipinti della Passione. S’ammira a capo una Croce eretta da
in un vasetto, e ai lati di esso la V. Addolorata, e S. Giovanni ugualmente
d’argento dorato.
Una Pianeta, Stola, Manipolo, Borsa, Palla, Cuscino, e Copertina del Messale
di ganzo d’argento tessuto a scacchj, ricamato di grossi festoni e fiorami
d’oro, quasi guernito il tutto di perle diverse, con castoni ornati di rubini
riportati sopra in forma di rosette d’oro di getto. Un Palliotto di ganzo
d’argento in parte d’oro, tessuto a scacchj, ricamato a fiorami d’oro che
sembrano Rose distribuite in varie foggie, contornato di lastrina d’oro
traforato. Nel mezzo vi è il Nome di Gesù d’oro di getto, attorniato da 88
rubini, e sotto un Coretto trapassato da tre chiodi d’oro di getto, guernito
guernito di 59 rubinetti, in un lato vi è la Vergine, e nell’altro lì’Angiolo
annunziatore, e sopra lo Spirito S. pur d’oro di getto smaltato bianco,
tempestato da 166 rubini. Tutte le nubi che ivi restano formate sono di
piccioli perle; il tutto è dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del
Gran Cancelliere di Polonia, e Duchessa d’Ostrog.
NUMERO XXXIII.
Una Collana composta di 15 grossi castoni d’oro variamente smaltato, ornati di
42 diamanti, 82 rubini, e 23 grosse perle. Un’Uffiziolo giojellato di diamanti,
rubini, perle, e 10 piccioli Camei di lavoro greco. Il di dentro è diviso in 3
parti, in una osservasi un Crocifisso d’oro smaltato, con Croce ornata di
smeraldi grezzi, e da altre gioje; nell’altra vi è dipinta la B. V.beata con
cornice d’oro guernita di rubini, e diamanti da un lato, e dall’altro la Natività
del Sig. incisa in lastra d’oro, ove sotto il detto Uffiziolo presentemente si
ammirano, e nella parte ultima vi è l’Immagine di S. Gerolamo pur d’oro
smaltato bianco, attorniato di varie gioje; il tutto è dono del Duca Guglielmo
di Baviera.
Una Croce d’oro traforato, smaltato a colori, composta di 22 diamanti, 17 de’
quali sono grossi bislunghi, con 3 grosse perle pendenti, e un grosso rubino
bislungo appiedi; donolla il Marchese Martinengo di Brescia.
Un giojello, ossia Rosa d’oro composta a 3 ordini in mezzo ha un grosso
diamante, e 14 altri intorno; donollo D. Eleonora Cavaniglia Duchessa di S.
Giovanni.
Altro giojello ovato attorniato da 50 diamanti con uno grosso nel mezzo; lo donò
il Sig. Ferrante Pollea di Piacenza.
Altro giojello d’oro con 7 granate orientali doppie, circondato da diamanti
brillantati, e un Cappietto d’oro smaltato rosso, con grosso diamante
brillantato, e sotto un Tofone di getto d’oro; donollo il Principe Sansevero
Napolitano nel suo ritorno da Vienna nel 1722.
Altro giojello d’oro a più colori smaltato, rappresentante l’Effigie della Vergine
col Bambino in braccio, e 2 Angeli ai lati ornato di 92 diamanti con grossa
perla appiedi; lo donò la Sig. Eleonora Mandrozzi Duchessa di Pulinghera.
Una croce di S. Stefano con 4 granate orientali che formano i 4 raggi, con sopra
una Corona, tutto contornato di brillanti; lasciolla in dono il marchese
Pierantonio Gierini di Firenze nel 1757.
Un giojello grande ovato d’oro traforato a 2 ordini, tempestato di 67 diamanti
con uno grosso nel mezzo; lo donò la Sig. Vittoria Strozzi di Firenze.
Altro giojello d’oro smaltato nero in forma di piume, con diversi fogliami ai lati,
ornato di 43 diamanti, 2 de’ quali sono grossi, ed alla cima un Coretto pur
d’oro smaltato nero; lo donò la Marchesa Giovanna Gonzaga Mantovana.
Altro giojello d’oro smaltato bianco, e nero, composto di 5 pezzi guerniti di
smeraldi: donollo una Dama Tedesca.
Una grossa perla fatta barchetta ligata in oro appesa a 3 catenelle pur d’oro,
con altre 5 perle cadenti al di sotto. Non è meno prodigiosa, che
inestimabile, mentre dalla parte superiore si ammira effiigiata a bassorilievo
la Ss. Vergine di Loreto sopra una nube. Fù trovata, e donata da un
Pescatore, che avea promesso alla Vergine la sua prima pescagione.
Un reliquiario d’oro smaltato a più colori, ornato di rubini, da una parte ha un
cameo in agata di bassorilievo rappresentante S. Gio: Battista, che battezza
il Salvatore al Giordano, e dall’altra è intagliata la Croce con vari Misteri della
Passione, e al di dentro sonovi riposte molte Reliquie: lo donà una Persona
incognita.
Una gargantiglia d’oro con 37 perle a goccia, ed altre 13 ligate in essa, dono
d’occulta Persona.
NUMERO XXXIV.
Una Croce con 2 Candelieri di diaspro di Boemia con Crocifisso, e titolo
d’argento dorato, il tutto guernito da piccioli riporti di lastra d’oro, nodi, e
pometti pur d’oro di getto, smaltato a più colori: dono del Principe, e
Principessa Lichtenstain nel 1484.
NUMERO XXXV.
Un Triregno di lastra d’argento traforata, e intagliata a fiorami in parte dorati;
donollo la Compagnia dei Battilana di Gubbio.
Una Statuetta di argento di getto rappresentante la Vergine in piedi, sopra
piedestallo d’Ebano ornato di teste di Cherubini d’argento di getto dorato,
con Corona in testa, Bambino nella sinistra, e scettro nella destra, donolla il
Sig. Virgilio Groschedel Consigliere dell’Elettore di Baviera nel 1656.
Un Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata; lo dono una benigna
Persona.
NUMERO XXXVI.
Un’Ostensorio ovato assai grande a 4 ordini di lastra d’argento cesellata. Il
primo è tutto a raggi dorati, il 2 a tronchi, e rami d’Albero, il 3 a tronchi, e
rami di Vite, con grappoli di uva, e manipoletti di spiche ligati alle Viti, ed il 4
rappresenta il P. Eterno con sotto lo Spirito S. sfavillante raggi dorati. Nel
mezzo la Madonna di Loreto pur raggiante che ha in petto una Custodia di
cristallo a guisa di cuore, ornata di 5 ricciole Collane composte di pietre di
diversi colori, e di un fregio nel lembo della Veste guarnito di topazzi gialli,
smeraldi, ed altre pietre di vari colori. Ai lati sonovi 2 figure di Personaggi
genuflessi sopra gli predetti manipoli. Il detto Ostensorio viene elevato da un
tronco d’argento di getto, nella cui parte anteriore al di sopra in ismalto a più
colori si vede l’Arme della Principessa di Neoburg, già Duchessa di Parma,
Donatrice nel 1729, e al di sotto d’essa vendesi la città di Parma sostenuta
dall’Italia: in fondo sopra la base altr’effigie di un Vecchio che versa acqua
da un vasetto dorato, rappresentanti del fiume Po, e al lato opposto ergersi
la città di Piacenza. I descritti Personaggi sono il Duca, e Duchessa delle
Città suddette.
Due Rose con rami, e frondi di lastrina d’oro, e nelle cime hanno u zaffiro
turchino ottangolare, ciascuna posta in vaso d’oro: furono donate una da
Gregorio XIII, e l’altra da Clemente VIII.
Un Putto nudo di argento tutto di rilievo, con collana, e smaniglie d’oro
gemmate, che posa sopra un guanciale dello stesso metallo contornato d’un
fregio formato di perle, rubini, smeraldi, e di altre gemme; donollo la Madre
dell’ultimo Duca di Mantova.
Due Vasi d’argento sessagonali istoriati a basso rilievo con doratura intorno.
Ciascuno di essi ha un’alboretto carico di Limoncelli parte dorati, e parte
coloriti verdi, e da balaustre guernite di fiori diversi, e Pavoncelli paonazzi, e
verdi, e molte figurine. Altri 2 Vasi d’argento ognuno de’ quali ha in mezzo
un’alboretto d’aranci con pomi coloriti verdi, con picciola balaustra intorno, e
varie piantine dei fiori colorati. Altri 6 vasi d’argento di lastra cesellata, in
parte dorato, con 4 testine di Cherubini, il tutto fu offerto dal Card. Antonio
Barberini Protettore della S. Casa.
Altri 2 Vasi d’argento in forma ottangolare che hanno in mezzo un alboretto di
Limoncelli, con picciola balaustra intorno, e piantine di varj fiori. Altri 2 poco
più piccioli dello stesso metallo, con alboretto di Cerase, guerniti conforme i
predetti; donolli il Card. Filomarini.
Un Libro latino, ossia Panegirico di lode della S. Casa coperto nero, contornato
di argento dorato; dono del P. Partenio della Compagnia di Gesù.
NUMERO XXXVII.
Una Collana d’oro variamente ismaltato, composta di 20 pezzi con contornati di
103 diamanti, e 40 grosse perle; la donò l’Imperatrice Anna Madre
dell’Imperatore Mattìa.
Un Tofone d’oro pendente da 2 nastri, ornati di 262 diamanti, e 36 rubini. Un
picciolo giojello d’oro traforato, e ismaltato bianco, contornato di 29 diamanti
ligati a giorno, con in mezzo un grosso girasole, ossia opale ovato, e sopra
vi è una Croce di S. Giacomo d’oro ismaltato rosso; dono di D Baldassarre
Mendozza Spagnuolo.
Un’Anello d’oro con grosso giacinto ottangolare; lo donò Monsignor della
Gengha a nel 1762.
Una Croce d’argento dorato, con 5 grossi zaffiri turchini orientali ligati in oro
contornato di diamanti; donolla una pia Persona.
Altra Croce d’oro guernito di 6 amatiste, ornata di diamanti, e 3 perle pendenti;
donolla la Co: Leoni Veneta.
Un giojello grande d’oro fatto a foggia di fiore guernito de 154 diamanti; donollo
la Sig. Paolina Bernardi Veneta.
Altro gioiello grande ovato d’oro composto a 2 ordini tempestato di 131
diamanti; donollo la Co: Galeffi di Boemia.
Altro gioiello fatto a rosa d’oro traforato composto a 5 ordini guernito di 61
diamanti: dono non lo uno di Casa Loretti.
Un Quadretto di lastra d’oro in ismalto di basso rilievo a colori diversi
rappresentante la Ss. Annunziata contornato d’oro traforato in 33 fioretti, di
varia specie, e grandezza; lo donò la Marchesa Colcoquela Aragonese nel
1720.
Un Cuore cesellato di lastra d’oro, con un grosso rubino in mezzo attorniato da
17 diamanti; dono di Monsignor Gaucci d’Ascoli.
Una Croce di Malta con grosso diamante nel mezzo, e 53 minori all’intorno:
dono del Sig. Priore Vaini Romano.
Un ritratto di lastra d’oro incassato in cornice d’oro variamente ismaltato, ornato
di 4 diamanti quadri, e 16 rubini quadri da un lato, e dall’altro sonovi 2 alberi
incrociati col motto, Umanitas, con altri 4 diamanti, e 16 rubini, donollo il
Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un’Ordine di S. Giacomo d’oro con suo Cappio dello stesso metallo traforato,
con in mezzo un ovato di smalto turchino nel quale posa una Croce d’oro
ismaltato rosso, il tutto da 32 diamanti, il 95 picciole turchine tempestato;
offerto da un incognito Cavaliere Spagnuolo.
NUMERO XXXVIII.
Una Croce, e piedistallo di Ebano, con Crocifisso d’oro di getto smaltato bianco,
ed ornamenti d’oro con 34 diamanti, 16 smeraldi, 17 rubini, un’amatista, una
granata, 37 perle, e 2 spiche d’oro nel detto piedestallo, con opali, rubini, e
smeraldi in forma di grani; lo donò la Madama Isabella arciduchessa
d’Austria, Duchessa di Mantova.
Un Calice, e Patena d’oro con teste di Cherubini, e varie misteriose figure, con
un’Arme, e questa Iscrizione: Virgini Lauretanae, Joannes Petrus Vulpius
Episcopus Novarensis 1636.
Altro Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata. Nel nodo maggiore vi sono
al di dentro a tutto rilievo picciole figure rappresentanti la Natività del
Signore, e sotto questa Iscrizione. Ill.ma D. Marchionissa Victoria de Populis
Donat. Kal. Maji 1664.
Un Quadretto con un Cuor d’oro sopra velluto nero, con Cappio pur d’oro:
donato dall’Ab. Cherrè di Parigi nel 1730.
NUMERO XXXIX.
Una Statuetta d’argento di getto che rappresenta la Vergine in piedi, col
Bambino in braccio, posante sopra un Globo di nubi, e sotto vi è un picciolo
piedestallo di lastra d’argento cesellato con 3 teste di Cherubini parimenti
d’argento di getto. La suddetta, e il piedestallo vengono attorniate da grosso
filo, e lastra d’argento in guisa di fusti, foglie, e fiori di rose. Ai lati del detto
piedestallo sonovi 2 Statuette d’argento, rappresentante S. Domenico alla
destra, e S. Rosa alla sinistra; offerto da occulta Persona.
Una Sottocoppa rotonda di mezzana grandezza, con suo piede il tutto di lastra
d’argento; donolla una pia Persona.
Degno di particolare ammirazione è tutto il soffitto ricoperto di fatti Istorici dal
famoso pennello del celebre Pittore Cristoforo Roncagli detto il Pomarancio.
Dello stesso Autore è il Quadro grande rappresentante un Crocifisso collocato
sull’Altare di Marmo, le Colonne del quale tutti in un pezzo di marmo di
Carrara addimostrano la loro rarità.
Sullo stesso Altare spiccano gli candelieri, carte glorie, e croce di metallo dorato
tempestato di coralli, e di ai lati del medesimo li 2 Torcieri consimili, doni del
Principe d’Avellino.
Il Paliotto d’argento di getto che con li 2 gradini, e basi laterali d’argento ricopre
quotidianamente il detto Altare, è quell’istesso, che nelle maggiori Solennità
serve per l’Altare della Ss. Annunziata. Il detto Paliotto rappresenta in 3
quadri da 4 colonne tramezzati a destra la Nunziata, e a sinistra la
Visitazione, e nel mezzo la S. Casa.
Elevate al piano delle 2 Colonne si vedono le 2 Statue grandi d’argento, una
delle quali del peso di libbre 150 rappresenta la Principessa Adelaide di
Baviera; l’altra del peso di libbre 188, e e mezza, rappresenta il Co: Gio:
Giorgio Clari Barone Boemo di Praga Gran Consigliere di Leopoldo I.
Avanti l’altare dirimpetto alle dette Statue vi sono 2 bellissimi Torcieri grandi
d’argento del peso di libbre 120, donati dal Cardinale Altieri Protettore della
S. Casa, in mezzo alli quali si vede appesa una Lampada d’argento di
egregio lavoro del peso di libbre 25, oncie 4 donata dalla signora Co:
Antonia Breiner d’Harac di Vienna in Austria nell’anno 1769.
A cornu Evangelii del medesimo Altare si conserva in grande Armario il famoso
Quadro d’Altare con cornice dorata in cui si vede al vivo rappresentata dalla
maestra mano di Federico Baroccio la B. V dall’Angelo annunziata.
A cornu Epistolae nell’altro consimile Quadro rappresentante la Natività di M. V.
si ammira l’arte come cui lo perfezionò il rinomato Pittore Annibale Carracci..
A MANO DESTRA DEL TESORO:
NUMERO XL.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; il donò una benigna Persona.
Un Calice, e Coppa dorata, con l’impugnatura, e piede il tutto d’argento di getto
lavorato a basso rilievo, rappresentanti varj misterj della Passione; dono
d’occulta Persona.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra traforata e
cesellata da grappoli di uva; donollo Monsig. Carlo M. Pianetti Vescovo di
Latina nel 1712.
Due Patene d’argento dorato che appartengono ai suddetti.
NUMERO XLI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Simone con Diadema in testa,
e Sega in mano di peso libre 32 e oncie 6.
NUMERO XLII.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo maggiore, con
Diadema in testa, e Bordone in mano di peso come sopra.
Nei lati della vicina Finestra a mano destra in un Quadro bislungo di mezzana
grandezza con cornice dorata si vede rappresentata dal celebre Carlo Loth
l’Adultera condotta avanti al Signore.
NUMERO XLIII.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; dono di pia Persona.
Un Calice d’argento che ha l’impugnatura, e Sottocoppa traforata di getto,
contornato di teste di Cherubini, Angioli con varj Stromenti della Passione, e
Statuette con Iscrizione. D. Isabella Tolfa Doria Duchessa di Evoli 1639.
Una Patena d’argento dorato che va unita al detto Calice.
Altro calice d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata a fogliami, teste
di Cherubini, e Statuette;donollo una incognita Persona Bolognese.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a lastra cesellata con grappoli
d’uva; lo donò il Sig. Giuseppe Giardini di Nola nel 1758.
Una Patena d’argento dorato che accompagna il medesimo.
Altro Calice di lastra d’argento cesellata rappresentante vari Cherubini, e diversi
misterj della Passione, con l’Arme intagliata appiedi di Monsig. De Carolis.
Altro calice dorato di lastra d’argento cesellata a fogliami, e teste di cherubini; lo
donò una benigna Persona.
NUMERO XLIV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo minore con
Diadema in testa, e Bastone in mano, di peso libre 34.
NUMERO XLV.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Andrea con Croce traversa, e
Diadema in testa di peso libre 34, e oncie 6.
NUMERO XLVI.
Due laterali d’argento che vanno uniti al Paliotto già descritto.
Un Semibusto d’argento rappresentante S. Cecilia con Iscrizione al piedestallo.
Georgius e Wisentbaris Cathedralis Nerbipoii Decanus ec. 1727.
Una Croce grande con suo piedestallo d’Ebano con Crocifisso, e ornamenti
d’argento; offerta da Persona divota.
Due Calderuole d’argento, e due Candelieri grandi pur d’argento dorato.
Un incensi d’argento in parte dorato, che nel coperchio forma un Ghiandone
dentro a 3 rami, e fuste di Quercia, lo donò Guidobaldo II della Rovere Duca
d’Urbino.
Una Croce di Ebano, l’anteriore viene ricoperto da diaspro, con sopra un
Crocifisso, e ornamento d’argento.
Vi sono 2 piante di Città d’argento, cioè, la Presidenza di Montalto, e Nancì
Capitale della Lorena con cornice dorata.
MUMERO XLVII.
Una picciola Croce composta di 6 vari pezzi di agata ligata in oro, con fascette
di lastra d’oro, e Crocifisso d’argento di getto dorato con piedestallo
ottangolare ovato, di amatista, e fascia all’intorno d’argento dorato. Due
piccioli Candelieri d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata; donolla
una benigna Persona.
Un Calice d’argento con Coppa dorata con l’impugnatura ed il piede di getto
centinato lavorato a basso rilievo a fogliami, e figure, con Arme, e Iscrizione
intagliata. Domenico Joma Tomacelli Cibo.
Altri 3 Calici d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata con fogliami,
figure, Angioletti, e misterj della Passione, con 5 Patene d’argento dorato
doni tutte d’occulte Persone.
NUMERO XLVIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante S. Tommaso collo Squadro in
mano, e Diadema in testa. Pesa libbre 30, oncie 6.
NUMERO XLIX.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Matteo con Diadema in testa,
Borsa, e Libro in mano, di peso eguale all’altra.
Nei lati della finestra di mezzo a mano sinistra in un quadretto con cornice
dorata si distingue il Pennello dello Sghidone di Parma, che con delicatezza
rappresenta la Natività della B. V.
Il quadretto al lato del medesmo con cornice parimenti dorata addimostra la
Conversione fatta per grazia di Maria SS.ma dell’eretico scrittore Giusto
Lipsio, quale ha voluto che ne apparisca perpetua memoria in una Penna
d’oro fermata nel mezzo d’esso sopra un picciolo ricamo, e nel sotto apposto
seguente distico.
FAUSTE VIRGO PARENS CALAMI; QUAESO; ACCIPE VOTUM
TERRENA UT LINQUENS VERBA SUPREMA FERAT
IUSTI LIPSI ANAOHMA,
In faccia al medemo vi è un Quadretto di marmo di basso rilievo con cornice di
noce ornata di varj riporti di legni dorati, rappresentante la Ss. Annunziata
con Angelo, e Gloria di Serafini donato nell’anno 1703 dal Sig. Giuseppe
Mazzoli di Siena.
NUMERO L.
Un Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a cesello con varie teste di
Cherubini di getto; offerto nel 1725 da pia Persona.
Altro Calice d’argento lavorato a fogliami con diversi Cherubini intorno, e
sottopiede v’è l’Iscrizione. D. Margaritae Carelli Viduae, etc Nobilis Anglae.
Una Patena d’argento dorato che appartieni al detto Calice.
Altri 4 Calici d’argento cesellati parte a fogliami, e teste di Cherubini, e parte
con varj misterj della Passione, con 4 Patene d’argento dorato appartenenti
a medesimi; offerti da incognite Persone.
NUMERO LI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Paolo con Diadema in testa, e
Spada in mano, pesa libbre 42.
NUMERO LII.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Filippo con Dadema in testa, e
con Crocetta in mano, di peso libre 32.
NUMERO LIII.
In questo Credenzone si conserva una parte dei nuovi Argenti fatti per 7 Altari
consistente in 7 Croci, 28 Candelieri grandi, e 14 piccoli, de’ quali se ne darà
a suo tempo un più distinto ragguaglio, allorché saranno terminate le
Carteglorie, Lampade, e Cornucopi, con tutti gli Candelieri per gli altri Altari,
che attualmente si lavorano, e l’altra parte si conserva nel Credenzone al
numero XLVI.
NUMERO LIV.
Un Calice d’argento tutto dorato che ha la Sottocoppa e impugnatura
triangolare, tutto di getto lavorato a basso rilievo con varie figure, festoncini,
Cherubini, Angioletti, e molti Stromenti della Passione; lo donò il Principe, e
Principessa Santobuono Napolitani.
Altro Calice d’argento tutto dorato quasi simile all’altro; fu donato nel 1730 da
occulta Persona.
Altro Calice d’argento tutto dorato, col Sottocoppa di lastra cesellata
rappresentante varj Misterj della Passione, e teste di Cherubini; donollo il
Cardinal Portocarrero.
Altro calice d’argento tutto dorato, e cesellato con molte figure, e semibusti
allusivi al SS. Sagramento; lo donò una Persona benigna.
Altro Calice tutto d’oro, che a là Sottocoppa di lastra traforata, e cesellata a
fogliami, con l’impugnatura parte di getto, e parte di lastra lavorata a
fogliami, e grappoli d’uva; donollo il Cardinale Portocarrero Seniore.
Cinque Patene d’argento dorato, appartenenti ai suddetti Calici.
NUMERO LV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Pietro con Diadema in testa, e Chiavi in mano. Pesa libbre 40.
NUMERO LVI.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Bartolomeo con Diadema in
testa, e Coltello in mano. Pesa libbre 31, oncie 6.
Nel lato sinistro della contigua Finestra si osserva un Quadretto con cornice di
Ebano, ornata di 4 riporti di lastra d’argento traforato, e cesellato a fiorami
con Pitture in pietra negra rappresentante la Madonna di Loreto sopra la S.
Casa portata dagli Angeli, e di al basso un’Ecclesiastico genuflesso, con
appresso S. Francesco, e avanti un Angelo che fuga la morte donato dal
Nobil Uomo Carlo Contarini Veneto.
In faccia al detto Quadretto è il grande attestato della particolare divozione
verso Maria Ss. del Sig. Girolamo Luterio Romano, quali con tutta la sua
Eredità donò il Quadro rappresentante la Natività del Salvatore con la B- V.,
e S. Giuseppe opera stupenda di Raffaele d’Urbino.
Sotto il detto Quadro evvi un quadretto con cristallo, e cornice intagliata, e
dorata, quale rappresentando la B. V. con il Bambino giacente palesa il
merito di Claudio Ridolfi detto il Veronese.
NUMERO LVII.
Una Croce di Busso con moltissime figurine intagliate, rappresentanti il
Testamento nuovo, e il vecchio; la donò il Cardinale Gio: Francesco Albani
nel 1697, che fu poi Pontefice sotto il Nome di Clemente XI.
Altra minor Croce di Busso di egual travaglio; la donò D. Bartol. Nigri di Castel
Casale Mag. Nel 1610.
Una Noce di Cocco di Spagna divisa in 2 parti, in una parte al di dentro è
lavorata in tagli rappresentante il presepio con molte figurine, e nell’altra
l’Adorazione dei Magi, conservata in una Scattola tonda ricoperta di corame
negro; la donò la Sig. Anna Maria Sembrini Maceratese.
Un Quadretto che rappresenta la Ss. Annunziata di lastra d’argento in parte
dorato sopra velluto rosso con cornice nera, contornata di varj riporti
d’argento; donollo un’incognita Persona.
Altro quadretto con cornice nera, che contiene scritti a minutissimo carattere il
Parter noster, Credo, Te Deum ec. E le altre orazioni talmente disposte, che
formano un Crocifisso; lo donò il P. Vincenzo da Mercartello Provinciale de’
Cappuccini della Marca.
Altro picciolo Quadretto di Ebano rappresentante il P. Eterno, lo Spirito S., il
Nome di Gesù, 6 Santi, e la B. V. Nel mezzo; lo donò una Persona occulta.
Sonovi anche diverse Scattole con dentro pezzi d’oro, d’argento, varie gioje, e
moltissime altre cose.
NUMERO LVIII.
Una statua d’argento di getto rappresentante S. Taddeo con diadema in testa, e
Picca in mano. Pesa libbre 31, e oncie 6.
NUMERO LIX.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Giovanni con Siadema in
testa, e Calice in mano. Pesa libbre 34, e 6 oncie.
NUMERO LX.
Una Risurrezione d’argento consistente 4 figure di getto rappresentanti il
Salvatore, e 3 Soldati atterriti intorno al Sepolcro di lastra d’argento, con
diversi pezzi di cristallo, e base pur di lastra con l’Arme di getto della
Principessa Olimpia Ludovisi di peso libre 15 meno un’ oncia.
NUMERO LXI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno; donollo il nominato
Principe d’Avellino.
Due vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXII.
Altro Ramo di Fiori d’argento ornato di coralli, con suo vaso, pur dono del
Principe d’Avellino Napolit.
Due Ampolline d’argento ai lati.
NUMERO LXIII.
Un Giardinetto d’argento ornato di ambra, granate, e cristal di monte. Nel
mezzo scorgesi una Fontana circondata da 4 colonnette di lastra, e 4
Alboretti di getto, con fogliami di lastra, dalle quali innalzarsi un pergolato di
viti il tutto d’argento. Il medemo è contornato da balaustrate, su cui miransi
alquanti uccelli, e Scimmiette, e nel piano in un lato il Giardiniero con Zappa
in spalla, e di una Donna con Vaso in mano, e nell’altro altra Donna che
tiene in capo una Canestra, ed un Fanciullo per la mano; offerto nel 1700
dalla Co: di Lemos Spagnuola.
Ai lati d’esso nel piano sonovi 2 Rame di Fiori d’argento coi loro vasi, ornate di
coralli; le donò il Principe d’Avellino.
NUMERO LXIV.
Una Statua di lastra d’argento cesellata rappresentante S. Paterniano
pontificalmente vestito, che tiene in ampie le mani la Città di Fano, da cui fu
donata. Nel braccio sinistro resta appoggiato il Pastorale pur d’argento. La
medema posa sopra piedestallo dorato, con in mezzo l’Arme della detta
Città, e un Cherubino per lato.
Due Candelieri grandi triangolari d’argento dorato, in ogni lato e di lastra
cesellata d’oro sopra lapislazzoli si vede uno dei Misteri della Passione;
donolli la Casa Borghese.
NUMERO LXV.
Un’Incensiere, e Navicella d’oro con 4 catene dello stesso metallo, il tutto
lavorato a ramoscelli, ghiande, e frondi di quercia; donollo Francesco M. U.
della Rovere Duca d’Urbino. Pesa 9 lib., e 6 oncie.
Una Crocetta d’Ebano, incastrata in lastra d’oro con Crocifisso di getto d’oro
smaltato a varj colori. Due Candelieri compagni alla descritta Croce, ornato il
tutto di granate sardoniche grezze, e pezzi quadri di cristal di Monte; dono
del Cardin. Andrea d’Austria.
NUMERO LXVI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno, offerto dal Principe
d’Avellino.
Due Vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXVII.
Altro Ramo dei Fiori d’argento guernito di coralli con suo vaso, parimenti dono
del Principe d’Avellino.
Due Ampolline d’argento ai lati.
Sopra la Porta del Tesoro da una catenella d’argento resta appesa una
Sciabola con l’impugnatura, e fodero di lastra d’argento dorato, con riporti di
verde antico, ornato di 128 smeraldi, e rubini, 167 turchine, con tracolla, e
passamano d’oro, con 2 fibbie, e attacca glia d’argento dorato con 12
turchine: donata dal Principe Giuseppe Landgravio d’Hassia Darmstade nel
1720.
Nello stesso sito di pure pendente una Galera, Timone, 32 Banchi, 2 Antenne,
fiamma picciola d’argento, 28 remi con punte d’oro, caicchio a pompa, 2
Cannoncini pur d’argento di getto, con altre 3 fiamme, e Bandiera a poppa di
lastra d’oro; offerta da Ferdinando I, Gran-Duca di Toscana nel 1592.
Degna parimenti di osservazione è la generosità del Canonico Raffaelli di
Cingoli quale con 15 quadri fra grandi, e piccioli di varj eccellenti Pittori,
ornati di cornici dorate, e intagliate ha decorato la Sagrestia del Tesoro, e
primieramente il Quadro grande sopra il Lavamano di marmo, che
rappresenta la Scuola della B. V. è opera di Guido Reno; Del Baroccio è il
S. Francesco sopra il Genuflessorio a mano destra, e del Calot il famoso
Quadro ricoperto con cristallo sotto il medemo rappresentante lì quattro
Novissimi.
Il Quadro in alto vicino alla porta della Chiesa rappresentante la Deposizione
del Redentore dalla Croce è opera del Tintoretto, l’altro nel mezzo nella
stessa linea del Bastanese, ed il terzo di Andrea del Sarto.
La Madonna sotto il Quadro della Deposizione di Giacomo Parmegianino, il
Quadretto in rame di Benvenuto Garofolo, e la Madonna vicina alla Porta del
Tesoro di un Scolaro di Raffaele.
Il Quadro grande fralle due finestre rappresentante il Salvatore condotto a Pilato
di Gherardo della notte, ed il S. Girolamo sotto il medemo di Claudio
Veronese, ed essendo varia circa gli altri 4 quadri l’opinione de’ Pittori si
tralascia di asserirne il preciso Autore.
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D E S C R I Z I O N E
Delle Poste per diverse Parti a miglia italiane.
Da Loreto a Roma
Loreto città Recanati città m. 5
Sambucheto m. 5
Macerata città m. 7
Tolentino città m.10
Valcinarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenove m. 9
Foligno città m.10
Le Vene m. 8
Spoleto città m. 9
Strettura m. 9
Terni città m. 9
Narni città m 7
Otricoli m.10
Borghetto m. 7
Civita castellana m. 5
Rignano m. 8
Castelnuovo castello m. 7
Malborghetto m. 7
Prima Porta m. 4
ROMA m. 8
___________
Miglia 172
Da Roma a Napoli
Torre a mezza via m. 9
Marino terra m. 6
Velletri città m.10
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Terracina città m. 9
Fondi città m. 8
Itri castello m. 8
Mola borgo m. 9
Garigliano osteria m. 6
Si passa il fiume in barca.
Sessa città m. 8
Torre francolisse m. 8
Capua città m. 7
Avversa città m. 8
Napoli città m. 6
_________
miglia 136
Da Loreto ad Assisi
Recanati città m. 5
Macerata città m. 13
Tolentino città m. 10
Valcimarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenuove osteria m. 9
Foligno città m.10
Assisi città m. 8
_______
miglia 83
Da Assisi a Firenze
Perugia città m .10
Torretta. Osteria m. 9
Corsaja borgo m. 9
Castiglione aretino m. 8
Bastardo osteria m. 7
Ponte a Levar borgo m. 7
Fiughine osteria m. 8
Freghi osteria m. 9
Firenze città m. 8
_______
miglia 75
Da Bologna a Milano per Cremona
Samoggia osteria m, 10
Modena città m. 10
Bonporto m. 8
S. Martino m. 7
Concordia m. 8
S. Benedetto m. 8
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Mantova città m. 6
Castelluccio m. 7
Avoltoi m. 17
S. Giac. della Pieve m. 9
Cremona città m. 8
Pizzighettone m. 12
Zorlesco m. 10
Lodi città m. 10
Marignano castello m. 10
Milano città m. 10
________
miglia 150
Da Milano a Torino
Rosa villa m. 20
Bufalora villa m. 10
Novara città m. 16
Vercelli città m. 15
S. Germano villa m. 10
Torino città m. 10
________
miglia 81
Da Loreto a Venezia
Siloro m. 6
Ancona città m. 10
Fiumicino osteria m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 17
Cattolica osreria m. 10
Rimini città m. 15
Savignano castello m. 19
Cesena città m. 10
Forlì città m. 13
Faenza città m. 10
Lugo castello m. 12
Bastìa m. 12
Argenta m. 3
S. Nicolò m. 10
Ferrara città m. 10
Si passa il Po
Francolino m. 5
Passo di Rosati m. 7
Rovigo città m. 6
Boara m. 2
Solesina osteria m. 8
Monselice castello m. 15
Battaglia m. 3
Padova città m. 7
Lizzasusina m. 10
Venezia m. 5
________
miglia 240
Da Venezia a Udine
Mestre m. 6
Trevigi città m. 10
Lovadina m. 10
Si passa il Piave
Conegliano m. 5
Sacile m. 10
Fontana fredda m. 4
Pordenon m. 7
Valvason m. 8
Gradisca vdi sedian m. 5
Panchianis m. 3
Bressan m. 3
Udine città m. 5
_______
miglia 75
Da Loreto a Bologna
Camerano castello m, 8
Ancona m. 9
Case bruciate m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 6
Cattolica castello m. 10
Rimini m. 10
Savignano castello m. 10
Cesena m. 10
Forlimpopoli m. 8
Forlì m. 5
Faenza m. 10
Imola m. 10
Castel S. Pietro m. 12
Bologna m. 8
__________
Miglia 151
Da Genova a Milano
Pontedecimo borgo m. 7
Borgo m. 8
Isola borgo m. 4
Arquà castello m. 10
Portella osteria m. 10
Tortona città m. 8
Voghera castello m. 10
Bastìa osteria m. 8
Pavia città m. 8
Binasco m. 10
Milano m. 10
________
miglia 93
Da Milano a Trento per Brescia
Cascinabianca ost. m. 7
Martinengo villa m. 22
Coccai villa m. 10
Brescia città m. 10
Ponte di S. Marco m. 10
Castelnuovo m. 9
Valderini osterìa m. 10
Vonborgo m. 10
Rovere castello m. 10
Trento città m. 10
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Miglia 108
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I N D I C E
DELLE COAE NOTABILI CHE SI CONTENGONO
NEL PRESENTE LIBRO
Cap, I Della Città di Loreto, e sua regione Pag. 2
II S. Casa di Loreto, e suo antico culto 3
III Traslazione della S. Casa 5
IV S. Casa, e sue vestigie 8
V S. Casa riconosciuta nella Marca 13
VI Del Tempio Loretano 16
VII Facciata del Tempio 19
VIII Porte del Tempio 21
IX Interno del Tempio 23
X Ornamenti del Tempio 25
XI Ornamenti esteriori della S. Casa 29
XII Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura 32
XIII Degli ornamenti interiori della S. Casa 37
nella parte del S. Camino
XIV Ornamentidella S. Statua 41
XV Ornamento del resto della S. Casa 44
XVI Indulgenze, e Privilegi conceduti alla S. Casa 47
XVII La S. Casa divinamente conservata 52
XVIII Delle Cappellanìe, e Messe, che si celebrano
nella S. Casa, coi nomi dei loro Fondatori. 57
Esatto Catalogo de’ più qualificati Doni che si conservano
§N O T I Z I E D E L L A S A N T A C A S A DI MARIA VERGINE
VENERATA IN LORETO RACCOLTE DAL fu D. ANTONIO LUCIDI
già Benefiziato, e Custode di detta S. CASA
Estratte dall’Angelita, Torsellino, Saragli, Renzuoli, ed altri rari Scrittori.
AGGIUNTAVI LA NUOVA DESCRIZIONE di tutti li preziosi Doni, che si conservano nel suo
Tesoro; e si conservano e risplendono nella Santa Cappella, ed in fine
le Porte per diverse parti del Mondo.
LORETO MDCCXCII Nella Stamperia Srtorj con licenza de’ Sup., e Privilegio di Sua Santità Regnante.
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NOTIZIE DELLA S. CASA
CAPITOLO PRIMO
Della Città di LORETO, e sua Regione.
La città di Loreto, è posta ai confini della Marca Anconitana, presso le rive dell’Adriatico Mare, ed alla giusta metà del Piceno, la di cui lunghezza dai Geografi, e Cosmografi è tenuta di cento miglia come uni italiane dalla Foglia di Pesaro al Tronto d’Ascoli, e di larghezza cinquanta, dall’Appennino all’Adriatico, riguardando da Levante l’Illirico, a Mezzodì il Reame di Napoli, a Settentrione la Romagna, ed a Ponente l’Umbria. La Marca tutta è paese fertilissimo al parere di molti, che tale la descrissero, e come anche a nostri dì chiaramente si vede. Abramo Ortelio così ne scrive: Habet haec Regio ahrum fertilem, omnos generis frugum copiam producentem etc. è ripartita in pianure coltivate fra Inter posti ameni Colli, che la rendono insieme vaga, ed abbondante di viveri, talmente che ne somministra anche agli Stranieri, e molto ne scrivono Leandro Alberti nella sua Italia, e nella sua geografia Antonio Magni.
La sua riviera è giocondissime, e vaga per giardini, colma di Viti, e fruttiferi Alberi; abbonda pure di Aranci, Limoni, ed Olive, che ne trasmette altrove, come il Maggino afferma, e lo stesso pure lo Storico Lauretano, dicendo: Picenum regio Italiae satis opulenta etc. fu chiamata da Appiano Giardino d’Italia, e da Boezio maestosa Idea, che fa mostra di sé al Colle Lauretano. Nei tempi andati fu ornata di più città, e più magnifiche, che al presente, ed ora nella Marca novella contansi da trenta Città con i suoi Vescovi popolata del pari, che adorna di moltissime Terre, e Castelli, delle quali ne scrivono Tito Livio, Tolomeo, Plinio, Pietro Mario, Silio Italico, e Giulio Cesare. Evvi di Ducato di Civitanova, e vi è Fermo con quarantotto Luoghi di suo antico dominio. Vi è il Presidato di Montalto celebre per aver dato alla Chiesa Sisto V, Francescano.
Vi si contano i Governi di Ascoli, Fano, Ancona, ora ornata del Porto franco, Jesi, San Severino, Fabriano, Camerino, e Macerata,ov’è la Pubblica Rota, e Gran Tribunale di tutta la Provincia come ancora la Tesoreria della Marca, e pubblico emporio della regione: Città doviziosa, e comoda, ove continuamente concorrono i Popoli al suo Governo soggetti con ogni sorta di vettovaglie, senza verun dazio delle robbe, e merci; dei quali privilegj godé sempre Loreto, per ordine proprio di Giulio II; Leone X, e Sisto V, i quali la propagarono di Abitazioni, la cinsero di Mura, e la fornirono di Baloardi, e Terrapieni. Nel 1765, poli sono stati i medesimi restaurati per ordine di Roma, e presidiata la Città di Soldati, e ben provveduta di ogni sorta d’armi per schermirsi da qualunque nemico insulto, oltre l’Armeria pubblica per difesa di S. Casa, suo Tempio, e Palazzo, da lungo tempo eretti, per contestazione di che descrisse Ortelio: Lauretum muris, fossis, etc. Turribus cinctum, atque propulsatariis armis instructum.
In tal modo assicurata la città con le armi, Clemente VII procurò di abborracciar l’aere, facendo seccare le acque stagnanti, e recider le selve che eranvi intorno: la qual’opera fu poi Pio V proseguita.
Fu parimenti da Clemente VII suddetto atterrato in gran parte il vicin Colle , che sovrastava al Loreto, e continuata tal’opera da Sisto V, apertavi in esso la via Romana da Gregorio XIII fra i Monti Appennini, per comodo di venire da Roma a Loreto in carrozza.
CAPITOLO II
SANTA CASA di Loreto, e suo antico culto.
Il santuario più celebre, è frequentato fra quanti se ne ve n’erano nella Chiesa, Cattolica da’ suoi fedeli più favorito dal Cielo con non mai interrotti prodigi, e miracoli è quello, che si venera in Loreto, piccola, ma felice città del Piceno. Non è altro questo, che la S. Casa, ora detta di Loreto, la quale fabbricata in Nazaret, fu propria ed abitata dai Ss.Coniugi Gioacchino, e di Anna, l’uno di Nazaret, e l’altra di Bettelemme. Qui fù conceputa, data alla luce, ed è allevata MARIA Ss. Loro unica, e di un’inigenia Figliola fino al terz’anno della di lei età, dopo la quale condotta da loro, e consegrata a Dio nel Tempio di Gerusalemme. Morti quivi i S. Genitori, Ella ne restò erede; e data poi in Isposa all’uomo castissimo S. Giuseppe vennero insieme ad abitarla, e vi dimorarono fino alla partenza di Bett. Fu ella ancora in questa med, Casa visitata dall’Arc. S. Gabr, annunciando l’Incarnazione del Verbo nel di lei purissimo Seno; e ricevuto da lei il consenso divenne vera Madre di Dio, e il Divino Verbo d’umana spoglia ammantato suo vero Figlio; e conseguentemente in questo sacrosanto Albergo si dié principio, anzi si gettò il fondamento all’umana Redenzione. Ritornata poi dall’Egitto la tornò ad abitare con di lei S. Sposo Giuseppe, finché questi in essa compì i suoi giorni; e col Santissimo Figliol suo fino all’in cominciamento della predicazione, cioè al trentesimo anno della sua età, il quale appunto per sì lungoa dimora fatta in questa S. CASA, ancorché nato forse in Betlemme, fù poi sempre chiamato Gesù Nazareno. Tornò Ella più volte ancora ad abitarla con S. Giovanni; e con S. Luca, dopo l’Ascensione del Signore, dove i Ss. Apostoli si congregavano per conferire e decretare cose spettanti alla nuova legge di grazia alla presenza di lei lasciata loro dal Redentore direttrice, e maestra.
Per tali, e tante maraviglie, misterj operati in questa S. CASA fu tenuta da’ Ss. Apostoli, e dai primi Fedeli in grande venerazione, e consagrata in Tempio per celebrarvi i Divini Ufficj. È però dentro di essa innalzato da’ medesimi un’Altare con l’Immagine del Redentore Crocifisso vi celebravano la Santa Messa, vi dispensavano l’Eucaristico Pane, e vi facevano orazione. Che se in altri luoghi ove Gesù Cristo aveva operata qualche azione singolare, sanno molti Sagri Autori, che vi furono edificate Chiese, ed Altari; quanto più si dovrà credere, che i Santi Apostoli la consacrasse, e l’avessero come Chiesa, non essendo altra Chiesa, che più meriti d’essere così chiamata quanto questa, ove lo stesso Iddio prendendo umana spoglia volle essere conceputo dalla sua Vergine e Madre Santissima; esser nudrito, allevato, ed abitare corporalmente con gli Uomini: ove con umiltà impareggiabile soggettossi non solamente a’ voleri della sua Genitrice, e del putativo suo Padre: erat subditus illis: ma ancora ai sudori, alle fatiche, erat quasi annorum reiginta ut putabatur filius Joseph. Laonde que’ primi Fedeli vedendola così onorata, e frequentata dai Ss. Apostoli se ne affezionarono talmente, che per molti anni seguirono anco essi a frequentarla, e venerarla, chiamando la Casa dell’Incarnazione del Verbo Domus Incarnationis.
Benché nell’anno 137, della nostra Redenzione Adriano imperatore facese profanare i principali luoghi di Terra Santa ponendovi Statue, ed Altari de’ falsi Dei, acciò che in avvenire i Fedeli non potessero più in essi piegar le ginocchia, e farvi orazioni; tuttavia la S. CASA non può mai come quelli profanata, ma sempre continua, e stabile vi perseverò la dovozione, e la frequenza. Anzi l’anno 300 quando S. Elena Madre del gran Costantino si portò a venerare quei luoghi Santi, e a toglier loro l’abominazione, giunta a Nazaret la vennerò, e la fece circondare d’un magnifico Tempio, nella fronte del quale, fece porre questa iscrizione: Haec est ara in qua primun jactum est humanae salutis fundamentum. Quindi ha bene, che vieppiù si accrebbe la divozione, ed il concorso non sono di Asia, e di Africa, ma ancora della nostra Europa, e per molti secoli si conservò. Indi non poche rivoluzioni successero in quelle parti, possedendo la Palestina diversi Principi. Finalmente l’anno 1245, essendo restata tutta in potere de’ Parti, S. Lodovico, l’ottavo di questo nome, Re di Francia, vi andò con poderoso Esercito per liberarla, ma non riuscito nell’intento, a cagione della peste, che indebolì il suo Esercito, vi restò schiavo. Perloché venuto a composizione cogl’Infedeli, recuperò la libertà. Prima però di allontanarsi da quelle parti volle portarsi in Nazaret e a venerare la S, CASA.
Era quel giorno la vigilia della Festa dell’Annunciazione della Ss. Vergine, la quale passò in digiuno di pane, e acqua.Pigliata la via del monte Tabor appena da lontano la vidde, che sceso da Cavallo si prostrò in terra ed umile l’adorò.
La mattina giorno della Festa, vestito di cilizio si portò appiedi alla S. Abitazione, ove con segni di Cristianissima Religione ascoltata la Messa, che fece cantare con gran solennità, ed apparato, si cibò dell’Eucaristico Pane. Serva tutto questo di chiarissima prova in qual concetto, e venerazione fosse stata sempre appresso de’ Fedeli, la S. CASA:. L’esempio del Santo Re fu tale, che non sono efficacemente mantenne la frequenza, e la divozione ad essa; ma vieppiù l’accrebbe, e la dilatò.
CAPITOLO III
Traslazione della SANTA CASA
restato libero agl’Infedeli il possesso della Palestina, che fu l’anno 1291, mancò la frequenza a quei Santi luoghi per timore della fierezza dei Turchi, tuttavia non mai si spense affatto; poiché trovandosi quelli o in Gerusalemme, oppur vicini a qualche città principale, alla quale era l’accesso se non sicuro, almeno non tanto pericoloso per cagion del commercio, la S. CASA solamente come quella ch’era lontana, nella Galilea, e fuor di mano restò del tutto abbandonata, ed esposta alle abominazioni qual gemma. In mezzo al loto;Sicché le fù impedito affatto l’accesso non solo de’ lontani, ma degli stessi Galilei. Io però come quelli, che sempre veglia all’onor della sua Genitrice, a favore della quale non cessa di mostrarsi ora terribile ai nemici di essa, ed ora agli amici soave, e benefico, prevedendo le innumerabili scelleraggini, che si sarebbono commesse in quella Ss, Abitazione, nello stesso anno la fece spiccare dagli angeli dal suol nativo di Nazaret, e trasferire, come Elia nel Paradiso Terrestre, ed Abacuc nel lago di Babilonia, in luogo ove fedeli la potessero come prima con libertà frequentare. Nell’anno adunque di nostra redenzione 1291 ai 9 maggio, del pontificato di Niccolò V, da Nazaret e fu trasportata nella Schiavonia vicino alle rive del Mare Adriatico sopra un Colle, fra le due Terre allora di Tersatto, e di Fiume. Appena si accorsero gli abitatori della casa non mai ivi per l’addietro veduta, che in gran numero concorsero a contemplarla prima esternamente, poi nell’interno ancora: E fissando lo sguardo nelle antiche pareti, nell’Altare, nell’Immagine della gran Madre di Dio si sentirono sorprendere da un insolito sacro orrore, e tenerezza, che prostrati nel suolo, e compunti vi adoravano la Maestà Divina. E benché eglino non sapessero di chi fosse, d’onde fosse venuta, e come ivi portata; tuttavia restavano attoniti ringraziando Dio, e la gran Vergine del benefizio. Con molti segni, e prodigj la medesima Vergine di giorno in giorno faceva loro intendere, che quella era la di lei S. CASA.
Fra gli altri, due furono i principali. L’uno l’istantanea guarigione di Alessandro Priore di San Giorgio di Tersatto, il quale sin da tre anni si trovava idropico confinato in letto già gonfio, e quasi immarcito senza alcuna speranza di corporale salute. Inteso da’ Domestici il portentoso arrivo di quella Casetta, e che la Madre di Dio, di cui v’era l’Immagine faceva grazie particolari, di vero cuore se le raccomandò. Ella gli apparve la notte pietosamente consolandolo; e gli rivelò cos’era quella Casa, i misteri ineffabili in essa operati, in che modo fosse stata portata, e da che parte: e in questo mentre si sentì perfettamente guarito. Stupefatto si alzò dal letto, e la mattina manifestò al suo popolo il gran prodigio; e perché era Uomo di autorità con prontezza creduto. L’altro fu che Niccolò Frangipani Nobile Romano, allora Governatore di quella Regione detto Ban di Croazia, e Schiavonia per l’imperatore Ridolfo I, e insieme Signor di Tersatto, appena avvisato del prodigio vi si portò, la vidde, la considerò attentamente, e ancor egli prostrato vi adorò l’Imperatrice dell’Universo. Ma oltre la relazione d’Alessandro di San Giorgio, e la di lui guarigione istantanea, e manifesta, volle maggiormente accertarsi. Perlocché scelte quattro persone le più prudenti, e fedeli del Paese, e fra queste lo stesso Alessandro, le spedì a Nazaret e colle misure, acciò dal confronto di queste, dalla contemplazione del luogo, e dalle relazioni dei Nazareni medesimi venissero in cognizione del lor Tesoro. Partono subito, e giunti felicemente colà trovato il sito ove era la S. CASA mirano il pavimento restato, e i fondamenti, come appunto fossero stati tagliati a pian di suolo; e scontrate le misure le trovano giuste, e uniforme. Poi dalle informazione di que’ sconsolati pochi Fedeli, che ancora non avevano abbandonato Nazaret, e dal compiuto seco loro fatto della partenza di quella Casa vengono in cognizione della di lei ammirabile Traslazione fra loro. Sì che giubilanti tornati in patria, accertano il loro Signore, e il popolo tutto, che quella Casa fra loro portata è la Casa di Maria Vergine, ov’Ella concepì l’Eterno Verbo per noi fatto Uomo. La qual cosa divulgata, si aumentò in que’ popoli, ed è in queste vicine Province la divozione alla gran Madre di Dio, ed il concorso alla di lei S. CASA.
Ma siccome nell’eterna Sapienza aveva disposto, che la Schiavonia, e Tersatto fosse unicamente come la casa di Obedenon depositaria dell’Arca, e non mai posseditrice; così dopo tre anni, e mezzo di dimora in quelle parti fu trasferito con lo stesso Ministerio Angelico questo sacrosanto Albergo dalla Schiavonia nella Marca d’Ancona, e da Tersatto in Loreto. Accadde nel 1294 ai 10 Dicembre, nel Pontificato di S. Celestino V, cioè tre giorni prima che egli rinunziasse il Pontificato. Gli successe Bonifacio VIII. Il sito dove fu posato fu il lido dello stesso mare Adriatico per contro alla Schiavonia in una selva del Territorio di Recanati, di cui era padrona una Nobil Donna della Città medesima chiamata Laureta, dalla quale poi derivò il nome della S. CASA di Loreto. Ma perché quivi concorrendo in gran numero i divoti mossi o dall’insolito prodigio, o dalle continue grazie, che si ottenevano dalla gran Madre di Dio, erano molestati da’ Ladroni, che nascosti nelle vicine selve incendiavano le loro vite; dopo la dimora in questo luogo di otto mesi, cioè nel 1295 fù trasferita con lo stesso prodigio più verso Recanati sopra di un Colle di due Cittadini Fratelli. Ancora quì fù breve la dimora; poiché venuti fra di loro a contese, volendo ciascun di loro appropriarsi l’offerte, che si facevano da’ divoti, fu all’improvviso, non più ivi veduta, ma bensì trasferita al solito prodigiosamente non più d’un tiro di frezza lontano posata in mezzo della pubblica via, che da Recanati conduceva al suo Porto. E benché fosse così spesso trasferita, non partì mai dal territorio di Recanati: ed è la prima posata, che pur nella selva, ritenne mai sempre il nome della S. CASA di Loreto.
CAPITOLO IV
SANTA CASA, e sue vestigie.
E’ cosa veramente ammirabile come l’increata Sapienza abbia voluto, che ovunque è stata la S. CASA sia restato notabile vestigio di lei, e memoria particolare. Quando stava nel primo suolo di Nazaret, S. Elena, come si disse, le fece fabbricare intorno un magnifico Tempio, di cui presentemente si vedono le vestigia, ed i frantumi; e dopo che gli Angeli la staccarono dai suoi fondamenti, e la posarono nella Schiavonia, vi rimasero, ed ancora vi sono, il pavimento e i fondamenti, che giungono fino al piano del suolo. Nel Colle di Tersatto, in mezzo alla cui cima in vaga pianura, chiamata in loro lingua da quella gente raunizza, ove fu posata, e poi tolta la S. CASA, Niccolò Frangipani per memoria, e consolazione de’ sconsolati suddetti sopra le di lei vestigie vi innalzò una piccola Cappelletta simile a lei; e vi fu aggiunta a questa poi da’ suoi discendenti una Chiesa, ed un Convento dei Padri dell’Osservanza Riformati di S. Francesco, nella quale fù posta questa iscrizione incisa in pietra, che fino al presente si legge, cioè: Hic est locus in qua olim fuit Sanctissima Domus Beatae Virginis de Laureto, quae nunc in Recineti partibus colitur.
Nel luogo, dove nel Piceno la prima volta fu posata; e vi dimorò; come si disse otto mesi, finché vi durò la Seiva di Laureta, che fu fino all’anno 1275 sempre vi si sono vedute le di lei vestigie nel suolo. Anzi entro lo spazio delle quattro parti non vi nascevano spine, né ortiche, come ivi d’intorno, e per tutto solevano nascere, ma solamente erbette tenere, e fiori. Chiamasi questo luogo sin da quel tempo la Bandirola, e i Pellegrini andavano per devozione a visitarloi. Questo prodigio dei fiori si vedeva sin dal tempo di Girolamo Angelita, com’egli stesso afferma scrivendo al Pontefice Clemente VII. Inoltre è fama universale, che quando gli Angeli, portando la S. CASA si avvicinarono alla Selva, che noi diciamo Tufa, di color castagno rozzamente riquadrate in forma di mattoni nostrani, ma ineguali talmente fra loro, o per lunghezza, per altezza, che l’una mai confronta con l’altra. La forma quadrangolare, ma lunga, e non ha altro pregio, che nell’antichità. Misurata internamente è lunga 42 palmi romani, e 10 oncie, larga 18, e 4 oncie, ed alta 19, e 4 oncie. Prima che esternamente fosse adornata de’ marmi, e sculture avea il suo tetto aguzzo, sopra del quale si vedeva un semplice Caminetto, ed un piccolo Campanile, con due campanelle, come si vede in alcune povere Chiesole. Internamente sotto questo v’era una tavola come per volta, che noi diciamo soffitto dipinto di color azzurro, e partito in piccoli quadretti, ciascuno dei quali aveva nel mezzo una Stelletta di legno dorato. Sotto questo immediatamente seguivano attorno le S. Mura lunette informate di stucco di mezzana grandezza, le quali si toccavano insieme, ed avevano ne’ lor mezzi incastrati alcuni vasi di terracotta vetrati. È opinione, che questi vasi fossero stati ad uso della S. Famiglia, adoperati dalla Ss. Vergine a preparar il cibo a Gesù Cristo Figliuolo suo, e al suo casto sposo S. Giuseppe, e che i Ss. Apostoli come S. Reliquie di li collocasse a il luogo così eminente.
Le S. Mura, come dalla pianta che qui si pone, sono di grossezza 2 palmi, e 7 oncie, ma fatti non molto a misura, e a perpendicolo, nelle quali dalla metà all’alto, si vedono certi vestiti si di pittura assai antica, e dalla metà al basso le nude pietre, essendo stata dalla gran frequenza dell’affollato popolo consumata la calce.Nel S. Muro volto a Tramontana, che parmi dovesse essere la facciata della S. Abitazione, vi era quasi in mezzo una porta, ed era l’unica, alta 10 palmi, e larga 6, e 3 oncie, simile a quelle, che da poveri si usano, e per architrave aveva un rozzo Legno, che tuttora si mira in esso muro incorrotto e senza tarlo. A mano sinistra era un piccolo Armario che ancora sussiste, alto 3 palmi, e 6 oncie. È fama, che in questo Armario tenesse la Ss. Vergine la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Nel vicino muro a Ponente v’era una finestra alta 4 palmi, e palmi 9 alta da terra. Dirimpetto nel muro volto ad Oriente vi era basso, e piccolo camino alto 6 palmi, e 2 oncie, largo 3, e 5 oncie, di manifattura come le altre case, povera, ed ordinaria. Finalmente nel muro volto a Mezzo-Giorno dirimpetto alla suddetta Porta (ora chiusa con muro) v’era l’Altare alto 5 palmi, e il lungo 6, e 3 oncie con l’Immagine del Redentor Crocifisso dipinta da S. Luca, che per maggior consolazione de’ fedeli qui viene dimostrata; sul cui Altare è fama che celebrassero i S. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, e per ordine di Clemente VII fu trasferito in mezzo alla S. CASA verso il Camino, e il quadro fu posto sopra la finestra. Entro lo stesso muro verso l’angolo destro, v’era incavata una nicchia ove era collocata la S. Statua della gran Madre di Dio col suo Bambino in braccio, ora trasferita in mezzo al muro d’Oriente sopra il S. Camino. Ella è tutta di rilievo intagliata in legno di Cedro, alta 4 palmi, e il Bambino un palmo, e 8 oncie. Stà dritta in piedi, e tiene con la sinistra il suo Figliuolo verso la cinta, e con la destra, fatto un piccolo gruppo con le pieghe del manto, le sostiene. La faccia della Madre, e del Figliuolo è miniata di incerta mistura, che pare argento, ma pel tempo, e per continuo fumo de’ lumi è divenuta affatto bruna. In capo, intagliato nello stesso legno, come un velo, o panno bianco, sopra il quale posa una corona fatta a punte. I capelli sono lunghi ondeggianti, divisi, e sciolti, che discendono alle spalle alla Nazarena come ancora è la veste lunga sino a piedi di color rubino lumeggiata d’oro, stretta ai fianchi da una cinta di fondo dorato ornata di vari fioretti rossi, e verdi di figura piana, e larghetta parte della quale pende dal nodo, e va a nascondersi sotto il manto, che è di colore azzurro con fodera di color carminio, sparso di stellette dorate. Posa diritto in piedi il Bambino sopra il gruppo del Manto sostenuto dalla destra materna. È vestito ancor Egli alla Nazarena, con veste, e manto, conforme a’ colori di quello della sua Genitrice. Colla sinistra sostiene un piccolo globo significante il Mondo, e con la destra stà in atto di benedire col pollice, indice, medio alzati, e le due altre dita strette alla palma. Ambidue nella positura, e ne’ sembianti mostrano un’amabilissima Maestà, che sorprendendo, danno insieme conforto, e tenerezza. Si trovava in questo stato la S. CASA quando da Nazaret in Schiavonia, e da essa in Loreto fu traslata. Dell’altra disposizione, che poi le fù data d’ordine di Clemente VII se ne tratterà diffusamente a suo luogo, ed ora per compimento del capitolo presente, e per maggiore soddisfazione de’ divoti, si pone qui la Tavola dello spaccato, ossia interno della S.CASA, acciò i lontani la possino avere in qualche modo sotto gli occhi, e dei presenti da loro medesimi possino confrontare le cose, e i siti esposti in questo capitolo, e così confermare, ed accrescere la loro divozione.
DICHIARAZIONE DELLA PARTE INTERIORE DELLA S. CASA
Santo Muro a Settentrione
N.1 Volta della S. CASA fa d’ordine di Paolo III, col suo occhio in mezzo, e grata di ferro, la quale posa solamente sopra le mura, che sostengono i marmi esteriori, distinte affatto dalle S. Mura.
N. 2 Piccolo Armario fabbricato con lo stesso muro con traversa di legno incorrotto, e senza ombra di tarlo. È fama come si è detto, che qui la Ss. Vergine conservasse la S. Bibbia, e i Ss. Apostoli l’Eucarestia.
N. 3 Porta unica ora serrata, che aveva la S. CASA, col suo architrave sopra senza Carlo, e di incorrotto. Fu ferrata per ordine di Clemente VII con aprirne altre, che fossero più atte al numeroso Popolo.
N. 4 Porta moderna corrispondente ad altra aperta per più comodo del Popolo.
N. 5 Sasso portato via, e miracolosamente da sé ritornato al suo luogo. Per segno a una grappa di ferro.
N. 6 pitture antiche fatte in Nazaret e dipinte a fresco su S. Muro.
N. 7 cornicione della volta, che posa ne’ muri de’ marmi.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato delle S Muro incorrotto, e senza tarlo.
, Santo Muro a Mezzo-Giorno
N. 1 Credenzino, ove si conservano recentemente le reliquie. E’ tradizioni come si disse, che questo fosse il sito e parte della Nicchia, ove fu trovata la B.ma Vergine; e l’altra parte fosse levata nell’aprirsi la nuova Porta del Santuario, comunemente chiamata del S. Camino.
N. 2 Porta del Santuario, o S. Camino a perdita d’ordine di Clemente VII, per comodo dei Sacerdoti, e per ritiro de’ Personaggi.
N. 3 Altra porta corrispondente all’altra, fatta aprire dallo stesso S. éontefice per comodo del popolo.
N. 4 Pila di pietra per uso dell’Acqua Santa fermata nel S. Muro, venuta con essa da Nazaret.
N. 5 Armario dell’Ampolline per le Messe.
N. 6 Pietra del S. Muro fatta estrarre con breve di Pio V da Giovanni Soarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, il quale della Ss.Vergine fu obbligato restituirla, per segno è circondata da una picciola lama di ferro.
N. 7 Immagine di S. Ludovico VIII, Re di Francia dipinta in Nazaret nel S. Muro.
N. 8 Legno incastrato, e poi segato nel S. Muro tuttavia senza tarlo, e incorrotto. Da questi legni così incastrati, e poi segati si suppone, che anticamente nella S. CASA vi fosse qualche divisione, per cui si formassero due stanze.
N. 9 Cornicione della volta, che posa sopra i muri, che sostengono i marmi.
N.10 Altre pitture antiche fatte a fresco in Nazaret.
Santo Muro d’Occidente.
N. 1 La Croce di Legno con l’Immagine dipinta sopra di essa del Crocifisso alta 5 palmi, ed altrettanto larga, l’asta, e le teste 2 palmi. Venne questa da Nazaret colla S. CASA, ed era il Quadro dell’Altare. I Principi d’Aragona gli fecero una Cappella nel Tempio, ove fu trasportata più volte, e sempre miracolosamente ritornò in questo sito. È fama, che tanto questa, quanto la statua della Ss. Vergine, siano opere di S. Luca Evangelista.
N. 2 Unica finestra della S. Casa ora d. della Nunziata.
N. 3 Legno incastrato nel S. Muro, e poi segato senza tarlo, e di incorrotto.
N. 4 Volta della S, CASA sostenuta dal muro de’ marmi.
Santo Muro d’Oriente.
N. 1 Statua di Cedro della B. Vergine col suo Bambino venuta da Nazaret colla S. CASA, la quale tuttavia dopo anni 498 della sua venuta in Loreto si mantiene incorrotta, e senza nemmeno ombra di tarlo.
N. 2 Il S. Camino tanto ad uso della S. Famiglia di Gesù, Giuseppe, e Maria.
N. 3 Credenzino, ove si conserva la veste della S. Vergine, e nel disotto una delle S. Scudelle.
Nel Mezzo
Altare formato della stessa materia delle S. Mura, ove celebravano la Messa i Ss. Apostoli, e particolarmente S. Pietro, detto altare di S. Pietro. L’antico sito era nel S. Muro posto a Mezzo-Giorno, come si disse, dirimpetto all’antica Porta, trasferito ora nel mezzo per ordine di Clemente VII con l’aggiunta della grata, la quale divide la parte del Santuario detta del S. Camino dal resto della S. CASA.
CAPITOLO V
S.CASA riconosciuta nella Marca.
Osservate i Recanatesi le varie mutazioni fatte dalla S. CASA in così poco spazio di tempo, benché niuno di loro sapesse, che Stanza o Chiesa fosse mai quella; nulladimeno restavano stupefatti, riverenti, ed insieme divoti della gran Madre di Dio, nella quale vedevano la di lei Immagine, ed ogni giorno diverse grazie, e miracoli farsi a quelli, che, piamente visitandola di vero cuore se le raccomandavano. Ancora di tempo in tempo veniva a visitarla alcuni della Schiavonia o collocazione di traffico, oppure mossi dalla fama sparsa di tali miracoli, di quelli che trovavano presenti sospirando, e con lacrime dicevano,ch’eglino di quella S. CASA erano stati i fortunati possessori, indi da Dio privati. Queste, ed altre cose dicevano, ma non v’era chi loro ponesse mente, o credesse. Quando un divoto romito, che ivi spesso si tratteneva in orazione, sentendo un dì tali cose narrare, ed osservando la loro affliizione, o per desiderio di saperne la cagione, o per caritativamente consolarli minutamente l’interrogò. E da quelli intendendo, che quella sacra Abitazione era stata da loro posseduta, e venerata in Tersatto, trasferita miracolosamente da Nazaret, e che era la stessa Casa, ove nacque la Ss. Vergine, ove vi concepì l’Eterno Verbo, lo allevò, e lo nutrì, entrò in desiderio di saperne dalla medesima Vergine la verità. Dopo molti digiuni, ed orazioni fu consolato. Gli apparve Ella, gli rivelò come aveva fatto ad Alessandro di Teriata, i misteri operati in essa Casa trasferita dalla Galilea, e dalla Schiavonia in quel luogo per ministero Angelico, senza dimora si portò in Recanati a manifestare il prodigio, e la inesplicabile sorte a’ Maggiori della Città. Nel principio a cagione dell’insolito portento, e per la grandezza della cosa, non fu creduto: ma poi a poco a poco animando molti particolari, operò in modo, che fu risoluto di spedire nella Schiavonia, a Tersatto, indi nella Galilea a Nazaret Persone non men fine, prudenti per certificarsi della verità. Furono adunque spediti sedici uomini scelti dalla Provincia della marca a pubbliche spese colle misure della S. CASA, fu l’anno 1296. Giunti in Tersatto, sono appieno informati da quei Abitatori ancor mesti della venuta fra loro, della dimora, e della partenza della S. CASA; e condotti al luogo, osservate le vestigie, sopra delle quali i Frangipani avea fatta innalzare una Cappelletta, con la quale confrontare le misure, e fatto il calcolo dei tempi in tutto corrispondente partono tutti lieti per Nazaret. Quivi giunti, furono da quei Popoli fedeli rimasti, appieni informati, e condotti al luogo. Ivi vedono in frantumi, le rovine del Tempio di S. Elena ruinato dagli Infedeli, e tra queste mirano il pavimento, i fondamenti della S.CASA restati nel suolo, e adattate le misure seco loro portate, le trovano giuste, e conformi, e della stessa materia della Casa loro miracolosamente trasferita, onde tieni di giubilo ritornarono in Recanati. Informarono tutti di quanto trovato aveano in Tersatto, e in Nazaret, e che dai segni, e dalle relazioni avute non avevano alcun dubbio, anzi certezza, che quella tra loro fosse la vera Casa della Madre di Dio già stata a Nazaret. Si accrebbe comunemente negli animi dei Marcheggiani la divozione, e lo zelo verso la S. Abitazione, e la Regina del Cielo, che la costituirono Protettrice, e Padrona di lor stessi, e della loro Provincia. Sparsa appena la voce, e il nome della S.CASA, Abitazione di Gesù Cristo, prima Chiesa della legge di grazia, consagrata con tanti misteri, che non solo i Recanatesi, e i Popoli vicini, ma ancora i lontani a cento , o mille venivano processionalmente con Musiche, ed abiti diversi a venerarla, e riconoscerla. Crescevano per mezzo di lei le grazie, e i miracoli, e con questi ancora la divozione, ed il concorso. Tantopiù che talora si vedevano sopra la S. Abitazione di notte alcune fiamme, che tutto quello spazio d’intorno empivano di meraviglioso splendore. Il vescovo di Recanati ne informò il Pontef. Bonifacio VIII, coll’ordine del quale fabbricò il Borgo di Loreto. Il medesimo Pontefice persuaso del celeste prodigio, ed acceso di tanto zelo, conferì molto alla devozione, e al concorso, poiché nel 1300 fece pubblicare la prima volta l’anno Santo per impetrare da Dio la pace. Questa santa novità diede ai Fedeli un grand’animo di andare a Roma per sì grand’Indulgenze, e quelli che potevano passare per Loreto, con allegrezza particolare visitavano la S.CASA.
Intanto i Recanatesi, nel dominio dei quali era il Borgo di Loreto temendo che la S. Magione, per essere qui sola, senza fondamento, ed appoggio col tempo potesse rovinare, pensarono al provvedimento. Vi fecero un muro di mattoni contro i fondamenti così vicini alle S. Mura, che in qualunque accidente di pericolo le sostenesse. È fama antichissima come afferma il P. Battista Mantovano, che quasi elle contente del divino appoggio, sdegnassero quello dell’arte umana; e per divina virtù fecero da loro stesse allontanare le nuove mura.Il P- Torsellino aggiugne di avere udito lo stesso del P. Raffaele Riera, Uomo di singolare autorità, ed informato di questa verità da chi aveva il tutto coi propri occhi veduto. La distanza era, che fra il nuovo muro, e quello della S. CASA vi poteva comodamente passare un Putto con una torcia in mano, e così restarono fino al tempo di Clemente VII, quando fu innalzato il nuovo muro pe’ marmi, il quale al presente ancora il lontano dalle S. Mura, come pazientemente, si vede da una fessura vicina alla porta di tramontana, nella quale si suole porre una piccola candela accesa, a di cui lume apparisce questa distanza. Crescevano intanto con la frequenza dei Popoli i doni, e le limosine
V’era più luogo ad altri Voti ancor preziosi. Forse (stimano alcuni autori) per dar luogo a questi, che si risolvesse di elevare dalla sacra cappella l’antico Crocefisso Quadro dell’Alt., e ne seguisse il Miracolo d’essere trovato all’antico loco. Gli stessi Recanatesi per la medesima cagione, e per comodo al gran concorso di fabbricarono attorno ampi portici, ornandole di pitture, che esprimevano le traslazioni, ed insieme innalzarono un Altare appoggiato al S. Muro di Ponente nella parte esteriore sotto la finestra, detto poi dell’Annunziata, perché non potendo tutti per la gran moltitudine entrare nel A. Recinto ad ascoltare la Messa, almeno udir la potesse in altra parte.
Sebbene ogni giorno era quasi festivo, e solenne per il concorso dr’ Divoti, tuttavia la Ss. Vergine volle mostrare qualche giorno le fosse più grato, che ivi con maggior Solennità si celebrasse. E fu che Paolo di Montorso Romito, che abitava in un vicino Bosco, e che questo si intratteneva orando nella S. CASA, osservata per lo spazio di dieci anni continui, che sulla mezza notte delli 8 Settembre scendeva dal Cielo una fiamma, e si posava sopra di lei; perlocché si pose a supplicare la Vergine, che la cagione le manifestasse: Ella apparendogli, disse, che siccome in quel giorno si celebrava il Natale di lei succeduto in quella casa, così voleva che nella medesima solennemente si celebrasse. Ne diede parte al Vescovo, e ai Maggiori di Recanati, i quali lietamente, e prontamente ubbidirono con far solenne quel giorno: tanto più che ogni anno seguitava a vedersi tal fiamma. Era questa così palese, che non restava persona, che oro dalle mura della Città, o dalle finestre, e dai tetti delle loro Case non mirasse spettacolo così divoto. Durò, dicono i Scrittori, a vedersi fino al tempo di Paolo III. Accertati in questo mentre i Pontefici della verità, con Privilegi, ed Indulgenze particolari accrebbero la Solennità, ed il concorso. Passa la fama delle prodigiose fiamme, dalle città vicine alle lontane, si aumentò il concorso de’ divoti, per lo che i Recanatesi stimando convenirsi accrescere le Abitazioni per ricevere i Pellegrini, e Confluenti, e per accrescimento di comodo de’ Sacerdoti Ministri, circa all’anno 1322, fabbricarono una Chiesa, e molte case, talmenteché il Borgo finora di Loreto, fù innalzato all’essere di Castello.
CAPITOLO VI.
Del Tempio Lauretano.
Era cresciuta molto la diminuzione dei Popoli verso la S. CASA, ma non mai tanto come quando dai principali Personaggi del Mondo fu solennemente visitata. Furono questi moltissimi sì Ecclesiastici, che Secolari, le memorie dei quali hanno formato un Tesoro. Non riferisco i loro nomi, e le grazie, poiché il mio assunto è di narrare brevemente, e semplicemente la Storia Loretana per comodo de’ Pellegrini divoti. Chi desiderasse una piena notizia ricorra al Torsellino, Seragli, e gli altri, che copiosamente ne trattano. Io solamente ne scelgo due Sommi Pontefici, che fra gli altri molti vennero personalmente a visitare la S. CASA. Sia il primo Pio II, prima chiamato Enea Piccolomini Senese, il quale assalito da una ostinata febbre mentre che doveva portarsi in Ancona, a facilitare l’impresa contro del Turco, ove s’adunava l’Armata, mosso dalla fama dei miracoli, e grazie, che continuamente la Ss. Vergine otteneva da Dio nella S. Casa, se le raccomandò. E come fosse stato un certo di avere integrata la salute, le spedì un Calice d’Oro. Fatto il voto, cessò la febbre, e talmente ricuperò le perdute forze, che con gran comitiva di Cardinali, e gran Signori si pose in viaggio, e giunse a Loreto perfettamente guarito. Entrato nella Sagrosanta Abitazione, e prostrato avanti la sua Liberatrice, soddisfece il voto, e fù nel 1464. Non viddesi mai nella sS Cappella così vago spettacolo per esser ricolma di Principe, Cavalieri, e Baroni prostrati avanti alla gran Madre di Dio.
Molti erano venuti da Roma col Pontefice ad ammirare la grande Armata; altri molti, e particolarmente i primi Uffiziali d’Ancona ad incontrarlo. Intanto la salute di Pio ammirata da gran Signori di diverse Nazioni, e da tanti provdi Guerrieri fù cagione, che si dilatasse la fama del Santuario Loretano per tutta l’Europa. Fu il secondo Pietro Barbo Veneto Card. Di San Marco il quale colpito dalla Peste in Ancona, non potendo come gli altri portarsi in Roma all’Elezione del nuovo Pontefice, ricordevole della potente intercessione di Maria, tanto efficace a Pio, si fece portare in Loreto, e giunto alla S. Casa, volle quivi rimanere solo, e placidamente si addormentò. Fù fama, che dormendo, non solo fosse assicurato della corporale salute, ma altrisì del futuro innalzamento al Pontificato. Se fosse illusione ovvero rivelazione, lo decide l’evento. Destatosi perfettamente guarito, colmo d’allegrezza con istupore universale, e particolarmente de’ suoi famigliari, che erano appieno informati, uscì dalla S. Cappella. Fece subito chiamare il Rettore della Chiesa, a cui palesò il suo pensiero di voler ivi innalzare un nuovo, e magnifico Tempio alla Regina del Cielo. Ordinogli intanto, che a suo conto facesse scelta dei Muratori, e preparasse i materiali bisognevoli.
Giunto in Roma, cadde in lui il Pontificato, ed è innalzato alla gran dignità col nome di Paolo II, ricordevole della ricoperata salute, ordinò senza indugio, che atterrata l’antica Chiesa fatta fabbricare dai devoti di Recanati, si fabbricasse il magnifico Tempio, che al presente si ammira. È vero ch’egli non lo poté compire; tuttavia il P. Battista Mantovano ci assicura, che fù da lui quasi a perfezione condotto. Sisto IV, e Giulio II, successori, ed imitatori di Paolo, non tanto nel pontificato, quanto nella particolar divozione della Vergine Loredana, furono quelli, che compirono l’opera, l’adornamento. Terminò il primo non solo la fabbrica, ma ancora tornato, e provvidela d’ottimi Sacerdoti, e di eccellenti Cantori. Il secondo la fortificò esternamente, e in tal guisa, che la fece divenire una ben ordinata, e fortissima Rocca, sì per la varietà delle mura, come per la struttura di esse, che a guisa di bastioni, con corridori coperti, che alla di lei sommità e intorno girano per uso di presidio, e comodo alla città. Provvidela ancora a nell’interno con fondarvi un muro di Musici, e di due grandi Organi dorati, ed ornati di vaghe pitture. Fece fondere due vaste Campane, e di ordinò li amplissimi fondamenti del Campanile.gli otto di lastroni, che sostenevano la grande cupola, non reggendo a tanto peso, rlassatisi in parte, minacciavano ruina: perloché.ispedì subito il suo Architetto Antonio Sangallo per rimedio a tanto pericolo. Fece questo immediatamente ai lati del Pilastroni profondi, e ampi cavi, ne quali fece fabbricare nuovi muri di rinforzo con unire ai grandi Archi laterali un nuovo ordine d’archi minori frapposti alli maggiori, coi quali assicurò mirabilmente la Cuppola, ed insieme accrebbe al Tempio come tuttavia si osserva, nuovo ornamento e decoro.
Richiedevasi per compimento dell’opera la facciata de’ marmi bianchi. Gregorio XIII, con la sopraintendenza di Lattanzio Ventura Architetto l’incominciò, e Sisto V la compì perfettamente. Questi appena assunto alla dignità Pontificia, come nato, e allevato, e per lo più vissuto nella Marca, ben si avvidde quanto gli conveniva non solamente di imitare gli Antecessori, ma lungamente superarli. Ed in fatti fù tale la di lui divozione, e nell’impegno, che pare non volesse lasciare ai suoi Successori luogo ad ulteriori ingrandimenti.
La chiesa da principio fu semplicemente offiziata, ed è amministrata da Pietro di Gregorio Prepositp Teremano, e da altri pochi Sacerdoti Ministri, pel sostentamento de’ quali, e per gli infermi, Mons. Niccolò degl’Asti Vesc. Di Recanati, e Macerata comprò terreno del proprio ed assegnollo per fondo. Leone X, la fece Collegiata con fondarvi 12 Canonicati, 12 Mansionarìe,o Benefiziati, e 6 Chiericati di Coro, assegnando loro il mantenimento dall’entrate del Santuario. Sisto V, la dichiarò cattedrale, ed oltre l’aver confermati i 22 Canonicati,e Mansionarìe, aggiunse 4 Dignità, cioè: l’Arcidiaconato, l’Arcipretatato, Primiceriato, e Tesorierato: ed oltre ai sopradetti 6 Chiericati Corali, ne aggiunsero altri sei. Gli assegnò per suo primo vescovo Mons. Francesco Cantucci Perugino Uomo celebre non meno in pietà, che in dottrina. Stabilì la Diocesi con tre riguardevoli Terre, cioè Castelfidardo, ch’era della Diocesi di Ancona; M. Lupone di Fermo; e M. Cassiano d’Osimo. Confermò vieppiù l’uso delle funzioni introdotte fino dalla Protettoria del Cardin. Morone per ordine Pontificio, cioè: che si facessero nella Chiesa di Loreto, come appunto si fanno in Cappella Papale. Innalzò il Castello di Loreto all’esser di Città deputando Magistrati, ed ornando leggi pel suo Governo, ed acciò la nuova città non fosse solamente di nome, fece comprare il Colle che le sovrasta, detto Montereale, e fatto a sufficienza appianare, obbligò ciascuna Comunità della Provincia secondo il disegno a fabbricarvi una Casa; concedendo alle Persone, che venissero ad abitarla, o vi fabbricassero, favori, e Privilegi particolari. Fece tuttociò con tanto gradimento della Provincia, che a di lui memoria eresse la magnifica Statua di Bronzo posta su pavimento della Regia Scalinata fuor del Tempio.
CAPITOLO VII.
Facciata del Tempio.
Poiché mi sono proposto oltre la breve Istoria Loretana di narrare ancora qualche altra cosa fu lo stesso soggetto, che possa recar diletto al Forastiere divoto che si porta in questo gran Santuario, e nel tempo stesso non lo allontani, e non lo frastorni dalla divozione anzi vieppiù lo incoraggisca, e l’infiammi; incominceremo a descrivere minutamente ciascuna parte del Tempio, e le opere particolari, che lo costituiscono, e l’adornano. E siccome tutte queste sono eccellenti, e magnifiche sì per lavoro, come per la materia, e conseguentemente per il notabil travaglio, e spesa, onde potrà riflettere a qual segno sia cresciuta, e dilatata la divozione; e l’affetto dell’Imperatrice dell’Universo in questa sua S Casa. Tutti gli ornamenti, e qualsivoglia altra cosa, sono stati fatti con l’elemosine, e doni de’ Divoti, oppure con le entrate; e sì gli uni che le altre o hanno ovvero ebbero lo stesso principio, cioè la divozione, la gratitudine dell’affetto: e così nel considerarli rifletta ancora agli innumerabili benefizi, che di continuo, e largamente si concedono in questo luogo. Daremo principio da quella parte, che prima delle altre ci si presenta allo sguardo, cioè la facciata del Tempio. Ella è posta ad Occidente, fabbricata di pezzi di pietra di Istria così diligentemente squadrati, e con tanto artificio uniti insieme, che sembra fatta d’un pezzo solo. Ha innanzi disse una maestosa scalinata di otto gradini divisa a 4 a 4 da un frapposto pianetto. Sopra questa vi è il pavimento di lastra della medesima pietra, che insieme con la Scalinata occupa tutta la facciata. Nel piano del pavimento sopra li scalini a mano destra vi è una base ottangolare attorniata di nicchie, con figure rappresentanti le Virtù, e Tavole istoriate a mezzo rilievo, e Cartelloni, il tutto fatto di Bronzo, sopra del quale posa la Statua gigantesca del gran Pontefice Sisto V, parimenti di Bronzo, sedente in abito Pontificio col Triregno in capo, in atto di dare al Popolo la Benedizione: opera del Bernardini fatta a spese della Provincia della Marca nel 1587, in memoria di sì degno Pontef., benemerito della stessa Provincia.
Tutta la facciata è divisa in due ordini. Il primo è formato di 4 pilastroni ciascuno dei quali è composto di 4 pilastri, due di fronte e due di fianco con basi, capitelli, cornicioni, e scolature d’ordine Corinto. Fra questi pilastroni si formano tre vuoti, o piani,nei quali, vi sono tre Porte con sue colonne, ed adornamenti. Sopra la Porta di mezzo, che è la maggiore vi è una nicchia, entro la quale posa una vaga Statua di bronzo della Ss.Vergine col suo figliuolo in braccio, a similitudine della Statua Loretana, opera di Girol. Lombardi ciascuna delle due Porte minori laterali ha sopra di sé un Cartellone di Marmo nero con Iscrizione di lettere incise, e dorate. Nel primo. SIXTUS V. P. M. Picenus Ecclesiam hanc ex Collegiata Cathedram constituit XIV, Kal, Apr.MDLXXXV. P. A. P. Nel secondo.
SIXTUS V. P. M. Picenus Episcopali dignitate ornatumCivitas jure donavit An.
MDLXXXVI. P. A. P. Ciascuna di queste iscrizioni ha sopra di se una finestra,
con vaghi ornamenti, la quale corrisponde, e porge lume alla sua nave laterale.
Sopra lo scolatore incomincia il secondo ordine ch’è diviso in due pilastroni, ciascuno dei quali parimenti è composto di 4 pilastri due di fronte, e due di fianco, con sue basi e capitelli, e cornicione di ordine Corinto, tra quali si forma un solo volto, o piano. In questo si apre una gran finestra, che corrisponde, ed illumina la navata maggiore nel mezzo, ornata di Archi, Colonne, Conchiglie, Rosoni, e di altri ornamenti, ed ingegnosissimi rari capricci. Sopra questa sede un cartellone di marmo nero con iscrizione andrà alle lettere incavate, e dorate, che da lontano ben si distinguono; iscrizione, più veneranda e magnifica, cioè: Deiparae Domus, in qua Verbum caro factum est: ai lati della sopraddetta si aprono due ale, che vanno a terminare in due grandi volte, appresso alle quali sorgono due Torrioncini, che hanno in faccia le sfere, e sopra le Campane degli Orologi, uno Astronomico, e l’altro Italiano. Sopra il Cornicione segue il timpano, termine della Facciata, sull’acuto del quale vi è una gran Croce con due Candelieri ai lati di bronzo con basi, ed ornamenti di pietra. Il disegno di questa facciata, e palazzo è del Bramante, ed alla esecuzione ebbe sopraintendente il Ventura. Nel pontificato di Gregorio XIII, sotto la protezione del Card.Vastavillani fu cominciata in quello di Sisto V sotto la protezione del Car. Gallo fu terminata. Le misure di sì vaga facciata, come del nuovo Campanile innalzato sotto il Pontificato di Benedetto XIV, e compiuto l’anno 1753, sù disegno del Vanvitelli; che si espongono qui impresse a vista delli Lettori.
CAPITOLO VIII.
Porte del Tempio.
Le tre Porte del Tempio Loretano, oltre gli adornamenti di marmo, hanno ancora quelli di bronzo quali per l’invenzione, per il disegno, per l’opera, del loro genere, una non cede all’altra. Sono queste porte di bronzo finora ammirate come uniche, non che rare. Nell’ingresso maggiore, che corrisponde alla navata di mezzo, vi è una grande, e magnifica Porta di bronzo divisa in due parti, e ciascuna di esse è distribuita in diverse riquadrature maggiori, e minori.
Nelle maggiori si esprimono alcuni fatti della S. Scrittura appartenenti al Vecchio Testamento; nelle minori al Nuovo: cioè i principali Misteri della vita della Ss. Vergine. Sono tutte ornate di varie bizzarrìe, Fregi, Festoni, Armi, Statue intiere, Semibusti, Arpìe, Satiri, e Centauri, ch’escono graziosamente dagl’incartocciati fogliami. Ho risoluto per brevemente ristringermi, di accennare soltanto le maggiori, come appartenenti al Vecchio Testamento, che comunemente non si distinguono da tutti, e tralasceremo le minori, che da ognuno si conoscono, e distinguono.
Nella prima parte adunque posta a destra della Porta maggiore nella prima riquadratura si esprime la creazione di Adamo nel Paradiso Terrestre. Nella seconda, la maledizione dei primi Genitori dopo trasgredito il precetto con Abramo, che con la Sappa lavora la terra, ed Eva che fila con la rocca. Nella terza, la fuga di Caino instabile e timido dopo l’uccisione di Abele. Nella parte sinistra a capo nella prima riquadratura, la formazione di Eva dalla costa di Adamo addormentato. Nella seconda, l’espulsione dei suddetti afflitti, e piangenti dal Paradiso Terrestre. Nella terza, Abele assalito da Caino che l’uccide. Queste son Opere ammirande di Giacomo, e Antonio Lombardi figliuoli, ed allievi del celebre Girolamo Statuario, e insieme Fonditore.
Negl’ingressi, che corrispondono alle navate minori, laterali, ancor essi hanno le Porte di Bronzo, e benché siano dei minor grandezza di quella principale, tuttavia però non sono di minor pregio, ed ingegno. È cosa veramente meravigliosa il mirare in sì piccoli spazi le figure, e gli atti di esse così ben formati, ed espressi, nelle prospettive di Valli, Monti, Mari, Città, Anfiteatri, Deserti, ed altre cose ingegnosissime, e vaghissime, che sorprendono. Sono ancora queste divise in due parti, e queste parti medesime sono distribuite in riquadrature attorniate da Fregi, Festoni, Statue de’ Profeti, e Sibille, da Gogliami, Arme, Scudi, e da altre molte vaghissime capricciose invenzioni. Nella prima minor Porta posta a mano destra, e nella parte destra a capo nella prima riquadratura, si esprime la creazione di Adamo assai diversa per l’invenzione, dall’altra posta nella Porta maggiore. Nella seconda Asar dolente col moribondo Ismaele, e l’Angelo che la conforta. Nella terza Adamo, che sacrifica il suo figlio Isacco nel Monte, e i Servi che aspettano nella valle sottoposta. Nella quarta Mosè, che passa col popolo Ebreo il Mar Rosso, e l’esercito di Faraone sommerso, e confuso fra l’onde, e gli Ebrei nell’opposto solo giubilanti. Nella quinta la Manna, che cade nel deserto agli Ebrei, i quali si veggono occupati in provedersene. Nella parte sinistra parimente da capo nella prima riquadratura alla formazione di Eva dalla costa d’Adamo addormentato con disposizione diversa dalla prima. Nella seconda Rachele, che dà a bere ai Cameli di Giacobbe, e i Servi cortesi e grati verso di lei.
Nella terza il trionfo di Giuseppe nell’Egitto è saltato da Faraone, degli Egizj, che l’onorano, e fanno applauso. Nella quarta Giuditta, che recide il capo di Oleferne, e la Servente col panno, per porvi il reciso capo. Nella quinta, Mosé nel deserto, che con la Verga fa scaturire dal Selce acque copiose, e gli Ebrei gli avidi a dissetarsi. Ciascuna di queste riquadrature, siccome tutte l’altre ha la sua prospettiva competente e distinta.
Nella seconda Porta laterale posta a mano sinistra, e nella parte destra a capo, si esprime nella prima riquadratura il sacrificio di Caino incontro al sagrificio d’Abele. Nella seconda il sacrificio di Noè fatto dopo il diluvio, e l’Iride che simboleggia la pace. Nella terza la riduzione dell’Arca con Davidde giubilante, ed il Popolo, che festeggiando lo segue. Nella quarta la comparsa di Dio a Mosé mentre pasceva l’armento del Suocero. Nella quinta, Abigaille incontro a Davidde mentre passa per il Carmelo. Nella parte sinistra parimente a capo, e nella prima riquadratura l’uccisione di Abele fatta da Caino d’invenzione assai diversa dall’altra. Nella seconda, la scala di Giacobbe con gli Angeli, che discendono, e ascendono per essa. Nella sala il Trono di Salomone colle Guardie, e Cortegiani. Nella quarta l’esaltazione del serpente di bronzo nel deserto, ed i percossi, che languenti lo mirano. Nella quinta il Re Assuoero in Trono, appié del quale Ester supplicante per suo popolo Ebreo. La prima porta laterale è opera di Antonio Bernardini, e la seconda di Tiburzio Verzelli. Silvio Serragli Computista del Santuario nella sua Storia Loretana si afferma, che dalle memorie della Computistarìa si rileva, che la sola fattura di queste tre porte passò il valore di 30 mila scudi, non compresa la materia. In somma sono queste tre Porte fatte con arte, e maestrìa, che non mai abbastanza si può esprimere con parole. Non vi è persona di qualche poco intendimento, che nel contemplarle non provi un particolar diletto, e non resti stupefatta, e sorpresa.
CAPITOLO IX.
Interno del Tempio.
Il Sagro Tempio Loretano a figura di Croce composto in tutte le sue parti a tre navate. È lungo C. 45, largo C. 35 e 147 in circa di giro. Il capo, e le braccia della Croce vanno a finire con tre Cappelle. Quella di mezzo è più grande, e forma Tribuna; le laterali più piccole, e minori a proporzione. Negli 4 angoli della Crociata sotto i gradini sono formate in un ottangolo 4 Sagristìe, o Salvarobbe.
La prima detta Dispensa della S. Cappella, rassegnata ai custodi del santuario, ove da essi si conservano le preziose Vesti della S. Statua, l’imbiancherie, ed argenti per l’Altare entro laS. Casa, e le gemme, ori, voti, denari dell’elemosine, ed offerte, e qualunque altra preziosa cosa donata al Santuario, infin che giunga il destinato tempo di consegnarsi al Governatore, ed alli Ministri. La seconda chiamata S. Giovanni, è ad uso principale dei canonici, ove vengono i loro capitoli, e del Can. Sindaco per consegnare ai Corali di semestre in semestre le loro paghe, che consistono tutte in danaro. Serve ancora ai Sagrestani Vescovili per conservare i paramenti solenni, e le argenterie della chiesa. La terza è assegnata ai suddetti sagrestani, ove tengono ben custodite negli Armari le argenterie del Coro, e paramenti. Quivi si apparano tutte le Messe da cantarsi tanto in S. cappella, quanto per la Chiesa, secondo l’intenzione dei Benefattori. Si chiama Sagristia della Cura, perché serve ancora ai Curati quasi di Archivio, e qui si apparano nelle funzioni spettanti al loro uffizio. La quarta detta la Tesorerìa, perché stabilita a conservare danari, elemosine, entrate in denaro, gemme, ori, e qualunque altra cosa preziosa del Santuario.
Incomincia l’asta della Croce ad Occidente, la quale più lunga dell’altre parti, formata da 12 pilastroni, cioè 6 per parte, riquadrate coi suoi cordoni negli angoli, che ancora girano nelle lunette delle volte, e sono alti palmi 68. La navata di mezzo è la maggiore, sopra i cui pilastroni sorge il basamento, che sostiene gli archi acuti alla gotica, e la volta alta palmi 88. Gli archi, e la volta delle navate laterali sono minori, ma dell’istessia forma, e lavoro, e posano sopra i soli pilastroni alti da terra palmi 68, ogni arco alla sua cappella corrispondente di larghezza palmi 20, e 12 di sfondo.
Posa la Sagros. Abitazione nel centro della Crociata in vago pavimento di marmo scaccato di quadretti rossi e bianchi, e sollevato dal piano della Chiesa così parimente scaccato da 4 gradini di pietra bianca alto ciascuno un palmo, e 9 oncie. Le stà sopra una magnifica Cuppola sostenuta da 8 gran pilastroni, che attorno ad essa disposti in giro formano un’ottangolo, sopra quali posano altrettanti archi, cioè quattro maggiori, e quattro minori, ed i maggiori sono di altezza palmi 78. Ciascuno di detti pilastroni rende per di sopra una colonna piana, che fa un angolo ottuso d’ordine Corinto alto palmi 38, e su questa incomincia a sorgere la grand’opera con un Architrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 21. Segue il tamburro con 8 gran finestroni, al quale succede un altroArchitrave, Fregio, e Cornicione in tutto palmi 30. Finisce col suo proporzionato lanternino circondato da 8 finestre, secondo la forma ottangolare, che rendono.
Sotto gli scalini del pavimento a linea retta dell’asta segue ad Oriente il capo della Croce, il quale è composto a tre navate, conforme l’ordine con tre pilastroni per parte, sopra i quali posano due archi l’uno minore, l’altro maggiore, e finisce con tre Cappelle, quella in cui termina la navata di mezzo è assai ampia, e forma tribuna, le laterali sono più piccole a proporzione della prima. A Tramontana ha il braccio destro, e a Mezzo-Giorno il sinistro, i quali hanno gli stessi pilastroni, ed Archi, e terminano con le tribune corrispondenti alle navate minori, e maggiori.
La Cappella a destra della Tribuna del braccio destro non ha Altare, invece del quale ha una gran Porta che conduce alla Sagristìa del Tesoro, ove s’apparano i Sacerdoti per celebrare nell’Altare della S. Cappella, o in quello della Nunziata. Entrata questa, in faccia vi è un altra Porta maggiore, e più magnifica, ornata di pietra bianca, che dà l’ingresso al Tesoro, ove in armarj di noce ben ordinati si conservano le gemme, gli ori, gli argenti, e i preziosi paramenti offerti al Santuario da Personaggi, e gran Signori, dei quali a suo luogo se ne darà sufficiente notizia. Succede a questa un’altra Sagristìa grande detta Vescovile, alla quale si va per mezzo d’un corridore, che conduce per linea retta ai Portici della Piazza, nella qual Sagristìa s’apparano in banconi diversi, secondo il rango, i Sacerdoti, che debbono celebrare negli Altari della Chiesa. Come questa, così tutte le altre Sagristìe sono abbondantemente provvedute di sacri Arredi, e argenterìe convenienti al luogo, alle persone, ed alle solennità.
CAPITOLO X.
Ornamenti del Tempio.
Quest’opera, che finora abbiamo veduta così bella, e magnifica nella propria disposizione; conviene ora mirarla adornata, poiché oltre il pregio dell’arte se l’accresce quello della rarità, le ricchezze, che l’adornano, e la distinguono. Nelle navate laterali corrisponde ad ogni arco la Cappella ciascuna delle quali deve ornarsi di ricchi marmi, e di moderni Altari per stabilirvi il quadro di Mosaico. Nella prima Cappella vicina alla Porta della sinistra navata, la di cui Pittura a fresco è del Pomarancio, invece dell’altare vi è il magnifico Fonte Battesimale di Bronzo, opera di Tiburzio Verzelli gran Fonditore.
Questa stupenda mole pel delicato lavoro, e moltopiù per le giuste, e meravigliose invenzioni, considerata insieme forma un mezzo sessagono piramidale. È alta in tutto palmi 25 larga 15. Si divide in piedi, vaso, e coperchio. Posa il piede sopra un vago pavimento di pietra elevato di tre scalini parimenti di pietra, che formano ancor essi il sessagono. Egli era formato di graziose volute, legature, incartocciamenti, di fogliami, e di altre invenzioni. Nella parte interiore sono posti a giro, negli angoli 4 putti nudi, alati, di tutto rilievo in atto di sostenere, e con le mani alzate, e colle feste il gran vaso. Segue il corpo di questo con tre finestrini, cioè uno per ciascuna parte per comodo del Ministro, e de’ Battezzanti, ed hanno per serraglio tre quadri. Nel primo si rappresenta la probatica Piscina; nel secondo il Cieco nato; e nel terzo l’Eunuco di Candace…
I frammenti, ed i contorni sono empiuti di volume con Festoni, e mezzi Angoli a tutto rilievo, da Cherubini, e da mille altre vaghissime, e capricciosissime invenzioni. Negli angoli quali in forma di tanti trofei pendono quattro quadri minori come targhette nelle quali sono effigiate le traslazioni della S. Casa. Succede questo il coperchio ultima parte del cessarono piramidale, nelle cui tre facciate vi sono altrettanti quadri, nel primo la circoncisione degli ebrei, nel secondo S. Gio. Battista al Giordano, e nel terzo Naaman Siro nello stesso fiume. Non solamente questi quali, ma tutti gli altri sono accompagnati di prospettive d’Architettura, di Fiumi, Campagne, Boschi, convenienti alle Storie che rappresentano. Fra il vaso, è il coperchio in ciascuna cantonata della sua Statua di tutto rilievo in piedi alta sei palmi, cioè, della Fede, della Speranza, della Carità, e della Perseveranza. Finisce il coperchio con un pianetto, sul quale vi sono due Statue della stessa grandezza delle altre, cioè: di Gesù Cristo
umile, che riceve il Battesimo, e S. Gio. Battista, che glielo conferisce. Tutta questa gran mole costò al Santuario seimila scudi di fattura non compresa la materia, come afferma il Serragli.
Nella crociata come si disse, posa la S. Casa attorniata da pilastroni, che sostengono la Cuppola. E’ coperta questa al di fuori di grammi di piombo di persone in tutto 133 mila libre, ed al di dentro parte è posta tutta d’oro, parte dipinta, e parte ombreggiata ad oro, e dipinta insieme. Nella testuggine si rappresenta la Coronazione in Paradiso della Ss.Vergine dall’Augustissima Trinità con una moltitudine di Celesti festosi Spiriti, che formano melodie, canti, e suoni. Sopra il primo cornicione tutto dorato, va in giro dipinta una balaustrata distinta da otto bassi, sulle quali possano ritti in piedi, e in abiti pontificali i 4 S. Dottori Grecim ed i 4 Latini, e fra mezzo vi sono disposti Stemmi Pontifici, e de’ Cardinali Protettori, nel Tamburro a lato de’ finestroni, vi sono dipinte le Virtù, ed altri ornamenti. Sotto l’ultimo cornicione parimenti messo a oro ne’ 4 gran vuoti sopra gli archi minori, vi sono dipinti i 4 Evangelisti, e gli archi maggiori al di sotto sono ornati di riquadrature, e rosoni tutti i dorati. Quest’opera sì pel disegno ed invenzione, sì per l’esecuzione di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Nella Tribuna volta ad Oriente, che forma il mezzo del capo della Croce vi è l’Altare di S. Filippo Neri adornata dalla Provincia della Marca con quadro del medesimo Santo, i laterali, ed altre Pitture opera dei Gasparini di Macerata. Recentemente è l’Altare ancora del Venerabile, come Cappella la più capace, e comoda al gran concorso di quelli, che si hanno da comunicare. Ha sempre un vago, ricco, e stabile adornamento di Argenterìe, cioè: Tribuna, Ciborio, Scalinata, Candelieri, Vasi, Ceroferarj, e cinque gran Lampade. Il candelabro verso la S. Casa tutto di Bronzo di esquisito lavoro del più volte nominato Girolamo Lombardi. Il medesimo altare è circondato da un ampio giro di Balaustrate di marmo sostenute da colonnette, e distinte da Pilastrini ornati di faccia. Nel destro lato di questa Tribuna, vi è la Cappella, in cui deve erigersi il nuovo Altare di marmo col Mosaico, qual Cappella sarà corrispondente all’altra dalla parte sinistra di d. Tribuna, ove sopra il nuovo bellissimo Altare di Marmo si osserva il famoso Mosaico rappresentante la Natività della B V. li laterali della quale sono stupendi per essere opera a fresco del Minchiotti di Forlì. Al lato sinistro di questa Cappella fuori d’ordine, appoggiato al muro in facciata all’arco, vi è il deposito del Card. Sermoneta Gaetano con Statua di bronzo al naturale;
Architettura, e Statue di marmo rappresentanti le Virtù, è opera di Girolamo Lombardi.
Forma il braccio destro della Croce verso Tramontana, la Tribuna, incominciata ad adornare dal Cardin. di Trento, e poi terminata dai Sig. d’Aragona, è per ciò detta la Cappella d’Aragona; nei laterali della quale si vedono rappresentati alcuni atti di S. Tommaso d’Aquino opera del Gasparini Maceratese, qual Cappella sarà resa più delle altre magnifica per il nuovo Altare di Marmo, che deve erigersi con l’altro Quadro di Mosaico. Al lato destro vi è una Cappella ornata di Pitture, e stucchi dorati come l’altre, ma invece dell’Altare vi è una gran Porta, che introduce alla Sagristia del Tesoro. Al lato sinistro vi è la Cappella, con nuovo Altare, di Marmi, e Quadro di Mosaico rappresentante al vivo la Visitazione di S. Elisabetta, li laterali della quale sono opera del Muziano, e tutte le altre pitture ad affresco di Francesco Orvietano.
Il sinistro, ed ultimo braccio della Croce è formato dalla Tribuna posta a Mezzo-Giorno, in cui vi è il coro, ove quotidianamente si salmeggia, e si fanno le orazioni come in Cappella Pontificia. Vi sono Arcibanchi di noce, a 2 ordini di sedili ripartiti in nicchie con suoi genuflessorj. Sta a capo il Trono Vescovile apparato con la Sedia Pontificale, ed ha appiedi l’Altare, ma senza Quadro, ed isolato, talmente che nel celebrare il Sacerdote, sta sempre voltato con la faccia verso il Popolo. Gli serve di Quadro la stessa S. Casa, che gli sta dirimpetto. Questo Coro è ufficiato da 4 Dignità, da 19 Canonici, e da 12 Beneficiari, e da altrettanti Chierici Corali tutti Sacerdoti, e nelle Domeniche, e maggiori Solennità si aggiungono loro 20 Chierici del Collegio Illirico, mantenuti dal Santuario. Ha un pieno coro di Musici fissi e stipendiati, cioè: un ;Maestro di Cappella, un’Organista, e i 16 Musici, cioè 4 per voce. L’Altare è sempre adornato di Argenterìe, ed in esse sempre si servono i Celebranti. Nelle maggiori Solennità, oltre i paramenti preziosi, l’Argenterìe solamente dell’Altare con le quali è adornato superano 600 libre, senza l’importo del lavoro. Il Principe di Bessignano l’adornò con un notabile Soffitto dipinto alla Chinese, e dorato, con due Cantorìe, ed attorno d’insigni quadri, fra i quali quello dell’Adultera, che ora sta riposto nel Tesoro, col sacrificio di Melchisedech, e la Nascita del Redentore, tutte opere egregie del Lotto. Al destro fianco ha la Cappella dell’Annunziata del Duca, perché adornata dai Duchi d’Urbino con gentili bassi rilievi di marmo bianco intagliati. In essa fa spicco particolare il nuovo Altare di Marmi col Quadro di Mosaico rappresentante la SS.ma Annunziata, li laterali della quale e le altre pitture a fresco sono di Federico Zuccheri. Al lato sinistro del coro vi è la cappella di Sant’Anna del Principe di Bessignano, di cui si farà più distinta la descrizione, allorché sarà resa degna di ammirazione col nuovo Altare di Marmo, e Quadro di Mosaico li di cui laterali tutti a fresco son‘opera del Minchiotti di Forlì. Vicino al medesimo Coro a destra, e sopra la Sagristìa della Cura vi stà il primo organo di Giulio II, messo a oro, con eccellenti pitture, e particolarmente nei telari, che gli servono a modo di porte per difenderlo dalla polvere, vi è dipinta la Natività di N S. opera sorprendente, attribuita al Baccicio, ed alcuni altri al Bassano. A sinistra sopra la Tesoreria viene il secondo organo dallo stesso Pontefice parimenti adornato d’oro, e di pitture come l’altro.
CAPITOLO XI.
Ornamenti esteriori della SANTA CASA.
Eretto, fortificato, ed adornato il gran Tempio Loretano, pareva cosa molto indecente, che solamente la Sagrosanta Abitazione della Vergine restasse rozza, e disadorna, Giulio II fu il primo che incominciò a pensare di adornarla esternamente di preziosi marmi, e sculture. Il grande disegno sarebbe stato certamente eseguito, e la devozione particolare, che professava alla Vergine l’avrebbe accelerato, se la morte, che pone il termine a tutte le cose create, non l’avesse nel principio del pensiero tolto di vita. Tale idea non fu discara a Leone X anzi talmente l’infiammò all’esecuzione, che subito spedì Periti a Carrara ed altrove per la provisione dei marmi, e fattane scelta gli fece condurre al Loreto. Fu fatta ancora nello stesso tempo ottima elezione di maestri, scultori i più celebri di quei tempi con la direzione d’Antonio Sansuino insigne Architetto, e Statuario. Ma ancora questo pontefice non fece altro, che il preparamento de’
marmi, perché la morte del medesimo lasciò la cura ad altri per la grand’opera. Sembra che la Ss.Vergine avesse scelto Clemente VII, il quale innalzato alla Dignità Pontificia, prontamente e con grand’animo si accinse all’opera, e pose in effetto il pensiero di Giulio, il preparamento di Leone. E però diede ordine, che subito si demolisse il muro attorno la Santa casa, fabbricato dai devoti Recanatesi, si incominciasse il nuovo, atto a sostenere l’incrostatura de’ marmi. Perlocché fu levato dalla S. Casa il suo tetto, le travi, e il tavolato, che le serviva di volta, e con le altre materie furono collocate sotto il pavimento in mezzo alla medesima.
E qui non devo lasciare di narrare un fatto mirabile accaduto in quella occasione della persona di Raniero Nerucci da Pisa Architetto soprastante all’opera. Aveva egli avuto preciso ordine dal Pontefice d’aprire nelle S. Mura tre nuove porte, chiusa l’antica, dunque l’una in faccia all’altra per comodo del Popolo e l’altra per li Sacerdoti, Ministri, e Personaggi. Nell’atto di principiare ad aprire la prima Porta, al primo colpo di martello dato alla Sagra Parete restògli il braccio stupido, e senza moto, ed egli insensato, pallido, e come morto fu condotto alla propria abitazione. Dopo lo spazio di più ore per intercessione della Ss Vergine, supplicata fervidamente dai suoi congiunti, riebbe la prima salute. Avvertito il Pontefice dell’accaduto al Nerucci, non si mutò di pensiero; anzi con ordine più pressante comandò, che si aprissero le Porte, ma che prima di venire all’esecuzione, si preparassero gli Operai, con orazione, e digiuni. Tuttavia il Nerucci non si esponeva, o gli alti almeno non volevano essere i primi. Un chierico della Chiesa chiamato Ventura Perino, così da Dio ispirato, dopo tre giorni d’orazione, e di digiuni, pigliato il Martello, e rivolto alla gran Madre di Dio, le disse: io non percuotono le Mura della vostra S. Casa, ma è Clemente, che così vuole per vostra gloria. Piacciavi adunque di volere ciò che vuole Vicario del Figliolo vostro. Si presenta al S. Muro, e umile, e coraggioso insieme, lo percuote, e dal primo colpo gli si arrende, ed aiutato dagli altri Operai, si aprono facilmente le Porte. Fù ancora in questo tempo trasportato dall’antico sito l’Altare, e posto in mezzo, come presentemente si vede, e il Quadro del Crocifisso fu accomodato sopra la finestra. Inoltre fu fatta la nuova nicchia sopra il S. Camino, ove fu collocata la S. Statua come ora vedesi.
Nel mentre che così si adornavano le S. Mura, accade che alcuni Schiavoni portarono in Recanati una relazione della Traslazione della S. Casa da Nazaret in Schiavonìa, estratta dagli annali di fiume, che diede occasione a Girolamo Angelita Nobile Recanatese, e Segretario della Città di compilarla, ed aggiungere quella dalla Schiavonìa in Loreto, e dedicarla, e di inviarla allo stesso Sommo Pontefice. O fosse questa relazione, o l’affetto, e divozione di Clemente alla Ss. Vergine, oppure questa vieppiù infiammata da quella, volle egli maggiormente certificarsi delle medesime Traslazioni. Quindi scelti fra i suoi Camerieri Giovanni Senese con due altri fedeli, e divoti, e li spedì prima in Loreto a prender le misure, e attentamente osservare ogni arte della Sagrosanta Magione, e poi nella Schiavonìa a Tersatto, e nella Galilea a Nazaret e furono pienamente informati della verità, e del tempo della Traslazione in ciascun luogo, particolarmente in Nazaret, oltre all’esatto confronto delle misure di Loreto corrispondente a fondamenti ivi restati pigliarono ancora queste due pietre di quelle con le quali si fabbricavano le case comunemente, che poi tornati, e confrontate con le S. Mura furono trovate della stessa qualità, e similitudine. Tornati in Roma, informarono il pontefice, il quale fece intendere al nero si di compire con la più possibile sollecitudine l’ornamento dei marmi, e che in uno di questi fossero descritte le Traslazioni; ma ciò non fu eseguito per cagione della di lui morte poco dopo succeduta. Era quasi giunta al termine questa grande opera, quando fu innalzato al pontificato Paolo II e solamente restava a farsi la volta, che copri dovea la S. Casa; e benché ella non dovesse posare sopra le S. Mura, ma bensì sopra i nuovi muri de’ marmi, nulladimeno fu necessario levare dalle medesime le lunette, e li vasi nel loro mezzo incastrati. S’era sempre più dilatata l’antica opinione, che quei vasi fossero stati adoperati dalla Ss Vergine in servizio del suo Figlio Gesù Cristo, e di S. Giuseppe; e che gli Apostoli per maggior sicurezza l’avessero collocati in luogo così eminente. Furono dunque con le lune elevati ancor quelli, e posti nell’Armario del S.Muro a Tramontana. Recentemente di questi vasi se ne trovano solamente sei, cioè: quattro nella S. Cappella, e due in quelle del Palazzo Apostolico che serve ancora per Cappella della Penitenzierìa. Indi affinché ciò, che era stato necessariamente levato dalla S. Abitazione per negligenza non si perdesse, o confondesse con altre cose, fu stimato bene di collocarlo entro la medesima S. Casa sotto il pavimento di marmo. Solamente per memoria lasciato fuori un pezzetto di tavola dell’antico soffitto, e le stellette di legno dorate, che lo adornavano, le quali si conservano nel sopraddetto Armario a Tramontana in Cassetta di puro argento. Le travi, come si disse, furono sepolte sotto il pavimento, ed alcune restarono fuori, le furono poste sotto il Cornicione della Volta. Una solamente di queste non si sa come sia restata fuori al paro del pavimento vicino al S. Muro Occidentale sotto la finestra senza alcun riparo; o difesa essendo continuamente sotto i piedi dell’affollato Popolo, calpestato e premuto. È cosa ammirabile, che così esposta, e calpestata per tanti secoli non si consumi, ma intera duri, e senza tarlo. È fama, che prima fosse coperta d’argento, e si fosse consumato, indi di lama di ferro parimente consumato, e poi senza difesa alcuna lasciato, ancora si conserva forte, e costante; ed è cosa probabile, poiché si vedono in essa alcune punte di ferro ivi restate, e consumate al paro del legno. Questa meraviglia si vede ancora nel rinnovarsi il pavimento di marmo di quando in quando consumato dal Popolo, ma non già la trave, come fu veduta nel 1751, che sopravanzava allo stesso pavimento da 4 pollici. Con questa occasione fu particolarmente veduto, che la S. Casa sta posata sopra il suolo senza alcun fondamento. Compita la Volta sotto il medesimo Pontificato si aggiunsero le balaustre, che mancavano per il compimento dell’architettura dei marmi, e le quattro Porte di Bronzo. Tuttavia non si potea dire opera affatto compita, mancando la maggior parte delle Statue, le quali dal Pontificato di Giulio III, fino a quello di Gregorio XIII furono compite.
CAPITOLO XII.
Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura.
La struttura de’ Marmi attorno le S. Mura, che circonda esternamente le S. Mura, si regge tutta sopra uno zoccolo di bianco, e poi di marmo nero di figura quadrilunga come la quadratura della S. Casa ed eccone per maggior chiarezza la pianta. Palmi 61 Romani ha di lunghezza, e 39 di larghezza. Sorgono dal zoccolo le 4 facciate di scelto, e bianco marmo di Carrara, alte 50 palmi, e scompartite in giro da 16 Colonne scanellate, quali ripartiscono l’intero concio d’effigiati Quadri di replicate nicchie, e di porte.. Dai cantoni spargono in fuora le quattro Colonne, che formano due facciate, e sono guida di tutte l’altre egualmente disposte sopra piedistalli d’esquisito lavoro di arabeschi, e in riquadrature, che tengono nei loro vuoti incastonate pietre di diversi colori, e qualità; come ancora nei vani dei medesimi piedistalli e nelle Porte. Su queste, e col medesimo ordine s’ergono diffusi del colonnato a mezzo rilievo, quali terminano con capitelli sfogliati d’ordine Corinto sopra i quali posa l’architrave adornato di vaghissimi intagli. Fra questo architrave e capitelli delle colonne va in giro come una fascia con facce di Leoni sopra festoni pomati sostenuti da due a Aquile con i colli ritorti l’una verso l’altra, che compongono quasi un framezzo fra i quadri, e l’architrave. Segue altra grande fascia, o fregio ornato da capricciosi duplicati rivolti, a cui succede immediatamente il Cornicione, e Scolatore, sopra cui posa la balaustra. È composta questa di colonnette a mezzo suro, sostenute da basette, e piani, e distinte a luogo a luogo proporzionatamente da pilastrini, nelle principali facciate dei quali sono scolpiti a mezzo rilievo a copia Fanciulli nudi, scherzanti con diversi atteggiamenti, e positure. Ecco tutta la costruzione dell’opera:
Benché le colonne siano distinte l’una dall’altra, sono ordinate a due a due, e quindi formano fra di loro maggiori, e minori spazi le facciate più lunghe, cioè quelle di Mezzo-Giorno, e Settentrione hanno dunque spazi maggiori, e tre minori. Nelle maggiori vi è una Tavola, o Quadro per ciascuno, che l’empie, e sotto, in mezzo ha una Porta con Cornice e Timpano di fino intaglio, che termina ai lati con due puttini sedenti di tutto rilievo.Nei spazj minori vi sono due nicchie una sopra, una sotto. In quella di sopra vi sono collocate le Statue delle Sibille in piedi, e in quelle di sotto de’ Profeti tutti a sedere. In ciascun lato delle sopradette Porte vi sono i Stemmi del Pontefice Leone X, e vari emblemi di penne, ed anelli, ch’empiono i vuoti tra le Colonne, e le Porte. Le facciate più corte come quella d’Oriente, e d’Occidente a due apazj minori, ed uno maggiore. Le minori hanno le nicchie con me sopra; nelle quali vi sono le Sibille, ed i Profeti. Nei maggiori a quello volto ad Occidente vi è un solo quadro e tavola sotto cui è la finestra della S. Casa, e ai lati di queste due tavole minori, ch’empiono i vuoti tra essa, e le Colonne, e sotto vi è l’Altare parimenti di marmo con le sue facciate adornate secondo l’ordine dei pilastri, e dei vuoti fra essi. A quello volto ad oriente, siccome vi è un gran vuoto a cagione che non vi è alcuna finestra, oppure Altare, così vi sono due tavole, o quadri, l’uno sotto l’altro; e infine la lapide con lettere incavate con la narrazione, e memoria delle ammirabili Traslazioni della S. Casa, ordinata come si disse da Clemente VII al Neruccio, e per cagione della morte di questo fatta eseguire dall’VIII di questo nome medesimo.
Quest’opera così magnifica, e sorprendente, nella quale si segnalarono con la loro divozione, e generosità tanti Sommi Pontefici, ebbe li Architetti, Statuari, e Scultori lo più eccellenti di que’ tempi. L’architettura è del Bramante, la scultura d’Andrea Contucci di Montesansovino, al quale a cagion della morte succedé Niccolò Tribolo, e sotto questi lavorarono altri eccellenti professori, cioè Flavio Bandinelli, Domenico Lamìa, Francesco Sangallo, Raffaele Montelupo, Girolamo ombardi, e Fra Aurelio Eremita suo fratello, Simone Fiorentino detto il Mosca, Cav. Girolamo della Porta; e suo fratello: così ancora Simone Cioli, Raniero Pietrasanta, Francesco di Tada con 10 Scarpellini, ed altri molti, i quali donarono alla Ss. Vergine parte delle loro opere: perché fra gli Architetti e Scultori, furono spesi più di 50.000 Scudi Romani non compresi materiali, ed i lavori giornalieri, la mercede dei quali ascese a Ducati 1940 in circa. Furono posti i fondamenti del 1514 sotto Leone X, e perfezionata nel 1569 sotto Gregorio XIII. La materia è di bianco marmo di Carrara: le tavole, o quadri quasi di tutto rilievo rappresentano alcuni fatti della vita di Maria Ss.
Le Statue, le Sibille, ed i Profeti, che predissero l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la Verginità della di lui Madre. Girolamo lombardi fece se profeti incominciando dal Geremìa, due Aurelio suo fratello: i Cav. della Porta fece un Profeta, e nove Sibille, e Tommaso suo fratello, una Sibilla, e un Profeta. Gli otto Angioletti sopra le Porte, tre sono del Mosca, le cinque del Tribolo.
Dichiarazione de’ Marmi attorno la S. Casa
Dicemmo nel precedente Capo, che gli ornamenti principali dei Marmi che compongono le facciate della S. Casa consistono in tavole, o quadri, ed in nicchie. Nelle prime si rappresentano alcuni fatti della Ss.Vergine, e nelle seconde sono collocate le Statue delle Sibille, e de’ Profeti, i quali predissero rispettivamente ai Gentili, ed Ebrei, l’Incarnazione del Verbo Eterno, e la dignità della gran Madre di Dio.
Facciata a Tramontana.
N. 1. Tavola rappresentante la Natività della Ss. ergine su seduta in questa sua S. Casa. Fù ella abbozzata da Andrea Cabtucci detto il Sansovino, e finita da Flavio Bandinelli, e da Raffaele da Montelupo l’Anno 1531. In questa s’ammora
dagli intendenti con modo particolare un Fanciullo, che scherza con un piccolo Cane, ed una Donna vicino che ne mostra di letto. La frattura di essa solamente fù di Scudi 525.
N.2. Rappresenta lo Sposalizio della Ss. Vergine con S. Giuseppe abbozzo del Sansovino del 1531, compita poi nel 1533 da Raffaele da Montelupo, e dal Tribolo. Quest’ultimo felice quella figura d’uomo assai lodata, che sdegnato ombre al ginocchio la verga di legno secco, perché non gli ha fiorito, come quella di San Giuseppe. La sola fattura di scudi 730.
N. 3. La Sibilla Elespontica dell’Asia minore.
N. 4. La Sibilla Frigia nell’Asia.
N. 5. La Sibilla Tiburtina del Lazio in Italia.
N. 6. Il Profeta Isaia.
N. 7. Il Profeta Daniele.
N. 8. Il profeta Amos. Statua molto stimata.
N. 9. Porta della Scala a lumaca, che conduce sopra la volta della S Casa, fatta di Bronzo con Scorniciature, Quadri, Festoni, Arme, e di altri vaghi ornamenti.
Facciata a Ponente.
N. 1. In questa tavola si rappresenta l’Annunziazione della Ss. Vergine eseguita in questa S. Casa dall’Arcangelo S. Gabriele, opera abbozzata, e compita dal Sansovino nel 1523. La figura della Vergine e assai ammirata in tutte le sue parti. La sola fattura importò scudi 525.
N. 2. La Visitazione della Madonna a S. Elisabetta. Tavola minore: opera di Raffaele da Montelupo, fatta nel 1530 di fattura gli furono dati scudi 200.
N. 3. La descrizione di Bettelemme di S. Giuseppe nel pagare il Tributo Imperiale; opera di Francesco Sangallo nel 1530 e la fattura importò scudi 200.
N. 4. La Sibilla Libica della Libia nell’Africa.
N. 5. La Sobilla di Delfo nell’Acaja.
N. 6. Il Profeta Geremia grandemente stimato per la positura, abito, panneggiamento, e pel gesto.
N. 7. Il Profeta Ezechiele.
N. 8. La finestra della S. Casa detta della Nunziata: perché esternamente corrisponde sotto la Tavola, che rappresenta un tal Mistero.
N. 9. Altare detto della Ss, Annunziata.
N.10, Pradella, e gradini del medesimo.
Facciata a Mezzo-Giorno.
N. 1. La Tavola della Nascita di Gesù Cristo, ossia Presepio; opera la più singolare, e perfetta del Sansavino compita nel 1528 per cui ebbe di sola fattura scudi 525.
N. 2. L’adorazione dei Magi, opera assai perfetta, e a Miranda da Raffaele da Monte lupo fatta nel 1532, la di cui fattura ascese a scudi 750.
N. 3. La Sibilla Persica, della Persia nell’Asia maggiore e, ovvero della Caldea.
N. 4. La Sibilla Cumea, di Cuma in Italia.
N. 5. La Sibilla Eritrea, d’Eritrea nell’Asia minore.
N. 6. Il Profeta Malachìa.
N. 7. Il Profeta David vestito da vento regio con la corona in capo, e de’ a piedi alla testa recisa di collina. Questa fu molto ammirata, e lodata da Carlo V Imperatore.
N. 8. Il Profeta Zaccherìa.
N. 9. Porta della S. Casa.
N.10. Porta del S. Camino, per cui s’entra a venerarlo.
Facciata ad oriente.
N. 1. Tavola del transito di Maria Ss. con l’assistenza de’ Ss. Apostoli; opera di Domenico Lamìa nel 1516, aggiunta di Niccolò Tribolo, di Raffaele di Montelupo, e di Francesco Sangallo, la di cui fattura fu di scudi 795.
N. 2. Le traslazioni della S. Casa; opera incominciata da Niccolò tribolo nel 1533, e compita da Francesco Sangallo, dalle cui fattura fù di scudi 750.
N. 3. La Sibilla Samia, dell’isola di Samo del Mar Egeo.
N. 4. La Sibilla Cumana. o Amaltea di Ponto nell’Asia.
N. 5. Il Prof. Mosè lodato assai per le muscolature.
N. 6. Il profeta Balaam.
N. 7. Iscrizione della Traslazione di S. Casa, e dei Misterj operati in essa, posta nel basamento d’ordine di Clemente VII fatta eseguire da Clemente VIII la di cui copia si porrà qui in fine. Le Statue de’ Profeti sono dieci, cinque ne fece Girolamo Lombardi Venez., e incominciò da Geremia l’anno 1551 per scudi 345 l’una. Poi nel 1579 ne fece un’altra breve Sc. 460.Fra Aurelio Eremita suo fratello ne fece due una per scudi 300, e l’altra per scudi 340. Il Cavalier della éorta insieme con Tommaso suo fratello ne fece due nel 1575 per Scudi 450 l’una. Le statue delle sibille sono 10, nove ne furono fatte dal suddetto Cavalier della Porta, ed una dal suo fratello Tommaso per scudi 100 l’una, donando l’inporto di una alla Ss Vergine. Gli 8 Angeli collocati sopra i Timpani delle 4 Porte, 5 ne fecero Niccolò Tribolo, Raffaele Montelupo, e Francesco Sangallo, gli altri tre furono fatti da Simone Mosca per Scudi 35 l’uno. Finalmente nelle 4 Porte di bronzo a bassorilievo fatte da Girolamo Lombardi nel 1576 fu speso Scudi 800 per ciascheduna. Chi desiderasse relazione più particolare questa Opera, veda il Serragli nella Parte II Cap, XI e XII.
ISCRIZIONE SOPRA ACCENNATA.
Christiane Hospes, qui pietatis votivae causa huc advenisti, Sacram Lauretanam Aedem videsDivinis Misteriis et miraculorum gloria toto Orbe Terrarum venerabilem, Hic Sanctissima Dei Genitrix MARIA in lucem edita, hic ab Angelo salutata, hic AETERNUM DEI VERBUM CARO FACTUM EST. Hanc Angeli primum e Palestina ad Illyricum advexere ad Tersactum Oppidum Anno salutis MCCXCI Nicolao IV Summo Pontigice triennio post initio Pontificatus Bonifacii VIII, in Oicenum translataprope Recinetum Urbem in huius Collis nemore eadem Angelorum opera collocata est ubi loco intra anni spatium ter commutato, hic postremo Sedem Divinutus fixit Anno ab hinc CCC. Ex eo tempore tam stupendae rei novitate vicinis Populis in admirationem commotis tum deinceps Miraculorum fama longe, lateque propagata Sanctae haes Domus magnam apud omnes Gentes venerationem habuit, cuius Parietes nullis fundamentis subnixi, post tot saeculorum aetates integri, stalilesque permanent. Clemens Papa VII illam marmoreo ornatu circumquaq. Convestivit Anno Domini MDXXV, Clemens VIII brevem admirandae Translationis Historiam in hpc lapide inscribi iussit Anno MDXCV.
Tu pie Hospes Reginam Angelorum, et Matrem Gratianum hic religiose venerare, ut eius meritis, et precibus a dolcissimo Filio vitae auctore, et peccato rum veniam, et corporis salutem, et aeterna gaudia consequaeris.
CAPITOLO XIII.
Degli Ornamenti interiori della S. Casa
nella parte del S. Camino.
Abbiamo finora trattato degli esteriori adornamenti, conviene ora a trattare degli interiori, che sono adatti a confermare, ed accrescere vieppiù la divozione ed il concetto di questo gran Santuario. Questi altro non sono che memorie, e doni di Personaggi, e gran Signori, offerti alla gran Madre di Dio, o per impetrare grazie, o in un ringraziamento delle grazie ricevute. E per proseguire più ordinatamente con facilità, e chiarezza fa d’uopo dividere l’interno della S. Casa in due parti, come è appunto presentemente divisa. La prima è del S. Camino cioè da questo fino altra mezzo dell’altare, chiamata parte del S. Camino, o Santuario. La seconda dall’altare fino al fine della S. Casa, chiamata parte della medesima.
La parte del S. Camino è coperta ogni facciata da capo a piedi di lame di purissimo argento, le quali sono così ispesse, e le unite, che sembrano una sola lama, ed un continuato lavoro, che non l’lascia visibile alcuna parte, ancorché minima delle S. Pareti. Alcune poche sono piccole, e moltissime melanzane, e non poche grandi, pesanti, e di getto, ed alcune grandissime, e pesantissime in forma di quadri con adornamenti, e cornice dello stesso metallo; queste ultime sono poste in ordine, e schierate sopra, e ai lati della Nicchia della S. Statua, le principali occupano l’intiera affacciata di Tramontana, e Mezzo-Giorno. Nella prima s’ammira il gran Quadro, e Voto di Alessio, e Gaspare Peretti nipoti di Sisto V di libbre 300 di argento, e nella seconda sopra la porta quello del principe di Vadenonte di Lorena di libbre 150. Al lato destro della Nicchia vi è quello di Marcantonio Colonna di non minor peso, e valore. Sotto il suddetto molto Peretti vi è la finta Porta d’argento del Card, Magalotti,
tutti arabeschi di getto traforati, colle scorniciaeture ricoperte di lame, innanzi alla quale è collocato il genuflessorio parimente di argento del Card. Colonna..
Sopra la detta éorta vi sono le due Statue d’argento genuflesse con le mani giunte l’una delle quali rappresenta Tiberio Pignatelli, l’altra Francesco Peretti Nipote di Sisto V in ciascuna parte particolarmente negli angoli, sono disposti in quantità di Putti d’argento quali a mezzo, e quali a tutto rilievo; quali a cesello, quali tutti di getto, e pesantissimi, quali nudi, e quali fasciati, e più d’uno adornato di gemme. Attorno alla Nicchia se ne contano 18, tutti d’oro purissimo, uno in mezzo all’arco anteriore della medesima con un cuore fiammeggiante in mano, è dono del Co. Brainer Alemanno. E 4 a mezzo rilievo de’ Serenissimi di Baden. I tre a tutto rilievo sono il primo nudo del Principe di Carbogano, l’altro infasciato dell’imperatore Ferdinando II, ed il terzo del Real Principe di Savoja.
Li altri 4 sono il primo nudo del Duca di S. Elìa Napolitano, il secondo infasciato di Sigismondo terzo re di Polonia, il terzo del Duca di Acquasparta, l’ultimo dell’Elettorale Casa di Baviera. Vi sono inoltre varie statue d’oro, e d’argento. La principale d’argento, è un Angelo di libbre 350, che offerisce con le mani alzate alla Ss. Vergine un Putto d’oro di libbre 24 dono del Re Cristianissimo Lodovico VIII mandato in occasione della nascita di Lodovico XIV detto poi il Grande ottenuto dopo 22 anni di sterilità. L’altra del Principe di Condè, e la terza del General Daun Viceré di Napoli. Vi sono parimenti di argento sei altre Statue d’Angeli con Candelieri, nelle quali continuamente ardono candele di cera, cioè 4 alla grata dell’Altare innanzi alla S, Statua, e due ai lati interiori della Nicchia.
I 2 più grandi pesantissimi tutti di getto del Duca, e Duchessa di Laurenzano, l’altre di pie Persone. Due d’oro di mirabil lavoro con Candelieri, sui quali continuamente ardono Candele di cera posti in fuori al piano della Nicchia con basette di Ebano adornate tutte con Cifre, e Fogliame di lastra d’oro traforati, dono di Leopoldo Imperatore Austriaco. Sopra questi vi sono due altre Statue di Angeli uno a destra tutto d’oro assai pesante adornato per ogni parte di varie preziose gemme, che offerisce alla Ss. Vergine un cuore fiammeggiante, entro il quale vi è un Lampadino che arde sempre. Il suddetto cuore è tutto tempestato di ispessissimi, e grossissimi diamanti, e le fiamme si sono formate di rubini, dono di Maria d’Este regina d’Inghilterra Moglie di Giacomo II. A sinistra in faccia né corrisponde un altro, che parimenti offerisce un cuore, ma è tutto di argento, ed il cuore solamente d’oro con corona a capo, tutto tempestato di diamanti, rubini, smeraldi, e molte perle orientali assai grosse, forma parimente un Lampadino, che arde di continuo, dono di Laura Martinozzii d’Este Duchessa di Modena Madre della suddetta Regina. Risplendono ancora avanti la S. Statua in ordine vago appese 23 lampade d’oro purissimo di diverse grandezze, e di lavoro esquisito, le quali sempre ardendo danno testimonianza della particolare divozione verso la Regina del Cielo dei donatori, che le hanno a tal’effetto abbondantemente dotate. Con due di questi si distinse Violante Beatrice di Baviera gran Principessa di Toscana. Una per cadauna ne donarno le famiglie Basadonna, Papacoda, e Piccaloga Genovesi, le Famiglie Riccardi, e di Orlandini di Firenze, la famiglia Pignatelli, la famiglia Palma: di Sant’Elìa, la famiglia Torrea, la Città di Macerata, e Fam. Sforzacosta di d. Città, le altre ugualmente disposte rammendano la venerazione di Sigismondo III Re di Polonia, e di Alfonso d’Este Duca di Modena, di Francesco M. Della Rovere Duca di Urbino, del Co.Jabonovvski Palatino Polacco, del Principe di Lorena di
Vademonte, e di una Dama Spagnola, che al pari di altre due pie incognite Persone occultato volle il proprio nome. L’altra ben grande dimostra la divozione di Francesco d’Este Duca di Modena. La maggiore poi di tutte del peso di libbre 37 d’oro è una perpetua memoria della grazia da Dio riportata per intercessione di Maria SS. dalla Sereniss. Repubblica di Venezia preservata nell’anno 1576 dall’orribile flagello della Peste, alle Lampade tutte siccome suole ispesso darsene diversa la disposizione, così non puol rendersi stabile la descrizione della rispettiva loro situazione.
In quella medesima parte si concervano alcune Reliquie preziosamente adornate, ed insieme i doni offerti da gran Signori. Nella Credenzino sopra la Porta (il quale è fama che fosse parte della Nicchia antica entro cui fu trovata la S. Statua) si conservano le reliquie. A destra è collocato un Semibusto d’argento, che rappresenta S. Barbara V. M. Il cui capo è cinto di Corona d’oro tempestata di gemme, e il collo d’una collana parimente gemmata, che termina al petto con una vaghissima, e ricca Croce. Nella sommità della testa a un’apertura con cristallo, dalla quale si vede l’intiero Cranio della medesima Santa; questo è dono di una Arciduchessa d’Austria. A sinistra v’è una Statua d’oro alta più di un palmo in piedi vestita di manto, e di insegne reali, corona in capo, nelle mani lo scettro, il Mondo gemmatati, che posa sopra una base d‘Ebano con fogliami d’oro traforati, con cristalli nelle facciate rappresenta S. Ladislao, e dentro la base si conservano fra le gemme alcune pezzette intinte nel sangue del medesimo Santo, dono di Ladislao III re di Polonia e di Svezia. Fra queste due un poco addietro si vede un altro se mi gusto d’argento di S. Gereone condottiere della S. Legione Tebea vestito d’abito militare sopra una base d’Ebano arabescata a trafori d’argento con cristalli alle facciate. Entro il Capo vi è il Cranio del Santo, e nella base, le Reliquie d’alcuni Santi suoi Compagni. Dono di Polissena Pernesta Vice.Regina di Boemia. Sotto questo vi è una trama di Rose con foglie, tronchi, e fiori d’argento, ed in mezzo alla principal Rosa, vi è sotto cristallo la Reliquia di S. Rosalìa V Palermitana dono del P. Maestro Calvanini Generale del Terz’Ordine di San Francesco. Non poco lontano è collocata la tazza di cristallo di Monte legata in oro col suo coperchio, ed ornata di varie gemme, ove S. Eduvige duchessa di Polonia, solea prendere la purificazione dopo essersi comunicata; dono di una Arciduchessa d’Inforuk.
In mezzo fa vaga comparsa un pezzo di legno della S. Croce di Gesù Cristo, chiusa in una Croce di cristallo di monte, legata in filagrana d’oro, e questa racchiusa in nobilissimo Ostensorio d’oro a due facciate, e di mirabil lavoro. La reliquia è dono del Card. Cibo Seniore, e l’Ostensorio del medesimo, che era d’argento, è stato anni sono cangiato in oro d’alcuni Signori del Messico, lasciato al Santuario, e oro, e prezzo pel medesimo. Fù compito anni sono sotto il governo di Monsignor Potenziani da Rieti già Governatore vigilantissimo del Santuario, e Città di Loreto.
CAPITOLO XIV.
Ornamento della Santa Statua.
In questa medesima parte, in mezzo della facciata d’Oriente sopra il S. Camino v’è una Nicchia, ov’è collocata, e si venera la S. Statua della Ss. Vergine Lauretana intagliata a tutto rilievo in legno di Cedro, opera di S. Luca Evangelista, venuta insieme colla medesima S. Casa da Nazaret. Questa Vicchia è composta di due archi, l’interiore è più grande, il posteriore più piccolo, ambedue con due imposte, pilastrini, e cornici tramezzate da un piano proporzionato, e va a finire concavo, che riceve la S. Statua.. E’ coperta tutta di lastra di purissim’oro con lavori a cesello di arabeschi, e scudetti di diversi emblemi allusivi alla gran Madre di Dio. Il primo Arco, il maggiore è contornato da cornice, ed arabeschi di oro, che formano l’Arco, l’Imposte, e i Pilastrini. Il secondo minore, è ornato di fascia di lapislazzuli, con arabeschi, e scudetti dell’emblemi sovrapposti, e per imposte, e in mezzo a alcuni Cherubinetti fra nuvole, e fra splendori; il concavo fatto a spese del Santuario con voti d’oro, ed altre cose non servibili. Il festone di lapislazzuli fu donato dal Card.d’Augusta, e tutto il resto, quasi di 100 libbre dalla Famiglia Palma Artois de’ Duchi di S. Elìa Napolitana, e particolarmente dal duca Francesco, poi morto sacerdote della Compagnia di Gesù. Nei due lati della sommità dell’arco interiore vi sono due Cori d’oro ornati di grossi zaffiri, e diamanti, che formano alcune cifre, e geroglifici della Principessa Madre l’uno, e l’altro del Figlio Principe di Basen.
Entro questa ricchissima Nicchia si venera la Vergine Lauretano. Ella ha avanti una grata di argento, chiamato il guardinfante, che dagl’omeri infino a piedi la cinge. Si copre questa di una veste assai ricca di ricamo d’oro, o d’argento, fralle molte a questo effetto donate da gran Signori, sulla quale si fermano ordinatamente le gioje, che formano l’adornamento. Essendo moltissime queste gioje, del valore delle quali, a giudizio dei più eccellenti Professori, è difficile cosa il formarne una giusta idea, se ne accenneranno soltanto le maggiori, e quelle principalmente che le lontananza sono le più visibili. Le due corone d’oro l’una in capo alla B. Vergine, e l’altra in quello del suo Divin Figliuolo ricche talmente di grossissimi diamanti; che appena lasciano distinguere il metallo in cui sono legate, sono dono del Re Cristianissimo Ludovico XIII. Il cerchio d’oro, fra le corone, e la fronte della Vergine, ornato di stelle framezzate di castoni di diamanti, e grosse perle orientali, dono dell’Infante di Savoia. La Principessa d’Armstadt, donò le due grosse perle legate in oro, che pendono dalla destra del S. Bambino, ed i due polsini sotto nella medesima destra l’uno contornato di rubini con ismeraldo in mezzo, dono della famiglia Rospigliosi, e l’altro con amatisto orientale contornato di diamanti, ed uno fra gli altri grosso a spighetta fermato sopra il suddetto amatisto, della Duchessa Salviati. Nella sinistra mano ha egli un mondo d’oro smaltato di color celeste, contornato di diamanti, nella sommità con Crocetta compagna, dono dell’Arciduca Leopoldo d’Austria. S’ammira in petto della Ss. Madre i tre grossi smeraldi della gran Principessa di Toscana Violante Beatrice di Baviera, contornati da altri minori, e questi da diamanti con un anello a man fede composto da un sol rubino, con cui fu sposata dal suo gran Principe. Segue sotto l’ornamento da petto lungo più d’un palmo, e largo a proporzione, composto di moltissimi grossi diamanti, rubini, smeraldi, che fu ornamento Regio d’Anna di Neroburgo Regina di Spagna Moglie di Carlo II, e dalla medesima poi offerto alla Regina del Cielo. Altro ornamento d’oro dal petto composto di Diamanti, di D. Diego Ribas d’Alcalà, il quale ha sopra un picciolo fiocchetto, ma di grossi diamanti, della Famiglia Barberini. Seguono altri preziosi giojelli, e croci. Una bottoniera di 56 bottoncini, e 112 alamari d’oro di getto, nelle quali vi sono 6054 diamanti; dono della Moglie di Filippo IV Re di Spagna, li quali alamari disuniti tra loro sono gajamente sparsi in dosso alla S. Statua, ora in una maniera ora in un’altra. Degna di ammirazione è una Croce da Donna assai stimata, e vaga, composta di 8 grossi, e 8 piccoli risplendenti purissimi brillanti: donata da una incognita Dama Tedesca. Meritano tutta l’osservazione altre due Croci, una dell’Ordine Teutonico, l’altra dell’Ordine di S. Martino, ambedue tempestate da una parte di brillanti, e dall’altra di rubini donate da un Principe di Baviera Gran Maestro degli stessi ordini. Sonovi diversi altri giojelli, fra le quali di maggior comparsa sono quelli di diamanti, ed altre varie gemme del Card. Ottoboni, del Duca d’Arc, e del Card, Nerli. Altro giojello tutto carico di smeraldi in tavola, contornato di diamanti, ed altri smeraldi a perelle pendenti donato dal Card. Ludovico Portocarrero. Una croce d’oro con grosso diamante di fondo in mezzo, ed altri 12 intorno, e di a piedi tre pendenti a goccia dono del Principe di Dietrinchstain, altra Croce d’oro con 11 grossi diamanti, dono del Card. Spinola. Un giojello d’oro ovato, e nel mezzo un grosso zaffiro contornato di 96 diamanti posti a tre ordini dono del Conte di Pegna Aranda. Due Croci vescovili una del Card. Marescotti di diamanti, e l’altra del Card. Corsi di rubini. Una croce di S, Giacomo contornata di zaffiri, e diamanti, dono di D. Michele dell a Tuente Decano di Trussillo nel Perù. Un gioiello d’oro smaltato, che figura una corona di spine, nel mezzo evvi una Colonna, ed una Crocetta a piedi tutto contornato di 157 diamanti, dono del Marchese Serra Napolitano. Altro giojello d’oro guarnito de 158 diamanti, col ritratto della Regina Maria de’ Medici Donatrice.. Una croce d’oro di zaffiri contornata di diamanti dono il cardinal d’Acugna, e l’altra di brillanti dono nell’anno 1776 il Cardin. Serbelloni. Due Cuori d’oro uniti con Corone Elettorali, e cifre, tutti contornati di diamanti, zaffiri dorati dall’Elettore di Baviera, che fu poi Carlo VII Imperatore. Due Occhi smaltati al naturale in lastra d’oro, contornati di 84 diamanti, col nastro di 34, dai quali pende un Cuore d’oro guarnito di 12 grossi diamanti, quale aprendosi mostra l’Arme, e il nome della Donatrice Cristina di Savoia. Altro gioiello d’oro, con un grosso rubino in mezzo, in forma di cuore contornato di 149 diamanti è dono del cardinale Alberto di Polonia.
È questa la sincera descrizione delle Gioje più preziose, che attualmente adornano la S. Statua lasciando di descrivere le molte altre benché pregevoli a solo oggetto di non stancare il Leggitore con lunga, e superflua narrazione. Prima per altro di passare all’altra parte della S. Casa fù d’uopo porre in vista quanto in questa prima parte di particolare si conserva. A mano sinistra del S. Camino vicino alla Porta, vi sono due credenzini, l’uno sotto l’altro. Si conserva nell’inferiore una delle S. Scudelle, legata in argento con la custodia dello stesso metallo, nella quale si passano le acque per gli Infermi, ci si toccano le divozioni, e si dà a baciare ai divoti, e confluenti. In quello di sopra e dentro una cassa d’argento con suoi cristalli per ciascuna parte, e adornata di varie, e molte gemme, dono del Cardinal Montalto nipote di Sisto V si conserva una veste tutta tessuta in lana, che comunemente chiamiamo Camelotto, di color rosso, la quale colla S. casa fù trasportata da Nazaret, e trovata indosso alla S. Statua. È fama che questa sia la Veste usata dalla Ss. Vergine tra noi vivendo. Da cristalli si vede, e si riconosce chiaramente il colore, la materia, e la polvere penetrata, e sopra di essa posata, senza alcuna signora, pure alcuna ombra di Prodi giura. Sono 498 anni che qui fù trasferita insieme con la S. Casa. Tutte le altre moltissime Vesti, che si dispongono indosso alla S. Statua, doni di gran Signori, ricchissime, e forti, essendo cose corruttibili, si corrompono, periscono, questa di semplice lana, con polvere, per tanti secoli ancora intatta, senza tignola, deve dirsi ch’Ella abbia qualche prerogativa sopra dell’altre.
CAPITOLO XV.
Ornamento del resto della S. CASA.
Dalla parte del S. Camino già descritta passiamo all’altra detta della S. Casa. Incomincia questa dal tramezzo di legno, al quale immediatamente appoggia l’Altare, a cui serve d’ornamento, fino alla fine della medesima S, Casa. Questo tramezzo oppure tavolato, che forma la divisione ha tre aperture con due ferrate. Quella di mezzo è grande di figura quadra; di larghezza a paragone dell’Altare in modo, che chiunque, ed in qualsivoglia sito si trovi in S. Cappella può godere comodamente la S. Statua, e gl’ornamenti di faccia dall’altra parte. Le laterali sono più piccole, e formano finestrini, e sotto hanno la loro Porta, per cui si passa da una parte all’altra. Inoltre è adornato di cornicione, e da capo a piedi è ricoperto di lama d’argento non vedendosi in alcuna maniera il legno- sopra ciascuna porta vi è lo stemma, e sotto questo cartello col nome del Card. Francesco Dietrichstein, per ordine, ed a spese del quale fu fatto quest’ornamento sopra le 300 libre d’argento. Ora l’apertura di mezzo non ha più la stessa forma quadrata, perché sopra l’antico quadro si si è innalzato un Arco, che rendendola più alta fa maggiormente distinguere, e godere li preziosi doni collocati nell’altra parte. Fù fatto quest’arco dell’anno 1763 con gli argenti lasciati da impiegarsi entro la S. Casa dall’Ab.Sciare Nobil Sacerdote Francese. Mpnsign, Giovanni Potenziani allora Governatore impiegolli in quest’opera così universalmente ammirata, e lodata. In mezzo al noto Arco vi è riportato un cartellone parimenti d’argento formato graziosamente da nuvole, ed abbellito da splendori dorati, nel di cui piano si legge in lettere di getto, e dorate lo stesso saluto che fece l’Angelo Gabriele in questa S. Casa alla gran Vergine: Ave gratia plena, e sotto vicino alla ferrata vi sono due Angeli della famiglia Barberini con cornucopj sui quali ardono fiaccole di libra, in ciascuna Festa della Madonna. L’adornamento dell’altare è composto d’agate, diaspri orientali, e il lapislazzuli di maraviglioso lavoro, oltre il riquadrature nel prospetto di lastra d’argento; nelle due laterali vi sono a mezzo rilievo gli Stemmi de Medici gran Duchi di Toscana, e in quella di mezzo parimenti a mezzo rilievo il gran Duca Cosimo II con le mani giunte, e ornate nella Sagra Magione, del quale questo stupendo adornamento fù dono. Ai lati interiori del medesimo altare vi sono due cancelli d’argento, con suoni pomi, e nodi del Card. Ludovico Portocarrero. Entro quest’Altare, e fra questi ornamenti è chiuso l’antico Altare dei S. Apostoli venuto colla S. Casa, il quale con l’aprirsi uno sportello nella riquadratura di mezzo si fa vedere. Egli è composto della stessa pietra tenera, che noi diciamo tufo, della quale sono fabbricate le S. Mura, qual pietra però è alquanto più alta della nostra, ed ineguale.
In questa parte ancora, vi sono Reliquie, e doni. Quivi si mirano intorno le S. Mura scoperte, e nude, le quali, benché per il corso di cinque secoli, siano premute dall’affollato, e stretto popolo, e da questo continuamente toccate, e baciate; tuttavia sono intatte, ed intere, e si sostengono senza alcun fondamento, ed appoggio. Nel S. Muro volto a Mezzo-Giorno, vi è appeso il gran Quadro tutto d’argento, e di getto, e quasi a tutto rilievo, con sua cornice, di Ranuccio Farnese Duca di Parma in atto di porre il proprio Figlio sotto la protezione della Vergine già liberato da una malattia. In petto all’altro S. Muro a Tramontana vi è lo stupendo Armario del medesimo Duca di libbre 500 di fine argento, il quale forma una Tribuna con colonna, capitelli, base, e timpano quasi tutti di rilievo con altri adornamenti d’architettura, di figura, e Sacri Misterj, meravigliosamente lavorati. Quì dentro all’aprirsi d’una grata si vede il picciolo Armario fatto col S. Muro, in cui è fama, che la Ss, Vergine vi tenesse la S. Bibbia, e i S. Apostoli l’Eucaristia. Si conservano ora nel bellissimo tre sacre Scudelle fatte legare in oro dal Card. Sandoval, con quello che la prima volta dal Congo fu portato in Ispagna. Due hanno la figura di Ciotole, ed una di piattino piano. Così adornate si tengono racchiuse in una d’argento pesantissima di getto, donata dal Principe Ferdinando d’Alcalà per tal’effetto. Quivi di sotto, entro una cassetta parimente d’argento si conservano le stellette dorate, staccate dall’antico soffitto della S. Casa, ed un pezzo di tavola del medesimo avvolta in un setino. Il mirabil si è, che questo Armario ha un frammezzo di tavola tutto d’un pezzo fino al fondo, e si vede essere stato posto nel fabbricarsi il muro, e pure in tanto tempo non ha nemmeno un segno di corruzione, o di tarlo. Poco sotto vi è appeso un cornucopio d’oro grande, assai ricco, e di egregio lavoro, col compagno nell’altra del S. Muro in faccia nelle quali continuamente ardono candele di libra, dono della gran Duchessa D. Maria Maddalena d’Austria. Nelli due S. Muri di Tramontana, e Mezzogiorno, vi sono tre braccia per ciascuno con sue padelle, il tutto d’argento dorato, nei quali ardono candele di libra delle principali feste della Madonna, dono del Principe Tommaso di Savoia. Nel muro volto ad Occidente sopra alla Finestra si vede il Crocefisso antico, Quadro dell’Altare de’ S. Apostoli, opera di S. Luca Evangelista, come altrove si disse. Egli è una Croce fatta di grossa tavola di Cedro, sopra cui vi è dipinto il Redentore Crocifisso con 4 chiodi. Nel fine di ciascun braccio della Croce vi sono dipinte due figure, cioè nel destro la Ss. Vergine e nell’altro S. Giovanni Evangelista. E’ ora questo circondato da gran fregj, e cornice d’argento con tre gran Statue dello stesso metallo, cioè sopra del Padre Eterno in atto di benedire con la destra, e sostenere il Mondo con la sinistra: ai lati due grand’Angeli, che pajono sostenere volando la gran Croce.
Tutto l’ornamento ascende a libre 300 d’argento: dono del principe Taddeo Barberini. Ancora la finestra ha il suo ornamento d’argento, cioè una cornice con suoi piani donata dal Duca Gaetani. Qui sotto del pavimento s’ammira l’antica Trave, che era del soffitto di questa S. Casa, ora posta non si sa come, a paro dello stesso pavimento, la quale prenuta collo stare in piedi dell’affollato popolo, benché si consumi il pavimento di marmo, ella non si consuma, ma resiste intatta, senza tarlo, e incorrotta per tanti secoli. Sono appese ed affollate attorno le S. Mura 47 lampade d’argento tutte dorate ad ardere continuamente, e di in mezzo vi è un candelabro d’argento di 68 libbre donato dall’Elettore Guglielmo di Baviera, ed una gran Lampada donata dalla famiglia Rasponi. Nella parte del S. Camino ai lati, e dinanzi alla Statua fra Lampade d’oro, cornucopj d’argento, ed in altri pezzi ardono altri 27 lumi a oglio, come gli altri dotati. Fra dentro e fuori attorno la S. Casa ardono continuamente 94 Lampade d’argento prescindendo da quelle appese avanti gli Altari della Chiesa, dei quali ne daremo distinta la Relazione, allorché ridotti tutti a perfezione con i nuovi Marmi verranno in essi stabiliti gli altri rispettivi Quadri dei Mosaici.
CAPITOLO XVI.
Indulgenze, e Privilegj conceduti alla S. CASA.
Tutto il Mondo Cattolico fu sempre affezionato, e divoto di questo gran Santuario: oltre i preziosi doni, come finora abbiam veduto, non vi è Città, e Luogo così sconosciuto, ed abbietto, in cui non siano innalzate Chiese, e Cappelle, o Altari almeno alla Madonna di Loreto. E questo non solamente nella nostra Europa, ma fino nell’Indie, e nel Paraguai. Certamente la santità del luogo consagrato con tanti misterj, trasferito con tanti non più allora veduti prodigj, divinamente conservato sì lungo tempo, la cagione principale di tirare a sé tanta moltitudine di gente, e destare una divozione ed affetto sì universale:
dopo questo però ha contribuito molto, e in ogni tempo la vigilanza dei Sommi Pontefici. E siccome il nostro Salvatore fra noi vivenvo aveva con la sua Abitazione santificata questa povera Casa, e i S. Apostoli dopo l’Ascensione al Cielo del medesimo, avendola consacrata, vi dispensavano ai Fedeli di tesori delle divine grazie; così i S. Pontefici successori di questi, e Vicarj di quello, non cessarono mai di eccitare il Popolo Cristiano a questo Emporio di Benedizioni celesti col dispensarvi i celesti Tesori, dei quali sono rimaste il loro mani le chiavi..
Fin quando la S. Sede era in Avignone Bened. XIV il primo che nel 1341 concesse Indulgenza Plenaria nella S. Casa mosso dalla divozione dei Recanatesi, mentre le fabbricarono attorno la Chiesa, che poi, come si disse, fu disfatta per ordine di Paolo II. Ritornato poi in Roma Urbano VI certificato dal Vescovo di Recanati delle prodigiose fiamme, che sollevano scendere dal Cielo, e posarsi sopra di essa allp 8 di Settembre, e della rivelazione fatta all’Eremita Paolo di Montorio, concedé in tal giorno a chi la visitasse Indulg. Plenaria. Poi aggiunte quelle concedute da GregorioXI, alla cattedrale d’Ancona , che sono le medesime concedute a S. Marco di Venezia da Alessandro III per la festa dell’Ascensione del Signore. Tali Indulgenze per esser di somma considerazione furono confermate da Bonifazio IX e promulgata la loro durata a tutti e tre mesi di Settembre, Ottobre, Novembre, dopo averne conceduta un’altra particolare pel dì solenne della Nunziata. Anzi Martino V per aumentare la devozione de’ Popoli ancor lontani, terminato che fu lo scisma, concedé ai Recanatesi la facoltà di far le fiere nei suddetti tre mesi, come dalla bolla: ad laudem, gloriam, et honorem Lauretanae Virginis. Ed inoltre tutte le concedute dai suoi Predecessori riconfermò Niccolò V dopo aver arricchita la S. Cappella di presenti degni d’un Pontefice, considerando segnalato il giorno della Nunziata lo onorò anch’esso di molte indulgenze.
Paolo II come si è detto, liberato nella Santa cappella dal mal contagioso, ed ivi sorpreso da placido sonno gli fu palesata la volontà divina del suo innalzamento al Pontificato, che dall’evento si conobbe essere stata vera rivelazione, ed egli stesso lo confessò nella sua Bolla: magna et stupenda miracula, quae ibidem eiusdem Almae Virginis opera apparent et nos in personam nostram experti sumus, et, innalzato dunque al Pontificato, oltre la fabbrica del gran Tempio intrapresa, e quasi compita l’arricchì di copiose indulgenze.Concedé a chi visitasse la S. Casa Indulgenza Plenaria in tutte le Domeniche dell’Anno, nelle Feste della Ss. Vergine, nei giorni della Settimana Santa, di Pasqua di Pentecoste, del Corpo del Signore con la sua ottava. Aggiunge il Serragli, che da Paolo II, da Sisto IV, e da Giulio II con Bolla particolare nella sola S. Casa furono concedute quante indulgenze sono mai per tutta Roma. Tolse il Santuario, i suoi Ministri, le robe dalla giurisdizione del Vescovo, e dal dominio di Recanati, e lo accolse sotto la sua protezione, della Santa Sede, e dei Ss Apostoli Pietro, e Paolo, concedendo ai Sacerdoti del Tempio la potestà di assolvere da’ casi riservati al Vescovo, ed dalla medesima Santa Sede. Non meinor cura ebbe Sisto IV, il quale nell’anno 1473 fece coprire la fabbrica del Tempio, e confermò l’Indulgenze dei suoi Antecessori, concedendo un’altra Plenaria per la Nascita della Ss. Vergine, forse perché ancora duravano in tal tempo a vedersi le prodigiose fiamme. Dichiarò inoltre un Vicario per lo spirituale, ed un Governatore per il temporale con 8 Cappellani per il Divin culto, per udire comunemente le Confessioni de’ Pellegrini, con facoltà di poter loro commutare qualunque voto fuori di quel cinque alla S. Sede riservati.
Nel 1507 Giulio II confermò, e rinnovò tutte le Indulgenze allora concedute, incominciando da quella d’Urbano VI e di Martino V terminando con un’altra nuova Plenaria per il giorno della Nunziata. Esentò nuovamente dalla giurisdizione di Recanati il Santuario, con la Terra allora di Loreto, dichiarandolo un suo Sacello, e Pontificia Cappella, e tutti i Ministri di esso familiari, e commensali del Papa. Due volte visitò la S. Casa, nell’andare, e nel ritornare dalla Mirandola, dove però l’illeso per miracolo di Maria Ss Loret. Da una bomba, la di cui grossa pesante palla egli stesso alla sua presenza fé appendere al S. Muro di Mezzog., ove ancora presentemente si mira. Leone X nel 1513 nella sospensione generale dell’Indulg. dichiarò rimanere nel loro vigore quelle del Santuario Loretano: anzi con una nuova culla le confermò, e aggiunsegli le indulgenze delle sette principali Chiese di Roma, visitandosi sette Altari nel Tempio da deputarsi dal Governatore, ed altra Plenaria nella Solennità del S. Natale. Inoltre fondò in esso la Collegiata insigne; vi stabili Canonicati, Mansionarie, e gli altri sacri Ministri. Ancorché il éontificato di Adriano IV fosse sì breve, di un anno solo pure con le affettuose espressioni nella sua Bolla, e conferma dell’Ondulgenze, e Privilegj fé palese la sua divozione non ordinaria.
Quale fosse quella di Clemente VII, si è veduta in occasioni, la quale parve, che volesse superare non solamente quella di Leone il suo diretto parente, ma di tutti i suoi Predecessori. Egli per accertarsi della verità delle Traslazioni spedì a Tersatto, ed a Nazaret, e trovata incontrastabile della verità, a perpetua memoria ordinò l’iscrizione da incidersi in marmo negli ornamenti esteriori delle S. Mura. Per le grandi cose ordinate, e fatte eseguire, per l’accrescimento de’ Privilegj, e conformazioni dell’Indulgenze, vien chiamato dagli storici Loretani, il gran Clemente. Paolo III nel 1535 arricchì il Santuario di nuove Indulgenze: fondò un Seminario di Giovani, che cantassero lodi alla gran Madre di Dio, e proseguì l’adornamento de’ marmi. Giulio III nel 1554 informato, che i Sacerdoti della Chiesa non erano sufficienti di numero per udire le Confessioni de’ Confluenti, e Pellegrini, commise a S. Ignazio Lojola, che mandasse a Loreto per aiuto di quelli alcuni soggetti della sua nuova Religione, ne spedì 14 che poi nel Pontificato di Paolo IV furono accresciuti fino a 32 fra i quali molti di diverse nazioni, tutti in qualità di Penitenzieri Pontifici, in luogo dei quali dopo la soppressione della Compagnia di Gesù sono stati destinati li PP. Minori Conventuali. Pio IV fece collocare nelle Nicchie le Sibille, e i Profeti, acctrscé li Sacerdoti, la fondò il Collegio della Penitenzierìa assegnandoli rendite assai con onore: confermò tutte le indulgenze: fondò il collegio lirico, le fece tradurre in otto le lingue la breve, ed antichissima Istoria della S. Casa dal Teremano, le quali poi furono incise in marmi, e disposte nei Pilastri delle Cappelle delle navate. Concedé ancora l’Altare privilegiato per i Defonti, con le stesse Indulgenze, e Privilegj di quelle di S. Gregorio di Roma; e finalmente nell’anno 1576 un plenissimo particolar Giubileo come il passato in Roma per quelli che visitassero la S. Casa. Clemente VIII, dopo aver conceduta Indulgenza Plenaria quotidiana perpetua fece porre la breve istoria della Traslazione ordinata da Clemente VII e permesse la celebrazione della festa della Traslazione ai 10 Dicembre. Paolo V con la sua celebre bolla di più confermò, erano rese chiarissimi i Privilegj Loretani. Fece inoltre innalzare due nobilissime Fontane, l’una nella Piazza del Tempio detta della Madonna, l’altra in quella di Porta Romana detta dei Galli ornate tutte di bronzi, e marmi. Urbano VIII riconfermò la festa della Traslazione ai 10 Dicembre con un Breve particolare nel 1632 dilatandola ancora tutta la Provincia della Marca. Innocenzo X l’Anno Santo 1650 dichiarò con sua Bolla non sospendere in modo alcuno le Indulgenze Lauretane, ma lasciarle nel loro pieno vigore. Alessandro VIII inviò donativi alla S. Casa, e particolarmente una coltre tessuta d’oro, la quale s’espone nella Vhiesa interiormente sopra la Porta maggiore nelle maggiori Solennità dell’anno. Clemente IX fece porre nel Martirologio Romano la festa della Traslazione al 10 Dicemb. Laireti in Piceno Translatio Almae Domus, in qua Verbum caro factum estm etc.. Clemente X fece ripulire la Chiesa, edificare il Cimiterio, e racchiudere entro Armarj li nobilissimi Vasi della Spezieria di S. Casa.. E ancora nel pubblicare l’anno Santo 1675 dichiarò, e stabilì l’Indulgenze Loretane. Innocenzo VII approvò, e concesse la Messa propria, e l’Offizio della Traslazione con la breve Istoria della medesima nella sesta lezione. Come ancora nella Bolla dell’erezione della nuova Congregazione Loretana nel Governo del Santuario invece del Protettore. E finalmente ampliò la stessa Messa, ed Offizio per la Provincia della Marca. Clemente XI mandò doni al Santuario, e particolarmente i sagri Arredi per accompagnare il Santissimo Viatico agl’Infermi, e concedé alla Città di Segna in Dalmazia l’Offizio, e la Messa della Traslazione per li 10 Maggio, e poi a tutta la Provincia di Carniola.
Benedetto XIII dopo aver dichiarato l’anno Santo 1725 stabilì le Indulgenze Loretane, concedé la Messa ed Offizio a tutto il Dominio Veneto, alla Dalmazia, ed allo stato Pontificio nel 1728, innalzò l’Insigne cattedrale di Loreto in Basilica, dandone ogni segno d’essa, cioè Chiavi, Confalone, e Campana come le Patriarcali di Roma. Clemente XII dilatò la Messa, e l’Offizio della Traslazione al Dominio de’ Duchi di Parma, e Piacenza, poi a tutti i sudditi del Re Cattolico infino all’Indie. Benedetto XIV, oltre a molte grazie, o confermate, o concedute alle 10 Maggio 1750 aggiunse ancora il permesso di recitare, in giorno non impedito, una volta il mese nella Basilica l’Officio suddetto della Traslazione. Clemente XIII, che da Prelato, poi dal Cardinale sempre mai mostrò una tenerissima divozione a questo Santuario, col fare delle funzioni Episcopali, le Communioni Generali, e l’assistenza alle Processioni, innalzato alla dignità Pontificia non ne mostrò minore col governo di esso, e col dono di un Calice d’oro, d’ammirabil lavoro di 8 libbre, e 3 oncie insieme con la Patena dello stesso metallo: con ordine preciso, che se ne facesse uso per le principali solennità dell’anno, e per i Cardinali, che celebrano in S, Cappella, e per altri Sacerdoti riguardevoli.
CAPITOLO XVII
La S. CASA divotamente conservata.
Se ben si riflette a questa Sacros. Abitazione è impossibile, che naturalmente possa stare, e così reggersi per tanti secoli. Le di lei S. Mura non tirate e a perpendicolo, non eguali, e senza alcuna sorta di fondamento, usando solamente sopra del suolo, come anni sono nel rinnovarsi il pavimento fu veduto, minacciano ogni momento rovina. Fin d’allora, che ivi voti canadesi osservando le tali fabbricarono loro attorno un forte muro per sostenerle, ti dirò questo prodigiosamente allontanato in modo, che fra esso, e le S. Mura comodamente pronti a passare un Fanciullo, e conobbero, che l’unico sostegno loro, e difesa, era la Divina Onnipotenza, e lo stesso Dio, fra le quali s’era d’umana spoglia ammantato. Questa medesima Onnipotenza permette, e vuole le divisioni delle Sacre Reliquie degli stessi stromenti di sua Passione, perfino della sua Ss. Croce già divisa in particelle quasi infinite, che in altrettanti luoghi trasferite, e divise; solamente non è permesso mai, che qualunque particella di queste S. Pareti sia dal loro intero divisa. E se qualunque indotto da qualche umana permissione, o da qualche indiscreta di divozione abbisi osato di portar via qualche pezzetto, o miracolosamente da se stesso è tornato al suo luogo onde fu tolto, oppure a forza di infortunj e malori, è stato il delinquente forzato a riportarlo. Sono moltissimi casi succeduti in ogni tempo riferiti dagli Autori della Storia Loretana, e di quando in quando va succedendo fino al presente. Io per non partirmi dalla proposta brevità, ne riporterò qualcuno pigliato dagli Autori, qualcun altro succeduto al nostro tempo per avvertire gli Indiscreti divoti, e dimostrare insieme, che tuttavia la stessa Onnipotenza è quella che costantemente la conserva, e la difende.
Monsignor Gio. Suarez Vescovo di Coimbra nel Portogallo, Uomo non meno in pietà, che in dottrina singolare, nel 1561 dovendo portarsi in Trento al Concilio, venne a visitare la S. Casa. Soddisfatta la divozione, ricercò una pietra delle S. Mura per spedirla in Portogallo, e qual Reliquia collocarla in una Cappella da dedicarsi nella sua Diocesi alla gran Madre di Dio. Avvertito della Scomunica, nella quale incorreva chiunque avesse tolta qualche cosa delle S. Mura senza replica si ripose in viaggio. Giunto in Trento ottenne segretamente dal pontefice Pio IV un Breve, col quale egli si concedeva il bramato intento. Per subito con questo al Loreto Francesco Stella Senese suo Cappellano. Quivi egli giunto non trovò alcuno dei sacerdoti ministri, né alcun altro, il quale ardisse dalle S. Pareti estrarre la pietra, talmente che per soddisfare il Padrone, egli stesso fu necessitato di estrarla alla presenza di molta gente mal soddisfatta. Dopo un lungo, e disastroso viaggio, in cui più d’una volta ebbe a lasciar la vita, giunto in Trento, consegnò al Vescovo la pietra estratta dalle S. Mura, che racchiusa in una cassa di argento, speravo in breve spedirla a Coimbra. Fù immediatamente assalito da febbre, e da dolori acerbissimi, che non permettevagli alcuna requie, nemmen col sonno. Dopo moltissimi rimedj, tutti inutili, convengono i Professori, che il male non sia naturale, e conseguentemente di alcun profitto la loro arte. Così abbandonato dai Medici il povero Prelato, oltre i dolori del corpo, gli si aggiungono timori e di inquietudini d’animo, che lo riducono all’estremo di sua vita. In tale stato ridotto dagli umani soccorsi isperimentati inutili, si passa ai divini, i quali non furono pochi tanti Padri, ed anime buone ivi adunate in quel tempo. Particolarmente fù fatto raccomandare alle orazioni, e digiuni di due Monasteri di Religiose celebri per Santità. Dopo due giorni la superiora di ciascun Monastero, fra loro assai lontano, manda al Vescovo questa concorde risposta: che se egli voleva recuperare la salute, rimandasse la Madonna di Loreto la sua pietra. Stupefattoli insieme col Stella, poiché fuori di loro due era la pietra tutti ignota, né in alcuna maniera appropriata persino Trento, riconobbe la cagione del suo male, e di vero cuore a Dio, e alla Vergine chiese perdono, e spedì subito lo stesso Stella a Loreto colla pietra, per farne prontissima restituzione. Il viaggio fu tutto affatto diverso dal primo, cioè questo felice, è breve. Giunto prima in Loreto fu dal Cairo, e dal popolo sì locale che forastiere tutti brillanti di divozione, e di gioja processionalmente incontrata la Sacra Reliquia, e ricevuta con sacra pompa, fu ricollocata al suo luogo. Ed acciocché in avvenire fosse riconosciuta, per memoria le fu posto attorno una piccola lama di ferro. Confrontato poi il tempo, e l’ora in cui fu riposta al suo luogo la pietra con la perfetta guarigione del Vescovo, fu trovata essere accaduta nello stesso momento. Lo Stella fece in Loreto l’esposizione del fatto: il Vescovo ristabilito in perfetta salute, mandò lettera al Governatore della S. Casa di proprio pugno, e questo mandolla allo stesso pontefice Pio IV. La copia di questa lettera in carta pergamena con cornice di legno dorato si conserva nella S. Casa entro l’Armario delle S. Scudelle vicino all’Altare a cornu Evangelii: e la detta pietra si fa osservare ai Pellegrini, e Divoti nel S. Muro a Mezzo Giorno, vicino al piccolo vuoto, ove si tengono l’ampolline per servizio delle Messe.
Nel 1585 un di Palermo venuto a questo Santuario portò via seco un pezzetto di pietra delle S. Mura. Tornato in Patria, fu assalito da una gravissima infermità, della quale, acciò fosse più palese la cagione, in quel tempo, in cui commise il delitto, ogni anno era più tormentato del solito, cioè nel mese di Settembre, e di Ottobre. Apparve il male sempre senza rimedio, perché ogni cura il medicamento era sempre inefficace. Raccomandossi infine alla Ss. Vergine, e gli sovvenne la pietra già tolta dalla di lei S. Casa. E a tal memoria e riflesso provò primieraramente qualche scrupolo, indi a poco a poco un tal rimorso, che lo manifestò a un Sacerdote dopo lo spazio di venti anni. Fu da esso ammonito a rimandare profondamente la pietra, come cagione sicura del suo male. Profferite appena tali parole, come fossero state un supremo comandamento, l’atterrì in modo, che gli consegnò subito la pietra. Ricevutala con la venerazione dovuta, la portò al P.Provinciale dei Gesuiti, P. Gio. Battista Carminata, il quale la inviò a Roma al Cardinal Vastavillani Protettori all’ora del Santuario, con la relazione del fatto. Intanto l’Infermo, consegnata la pietra, fu rimesso nello stesso momento in salute. Il cardinale la spedì in Loreto al Governatore, ove giunta, dal medesimo, e dai Sacerdoti fù ricevuta, e con sacra pompa alla presenza di folto popolo, e di divoti Pellegrini portata nella S. Casa.
Quivi giunti i Sacerdoti non ebbero alcuna fatica di trovarle l’antico sito, dal quale, benché mancando da 20 anni, perché quasi additandolo Dio, subito si offerse ai loro sguardi; nel quale fu collocata. Le fu messo per memoria un grappetto di ferro, e si vede nel S. Muro, a Mezzo Giorno vicino alla Porta corrispondente al Coro, alto da terra circa 8 palmi.
Nel 1595 essendo Governatore del Santuario Monsig. Gallo, un Gentiluomo Maceratese di casa Pellicani pigliò parimenti un pezzetto di pietra dalle S. Mura per tenerlo secco con venerazione. Involtolla in un pannolino, e giunto a casa la pose sotto chiave qual prezioso tesoro. Fu questo ancora assalito subito da grave, e pericolosa infermità non mai conosciuta dai Medici, nonché sollevata, anzi nel decorso di tempo abbandonata affatto. Solamente, come assai divoto della Ss. Vergine, di continuo se le raccomandava nelle sue angustie. Ella un giorno finalmente gli ottenne lume di conoscere la cagione del suo male, che era la pietra tolta alle S. Mura della di lei S. Casa. Le ne domandò perdono, e promise farne una pronta restituzione. E in segno di ciò immediatamente fece aprire lo scrigno, ove l’aveva posta fra le sue cose più care, e preziose, e fattosi portare il pannolino ove era stata da lui avvolta, apertolo non vi trovò più la pietra. Pieno di stupore e rammarico insieme, chiese alla Vergine di nuovo perdono, e fece voto di quanto prima visitare la S. Casa. Ottenne subito la salute, e portossi a Loreto a soddisfare il voto, entrato nella S. Cappella osservò la pietra da lui tolta, ritornata prodigiosamente al suo luogo. Sorpreso da insolito stupore e tenerezza proruppe in dirotte lagrime e clamori, alle quali accorsi i Custodi della S. Cappella, raccontò loro il prodigio pubblicamente additando la pietra, alla quale, come all’altre, fu posto il segno di un grappetto di ferro per memoria. Questa è nel S. Muro di Tramontana poco sotto i gradini dell’Altare, alta da terra cinque palmi in circa. Siccome delle pietre, così ancora della calce, con cui sono esse fermate, né a Dio una cura particolare. Un cittadino d’Alessandria di Dio poca calce delle S. Mura, e per maggiore venerazione la racchiuse con un’Agnus in una piccola custodia d’argento. Giunto alla Patria la pose al collo della sua Moglie, non si sa per qual cagione. Ella subito si trovò invasata da Spiriti invernali, che continuamente la tormentavano. L’infelice Marito, non avvertendo la cagione, procurolle ogni rimedio, ma né Orazioni, né Esorcismi ottennero l’effetto. In tale stato fu la misera nove anni. Venuto in Alessandria il P. Battista Vannini della Compagnia di Gesù Predicatore Quaresimale, fu informato dallo stesso Marito dello stato della misera Moglie, il quale considerato l’jncominciamento dell’infortunio della sacra calce pigliata nel muri della S. Cappella, l’esortò a rimandarla a Loreto. Egli levata dal collo della Moglie la custodia ove era la calce, consegnolla immediatamente al P- suddetto, che la spedì al Loreto. Appena fatta la consegna gli Spiriti cominciarono ad obbedire agli Esorcismi, e giunta la calce in mano dei Custodi del Santuario, si trovo ella affatto libera.
Due Sacerdoti Piacentini pigliarono poca calce delle S. Mura, furono da acuta febbre sorpresi, né mai poterono liberarsi, se non dopo fatta la restituzione, e così in molti altri casi succeduti, e che tuttora succedono: che se volessimo quì narrare i casi in questo particolare avvenuti, e riferiti dagli Autori, e quelli la memoria dei quali sono appresso, e i moderni, e gli antichi Custodi del Santuario, saremmo fuori del nostro proposito di brevità, e si potrebbero formare volumi. E perché non sembri a qualcuno i riferiti esser casi antichi, ne porterò altri pochi tra gli molti per disingannarlo.Un Uffiziale di Nazion Francese di profession militare, di indole franca, ed allegra ricevé lo l’involto con roba tolta dalle S. Mura, con avviso di consegnarlo subito ai Custodi. Egli in presenza d’un suo Amico Cittadino Lauretano incominciò a deridere la semplicità, l’idea, e la premura del suo corrispondente. Avvertito dall’Amico a farne subito la consegna fù ancor egli con maggior coraggio deriso, e riputato semplice e ridendo rispose, che quando non avesse avuto che fare, lo porterebbe nella Chiesa ai custodi. Poco dopo fu sorpreso la tal violente febbre, che ad un’ora di notte disperato dai Medici, fu sagramentato per Viatico. In quell’estremo ricordandosi dell’avvenimento dell’Amico fece consegnare al signor D, Stefano Belli allora Curato l’involto. Fra poco incominciò a migliorare: e la mattina trovossi in stato tale, che si portò nella S. Cappella a chiedere perdono alla Ss. Vergine, e a ringraziarla. Accadde nel 1754 ai 9 dicembre, che un Uomo, che avea pigliato dalle S. Mura un piccolo sassolino mai poté veder la Porta, per uscir dalla Chiesa, benché gli fosse indicata, e sino a quella condotto, finché non restituì il Sassolino al Lampadaro Pietro Calvi, chìera nella Custodia in assenza dei Custodi. Un Padrone di Nave stato a Loreto, e pigliato un sassolino, mai poté partire dal Porto di Ancona se non fatta la restituzione. Ed il mirabile è, che viaggiando di conserva con altre Navi, tutte avevano vento, e partivano, solamente la sua era sempre senza vento. E questo è accaduto l’anno 1764, ed il Sassolino fù portato ai Custodi dal signor d’Angelo Giorgi, che si trovava in Ancona. Da questi, e da moltissimi casi succeduti, e che tuttora succedono, avvertamo i divoti di non toccare cosa alcuna delle S. Mura, perché oltre la scomunica fulminata dai Sommi Pontefici a questi tali, Dio è quello, che custodisce, e conserva qualsiasi minima particella di questa sua diletta Abitazione.
CAPITOLO XVIII.
Delle Cappellanìe, e Messe che si celebrano nella
S. CASA, coi loro Fondatori.
L’Augustissima Casa d’Austria tiene un Cappellano con carico di dir Messa tutti
i giorni per la famiglia Reale.
La Serenissima Casa di Baviera tiene due Cappellani, con obbligazione di
Messa quotidiana, ed oltre questi fa celebrare altra Messa quotidiana.
Il Re delle due Socilie tiene un Cappellano, con obbligo di dire la Messa ogni
settimana, che prima era di fondazione della Serenissima Casa Farnese.
Il Re di Francia tiene un Cappellano, con obbligazione di una Messa quotidiana,
due delle quali si celebrano all’Altare di S. Anna.
Ogni anno li 26 Agosto festa solenne in onore di S. Ludovico Re di Francia con
assistenza del Capitolo, e Clero, Magistrato, due Cori di Musica, e sbaro dei
cannoni ec. All’Altare della Ss. Annunziata, annesso alla S. Casa.
Più, ogni 1 Sabbato del mese una Messa solenne in musica, con l’assistenza
del Capitolo, e Clero, pel Re, e famiglia Reale.
La Serenissima Repubblica di Venezia tiene un Cappellano, con obbligo di
una Messa quotidiana.
Più, 12 Messe cantate all’anno, una per ciascun mese, con l’assistenza del
Capitolo, e clero.
Francesco Maria Duca di Urbino lasciò una Messa quotidiana.
Cosimo III, Granduca di Toscana lasciò per l’anima sua una messa quotidiana.
Francesco Loredano Doge di Venezia. Una Messa quotidiana per l’anima sua.
Margherita d’Austria, Duchessa di Parma, fondò per l’anima sua una Messa
quotidiana.
Dorotea Principessa di Lichtestein lasciò pure per l’anima sua una Messa
quotidiana.
L’eccelsa Casa Peretti lasciò una Messa quotidiana..
L’Ill.mo Sig. Francesco Maria Onorati lasciò 10 Messe quotidiane per l’anima
sua.
E.mo Cardin. di Spagna Portocarrero, lasciò fondate 355 Messe all’anno per
l’anima sua.
M. C. Re di Spagna mantiene un Cappellano Nazionale con obbligo di Messa
quotidiana per sé, e sua Real famiglia.
Nota. Altre diverse Cappellanìe si trovano, con l’obbligazione di celebrare per le
Cappelle di questo Santuario, come per esempio:
La Casa d’Arco una Messa quotidiana all’Altare della Ss. Annunziata.
Ogni giorno una Messa per l’Ecc.ma Casa Vastavillani all’Altare della Ss.
Concezione.
Ogni giorno due Messe pel Cardinal di Gioiosa.
Una Messa quotidiana per la Duchessa d’Arguillon, celebrata da un Sacerdote
a sua nominazione.
Ogni giorno due Messe pel fratello Luigi di S. Antonio Eremita di Besanzone,
celebrate da due Cappellani.
Cappellanìa, ossia Benefizio, sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, col peso di
una Messa ogni Settimana, e sei annue di requie all’Altare di Sant’Anna.
L’elettorale Casa di Sassonia tiene un Cappellano continuo, con pinque
assegnamento avendo questo l’obbligo della celebrazione di tre Messe la
Settimana ec. Ed oltre lì sopra detti obblighi ve ne sono moltissimi altri
quotidiani, mensuali, ed annuali, che per brevità si tralasciano.
*********************
NUOVO, ED ESATTO
C A T A L O G O
DE PIU’ QUALIFICATI DONI
CONSAGRATI TUTTI
A MARIA VERGINE
PER DIVOZIONE, O VOTO;
Esistenti nel Tesoro della S. CASA, giusta l’ultimo,
e accurato inventario dell’anno 1788, tralasciate
le cose dei minor rilievo per brevità.
—oooOooo—
A MANO SINISTRA DEL TESORO.
NUMERO I.
Una Canacca, o sia Fornimento da Cavallo, composto di 33 pezzi d’oro di getto
smaltato verde al di fuori; ornato con rose di grosse perle, ed in mezzo, e ai
lati contornato di rubini,e smeraldi: dono della Principessa di Regozzi di
Transilvania.
Una scatola grande rotonda aperta di oro smaltato a vari colori, sopra cui vi è
un basso rilievo in una parte la casta Susanna, e dall’altra S. Giorgio a
cavallo: dono del principe di Baden Baden Tedesco.
Un pezzo di 9 Coralli ridotti a Camei legate in oro con perle; dono d’incognita
Persona.
Un Cuore d’oro lasciato in dono dalle RR. Monache di Torre di Specchj di Roma
nel 1765.
NUMERO II.
Una picciola Cassettina bislunga quadra composta di lastra d’argento
variamente intagliato, e traforato con ovatini di lapislazzuli: dono del Sig.
Andrea Gresti nel 1595.
Due vasi d’argento, ed un ramo di fiori dello stesso metallo, fra mezzo dati da
coralli; dono del Principe di Avellino Napolitano.
NUMERO III.
Altro Ramo dei Fiori con suo vaso di argento: dono del suddetto Principe, ed ai
lati due Ampolline parimenti di argento.
NUMERO IV.
Una corona di sette poste di grossi grani di adatta già signorina, frammezzo dati
da grossi bottoni d’oro smaltato: dono della Principessa di Ragozzi di
Transilvania.
Diverse altre Corone, due di grossi coralli, una framezzata da Bottoni d’oro, e
l’altra con Coppette dello stesso getto; ed in fondo sopra Croce di
Ebano,guernita bei 4 lati d’oro smaltato un Crocifisso di Corallo. Una di
agata sardonica, e grossi niccoli bislunghi, a guisa di Olive, framezzati con
grani minori tondi, guernita di coppette d’oro smaltato bianco. Due
lapislazzuli orientali, una delle quali guernita di coppette d’oro smaltato, e
medaglia d’oro appiedi; Aaltra di Diaspro marmorino, con medaglia d’oro
rappresentante il P. Eterno da una parte, e dall’altra Innocenzo X, ma la
medaglia è riposta al numero XX: donata dalla Contessa Chiara Pallavicini di
Parma; e l’altra di Diaspro sanguigno con i Pater noster a forma di olive:
altra di Corniola, e in mezzo una di giacinto orientale, tutta guernita d’oro, ed
appiedi vi resta un Semibusto rappresentante San Pietro inciso parimenti in
un giacinto; doni di diverse pie Persone
Due Coretti d’oro; donati, uno dalle P. Generale de’ Minori Conventuali nel
1770, e l’altro dal Marchese Bandini di Camerino nel 1774.
S’ammira finalmente nel piano un Canopeo da Pisside di lametta d’argento,
ricamato in oro, e perle: donato dalla Sig. Barbara Coler di Mohrenfelt di
Vienna d’Austria, 1761.
NUMERO V
Una Fortezza d’argento, rappresentante la torre di Vensenne, prigione di Stato presso Parigi: donata nel 1595 dal Principe di Conty della Casa Reale di
Borbone, da cui fuggire, di libbre 200. Avanti, e intorno vi restano sei piante
di città, e terre, lavorate il lastra di argento, che sono: Ascoli, Fermo,
Recanati, Monte Santo, Castel-Fidardo, e Sarnano; dalle medesime donate.
NUMERO VI.
Altra canacca di minor grossezza di 67 pezzi simile alla prima già descritta al
numero I, e della stessa Donatrice.
Un Cuore d’oro: dono del Duca Grimaldi di Genova nel 1766.
Un ritratto in lamina d’oro, rappresentante la Contessa Conversavano di Napoli,
dalla medesima alla Vergine donato nel 1758.
NUMERO VII.
Un Presepio d’argento: donato dalla Contessa Dismieri di Torino.
Una Corona reale d’argento con diverse pietre: donò la Confraternita di S, Monica di Fabriano.
NUMERO VIII.
Altra palma d’argento, col suo Vaso; dello stesso donatore Avellino.
NUMERO IX.
Alquante Medaglie d’oro 10 con l’Effigie di Urbano VIII, 4 con l’Effigie
d’Alessandro VII e due altre una col Salvatore, e l’altra coll’Effigie di
Innocenzo X donate dalla Principessa D. Costanza Barberini.
Una Corona di 6 poste di agata zaffirina, con una Crocetta di oro, di rubini, e
diamanti; dono del Sig. Giacomo Menardi Romano.
Una gargantiglia d’oro smaltato nero, composta di 27 diamanti quadri, con una
Colomba in mezzo, che ha un diamante in petto a forma di cuore, con altri 4
piccioli: un pajo di Pendenti egualmente smaltati con 30 diamanti; dono della
Sig. Marchesa Costacuti di Roma.
Un gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, in forma di Croce, contornato di 32
diamanti, e 10 perle: donò il Marchese Patrizj Corsini del 1690.
Due gioielli d’oro smaltati a vari colori, uno traforato a tre ordini ornato di 39
rubini, e l’altro tondo fatto a fiorami, con 57 diamanti: donati dal Ser.mo Duca
Alberto di Baviera.
Altro gioiello d’oro smaltato bianco, e nero, traforato a due ordini, guernito di 64
diamanti, 5 de quali pendono a goccie: donato da una Dama Tedesca..
La Lettera A d’oro contornata di 14 diamanti, ed un’Anello d’oro con grosso
diamante: dono del Principe Ferdinando di Lobkovvitz duca di Sagan.
Altro giojello traforato a tre ordini d’oro smaltato a diversi colori a due facciate:
Ora diviso in due parti, in una delle quali facciate nel mezzo vi sono due
manine, tenenti un piccolo coretto coronato da 33 rubini, e 5 perle pendenti,
e nell’altra vi è nel mezzo una Crocetta; tutto contornato di 53 diamanti: dono
della Casa Doria.
Due Orologi d’oro, uno de’ quali con Cassa di Lapislazzalo guernito di diamanti:
donati dal Duca di Gravina Napolitano.
Un’anello Cardinalizio d’oro con uno zaffiro ottangolare in mezzo: dono del
Cardin. Sant’Onofrio Barberini.
Altro anello cardinalizio d’oro consimile.
Altro anello d’oro con 7 diamanti di fondo: donò la Duchessa Strozzi.
Un smeraldo lavorato alla Genevrina, ligato in oro, smaltato verde, in forma di
Carafaggio: dono della Sig. Emilia Imperiali Genovese.
Un giojello ovato d’oro ornato di 25 diamanti, dono della principessa Ludovisi di
Bologna.
Un orologio da petto di argento, dentro una grossa granata ligata in oro,
contornato di 29 rubini: dono del marchese Carlo Antonio Visconti Milanese.
Due anelli d’oro con due smeraldi quadri lunghi: dono di D. Gregorio Fabrizi
Benefiziato di questa Basilica.
Una Croce da petto con suo nastro donata di 100 diamanti, e un paio di
pendenti guerniti di 52 diamanti, ed un anello lavorato a rosetta con 11
diamanti: dono di Persona incognita.
Altra croce da petto, e 2 boccole d’oro, con 12 zaffiri, e 47 diamanti: dono della
Princip. Di Santobuono Napolitana del 1749
Un Tofon d’oro, con nastro, e fascetta, guernita di 3 diamanti quadri: dono del
Principe Santacroce nel 1748.
Un giacinto bislungo ligato in oro: dono del Signore Giorgio Zagni Genovese.
Due anelli d’oro, uno con diamante quadro, e l’altro con 7 diamanti: donati dal
Sig. Antonfrancesco Lauretani Preposto di S. Salvatore di Macerata.
Un’anello d’oro con diamante quadro gruppito, rappresentante una sirena: dono
del Sig, Carlo Chiacci di Cremona.
Altro anello d’oro con hn smeraldo liscio, e nel cerchio sonovi nove diamanti:
dono del Marchese Villa.
Altro anello d’oro, con smalto bianco, e un diamante rotondo in mezzo, ed altri 8
ai lati: dono del Sig. Giuseppe Giannini Genovese.
Altro anello d’oro con 7 diamanti: dono della Sig. Angela Salicola di Bologna
nel 1687.
Altro anello d’oro chiamato Mariaggie, con diamanti, e rubini: dono della
Principessa di Ardore Napolitana nel 1730.
Una Croce di Malta d’oro smaltato bianco; ed altre due di S. Stefano d’oro
smaltato rosso; donate da divoti Cavalieri.
Il ritratto di Leopoldo I Imperadore in ismalto turchino lattato, e contornato di
filograna d’oro.
NUMERO X.
Un ostensorio tutto d’argento sostenuto da due Angioletti, e nel mezzo un
grosso topazzo orientale, incastrato in oro, con piede di getto triangolare:
donato dalla Confraternita della Purità della Vita di Bologna.
Due Calici d’argento, con patene, uno contornato di 24 granate sardoniche fra
grosse, e piccole legate in oro; ella altro tutto dorato guernito con 5 pietre
verdi: donati da pie Persone.
Due puttini d’argento, uno simile all’altro: donati dalla Sig. Ortensia Manfroni
Bernini.
NUMERO XI.
Un Bambin Gesù di statura naturale, con 3 chiodi in una mano, e la corona di spine nell’altra, posto sovra piedistallo il tutto d’argento: dono del Marchese Roberto Capponi di Firenze nel 1623.
NUMERO XII.
Uno scrigno quadro bislungo d’Ebano con ispecchi, e colonnette scanalate di cristal di monte, con incassatura, capitelli, e basi d’oro, contornato di circa 70 camei antichi, 48 rubini, e 42 grossi smeraldi su fregj d’oro smaltato a varj colori, e nel fondo dell’interno è tutto ricoperto di lastra d’oro intagliata a fogliami, intarsiata di lapislazzuli a varie forme di fiori, con in mezzo un quadrello bislungo, composto di varie preziose pietre orientali riportate a guisa di Mosaico, rappresentanti pure diversi fiori: dono di D Cristina Gran Duch. di
Toscana.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso d’argento dorato, guernita
all’intorno di vari ornamenti, e fogliami parimenti d’argento dorato, traforato
con ovatini di lapislazzuli, e calcidonia orientali, con piedistallo d’Ebano. Due
Candelieri compagni alla detta Croce incassati in Ebano, guerniti di varj
ornamenti d’oro smaltato, e perle. Una Calderuola, un Aspersorio, e di un
pajo di Ampolline similmente di cristal di monte, con un ornamento d’oro
smaltato a più colori: dono del Cardinal Mandruzzi.
Altra Croce composta di tavolette di lapislazzoli incastrate in Ebano, e guarnita
di grossi topazzi. Il piedistallo è tutto di Ebano con varj quadrelli formati di
diaspro orientale, lapislazzoli, agata, e diaspro siciliano: dono del Principe D.
Carlo Barberini.
Altra Croce composta di 4 pezzi eguali di diaspro orientale, con riporti, e
fornìmenti d’oro smaltato turchino, e sopravi rubini, spinelli, e garantine
sardoniche, con piede di cristal di monte: donata da un Duca di Baviera.
Un picciolo Quadro rappresentante in bassorilievo la Vergine Addolorata, la
quale è composta di varie pietre orientali, cioè: di diaspro marmorino nel
piano, di agata, alabastro, lapislazzoli, e diaspro sanguigno di Boemia
nell’Immagine, e di diaspro verde il Tavolino, dove essa si appoggia, con
cornice di Ebano: dono della Sig. Isabella Morroni Mantovana.
Una Corona, o sia Rosario di ambra gialla, donata dalla Sig. Rosa Masorini di
Vico.
Un grosso pezzo di Corallo, che si divide in due rami, con piedistallo di argento.
Altro ramo di Corallo incassato in una gamba d’Aquila d’argento di getto,
appoggiata su base tonda pure d’argento, doni di pie Persone.
Una Croce di cristal di monte con Crocifisso di getto, e ornamenti, e sovrapposti
il tutto d’oro; Due Candelieri, e Ampolline simili ugualmente guernite d’oro, fù
dono del Cardinale di Lorena.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso, guernita d’argento, con base
ovata, la donò il Cardin. d’Aragona.
Altra di cristal di monte con varj fornimenti. Una Pisside simile guernita di oro
smaltato a varj colori, e tre Candelieri: dono della Duchessa Virginia Savelli
Romana.
Altra simile di cristallo di monte con Crocifisso, e varj ornamenti d’argento di
getto dorato. Due Candelieri, una Calderuola con Aspersorio, una Bacinella,
e due Ampolline della stessa materia, dono di un Duca di Mantova.
Un bacile il grande con vaso d’argento dorato: dono diD. Pietro colonna a parte
del monastero di casa Nova, ma il vaso è riposto al numero XXVIII.
Una picciola Fruttiera ovata d’argento dorato, ed intagliato a fogliami, e nei
trafori guernita di fiori, e fogliami di corallo, con contorno a pizzetto,
similmente d’argento dorato, traforato, smaltato bianco, e turchino, con
rosette di corallo, dono di pia Persona.
Altre due Fruttiere di grossa lastra d’argento dorato e traforata, ed in mezzo un
grosso riporto tondo della stessa lastra smaltata turchino, ed altri simili
riporti di ovatini egualmente smaltati: furono donate dal commendatore
Pietro Colonna nel 1641.
Una Lampada di ambra gialla, incastrata in argento dorato: fu donata da Mons.
Vescovo di Sammogizia.
Altra lampada di cristal di monte lavorata a fogliami con cerchio d’argento
dorato, e 4 teste di Cherubini d’oro di getto smaltato a varj colori: la donò
una divota Persona.
Una Tazza in forma di Conchiglia, con collo, e testa di drago, e piede tondo, il
tutto di agata orientale contornato di oro smaltato a diversi colori: dono del
Duca di Pezzi nel 1572.
Altra Tazza tonda con sua base di agata orientale, con cerchio d’oro smaltato
bianco, e nero: donata dal Marchese di Sila.
Una Croce di ambra gialla, con Crocifisso, ed ornamento alle estremità di
ambra bianca, un calice, e Statuette con Candelieri compagni alla detta Croce, dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del gran Cancelliere di
Polonia, e Duchessa d’Oltrog.
Due statue d’alabastro; una rappresentante la Santissima concezione di M.V.
con piedistallo della stessa materia, e l’altra rappresentante S. Agata ligata
ad un Tronco; donate da pie Persone.
NUMERO XIII
Due collane d’oro smaltato, e ornate di varie figure di smalto al rilievo; la
maggiore composta di 19 castone, con 18 grossi diamanti, e l’altra di 15
castoni, con 30 rubini; donate dal principe D. Giovanni d’Austria.
Una Corona di lapislazzoli di 6 poste, con coppette d’oro smaltato turchino; e
bianco; ai lati d’ogni Patee noster sonovi tramezzini contornati di 187 piccioli
diamantini; ed appiedi vi è un giojello in forma di Stella, osservandosi, da
una parte l’effigie di S. Giuseppe, e dall’altra quella della Maddalena in
ismalto miniate, contornato da 60 diamanti: la donò una Persona incognita.
Un giojello d’oro smaltato verde, e rosso, che figura una Corona di Spine; nel
mezzo ha una Colonna, ed appiedi un picciolo giojelletto pendente fatto a
spighetta, tutto da 107 diamanti contornato: donato dal Principe di
Castelforte.
Una Pace d’oro smaltato a diversi colori, con in mezzo una Croce formata da 7
diamanti, e 18 grosse perle: donata da pia Persona.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e nero, composta di 40 castoncini: nel
mezzo pende una rosetta smaltata, e di appiedi una Colomba d’oro
smaltato, tutta contornata di 54 rubini: la donò la Sig. Giulia Vitale da Trieste.
Una croce da petto d’argento dorato, guernita di 25 diamanti, e 19 granate
balasce, dono del Sig. Giuseppe Borghini.
Un Ordine Capitolare d’oro, che nel mezzo ha l’effigie della B. V. , Tutto
tempestato di 98 diamanti, due grosse amatissime, ed una perla a goccia
appiedi: donato la sua Altezza Ludovico Giuseppe Vescovo di Trifingen, e
Principe del S. R. I. Nel 1770.
Un giojello d’oro in forma di mezza luna, nel mezzo vi è una Stella, e sopra di
essa un Giove smaltato bianco sedente ad un‘Aquila smaltata verde;guernito
di 60 diamanti, e 3 grosse perle pendenti fatte a pere: dono della
Principessa Donna Costanza Barberini.
Un Tofone con suo nastro d’oro smaltato rosso, e turchino, dono del Principe
Santa Croce nel 1748.
Una Croce di Cavaliere di Malta d’oro con 49 diamanti; fù donata dal
Commendatore Martorelli nel 1712.
Un giojello con suo nastro d’oro smaltato bianco, e nero, ed in mezzo ha una
Crocetta d’oro smaltato verde, tempestato di 178 amatiste: dono del Sig. D.
Ferdinando Gaetani Palermitano nel 1687.
Un’Aquila d’oro contornata di 26 rubini,4 smeraldi, e 7 perle pendenti: dono, e
lavoro del Granduca Francesco I di Toscana.
Un Fiore dorato tempestato di perle, e pietre di colori diversi, e nel mezzo un
Nettuno, col Delfino appiedi: dono della Principessa Stabilcolonna di Roma.
Un’Ordine di S. Jaco d’oro con suo nastro, e Croce di S. Giacomo in smalto
rosso in campo di smalto giallo; tutto contornato di 63 diamanti, e 30 topazzi
gialli, dono della Sig. Francesca Riva Belliseo Verach Spagunola.
Un Quadrettino incassato d’oro smaltato con cristallo, e pittura rappresentante
S. Cecilia giacente moribonda: dono di Persona divota.
NUMERO XIV.
Un’Ostensorio d’argento fatto a Tronco, composto a tre ordini in figura di nubi,
dalle quali escono raggi, Cherubini, spighe, e grappoli d’uva, simboli tutti del
Divinissimo Sacramento, ornati di molti smeraldi, topazzi, perle, giacinti, e
granate: dono di D. Dorotea di Neoburgo Duchessa di Parma.
Due Calici con Patene d’argento, e con Coppe dorate di singolar lavoro: donati
da pia Persona.
NUMERO XV,
Un Fanciullo d’argento di statura naturale simile al primo già descritto al numero
XI dello stesso donatore.
NUMERO XVI.
Un Piliale, una pianeta, due tomicelle, due manipoli, una borsa, un messale, e
un palliotto di teletta bianca di argento a fiori, e fogliami d’oro a Coralli: dono
del Principe di Avellino Napolitano.
Una Lampada, Lampadino d’argento dorato ornata di coralli: fù dono del
Principe di Castelforte.
Un Calice, e a Patena d’argento dorato, tutto contornato di coralli; molti di essi
sono ridotti a camei, rappresentanti vari Semibusti, e le Teste di Cherubini:
lo donò il P. Vincenzo Bartoli di Firenze della Congregazione di San Filippo di Recanati, dopo averci celebrato il suo Sagrificio nella S. cappella di 12
agosto 1791.
Un Camice di Pietra detto Amianto lavorato a tela, con cingolo, ricamo, e il
merletto appiedi di seta; fu donato da Persona incognita.
NUMERO XVII.
Una Gioia grande d’oro in forma di Stella, tempestata di 8 diamanti, 10 rubini,
16 girasoli, 36 grosse perle, ed un Cuor d’oro nel mezzo smaltato rosso,
guernito di un grosso smeraldo, 9 diamanti, 6 rubini, e questa iscrizione:
Ludovica Enrici III Galliae et Poloniae Regis Uxor 1598.
Altro giojello d’oro smaltato a diversi colori a guisa d’Arma coronato, e
tempestato di 29 diamanti; donato dal Prior Savelli Romano.
Altro giojello d’oro o in forma di rosa alquanto smaltato bianco, e turchino, con
un castone in mezzo a guisa di Stella, ornato di 25 diamanti: dono del Sig.
Procchieri Perugino.
Una Collana d’oro smaltato bianco, e rosso, composta di 32 castoni tutti rilevati;
ed ornati di 20 grossi diamanti quadri di fondo, ed altri 16 di minor
grossezza, 20 grossi rubini, e 40 grosse perle, e appieni di è appeso il Tofon
d’oro di getto, a cui succede altra minor Collana dello stesso metallo
smaltato a diversi colori di 25 castoni,9 de’ quali hanno ciascuno in mezzo
un diamante, altri 11 hanno in mezzo un rubino in quadro, e nel maggiore
esistono intorno 4 rubini, e li altri 4 hanno in mezzo un zaffiro turchino; i quali
castori poi, con i 100 alamari d’oro di getto smaltati a più colori, che hanno
per cadauno di essi tre grosse perle a sedere, sono gaiamente distribuiti
parte in varie Stelle, e parte in altri diversi modi; il tutto è dono del Re
Cattolico Filippo IV.
Ed appiedi una gargantiglia d’oro smaltato bianco, e nero, consistente in 15
pezzi insieme concatenati con 38 perle, 11 delle quali sono fisse ad una per
pezzo, e le altre 27 pendenti: dono di Persona incognita.
NUMERO XVIII
Un Ostensorio d’oro con l’impugnatura, rappresentante S. Francesco d’Assisi,
all’intorno contornato viene da picciole figure di basso rilievo, smaltato a vari
colori, che rappresentano gli Evangelisti, con diversi Angioli, guernito di 109
diamanti, 386 rubini, 11 smeraldi, 2 perle,2 zaffiri, e di una grossa granata
orientale: dono del generale conte Melchiorre Halzfeldt.
Un Calice; e Patena d’oro, guernito di un diamante cedrino,3 tre grossi rubini, e
da altri 16 di minor grossezza, un smeraldo, ed un zaffiro orientale turchino:
dono di un Vescovo Polacco.
Altro Calice che ha la Coppa, e sotto coppa d’oro di getto con sua Patena, con
bassi rilievi, che rappresentano vari Misterj della Passione: dono d’una pia
Persona.
Altro calice, e Patena d’oro con piede di cristallo di monte: dono del Cardinale di
Lorena.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato, traforato, ed ornato di varie pietre: dono
di Persona divota.
Un Cuore d’oro, da una parte nel mezzo vi è intagliata l’Arme, e il Nome del
Duca di Beaurillier, detto S. Agnan, e dall’altra il millesimo, cioè: A. D.
MDCCXII.
NUMERO XIX.
Una Statua d’argento di getto, che rappresenta la Ss, Vergine, col bambino: fù
dono di Ludovico Perochel Senatore della Suprema Curia di Parigi, di peso
libre 21, ed un’oncia.
NUMERO XX.
Un Sopralegivo, un Velo da Calice, due Stole, un Manipolo, due Cuscini da
Altare, e una Coperta da Messale di teletta d’argento a fiori, e fogliami d’oro,
e coralli: pure dono del Principe di Avellino.
Un Martello, e una Cucchiara, parte di getto, e di lastra d’argento, con vari
ornamenti di basso rilievo, che servirono per la Porta Santa della Basilica di
Santa Maria Maggiore nell’Anno del Giubileo 1725, è dono del Cardinale
Pietro Ottoboni.
Bacile grandetondo con suo vaso, e due sottocoppe di grossa lastra d’argento
dorato, e cesellato a varj fogliami, e fiori, con diversi riporti, e castoni d’oro
smaltato giallo, verde, turchino, e bianco; tutto contornato di gioje, cioè 29
diamanti, 99 rubini, 16 smeraldi, e nel mezzo di esso Bacile un grosso zaffiro
turchino orientale: dono del Cardinale Vidoni; ma il vaso, e sottocoppe
esistono al N. XXVIII.
Una Carta di Gloria, con cornice di argento in parte dorato, intarsiata di
lapislazzoli orientali con vari riporti di lastra d’argento lavorata a faccette,
rappresentanti in ciascun dei lati di essa Cornice diverse Immagini, e
Serafini; all’intorno guarnita da grossi topazzi, grosse pietre di color d’acqua
marina, granate, e turchina; al di sopra nel mezzo ha un’Arme che
rappresenta una Croce con lettere ai lati, R; S: N: con testa di S. Gio.
Battista a’ piedi, e 6 Palle, la prima è di lapislazzolo orientale, 4 sono di
granate grezzi, e l’altra appiedi di cristallo faccettato, e tinto rosso; fu donata
dalla Compagnia della Misericordia di Livorno nel 1647.
Un Calice, e Patena d’oro, ornato con teste di Cherubini in basso rilievo, e nel
piede tre statuette rappresentanti la Ss.Vergine assisa sopra la S. Casa, col
Bambino in braccio, S. Giuseppe, e S. Gio. Battista, e sottopiede in lastra
d’oro riportata e intagliata l’Arme di D. Enrica Caraccioli Principessa di
Ardore di cui è dono, di peso di libbre 5, oncia una, e mezza nel 1733.
Un Ostensorio grande d’argento quasi tutto dorato, ed in parte contornato di
lastra d’argento lavorata a fogliami di basso rilievo; contornato di 24 pietre
verdi, e nel mezzo due cristalli grandi di monte, con Angioletti di getto
all’intorno, e due dentro che sostengono la lunetta, ed altri 2 Angioli grandi
appiedi genuflessi, che servono di sostegno: dono dell’Ecc.mo Raniero Zeno
Ambasciadore Venez. nel 1621.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato smaltato a colori varj, contornato di 356
granate sardoniche ligate in oro; dono di pia Persona.
Altro Calice, e Patena d’oro smaltato a più colori, all’intorno guarnito de 35
diamanti di fondo, e 69 rubini: donato dall’Imperatore Ferdinando II.
Una Pisside d’oro intagliata a basso rilievo di singolar lavoro, rappresentante un
Mappamondo con tutta la descrizione del Zodiaco, che posa sopra la testa di
un Angiolo sostenuto in piedi da base di nubi con varie teste di Cherubini; il
tutto di argento di getto dorato: dono di D. Rodrigo Antonio Guimareus della
Città di Porto in Portogallo nel 1791.
Un Ostensorio Ambrosiano di cristal di monte con dentro una lunetta guernita di granate sardoniche, sostenuta da due Angioletti d’argento di getto dorato, e fra
mezzo di essi pende un grosso topazzo obbligato a giorno, ed altro simile
incassato a capo del coperchio; all’intorno è ugualmente ornato di altre
granate quadre sardoniche ligate in argento dorato, con base dello stesso
metallo: dono della duchessa Savelli Romana.
Un Calice, e Patena d’oro con varie figure di alto e basso rilievo. Appiedi di
esso sonovi tre statuette che rappresentano le tre teologali virtù: fu un dono
di Clemente XIII Rezzonico, li lib. 8, onc, 7, e 6 ott.
Una Custodia, ossia Pisside con coperchio di cristal di monte, ligato in oro
smaltato a varj colori, contornato di 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle; ed a capo
un Angioletto d’oro con giglio composto di 5 diamanti: La Coppa poi è di
lapislazzolo orientale, con coperchio in manico d’oro smaltato a colori
diversi, varie figurine smaltate bianche, e festoncini d’intorno, con 4
diamanti, 4 rubini, e 6 perle, con base di diaspro orientale, il cerchio, e li tre
piedi parimenti d’oro smaltato a più colori in forma di Satiretti, similmente
smaltati bianchi, con 4 diamanti, 4 rubini, e 4 perle, e sotto la detta base è
posto in lastra d’oro il seguente motto: Ut quae tuae prole tuae Mundum
beasti == Et Regnum, et Regem prole beate velis == Henricus III Francorum
et Poloniae Rex Christianissimus MDLXXXIV.
Un pezzo di miniera d’argento che al naturale forma un Cagnolino, tal quale è
stato trovato nella miniera: mandato da una Signora del Messico del 1769.
Un Tavolinetto d’argento in parte dorato, il di cui piano viene formato da un
grosso topazzo ligato a giorno, ed un altro di minor grossezza pendente
appiedi; contornato di 27 smeraldi parte all’intorno, e parte a goccia: Dal suo
contorno spunta una rama di argento smaltato verde con 5 smeraldi cadenti
a pioggia sopra un Cocchio tirato da Cavalli, con dentro una figurina, ed altre
picciol d’intorno, il tutto di Corallo: dono di Francesco Pagani Spagnuolo nel
1771.
Una Metà, ossia Fondo di Conchiglia, con 3 perle attaccate, una delle quali è
alquanto grossa: donata dal Nobil Gio. Battista Pecorini Veneziano.
Un gioiello d’oro di getto smaltato a vari colori, con sua catenella ornata di 6
rubini, fatto a mezza luna guernita di 6 smeraldi, due altri grossi a’ lati di
esso, ed altro simile appiedi con 3 grosse perle; nel mezzo voi sonovi 8 otto
rubini, e varie figurine all’intorno di basso rilievo. Altro gioiello d’oro di getto
smaltato a diversi colori, rappresentante la resurrezione con il Salvatore in
mezzo circondato da un arco, in cui sonovi 6 diamanti, 10 rubini, 2 smeraldi,
2 perle a’ lati, ed una appiedi. Un Cappio d’oro smaltato nero, ornato da 4
diamanti, 4 rubini, 4 perle a’ lati, e un rubino basso, ossia giacinto in mezzo.
Altro simile contornato di 8 rubini, 4 perle a’ lati, ed un grosso smeraldo in
mezzo. Un giojello d’oro smaltato a più colori, rappresentante nel mezzo
Gallo ornato di rubini, smeraldi, e perle. Una Pietra a Cameo, con figura che
abbraccia una Croce, contornata di oro smaltato con due figurine, e teste di
Cherubini. Altri quattro piccioli giojelli d’oro smaltato a diversi colori, con
varie gioje. Sedici rosette d’oro di getto smaltato a varj colori tutte guernite di
perle, ed altre 7 con diamanti, e turchino, ed una Lingua d’oro, e sua
catenella dello stesso metallo, con 3 rubini della A. A. R. R. Della gran
arciduchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria: il tutto è suo dono.
Da due catenelle, e festoncino a rosetta d’oro, pende un Drago dello stesso
metallo tutto di getto smaltato a più colori, guernito viene da 32 diamanti, 22
rubini, 28 smeraldi, ed una grossa perla tonda a piedi; dono di un Duca di
Baviera.
Un Nettuno d’oro di getto coronato di frondi smaltate verdì, guernito di diamanti,
col Tridente nella destra, e Scudo d’oro alla sinistra, che ha in mezzo una
grossa perla a sedere, con sopra un diamante, con banda, e manto smaltato
rosso, stando con il ginocchio sinistro sopra una testudine e al di sopra è
formata da una grossa perla ovata a sedere, e il rimanente d’oro smaltato
verde, ed il piede destro fra mezzo a due Delfini che restano al di sotto
similmente d’oro smaltato bianco, ed alquanto rosso, imbrigliati a doppio filo
d’oro con madreperla a’ loro lati, e in testa hanno un diamante per ciascuno:
dono di una Principessa incognita Napolitana del 1717.
Un Vaso, ossia Bronzino d’argento dorato, ornato di 23 intarsiature di
lapislazzoli, con 57 riporti d’oro ingioiellata di 67 rubini; dono del Marchese
Olivares Spagnolo, sopra di esso posa un Pozzo d’oro smaltato a colori vari,
sostenuto da 4 Palle di agata sardonica, nella base resta di Salvatore, col la
Samaritana, all’intorno viene gueernito da amatiste, con l’iscrizione: Mulier
da mihi bibere. Nella bocca di esso sonovi due Colonnette di Corniola, che
sostengono una Corona, con due Secchj di Corniola ligati in oro, contornato
viene ancora da 44 rubini, 12 turchine, e 92 perle; lo donò il cardinal
Brancacci.
Un pezzo d’oro oro rozzo estratto dalle miniere del Brasile: fu donato da un
ambasciatore straordinario di Portogallo nel 1716. Pesa oncie 10 ed
un’ottava.
Una picciola Galera tutta di oro smaltato a più colori, guernita di 10 diamanti
quadri, 2 grossi zaffiri bianchi quadri di fondo, posti l’uno per bandiera, e 6
perle; dono della Principessa Maria Cristina di Mansfele.
Una grossa Pietra ovata di Belzuar, ligata in oro smaltato a vari colori, e
contornata di 12 smeraldi tondi, grezzi: la portò il P. Alfonso Messia al Perù,
di cui è dono.
NUMERO XXI.
Una Collana d’oro composta di 36 pezzi traforati, e smaltati bianchi, in neri,
infilati in giro, i quali sono guerniti di 610 diamanti; donata dall’Elettore di
Colonia il Bavaro.
Altra minor Collana d’oro composta di 36 pezzi smaltati a diversi colori, 19 di
essi sono guerniti di amatiste, e gli altri di rubinetti, frammezzo dati da
perline, e in mezzo vi è un picciolo giojello tondo smaltato, contornato di
amatiste, e rubinetti: dono della Marchesa Negroni Imperiali di Genova.
Un Ordine d’oro smaltato bianco, nero, rosso, con 3 alamari, 2 nastri, o nodi
passanti, una fiamma, e tofone appiedi tutto ornato di gioje, cioè, 386
diamanti, 11 grossi smeraldi, ed altri 131 di minor grossezza, 48 rubini: dono
del Duca di Madalona D, Domenico Caraffa del 1686.
Una Croce d’argento traforato, guernita di 7 grossi smeraldi quadri di color per
effetto ligati in oro, con 40 diamanti quadri brillanti all’intorno; dono del
Cardinale dì Altan Tedesco.
Una fermezza da maniglione d’oro smaltato bianco, nero, verde, con in mezzo
un grosso smeraldo bislungo di perfettissimo colore, ed intorno guernita di
14 diamanti tondi; dono della Duchessa Gaetani Romana del 1774.
Un’anello d’oro smaltato nero con un grosso smeraldo quadro in mezzo, e 3
diamanti per ciascun lato; dono del Cardinale Mellini.
Una Croce d’argento traforato con sua attaccaglia di doppio anello con grosso
filo d’oro, con 7 grossi smeraldi brillantati ligati in oro, e 18 diamanti ligati in
argento parte nei raggi, e parte all’intorno di essa; dono di Monsignor
Francesco Onofrio Hodierna Napolitano nel 1736.
Una Croce d’oro con 6 smeraldi disposti anch’essi in Croce, e contornata di 16
diamanti, dono di Monsignor Paolucci già Vescovo di Ferrara, e il Nunzio
Straordinario di Polonia nel 1698.
Altra Croce d’oro smaltato a varij colori, composta di 9 smeraldi, e 22 diamanti,
3 de’ quali formano i 3 chiodi distribuiti in due bracci, e nel tronco; dono
dell’Ab. Ettore Riccardi Toledano.
Altra croce d’oro di getto smaltato a colori diversi, al disotto una rosetta
punteggiata bianca, con iscrizione: Virgini Lauretanae 1572. Alexander
Riarius. Davanti è guarnita di 6 smeraldi, un rubinetto appiedi di essa
Croce,e 7 perle, 4 delle quali restano fermate ai lati, e 3 pendono ai bracci, e
nel piede.
Una Croce di argento traforato, pendente da un passante fatto a fiore, con un
appio similmente d’argento, il tutto è contornato da 38 diamanti, e 20
smeraldi ligati in oro. Un paio di pendenti d’argento traforato, ornati di
diamanti, e smeraldi, ed un giojello bislungo pur d’argento traforato,
tempestato di smeraldi, e diamanti; il tutto donato dalla Principessa di
Castellaneta nel 1741.
Un’anello d’oro traforato nei lati, con un smeraldo quadro bislungo in mezzo,
attorniato da 12 diamanti brillantati ligati in argento, dono di sua Eccell,
Francesca Filingeri Duchessa di Piselli nel 1763.
Altro anello d’oro, ossia Rosetta traforata nei lati, e nel mezzo ha un grosso
smeraldo ottangolare, contornato da 18 diamanti ligati in argento; dono della
Principessa della Riccia Napolitana del 1774.
Un’Alamaro d’argento con una Rosa in mezzo, tutto guernito di 68 diamanti, e 9
smeraldi: dono del Principe Dietrichstein.
Una Croce d’oro di getto smaltato a colori vari, con 7 smeraldi bislunghi, 2 perle
pendenti ai lati, ed una appiedi. Un’anello con grosso castone d’oro
smaltato, che ha in mezzo un grosso smeraldo: dono di un Duca di Baviera.
Una Croce d’oro ornata di smeraldi: donata dalla Co: Paravicini di Milano nel
1688.
Altra Croce d’oro con pizzetto all’interno smaltato a più colori, ed a capo un
Cappio d’oro traforato, il tutto ornato di 19 smeraldi; dono del Sig. Antonio
Conti di Ferrara.
Altra Croce d’oro contornata di 12 smeraldi: dono di una pia Persona Polacca
Altra Croce d’oro di getto smaltato a varj colori, composta di 7 grossi smeraldi;
dono di un Vescovo Polacco nel 1461.
Finalmente osserva si una grossa croce d’oro di getto smaltato a più colori,
intagliata all’intorno a fogliami con vari uccelli, composta di 8 grossi smeraldi
di Roccavecchia di forme diverse, e al di sopra un’Anello d’oro Episcopale,
con un grosso smeraldo quadro bislungo pur grezzo ligato a giorno; dono del
Card. Sfondrati Milanese Nipote di Gregorio XIV.
NUMERO XXII.
Un’Ostensorio d’argento dorato, guernito all’intorno di 130 diamanti, 14 rubini, e
140 perle; lo donò. Ludovico Mercatelli Priore della Cattedrale di Jesi nel
1737.
Un Calice d’argento dorato con Patena d’oro, all’intorno ornato di castoni, e
fogliami d’oro smaltato a diversi colori, parte di essi e con zaffiri ottangolari
bislunghi orientali, e parte con perle: dono di un Duca di Mantova.
Altro Calice e Patena d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra
d’argento cesellato a fogliami, con 3 Cherubini: dono di benigna Persona.
Due Calici d’argento con Patene dorate: donati da pie Persone.
NUMERO XXIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante la Vergine col Bambino, con
Corona di lastra d’argento in capo, Scettro dello stesso metallo nella destra,
e nella sinistra il Bambino con Diadema in testa, tenendo un Globo del
braccio sinistro, mezza Luna appiedi, ed all’intorno è circondata da raggi
parimenti di lastra d’argento dorato: fù donata dalla Città di Fossombrone nel
1660, di peso libre 19, ed un’oncia.
NUMERO XXIV.
Una lampada con 3 catene, composte ognuna di 5 gigli, e 5 stelle d’oro di
getto, guernito ogni giglio di 5 diamanti, ed i 7 rubini quadri ogni stella, le
quali restano fermate in 3 rami di lastra pur d’oro terminanti ciascuno in una
Stella di più raggi dello stesso metallo di getto, con in mezzo una grossa
perla, i quali disposti a triangolo sostengono, ed abbracciano al di dentro una
Corona Reale con raggi similmente d’oro traforato, smaltato a diversi colori,
e sopra di essa Corona altra simile assai più piccola, che ha dentro un
Lampadino di cristal di monte. Le descritte Corone sono all’intorno
tempestate di preziose gemme, più, e nemmeno grosse, che restano
gaiamente distribuiti in varie foggie, cioè: di 153 diamanti, 110 rubini, 281
perle, 51 smeraldi, 17 o quali, 4 zaffiri,2 granate, e un giacinto orientale.
Sotto puoi le medesime restavi annessa una Colomba d’oro di getto
smaltato bianco, e negli occhi, e piedini smaltata di altri propri rispettivi
colori, nel ne contiene un ramoscello d’olivo smaltato verde, nelle fronti è
ornato di 8 smeraldi disposti a guisa d’olive, e in petto a un grosso smeraldo
quadro bislungo intagliato colle Arme, e di iscrizione del principe D, Camillo
Panfily Donatore, Nipote di Innocenzo X. Pesa libbre 11, e un’oncia.
Un Cerchio d’oro fatto a rosetta contornato di 18 rubini, pendono 3 catene dello
stesso metallo unite ad un Cuore grande aperto di lamina d’oro tutto
tempestato di diamanti, e rubini: dono del Serenissimo Duca Massimiliano
Filippo di Baviera nel 1683.
La veste della S. Immagine di velluto paonazzo, ornata di 16 listre di 4 fiorami a
tutto ricamo di perle tonde picciole, e grosse, di lustrini, filo, e francia d’oro
appiedi: dono della Principessa di Ragozzi di Transilvania.
Palliotto di teletta d’argento turchino tutto tempestato di perle tonde orientali,
picciole, mezzane, grosse, fascette, e mezze lune d’oro di getto smaltato
bianco, ornati tutti di diamanti quadri, e triangolari, e fregio appiedi lavorato a
fogliami similmente di perle tonde di varia grandezza, con rosette, e castoni
d’oro di getto, pur smaltato bianco, guerniti di diamanti: donò I’Infanta di
Spagna, Moglie dell’Arciduca Alberto.
Una corona reale di lastra d’oro cesellata, composta di 8 raggi, 4 maggiori, e 4
minori, al di sopra a un picciolo cerchietto d’oro di lastrina d’oro, contornato
di 12 Stelle dello stesso metallo, all’intorno guernito di rubini, zaffiri bianchi
quadri orientali, e perle donata dal cavaliere Wincislao Brizia di Trevigi nel
1608.
Una Statuetta d’argento rappresentante la Ss.Vergine in piedi, col Bambino
nella sinistra, e lo scettro dorato nella destra, con Corona in testa, e raggi
all’intorno: dono di pia Persona.
Una Fruttiera tutta d’argento di getto traforato, e tirato a rami, e ha foglie in
parte dorato, ornata di 57 pittorine a minio più, e meno picciole ricoperte di
cristallo. Nel mezzo vi è un picciolo Crocefisso, con la B. V. fregiata da un
rubino in testa, e S. Giovanni da un smeraldo, a capo della Croce restavi un
rubino quadro, e 8 diamanti distribuiti in essa. All’intorno viene guernita di 37
smeraldi, e di 37 topazzi quadri; dono della Serenissima Duchessa di
Modena nel 1721.
Una corona reale di lastra d’oro composta di 4 raggi, due maggiori, e 2 minori,
ed all’intorno è contornata di diamanti: dono di Persona benigna.
Altra corona reale d’oro, con 12 raggi, e 6 de’ quali sono maggiori, e gli altri
alquanto minori, guernita di diamanti, smeraldi, e perle, dono di Persona
incognita.
Un Triregno d’argento in parte dorato, smaltato, con cCoce sopra di getto
dorato, ornato di fogliami intagliati, guernito di smeraldi, topazzi bianchi,
amatiste, e granate, e di una picciola Corona di lastra d’argento cesellata,
contornata di varie pietre di colori varj: il tutto è dono della Confraternita di S.
Maria della Purità di Bologna nel 1633.
Una Statuetta d’argento di getto in piedi, rappresentante S, Anatoglia, che ha
nella destra la Palma del Martirio, e nella sinistra, la Pianta della Terra di tal
nome, di cui mostra esser Voto stante la Iscrizione intagliata nel piedistallo
dorato.
Un Bacile ovato d’argento dorato, guarnito di incassi alture di lapislazzoli
orientali, con 48 riporti d’oro traforato, smaltato a colori varj, gioiellati di
rubini, ed altri 8 riporti più piccioli, con un smeraldo per cadauno: dono del
Marchese Olivares Spagnuolo.
Una Corona Reale di grossa lastra d’oro con fascia ornata di 5 castoni pur
d’oro, traforati, e smaltati a più colori, nel castone di mezzo restavi un grosso
rubino in quadro, e negli altri sonovi grossi smeraldi, e zaffiri turchini
orientali: dono di Persona pia.
Altra Corona d’oro smaltato nero composta di 7 raggi, con intagli all’intorno
della fascia, rappresentanti la Natività del Salvatore, con piccioli Cherubini
d’oro di getto ripartiti in giro, nel mezzo ha una grossa granata ottangolare
con iscrizione: Devota Comunitas Recaneti. In ciascuno di detti raggi vi è a
capo un pometto smaltato turchino, e framezzati da 7 Angioletti in piedi
similmente d’oro di getto, in atto di suonare il Violino, ed il settimo raggio ha
una granata quadra bislunga di minor grossezza. Pesa libbra una, oncie 3,
ottava una, e mezza. Appartiene alla suddetta altra minor Corona d’oro
consistente in 3 raggi, ornata intorno di 2 grosse perle, e nel mezzo della
fascia eravi la grossa Spinella la quale rimirasi al numero XXV,
La Machinetta di argento quasi tutto dorato, singolare travaglio che rappresenta
una Lampada, a capo della quale vi è una Corona Reale guarnita di varie
gioje intagliata di 8 raggi, che terminano tutti in un grosso giglio. Detta
Corona viene sostenuta dalle teste di 3 Angioli di getto disposti a triangolo
all’intorno fra le mani di essi, gira una picciola Collana guisa di festoncino
comporta di diversi pezzi a somiglianza di gigli, Corone, e trofei, tempestata
pur di gioje, e da uno dei detti gigli pende una Croce di Malta smaltata in
bianco, con lo spirito S. in mezzo formato di diamanti. I medesimi Angioli
posano sul dorso di tre Leoni di getto dorato giacenti sopra base tonda pure
d’argento dorato, e tra essi Leoni veggonsi disposte tre Armette coronate i
rappresentanti ognuna un Leoncino in piedi. Tutte le suddette gioje più, e
nemmeno grosse che ornano la solo riferita sono: 40 diamanti, 249 smeraldi,
200 rubini, 66 perle, e 4 zaffiri: donata dal Principe Guido Vaìni Gran
Maestro di Malta nel 1702.
Una Corona Reale d’oro composta di 16 raggi traforati, e smaltati bianchi, e
neri, 8 di essi sono maggiori, e li altri assai minori, contornata di 304
diamanti, e 38 rubini. Uno Scettro pur d’oro smaltato bianco, e nero, con 82
diamanti, e 57 rubini; il tutto fù dono di Cristina Alessandra Regina di Svezia
nel 1656.
Un Triregno d’oro smaltato a varj colori. Le 3 corone che il compongono sono
ornate di 392 diamanti, con una picciola corona pur d’oro contornata di 96
diamanti: dono dell’Infante di Savoia.
Due Corone Reali di lastra d’oro, una per l’Immagine della B.V., e l’altra pel
Bambino, contornate vengono da perle tonde, e da 254 diamanti ligati in oro:
dono di Catarina di Brandeburgo Principessa di Transilvania.
Una Corona Reale di lastra d’argento dorato intagliata a fiorami, ed altri varj
lavori, ornata di 42 diamanti, 185 rubini, 56 smeraldi, 128 perle, e 8 topazzi:
la donò il Senatore Ginnori di Firenze.
Altra Corona Reale di lastra d’oro, la maggior parte lavorata a fogliami, e fiori
diversi in ismalto di varj colori, contornata di diamanti, rubini, e perle: donata
da pia Persona.
Sotto la medesima sonovi annessi due fasce o siano Corone d’oro, una
maggiore dell’altra, ornate da diamanti di fondo, smeraldi, rubini, e perle:
donate dalla principessa Ragozzi di Transilvania.
Un Cuore grande d’oro aperto, da un lato del quale vi è il nome di Gesù formato
di 40 grossi diamanti, e dall’altro il nome di Maria, composto di 38 diamanti
più, e nemmeno grosse, all’intorno tempestato di altri 57 diamanti.
Nell’interno stavano 3 miniature in ismalto, rappresentanti da una parte
l’Effigie della B. V. col Bambino in braccio, e dall’altra quella di Enrica Maria
Regina d’Inghilterra moglie di Carlo I, di cui è dono, tenendo nella destra un
Cuore in atto di offerirlo al Bambino Gesù, che presentemente restano negli
esterni di esso cuore. Pesa libbre 3, oncie 3, e 3 ottave,
Un Alamaro, ossia Razionale ornato da quantità di diamanti, e smeraldi, nel
mezzo ha un Pellicano che nutrisce i suoi Polli, con un grosso rubino in
petto, e nei lati di esso fiammeggiano altri 10 piccioli rubini: dono della
Principessa d’Uceda Spagnola nel 1712.
Un picciolo Uffiziolo della B.V. racchiuso in copertina d’oro traforato, smaltato a
basso rilievo di colori diversi da quelle parti, e guernito de 109 diamanti;
dono di un Benefattore Spagnuolo nel 1713.
Un picciolo Cuore d’oro smaltato rosso che ha in mezzo un grosso rubino in
quadro balasso, con 9 diamanti quadri all’intorno ligati in argento; dono
d’incognita Persona.
Un giojello grande d’oro smaltato a più colori, nel mezzo ha un smeraldo grande
in forma di Ape, circondato da 14 perle, al di sopra una Corona con 3
diamanti, e 2 rubini, contornato di 95 smeraldi, e 7 diamanti, ed appiedi un
grosso medaglione pur d’oro, con l’Effigie del Principe D. Masseo Barberini
da una parte, e dall’altra un Sole nascente dal mare, fù dono del detto
Principe.
Una Collana composta di 32 pezzi piani d’oro traforati, elaborati alla Chinese, e
di altri 16 pezzi d’argento traforati a fogliami di basso rilievo, guernita di 303
diamanti piccioli, con Medaglia d’oro ovata appiedi di filograna d’oro, e di un
Semibusto della B. V. d’oro di getto da una parte, e S. Francesco di Sales
dall’altra: fù donata dal Principe Elettorale di Sassonia fratello di D. Maria
Amalia Regina di Napoli, il quale fù in Loreto l’anno 1738.
Un Cuore di lastra d’argento dorato, ornato da 2 palme incrociate, guernite di 24
diamanti, con una Corona che le abbraccia, contornata da 9 diamanti, sotto
di esse vi è una rosetta con un grosso rubino quadro bislungo, e di una
fascia pur d’argento dorato: dono di Pia Persona.
Tre paja di Pendenti d’oro traforato, un pajo guarnito di amatiste, altro pajo di
smeraldi, uno de’ quali grosso appiedi a goccia, e l’altro di cristallo cedrino di
monte, con grossa goccia di simil cristallo: furono donate dal P. Davia della
Compagnia di Gesù.
Un grosso topazzo che credessi orientaleligato in oro: fù donato dal Sig. Conte
Pilza.
Una Croce da petto con suo Cappio d’argento traforato e dorato, contornata da
un grosso diamante quadro di fondo in mezzo, ed altri 14 fra grossi, e piccioli
intorno: dono di Persona incognita.
Un grosso gioiello in forma di Rosa d’oro smaltato rosso, con fronde verdi,
guernito di un grosso rubino nel mezzo, ed altre 56 più, e meno grossi
intorno; dono di benigna Persona.
Un Cuore d’oro aperto smaltato bianco, e nero, ed entrambe le parti tempestato
di varj rubini; dono del Co: Fonsalita Governatore di Milano.
Un giojello tondo d’oro smaltato a diversi colori traforato all’intorno, e nel mezzo
evvi un grosso occhio di Gatto orientale bislungo, contornato di 12 rubini
quadri, 12 diamanti di mezzana grossezza, e smeraldi quadri bislunghi; dono
i un Palatino polacco nel 1499,
Un gioiello grande in forma di Cuore d’arg. dor. al di sopra guernito da 2 Cristalli
di rilievo in foglia rossa, rappresentanti in uno il Salvatore, e nell’altro la Vergine, appiedi altro Cristallo cedrino bislungo ottangolare coronato di 13
diamanti, 12 topazii, 22 turchine di roccavecchia, e 10 granate sardoniche.
Un’anello d’oro contornato di diamanti con grossa turchina; dono della
Principessa di Rosano Napolit.
Un picciolo Quadretto ovato di diaspro orientale dipintovi Sant’Antonio col
Bambino avanti, con cornice d’oro traforato, smaltato bianco, e turchino, con
suo cappio pur d’oro smaltato a più colori, il tutto contornato da 26 rubini
quadri diversi; dono del Marchese Pizzini Napolitano.
Una Croce da Cavalieri di S. Stefano, con in mezzo un grosso topazzo, ornata
di 9 diamanti, 4 granate che formano la detta Croce, con un Ungaro doppio
appiedi, ed una perla a goccia: dono del Principe Piccolomini d’Aragona nel
1720.
Un’Ala, ossia Pennacchio d’oro quasi tutto traforato, smaltato a varj colori,
tempestato dal 108 diamanti: dono di pia Persona.
Un gioiello d’oro traforato a 2 ordini smaltato a più colori, nel mezzo ha una
Colomba volante smaltata bianca, nel ne becco tiene un ramo smaltato
verde, ed è guernito di 7 rubini, e 3 perle pendenti a goccia: dono d’incognita
Persona.
Un Orologio ovato d’oro, con 2 attaccaglie, e chiavetta d’oro intagliato a fiorami,
circondato da 10 diamanti ligati in argento; dono di Persona pia.
Un gioiello pendente da una Corona, d’argento traforato in forma di Cuore
frezzato, che ha nel mezzo una lastrina tonda d’oro smaltato a varj colori,
rappresentante una Croce di S. Giacomo, tutto ornato di diamanti, e
smeraldi diversi, la donò il Marchese di Arigliano nel 1738.
Un Cuore d’oro con fascia d’argento traforata, e fregiata col Nome di Maria, con
31 diamanti sparsi nella fascia e Nome; dono di benigna Persona.
Un’Aquila a 2 teste coronata d’oro di getto, tempestata di 321 perle, e 333
rubini; la donò il Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un Fiore, ossia Ramo con suo fusto d’argento dorato composto di 22 tremolanti
dello stesso metallo, fregiati da 68 diamanti, e 18 perle: lo donò la
Contestabilessa Olimpia Pamphily Colonna nel 1704.
Una Perla bislunga assai grossa ligata in oro smaltato nero, che ha da un lato
Un picciolo Drago d’oro variamente smaltato, col ventre composto di una
grossa perla, con 3 picciole catenelle d’oro da cui pende: dono di pia
Persona.
Un grosso Cameo ovato di agata sardonica orientale, che nel fondo è di color
zaffirino, rappresentante la Dea Pallade ligato in argento, in addietro creduto
Giulio Cesare: la donò la Contessa Anna Catarina di Baviera.
Altro Cameo alquanto minore ovato di pietra sardonica in campo oscuro ligato
in argento dorato, con semibusto a basso rilievo che rappresenta Filippo II
Re delle Spagne; lo donò la Principessa D. Margherita Pio di Savoia nel
1726.
Una Coce d’oro da petto con 38 perle; lo donò il Sig. Antonio Perinetti di
Piacenza.
Due Razionali d’argento dorato con 3 grossi bottoni per ciascuno formati di
perle in giro, e nella sommità di essi restavi una grossa perla; donati, uno dal
Cardinale d’Urbino, e l’altro dal Cardinale del Carpio ambedue Protettori
della S. Casa.
Un vezzo di 31 perle concatenate in altrettante Rosette d’oro smaltato bianco, e
nero; lo donò la Sig. Lanti Veneta.
Un filo di 172 perle tonde formante 2 colli; lo donò un’incognita Persona.
Altro filo di 45 perle orientali, con 2 anelletti d’oro; dono d’occulta Persona.
Altro filo di perle orientali, donato da pia Persona.
Altro filo di 47 perle orientali perfettamente tonde. Un paio di pendenti piccioli
d’argento con un diamante tondo, attaccaglia con diamanti e, e una perla a
goccia; donollo il Cavaliere Antonfrancesco Bojardi Ferrarese nel 1717.
Un vezzo di 2 fili di perle tonde; lo donò del Sig. Filippo Cardirola di Sulmona
nel 1742
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e una a goccia; le donò una
divota Persona del 1749.
Un collo di 5 fili di perle tonde, lo dono del Sig. Agostino Marioni Veronese nel
1710.
Altro collo di 2 fili di 148 perle tonde orientali, con 2 anelletti: lo donò una
benigna Persona.
Altro collo di 62 perle tonde orientali; donollo D. Girolamo de Artegna e Bazza
dell’Indie nel 1704.
Altro collo di 4 fili di perle orientali tonde: lo donò la Contessa Felice Costanza
Giurichini Sentinelli Pesarese nel 1731.
Altro collo di 30 perle orientali: dono del nobile Giorgio Pisani Veneto.
Altro collo di 45 perle tonde orientali: lo donò la Sig. Cecilia Sanguinaccio di
Pesaro nel 1734.
Nastro formato di lastra d’oro tutto ornato di perle, pende da esso un giojello
tondo d’oro traforato, composto a 2 ordini, da una parte a una picciola
immagine della V., dall’altra quella di S. Teresa, contornato di alquante
rosette parimenti di perle: lo donò la Contessa Chiazza Napolitana.
Una grossa perla orientali a goccia ligata in oro, e con picciola Crocetta a capo:
donata da pia Persona.
Due Boccole d’oro con grossa perla nel mezzo, e altra maggiore a goccia;
donolle la Co. Di Verva.
Un vezzo, ossia filo di 55 perle orientali, tutte di conto: lo donò la Co. Pini di
Pisa nel 1765.
Una gioja da petto composta tutta di perle eguali, con alcune più grossa in
lastra d’oro: la donò la Sig. Aloisia Corsi della Città di Penna nel 1760.
Un nastro formato di foglie d’oro con 62 diamanti, e 108 perle orientali tonde;
donollo la Marchesa di Zoffrano.
Altro nastro d’oro traforato al di sopra, tutto ornato di perle a guisa di rosette:
dono del Sig. D. Gio: Errera Consigliere in S. Chiara di Napoli.
Cappio di lastra d’oro smaltato bianco, e nero, tempestato di rubini, e perle:
dono della Sig. Catarina Centoventi.
Un’Alamaro di argento traforato a fogliami di basso rilievo, guarnito di 24
diamanti, con grossa perla bislunga nel mezzo, e 2 altre minori ai lati: dono
della Principessa della Torrella.
Un giojello d’oro smaltato bianco, nero, e rosso, contornato di 5 grosse perle
disposte a guisa di Croce, e nelle parti sonovi 4 grossi diamanti, con altri 12,
più piccioli che fregiano dette perle: lo donò una Persona incognita.
Un picciolo nastro di argento traforato ornato di diamanti, col perla a goccia:
dono d’occulta Persona.
Un collo, ossia Vezzo consistente 35 pezzi d’oro smaltato nero, 17 de’ quali
sono in forma di rosette, con grossa perla a sedere nel mezzo di ciascun
pezzo circondato da 2 ordini di perline tonde, e gli altri sono a guisa di
nastrini, guerniti a seconda dei medesimi predetti pezzi. Un’alamaro ovato
da petto d’oro, tempestato di perle, che formano alquante rosette; donollo la
Sig. Teresa Paolini da Santobuono nel 1711.
Un Fiore di perle fatto a Farfalla, che ornava un cappio di gallone d’oro,
presentato con un Cuore dalle RR Monache di Torre di Specchj di Roma
descritto al N. I.
Otto Fiori di lastra d’oro traforato contornati di perle, in 4 di essi sopra Castone
d’oro sonovi 4 diamanti, e negli altri 4 parimenti sopra egual Castone 4
rubini: dono di pia Persona.
NUMERO XXV
Un’Aquila con 2 teste sotto corona imperiale, e picciolo Tofone appiedi il tutto
d’oro di getto smaltato a più colori, ricoperta di 398 diamanti, 37 de’ quali
sono grossi, con uno assai grande nel mezzo: donolla l’Imperatrice Maria
Madre dell’imperatore Leopoldo I.
Una Collana d’oro traforato e smaltato a diversi colori, composta di 42 pezzi in
piano concatenati con 2 anelletti pure d’oro, di alcuni di essi formati sono a
Cifra, altri a Stella, ed altri a guisa di festoncini, contornata da 21 diamanti, e
21 rubini: dono d’incognita Persona.
Un Centiglio d’oro dal cappello smaltato nero, composto di pezzi 41 traforati e
arabeschi, in ciascun lato di esso vi è un cerchietto pur d’oro, liscio,
contornato tutto di 125 diamanti: dono di un Duca di Baviera.
Una gargantiglia d’oro composta di 35 pezzi, ornata da 373 diamanti: donolla D.
io: battista borghesi Principe di Solmona.
Un’Anello d’oro smaltato nero, con grosso Castone pur d’oro, e in mezzo un
grosso diamante di fondo di peso grani 72: dono del Duca Carlo Doria.
Altro anello d’oro lavorato nel cerchio a basso rilievo, con grosso diamante
brillantato tondo nel mezzo color di paglia, contornato di 36 diamantini
brillanti ligati in argento: dono del Principe D. Girolamo Giustiniani di Roma
nel 1717.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso brillante di acqua perfetta, ornato di
18 brillantini, fù lasciato in dono da Monsig. Giancarlo Molinari morto Nunzio
postolico in Bruxelles nel 1764.
Altro anello d’oro smaltato verde, e turchino, con grosso diamante gruppito
quasi d’acqua cristallina legato in argento; donollo il Co: D. Francesco
Lichstein Canonico della Metropolitana di Salisburgo nel 1746.
Altro anello d’oro variamente smaltato con grosso diamante tondo brillantato di
fondo color paglia: lo donò una benigna Persona.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ornato
da 20 quadri diamantini pur di fondo, con altri 19 simili posti in giro del
cerchio: dono di Casimiro Re di Polonia.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori, traforato nei lati, guernito di un grosso
topazio giallo, orientale ottangolare bislungo: dono del Cardin. Ruspoli nel
1741.
Altro anello d’oro e castone di argento con grosso diamante in mezzo, e 12
minori ne’ 4 lati: donollo il conte Stanislao Potoski Polacco.
Altro anello d’oro fatto a quadrello guarnito di 14 diamanti, con uno grosso nel
mezzo: fu dono d’una Persona pia nel 1748.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con grosso diamante nel mezzo attorniato da
12 piccioli tutti brillantati: dono della Compagnìa del Ss. Sacramento di
Castel S. Pietro di Bologna.
Altro anello d’oro con diamante grosso ligato a giorno: dono di divota Persona.
Altro anello d’oro con diamante quadro di fondo bislungo; dono del Card.
Spinola detto S. Cecilia.
Altro anello d’oro intagliato e traforato nei lati con un grosso diamante brillantato
tondo legato in argento; dono della Sig. Chiara Cauzzi Maggi di Cremona nel 1758.
Altro anello d’oro con un bello, e grosso brillante di acqua perfettissima; dono
del Sig. Co: Ippolito Turconi di Milano nel 1768.
Altro anello d’oro intagliato con un diamante brillantato quadro lig. In argento:
dono di persona incognita nel 1747.
Altro anello d’oro intagliato nei lati con un grosso brillante di fondo di taglio
quasi ovale; dono di occulta Persona.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con grosso diamante tondo
brillantato ligato in argento: dono della Regina di Napoli che fu in Loreto
l’anno 1728.
Altro anello d’oro con in mezzo un ritratto in miniatura contornato di 26
brillantini; dono del conte di Merod marchese di Degniè.
Altro anello d’oro intagliato, con grosso brillante nel mezzo, attorniato da 12
diamantini brillantati, con altro contorno di 13 diamanti brillantati; donollo il
barone D. Giuseppe Cetti da Chieti nel 1788.
Altro anello d’oro smaltato a vari colori con in mezzo un grosso diamante ovato
bislungo, 62 altri diamanti minori triangolari distribuiti per parte: lo donò il
Marchese Mancinfotte di Ancona.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta, ornato di un grosso brillante in mezzo, e
contornato da 12 brillanti: donollo una occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante di taglio ovale ligato in argento; dono
della Sig. Marchesa Silvia Imperiali Negroni di Genova.
Altro anello d’oro a quadriglia con 9 diamanti ligati in argento: lo donò la Sig.
Marianna Bresciani Zanettini nel 1770.
Altro anello d’oro di ismalto bianco, e verde, con un grosso diamante a guisa di
cuore ligato in castone d’oro, attorniato da smalto nero a fogliami di basso
rilievo: dono del Marchese di Vitry.
Altro anello d’oro intagliato, e fatto a Rosetta, che ha in mezzo un rubino quasi
tondo brillantato, col 2 contorni di diamantini brillantati ligati in argento: dono
di D. Marianna Montalto Principessa di Arianella nel 1754.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro orientale bislungo nel mezzo, e 6 diamanti,
3 per lato; dono della Sig. Paola Lercari Spinola Genovese nel 1669.
Altro anello d’oro traforato nei lati, con un rubino in mezzo contornato di 14
brillanti, e 6 più piccioli ripartiti 3 per lato: dono del Sig. Giuseppe Piatti
Veneto nel 1768.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo, ornato di 22 brillanti
ligati in argento: lo donò il Cardinal Serbelloni nel 1776 unito ad una Croce di
6 zaffiri attorniata di 152 brillanti, che osservati indosso alla Ss.Statua già
descritta alla pagina 43.
Altro anello d’oro detto Mariaggie con un grosso rubino, e di un brillante
uniforme, guarnito di 20 diamanti brillantati, al lato del rubino vi è un brillante
mezzano, e all’altro un rubino eguale. Al di sopra esiste una Coroncina con 2
diamanti brillantati, e sotto il detto Mariaggie altro brillante: lo donò la
Marchesa Patrizi Romana del 1773.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ovato nel mezzo, e 18 piccioli diamanti
d’intorno: dono del Card. Pico della Mirandola.
Altro anello d’oro alquanto intagliato con un rubino triangolare in mezzo, ornato
di brillanti: donollo il Cardinal Salviati.
Altro anello d’oro con in mezzo un grosso zaffiro ottangolare bislungo, guernito
di diamanti: lo donò un Duca di Parma.
Altro anello d’oro intagliato, e traforato nei lati con in mezzo un topazio del
Brasile, assomigliante ad un rubino, ligato in oro, circondato da 14 diamanti
brillantati ligati in argento, con questo si distinse M. Amalia Arciduchessa
d’Austria Duchessa di Parma, che fù in Loreto l’anno 1780.
Altro anello d’oro con grosso zaffiro ottangolare nel mezzo e 10 diamanti
all’intorno: lo donò il cardinal Portocarrero.
Altro anello d’oro con un rubino quadro, e 18 all’intorno: dono di Persona
incognita.
Altro anello d’oro con in mezzo un zaffiro, contornato di 14 brillanti: dono di Pia
Persona.
Altro anello d’oro fatto a rosetta, intagliato, e traforato, con in mezzo un grosso
rubino, e 14 diamanti intorno ligati in argento: donollo il Marchese Giacomo
Brignoli di Genova nel 1770.
Altro anello d’oro alquanto intagliato, e traforato nei lati, con in mezzo un grosso
zaffiro ottangolare attorniato da 29 diamantini brillantati ligati in argento:
dono della Marchesa Teresa Cambiasi di Genova nel 1777.
Altro anello d’oro fatto a rosetta con in mezzo un grosso rubino contornato da
13 brillanti: lo donò la Duchessa Maria di Casoli nata Principessa d’Angri
Doria di Napoli nel 1790.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo di color paglia, e 2 piccioli
rubini uno per lato; lo dono un’occulta Persona.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo di peso grani 20: dono
del Sig. Benedetto, e Veronica Coniugi Delfini Veneti.
Altro anello d’oro fatto a Rosetta intagliato, con in mezzo un diamante
brillantato, ornato di 12 diamanti, ed altri 4 piccioli posti 2 per lato, tutti ligati
in argento: donollo il Canonico Quarantotto di Roma nel 1743.
Un vezzo, ossia Collana guernita di 80 diamanti brillantati gradatamente ordinati
d’ambe le parti, e nel mezzo di essa pende una Croce d’argento dorato,
contornata di 24 diamanti quadri pur brillantati: dono della Principessa Pio di
Ferrara.
Una Croce d’oro composta di 5 grossi diamanti bislunghi di fondo, attorniata di
4 diamanti quadri di fondo disposti parte nei raggi, ed alquanti nell’estremità
di detta Croce; donollo il Cardinal Ghigi nel 1654 che fu poi Pontefice
nomato Alessandro VII.
Un giojello d’oro di getto traforato, composto a 2 ordini, il primo forma un Circolo
perfetto smaltato turchino, ornato di 23 diamanti quadri, col suo Cappietto
variamente smaltato, con in mezzo un grosso diamante quadro di fondo, ed
il secondo a guisa di Stella, con 6 piccoli raggi d’oro smaltato rosso, e
guernita di 30 diamanti ripartiti nei raggi; donollo una benigna Persona.
Altro gioiello ligato in argento dorato con 21 diamanti ligati in argento, e nel
mezzo di esso sotto cristallo si vede l’immagine di S. Gio. Nepomuceno in
ismalto; lo donò un Cavaliere Alemanno.
Una Croce di Malta d’oro ornata di 5 brillanti, ed altri 5 minori nell’attaccaglia:
donata dal Commendatore Spada di Bologna nel 1707.
Una grossa spinella quadra bislunga ligata in oro a guisa di giojello in ismalto a
più colori, che esisteva nella corona d’oro già descritta al N, XXIV.
Un’anello d’oro con grosso diamante cedolino quadro nel mezzo, con altri 11
intorno; dono della contessa Susanna Polissena di Martinez, nata Contessa
Dietrichstein.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, ed altri 14 minori intorno:
dono del Sig. Francesco Paravicini.
Altro anello d’oro fatto a spighetta, con 8 diamanti: dono del marchese di
Nulech d’Anversa.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro di fondo: lo donò il Marchese
agrati Milanese.
Altro anello d’oro con grosso diamante quadro: dono della Sig. Maddalena
Pezzi Bolognese.
Altro anello d’oro che ha in mezzo una Rosetta, composta di 4 diamanti quadri
di fondo, e 3 altri più ricciolie’ lati che formano una spighetta: lo donò la Sig.
Angela Salicola Bolognese.
Altro anello d’oro a spighetta con 2 diamanti quadri nel mezzo,4 minori intorno a
triangolo, e 2 altri, uno per lato: donollo Monsignor Arcivescovo Presmiglia
Polacco.
Altro anello d’oro con un diamante in mezzo, e 12 altri intorno: donollo il signor
Silvestro Basis Bergamasco.
Altro anello d’oro con 9 diamanti di fondo, che formano un quadro, essendo
minori quelli all’intorno: lo donò il Marchese Avoli.
Altro anello d’oro che ha in mezzo un grosso diamante tondo gruppito, ed altri 6
minori quelli all’intorno: dono del Duca Moles.
Altro anello d’oro con grosso diamante nel mezzo, e 3 minori per lato; lo donò il
ardinal Altieri.
Altro anello d’oro tutto smaltato a vari colori di basso rilievo, con grosso
diamante quadro di fondo: lo donò l’Ab. Udratico de Grasci Bavarese.
Altro anello d’oro lavorato a basso rilievo, con grosso diamante quadro di fondo
nel mezzo quasi cedrino, ornato nei lati da altri diamanti;donollo il Duca di S.
Pietro.
Altro anello d’oro con diamante di fondo giallo: donollo il Cardinal Sacchetti.
Una Croce d’oro intagliata, e smaltata nero, con 5 grossi diamanti o parti di
fondo color rosa; fu donata dal cardinale Pignatelli, in occasione che
ricevette in Loreto la Berretta Cardinalizia nell’anno 1688 quale innalzato alla
Pontificia Dignità nomossi Innocenzo XII.
NUMERO XXVI
Un Ostensorio d’argento di getto dorato, nei cui raggi sonovi 8 riporti d’oro, 4 in
forma di grossi castoni tondi, uno de’ quali smaltato bianco, e nero, che resta
a capo un grosso smeraldo quadro fascettato, con altri 4 mezzani distribuiti
all’intorno, e 2 altri hanno un grosso rubino grezzo posti uno per lato, nel
quarto puoi che resta appiedi, vi è una grossa amatista ovata. Gli altri 4
riporti sono in forma di Gelsomino con frondi smaltate verdi. Nella Lunetta
vedonsi 2 grossi zaffiri orientali, e al di sopra una picciola Crocetta con
diamanti, il tutto da 106 diamanti tempestato, e 20 rubini quadri mezz. Il
descritto Ostensorio vien sostenuto dalla testa di un Angiolo in piedi, il quale
tiene in ambe le mani elevate 2 grossi smeraldi bislunghi grezzi, avendo
nella cima in il sinistro di essi una picciola Corona reale d’oro ornata di
diamanti, e nel destro un picciolo scettro guarnito pur di diamanti. Al collo, al
petto, e alla cinta restanvi infilate 51 perle tonde, e sotto il collo un bottone
che ha nel mezzo una grossa perla, attorniata da 12 diamanti di fondo. Esso
Angiolo posa sopra una Nube che le serve di base, con in mezzo l’Arme
Reale; donollo M Casimira Regina di Polonia, Moglie di Giovanni III
Un Calice, e Patena di argento dorato, centinato con lastra cesellata a fogliami,
e fiori, con 3 grossi riporti ovati di getto attorno alla Sottocoppa, e 3 altri
simili intorno al piede, tutti smaltati a figure, che rappresentano vari Misteri
della Passione. Detto Calice è guarnito da 45 perle, 24 topazzi gialli, 25
Altro Calice, e Patena d’argento dorato di lastra cesellata a fogliami diversi, e
Angioli che tengono ognuno uno strumento della éassione, con vari riporti
ovati pur d’argento dorato, con dentro molte figure rappresentanti la Cena, il
Salvatore in Croce, i Ss. Martiri, l’Annunziata, la Natività del Signore, e
l’Assunta; lo donò una pia Persona.
Altro Calice d’oro con Patena d’argento dorato, contornato di vari fogliami, e
fioretti a cesello, dono di Persona benigna.
Altro Calice, e Patena d’argento dorato; lo donò un’incognita persona.
NUMERO XXVII.
Un fanciullo in piedi, in atto di correre col suo piedestallo, il tutto d’argento di
grosso oggetto di peso libre 20, e oncie 2: dono della Principessa D. Angiola
Colonna Borghese.
NUMERO XXVIII.
Una veste della S. Immagine di damasco bianco, ricamata a fogliami, fiori d’oro,
e coralli, contornata di Gallone d’oro; donolla il più volte nominato Principe di
Avellino.
Un Vaso di grossa lastra d’argento dorato, con 2 Sottocoppe compagne con
riporti d’oro ornati di varie gioie, accennate al N. XX.
Altro Vaso di lastra d’argento dorato, e cesellato con varie figure, a cui va unito
al Bacile descritto al N. XII
Due vasetti di lastra d’argento ad uso di generazioni ognuno con suoi manichi,
e nodo del piede di getto: donati da divota Persona.
Una Macchina in forma di Gabinetto composta di Ebano con la Pietà figurata
nel mezzo, miniata e chiusa sotto cristallo, ornata di varie statuette
rappresentanti Cherubini, e Angioletti diversi, tenendo ognuno un qualche
Mistero della Passione, con ornamenti intorno d’argento di getto in parte
dorato.Una Croce grande di Ebano filettata di argento con Crocifisso dorato,
titolo, e 4 raggi d’argento di getto traforato, e vari Cherubini dorati. La
suddetta croce viene elevata sopra piedestallo parimenti di ebano, e in cui
sonovi diversi Angioli piccioli, e grandi, ciascuno a vent’uno Stromento della
Passione.Ai lati vi sono due Statuette rappresentanti la Vergine Addolorata
alla destra, e S. Giovanni alla sinistra il tutto dorato.Veggonsi alquanti
Quadretti dipinti significanti S. Veronica, la Flagellazione, la Coronazione di
Spine, e il viaggio del Salvatore a Calvario. Miransi altre due Statuette e gli
Evangelisti S. Giovanni, e S. Luca. La base del piedestallo è guarnita di
diverse tasse alture di lastra d’argento dorato, e di 8 Cherubini. La base
vien’eretta su dorso di 8 Leoni similmente dorati; il tutto è dono di Clemente
VIII.
Un picciolo Quadretto con Cornice di foglia d’argento che contiene scritti a
minutissimo carattere, e ristretti in 4 globi i 4 Passj, e in altri gruppi sono in
mezzo nel Vangelo di S. Giovanni, In principio etc.; lo donò il Sig. Camillo
Comini da Città Ducale.
Altro picciolo Quadretto di grossa lastra d’argento, incastrato in Cornice liscia
d’argento dorato, ha nel mezzo un picciolo Quadretto arabescato con una Crocetta d’oro smaltato a varj colori, guernita di 10 diamanti ligato in oro: dono
fatto da un grande di Transilvania.
Una Pace di argento dorato con guernimenti d’oro, nel di cui Frontispizio sonovi
4 Colonnette smaltate turchino, e arabescate d’oro, tempestata all’intorno di
rubini, e diamanti. Alla cima di essa vi è il Salvatore risuscitato con la
Bandiera in mano ornata pur di rubini con 2 perle a’ lati del Salvatore. Nel
mezzo di detta Pace vi è una Pietà intagliata in diaspora sanguigno con 2
Camei d’agata orientale, incisi in basso rilievo, nel superiore resta vi
l’adorazione de’ Magi, e nell’inferiore il famoso Giudizio di Salomone: fu
donata dal Duca Carlo Emmanuele di Savoia.
Una Croce grande di Malta d’oro: dono del Co: Mario Floriani di Macerata.
Una Croce, con un pajo di Pendenti d’oro, il tutto guernito di rubini; dono di
Antonia Ruggeri, e Domenico suo Marito Cocchiere del Duca di Madalona
nel 1763.
Un Cuor d’oro liscio, con fiamma smaltata rosso a capo della quale sonovi 12
diamantini brillantati, e 3 maggiori appiedi. All’intorno di esso Cuore vi è un
giro di 16 brillanti mezzani, e nel fondo altro maggiore, presentato in dono
dal Cardinal Lanfredini Vescovo d’Osimo nel 1735.
Altro Cuor d’oro con Rosa in mezzo formata da 5 smeraldi, e 12 diamanti. Il giro
del Cuore viene ornato da 4 piccioli smeraldi, e 7 diamanti, e nel Cappio
restanvi 2 diamanti, e 2 smeraldi a’ lati: dono di Persona occulta.
Un grosso topazzo quadro bislungo racchiuso all’intorno in cassa d’argento
dorato, con conchiglia a capo, altra a piedi, ed altre 2 ai lati: dono del Nobil
Gio: Battista Pecorini Veneto nel 1733.
Una Croce d’oro variamente smaltato, contornato da 25 per le, con in mezzo
una Statuetta d’oro rappresentante la Vergine col Bambino in braccio,
attorniata da 4 grossi giacinti, e un altro a piedi in forma di mezza luna, con
una grossa perla, e sotto vi sta un Cameo, ed in fondo vi è un Bambinello
fasciato smaltato bianco, che giace in un Cuscino smaltato rosso: lo donò la
Marchesa Nerli Mantovana.
Altra Croce di cristal di monte con Crocifisso d’oro a più colori smaltato, tutta
guernita di diamanti, e perle: dono della Co: Publei di Montalbano.
Un Triangolo d’oro smaltato a vari colori, rappresentante in bassorilievo la Ss.
Trinità, e la Vergine in atto di essere coronata, ed appiedi di essa 4
Angioletti. In ogni angolo vi è una Virtù, cioè: Fede, Speranza, e Carità,
contornato di 75 granate sardoniche; fu donato da tre baroni boemi,
Ludovica, Martanica, e Slavada, MDCX.
Una giojetta d’oro ornata di diamanti, e rubini da una parte vi è il Nome di Gesù,
e dall’altra l’Effigie di S. Francesco di Paola; la donò D. Vittoria Caraffa
Duchessa di Madalona del 1765.
Una Croce da petto composta di 7 grossi diamanti, e attorniata da 16 minori;
dono della Sig. Ortensia Manfroni Bernini nel 1762.
Un grosso topazzo cedrino ottangolare, con cornice d’oro traforato. Una Breccia
di giacinto ligata in oro con perla appiedi. Un giojello in forma di Cuore con 5
pietre, cioè, un grosso giacinto orientale, un’amatista, un zaffiro, un crisolito,
e nel mezzo un topazzo, con 12 perle ai lati. Altro giojello che ha nel mezzo
un grosso zaffiro in tavola ligato in oro, pendente da 3 catenelle dello stesso
metallo, con 3 perle appiedi. Altro giojello d’oro di getto variamente smaltato,
fatto a guisa di deposito, con 6 grossi diamanti quadri di fondo, 3 rubini,2
pietre rosse, una grossa perla pendente a ppiedi, e 2 altre minori che
restano uno per parte di esso giojello. Altro gioiello d’oro di getto smaltato a
colori più, che ha in mezzo una figura tenente nella destra una Croce pur
d’oro, tempestata di 14 diamanti. Altro giojello d’oro smaltato a colori diversi,
con un grosso zaffiro in mezzo, e 2 Satiri di smalto bianco uno per lato altro
giojello smaltato a vari colori, rappresentante dell’Arca di Noè con 3 figure, e
diversi animali, contornato di diamanti, e rubini. Sonovi altri molti giojelli d’oro
più, e meno grossi, attorniati da varie gioje; il tutto è dono della gran
duchessa di Toscana M. Maddalena d’Austria.
Un giojello ovato d’oro, centinato con doppio anello d’oro a capo. Nel mezzo ha
una Croce di Malta smaltata in bianco, sopra cristallo di monte colorito da
smalto rosso, con arabeschi d’Aquilette d’oro all’intorno, donollo un Cavalier
Tedesco.
NUMERO XXIX.
Un grosso giojello rotondo d’oro smaltato a più colori, nel mezzo viene formato
da diamanti il Nome di Gesù, ornato pur di diamanti, con vari Misteri della
Passione; appiedi di esso una grossa perla a goccia, ed a capo una Collana
d’oro composta di 92 pezzi, contornati di diamanti: donolla il Principe
Ferdinando di Polonia.
Una Collana d’oro smaltato a vari colori, composta di 19 pezzi, parte guererniti
di diamanti, e parte da grosse perle: la donò la Duchessa Cristina di Lorena.
Altra minor collana d’oro composta da 42 pezzi smaltati bianchi, e neri, nel
mezzo pende una stella d’oro composta a 2 ordini di raggi, il tutto per netto
da 129 diamanti; dono del Co: Martiniz, e sua Consorte nel 1537.
Un’Aquila d’oro a 2 teste coronata, tutta tempestata di diamanti: la donò
un’incognita Persona.
Un gioiello fatto a nastro d’oro traforato e smaltato nero, e bianco, guernito di 93
diamanti; lo donò il Milord Petriz Inglese.
Un Cuor d’oro smaltato vermiglio, con grosso diamante nel mezzo;donollo il Co:
Filippo di S. Martino di Aliè di Torino.
Altro cuore d’oro con grosso diamante quadro di fondo ligato a giorno in ambe
le parti: donollo la principessa di Rosano.
Un giojello d’oro smaltato a colori diversi, rappresentante un’Arme smaltata
verde, ornato da 21 diamanti, e 35 rubini: dono della Principessa, Trivulzj
Milanese.
Un Cappio d’oro smaltato nero tempestato di 13 diamanti quadri: dono d’occulta
Persona.
Un giojello grande d’oro traforato composto a 2 ordini a guisa d’Arme coronata,
attorniato da 96 diamanti, 5 de’ quali pendono a gocce: donolla D. Maria
Vargas Spagnuola.
Altro giojello ovato d’oro che ha in mezzo l’Immagine di S. Veronica, contornato
da 30 diamanti; lo donò la Duchessa di Fiano Romana nel 1735.
Una Croce con sua attaccaglia, e catenella d’oro contornata di 9 grossi
diamanti,e 3 grosse perle pendenti: donolla il Duca di Baviera.
Un cuore doppio d’oro liscio, con a capo un grosso diamante; dono del Co;
Enrico e Co: Eleonora di Stratman Tedeschi del 1731.
Un Tofone d’oro con suo nastro, e grosso zaffiro quadro nel mezzo. Altro
Tofone d’oro con suo nastro smaltato rosso, e nero, guernito di 48 diamanti
brillantati; furono donati dal nominato Principe Santacroce.
Una Croce da Cavaliere di Malta in forma di giojello con sua catenella d’oro,
ornata di 34 diamanti: la donò il Co: Silvestro Spada di Terni nel 1721.
Altra Croce contornata di 13 rubini, composta di Castoni d’oro tempestati di 6
grossi diamanti quadri di fondo; dono di Persona benigna.
Un Ufficiziolo d’oro smaltato a basso rilievo a varj colori, con un Cameo grande
di agata zaffirina da una parte, e con una Rosa composta da 9 diamanti
nell’altra, attorniata da 24 rubini, e nell’interno vi è dipinta l’Arme di Lorena,
con il nome della Principessa Enrichetta Donatrice.
Due Fibbie da manigli tempestate da diamanti, e perle; dono della Sig.
Marianna Lanzeoraguoca Polacca.
Una Gamba con sua catenella d’oro, con grosso diamante verso il fine d’essa
ligato in argento attorniato da 30 minori diamanti; donolla il Gen. Susa
Turinese nel 1686.
Un Quadretto ottangolare con cornice d’oro variamente smaltato, e sua
attaccaglia pur d’oro composta di 5 pezzi traforati parimenti diversamente
smaltati, in mezzo vi è scolpito in agata sardonica un Geroglifico da una
parte, e dall’altra l’Immagine della Madonna Ss. Di Loreto dipinta sopra
cristallo: offerto da Persona divota.
Altro Quadretto ottangolare di agata zaffirina orientale, rappresentante in
bassorilievo la Madonna di Loreto, con piccioli raggi all’intorno, fregiati da 36
smeraldini: dono di Madama Margarita Regol Francese.
NUMERO XXX.
Una Croce di lastra d’oro smaltato nero, con suo titolo pur d’oro fregiato da 29
diamanti di fondo, 45 rubini, e 3 chiodi d’oro che hanno per testa un grosso
diamante pur di fondo per ciascuno. Il monticello d’oro smaltato bianco, e
turchino, e alquanto verde, che rappresenta il calvario, ornato di smeraldi, e
zaffiri turchini, e bianchi orientali, crisolite, topazzi, giacinti, granate,
amatiste, turchine di rocca, o quali, corniole, e malachita . Mirasi in prospetto
un antro figurato il Sepolcro guernito di rubini, e da un canto la vergine col
Salvatore morto, d’oro variamente smaltato; offerta dal Barone Ridolfo di
Teustenbac,
Un Calice, e Patena d’argento dorato centinato di lastra cesellata a fogliami, e
teste di Cherubini, con riporti ovati pur d’argento dorato, rappresentanti
ognuno in ismalto un mistero della Passione, con un’Arme appiedi, e questa
Iscrizione:Sigismundus Carolus Comes Barcu Can, Salisburgensis etc.
Altro Calice, e Patena d’argento traforato, e cesellato a fogliami, con Coppa
d’oro guernito di 6 riporti di lastra d’argento smaltati turchini, e neri, che
rappresentano il Salvatore, l’Assunta, l’Annunziata, la Cena, la Madonna di
Loreto, e i 2 Esploratori della terra promessa, caricati d’un grosso grappolo
d’uva;; donollo il Sig. Marco Mensel Tedesco.
NUMERO XXXI.
Una Statua rappresentante la Vergine col Bambino assisa dentro un
Tabernacolo quadro, sostenuto da 4 Colonne, il tutto dorato; donollo una pia
Persona,
Due piccioli Candelieri d’argento; donolli una occulta Persona.
NUMERO XXXII.
Un Masso naturale a guisa di Piramide, nella cui facciata, e nei lati scorgonsi
132 pezzi di smeraldi, 42 de’ quali sono assai grossi, e nella cima una Croce
con Crocifisso d’argento dorato, ornata di piccioli fiori smaltati turchini, con
varie gioje, e perle all’intorno, ed appiedi la genuflessa Immagine di A. M.
Maddalena; dato da D. Antonio Forca viceré di Napoli a nome di Filippo IV,
Re di Spagna.
Altro Masso artefatto parimenti a Piramide, composto a marcassìta, e rena
d’oro, cont. da 26 topazzi bianchi, e 46 grossi pezzi di smer., Ed altri 390
minori. In esso veggonsi 7 cavi in quadro distribuiti intorno, 2 sono nella
parte anteriore, in uno posto al di sopra vi è l’Effigie della Madonna di Loreto,
e nell’altro posto al di sotto l’Arme del Cardin. Ginnali Imolese Donatore,
ambedue a basso rilievo in lastra d’argento,e 5 sono in tavolette di pietra,
con varj misteri dipinti della Passione. S’ammira a capo una Croce eretta da
in un vasetto, e ai lati di esso la V. Addolorata, e S. Giovanni ugualmente
d’argento dorato.
Una Pianeta, Stola, Manipolo, Borsa, Palla, Cuscino, e Copertina del Messale
di ganzo d’argento tessuto a scacchj, ricamato di grossi festoni e fiorami
d’oro, quasi guernito il tutto di perle diverse, con castoni ornati di rubini
riportati sopra in forma di rosette d’oro di getto. Un Palliotto di ganzo
d’argento in parte d’oro, tessuto a scacchj, ricamato a fiorami d’oro che
sembrano Rose distribuite in varie foggie, contornato di lastrina d’oro
traforato. Nel mezzo vi è il Nome di Gesù d’oro di getto, attorniato da 88
rubini, e sotto un Coretto trapassato da tre chiodi d’oro di getto, guernito
guernito di 59 rubinetti, in un lato vi è la Vergine, e nell’altro lì’Angiolo
annunziatore, e sopra lo Spirito S. pur d’oro di getto smaltato bianco,
tempestato da 166 rubini. Tutte le nubi che ivi restano formate sono di
piccioli perle; il tutto è dono della Principessa Catarina Zamoschi Moglie del
Gran Cancelliere di Polonia, e Duchessa d’Ostrog.
NUMERO XXXIII.
Una Collana composta di 15 grossi castoni d’oro variamente smaltato, ornati di
42 diamanti, 82 rubini, e 23 grosse perle. Un’Uffiziolo giojellato di diamanti,
rubini, perle, e 10 piccioli Camei di lavoro greco. Il di dentro è diviso in 3
parti, in una osservasi un Crocifisso d’oro smaltato, con Croce ornata di
smeraldi grezzi, e da altre gioje; nell’altra vi è dipinta la B. V.beata con
cornice d’oro guernita di rubini, e diamanti da un lato, e dall’altro la Natività
del Sig. incisa in lastra d’oro, ove sotto il detto Uffiziolo presentemente si
ammirano, e nella parte ultima vi è l’Immagine di S. Gerolamo pur d’oro
smaltato bianco, attorniato di varie gioje; il tutto è dono del Duca Guglielmo
di Baviera.
Una Croce d’oro traforato, smaltato a colori, composta di 22 diamanti, 17 de’
quali sono grossi bislunghi, con 3 grosse perle pendenti, e un grosso rubino
bislungo appiedi; donolla il Marchese Martinengo di Brescia.
Un giojello, ossia Rosa d’oro composta a 3 ordini in mezzo ha un grosso
diamante, e 14 altri intorno; donollo D. Eleonora Cavaniglia Duchessa di S.
Giovanni.
Altro giojello ovato attorniato da 50 diamanti con uno grosso nel mezzo; lo donò
il Sig. Ferrante Pollea di Piacenza.
Altro giojello d’oro con 7 granate orientali doppie, circondato da diamanti
brillantati, e un Cappietto d’oro smaltato rosso, con grosso diamante
brillantato, e sotto un Tofone di getto d’oro; donollo il Principe Sansevero
Napolitano nel suo ritorno da Vienna nel 1722.
Altro giojello d’oro a più colori smaltato, rappresentante l’Effigie della Vergine
col Bambino in braccio, e 2 Angeli ai lati ornato di 92 diamanti con grossa
perla appiedi; lo donò la Sig. Eleonora Mandrozzi Duchessa di Pulinghera.
Una croce di S. Stefano con 4 granate orientali che formano i 4 raggi, con sopra
una Corona, tutto contornato di brillanti; lasciolla in dono il marchese
Pierantonio Gierini di Firenze nel 1757.
Un giojello grande ovato d’oro traforato a 2 ordini, tempestato di 67 diamanti
con uno grosso nel mezzo; lo donò la Sig. Vittoria Strozzi di Firenze.
Altro giojello d’oro smaltato nero in forma di piume, con diversi fogliami ai lati,
ornato di 43 diamanti, 2 de’ quali sono grossi, ed alla cima un Coretto pur
d’oro smaltato nero; lo donò la Marchesa Giovanna Gonzaga Mantovana.
Altro giojello d’oro smaltato bianco, e nero, composto di 5 pezzi guerniti di
smeraldi: donollo una Dama Tedesca.
Una grossa perla fatta barchetta ligata in oro appesa a 3 catenelle pur d’oro,
con altre 5 perle cadenti al di sotto. Non è meno prodigiosa, che
inestimabile, mentre dalla parte superiore si ammira effiigiata a bassorilievo
la Ss. Vergine di Loreto sopra una nube. Fù trovata, e donata da un
Pescatore, che avea promesso alla Vergine la sua prima pescagione.
Un reliquiario d’oro smaltato a più colori, ornato di rubini, da una parte ha un
cameo in agata di bassorilievo rappresentante S. Gio: Battista, che battezza
il Salvatore al Giordano, e dall’altra è intagliata la Croce con vari Misteri della
Passione, e al di dentro sonovi riposte molte Reliquie: lo donà una Persona
incognita.
Una gargantiglia d’oro con 37 perle a goccia, ed altre 13 ligate in essa, dono
d’occulta Persona.
NUMERO XXXIV.
Una Croce con 2 Candelieri di diaspro di Boemia con Crocifisso, e titolo
d’argento dorato, il tutto guernito da piccioli riporti di lastra d’oro, nodi, e
pometti pur d’oro di getto, smaltato a più colori: dono del Principe, e
Principessa Lichtenstain nel 1484.
NUMERO XXXV.
Un Triregno di lastra d’argento traforata, e intagliata a fiorami in parte dorati;
donollo la Compagnia dei Battilana di Gubbio.
Una Statuetta di argento di getto rappresentante la Vergine in piedi, sopra
piedestallo d’Ebano ornato di teste di Cherubini d’argento di getto dorato,
con Corona in testa, Bambino nella sinistra, e scettro nella destra, donolla il
Sig. Virgilio Groschedel Consigliere dell’Elettore di Baviera nel 1656.
Un Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata; lo dono una benigna
Persona.
NUMERO XXXVI.
Un’Ostensorio ovato assai grande a 4 ordini di lastra d’argento cesellata. Il
primo è tutto a raggi dorati, il 2 a tronchi, e rami d’Albero, il 3 a tronchi, e
rami di Vite, con grappoli di uva, e manipoletti di spiche ligati alle Viti, ed il 4
rappresenta il P. Eterno con sotto lo Spirito S. sfavillante raggi dorati. Nel
mezzo la Madonna di Loreto pur raggiante che ha in petto una Custodia di
cristallo a guisa di cuore, ornata di 5 ricciole Collane composte di pietre di
diversi colori, e di un fregio nel lembo della Veste guarnito di topazzi gialli,
smeraldi, ed altre pietre di vari colori. Ai lati sonovi 2 figure di Personaggi
genuflessi sopra gli predetti manipoli. Il detto Ostensorio viene elevato da un
tronco d’argento di getto, nella cui parte anteriore al di sopra in ismalto a più
colori si vede l’Arme della Principessa di Neoburg, già Duchessa di Parma,
Donatrice nel 1729, e al di sotto d’essa vendesi la città di Parma sostenuta
dall’Italia: in fondo sopra la base altr’effigie di un Vecchio che versa acqua
da un vasetto dorato, rappresentanti del fiume Po, e al lato opposto ergersi
la città di Piacenza. I descritti Personaggi sono il Duca, e Duchessa delle
Città suddette.
Due Rose con rami, e frondi di lastrina d’oro, e nelle cime hanno u zaffiro
turchino ottangolare, ciascuna posta in vaso d’oro: furono donate una da
Gregorio XIII, e l’altra da Clemente VIII.
Un Putto nudo di argento tutto di rilievo, con collana, e smaniglie d’oro
gemmate, che posa sopra un guanciale dello stesso metallo contornato d’un
fregio formato di perle, rubini, smeraldi, e di altre gemme; donollo la Madre
dell’ultimo Duca di Mantova.
Due Vasi d’argento sessagonali istoriati a basso rilievo con doratura intorno.
Ciascuno di essi ha un’alboretto carico di Limoncelli parte dorati, e parte
coloriti verdi, e da balaustre guernite di fiori diversi, e Pavoncelli paonazzi, e
verdi, e molte figurine. Altri 2 Vasi d’argento ognuno de’ quali ha in mezzo
un’alboretto d’aranci con pomi coloriti verdi, con picciola balaustra intorno, e
varie piantine dei fiori colorati. Altri 6 vasi d’argento di lastra cesellata, in
parte dorato, con 4 testine di Cherubini, il tutto fu offerto dal Card. Antonio
Barberini Protettore della S. Casa.
Altri 2 Vasi d’argento in forma ottangolare che hanno in mezzo un alboretto di
Limoncelli, con picciola balaustra intorno, e piantine di varj fiori. Altri 2 poco
più piccioli dello stesso metallo, con alboretto di Cerase, guerniti conforme i
predetti; donolli il Card. Filomarini.
Un Libro latino, ossia Panegirico di lode della S. Casa coperto nero, contornato
di argento dorato; dono del P. Partenio della Compagnia di Gesù.
NUMERO XXXVII.
Una Collana d’oro variamente ismaltato, composta di 20 pezzi con contornati di
103 diamanti, e 40 grosse perle; la donò l’Imperatrice Anna Madre
dell’Imperatore Mattìa.
Un Tofone d’oro pendente da 2 nastri, ornati di 262 diamanti, e 36 rubini. Un
picciolo giojello d’oro traforato, e ismaltato bianco, contornato di 29 diamanti
ligati a giorno, con in mezzo un grosso girasole, ossia opale ovato, e sopra
vi è una Croce di S. Giacomo d’oro ismaltato rosso; dono di D Baldassarre
Mendozza Spagnuolo.
Un’Anello d’oro con grosso giacinto ottangolare; lo donò Monsignor della
Gengha a nel 1762.
Una Croce d’argento dorato, con 5 grossi zaffiri turchini orientali ligati in oro
contornato di diamanti; donolla una pia Persona.
Altra Croce d’oro guernito di 6 amatiste, ornata di diamanti, e 3 perle pendenti;
donolla la Co: Leoni Veneta.
Un giojello grande d’oro fatto a foggia di fiore guernito de 154 diamanti; donollo
la Sig. Paolina Bernardi Veneta.
Altro gioiello grande ovato d’oro composto a 2 ordini tempestato di 131
diamanti; donollo la Co: Galeffi di Boemia.
Altro gioiello fatto a rosa d’oro traforato composto a 5 ordini guernito di 61
diamanti: dono non lo uno di Casa Loretti.
Un Quadretto di lastra d’oro in ismalto di basso rilievo a colori diversi
rappresentante la Ss. Annunziata contornato d’oro traforato in 33 fioretti, di
varia specie, e grandezza; lo donò la Marchesa Colcoquela Aragonese nel
1720.
Un Cuore cesellato di lastra d’oro, con un grosso rubino in mezzo attorniato da
17 diamanti; dono di Monsignor Gaucci d’Ascoli.
Una Croce di Malta con grosso diamante nel mezzo, e 53 minori all’intorno:
dono del Sig. Priore Vaini Romano.
Un ritratto di lastra d’oro incassato in cornice d’oro variamente ismaltato, ornato
di 4 diamanti quadri, e 16 rubini quadri da un lato, e dall’altro sonovi 2 alberi
incrociati col motto, Umanitas, con altri 4 diamanti, e 16 rubini, donollo il
Marchese del Vasto Spagnuolo.
Un’Ordine di S. Giacomo d’oro con suo Cappio dello stesso metallo traforato,
con in mezzo un ovato di smalto turchino nel quale posa una Croce d’oro
ismaltato rosso, il tutto da 32 diamanti, il 95 picciole turchine tempestato;
offerto da un incognito Cavaliere Spagnuolo.
NUMERO XXXVIII.
Una Croce, e piedistallo di Ebano, con Crocifisso d’oro di getto smaltato bianco,
ed ornamenti d’oro con 34 diamanti, 16 smeraldi, 17 rubini, un’amatista, una
granata, 37 perle, e 2 spiche d’oro nel detto piedestallo, con opali, rubini, e
smeraldi in forma di grani; lo donò la Madama Isabella arciduchessa
d’Austria, Duchessa di Mantova.
Un Calice, e Patena d’oro con teste di Cherubini, e varie misteriose figure, con
un’Arme, e questa Iscrizione: Virgini Lauretanae, Joannes Petrus Vulpius
Episcopus Novarensis 1636.
Altro Calice, e Patena d’argento con Coppa dorata. Nel nodo maggiore vi sono
al di dentro a tutto rilievo picciole figure rappresentanti la Natività del
Signore, e sotto questa Iscrizione. Ill.ma D. Marchionissa Victoria de Populis
Donat. Kal. Maji 1664.
Un Quadretto con un Cuor d’oro sopra velluto nero, con Cappio pur d’oro:
donato dall’Ab. Cherrè di Parigi nel 1730.
NUMERO XXXIX.
Una Statuetta d’argento di getto che rappresenta la Vergine in piedi, col
Bambino in braccio, posante sopra un Globo di nubi, e sotto vi è un picciolo
piedestallo di lastra d’argento cesellato con 3 teste di Cherubini parimenti
d’argento di getto. La suddetta, e il piedestallo vengono attorniate da grosso
filo, e lastra d’argento in guisa di fusti, foglie, e fiori di rose. Ai lati del detto
piedestallo sonovi 2 Statuette d’argento, rappresentante S. Domenico alla
destra, e S. Rosa alla sinistra; offerto da occulta Persona.
Una Sottocoppa rotonda di mezzana grandezza, con suo piede il tutto di lastra
d’argento; donolla una pia Persona.
Degno di particolare ammirazione è tutto il soffitto ricoperto di fatti Istorici dal
famoso pennello del celebre Pittore Cristoforo Roncagli detto il Pomarancio.
Dello stesso Autore è il Quadro grande rappresentante un Crocifisso collocato
sull’Altare di Marmo, le Colonne del quale tutti in un pezzo di marmo di
Carrara addimostrano la loro rarità.
Sullo stesso Altare spiccano gli candelieri, carte glorie, e croce di metallo dorato
tempestato di coralli, e di ai lati del medesimo li 2 Torcieri consimili, doni del
Principe d’Avellino.
Il Paliotto d’argento di getto che con li 2 gradini, e basi laterali d’argento ricopre
quotidianamente il detto Altare, è quell’istesso, che nelle maggiori Solennità
serve per l’Altare della Ss. Annunziata. Il detto Paliotto rappresenta in 3
quadri da 4 colonne tramezzati a destra la Nunziata, e a sinistra la
Visitazione, e nel mezzo la S. Casa.
Elevate al piano delle 2 Colonne si vedono le 2 Statue grandi d’argento, una
delle quali del peso di libbre 150 rappresenta la Principessa Adelaide di
Baviera; l’altra del peso di libbre 188, e e mezza, rappresenta il Co: Gio:
Giorgio Clari Barone Boemo di Praga Gran Consigliere di Leopoldo I.
Avanti l’altare dirimpetto alle dette Statue vi sono 2 bellissimi Torcieri grandi
d’argento del peso di libbre 120, donati dal Cardinale Altieri Protettore della
S. Casa, in mezzo alli quali si vede appesa una Lampada d’argento di
egregio lavoro del peso di libbre 25, oncie 4 donata dalla signora Co:
Antonia Breiner d’Harac di Vienna in Austria nell’anno 1769.
A cornu Evangelii del medesimo Altare si conserva in grande Armario il famoso
Quadro d’Altare con cornice dorata in cui si vede al vivo rappresentata dalla
maestra mano di Federico Baroccio la B. V dall’Angelo annunziata.
A cornu Epistolae nell’altro consimile Quadro rappresentante la Natività di M. V.
si ammira l’arte come cui lo perfezionò il rinomato Pittore Annibale Carracci..
A MANO DESTRA DEL TESORO:
NUMERO XL.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; il donò una benigna Persona.
Un Calice, e Coppa dorata, con l’impugnatura, e piede il tutto d’argento di getto
lavorato a basso rilievo, rappresentanti varj misterj della Passione; dono
d’occulta Persona.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata, e Sottocoppa di lastra traforata e
cesellata da grappoli di uva; donollo Monsig. Carlo M. Pianetti Vescovo di
Latina nel 1712.
Due Patene d’argento dorato che appartengono ai suddetti.
NUMERO XLI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Simone con Diadema in testa,
e Sega in mano di peso libre 32 e oncie 6.
NUMERO XLII.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo maggiore, con
Diadema in testa, e Bordone in mano di peso come sopra.
Nei lati della vicina Finestra a mano destra in un Quadro bislungo di mezzana
grandezza con cornice dorata si vede rappresentata dal celebre Carlo Loth
l’Adultera condotta avanti al Signore.
NUMERO XLIII.
Un Reliquiario d’argento cesellato a varj fogliami; dono di pia Persona.
Un Calice d’argento che ha l’impugnatura, e Sottocoppa traforata di getto,
contornato di teste di Cherubini, Angioli con varj Stromenti della Passione, e
Statuette con Iscrizione. D. Isabella Tolfa Doria Duchessa di Evoli 1639.
Una Patena d’argento dorato che va unita al detto Calice.
Altro calice d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata a fogliami, teste
di Cherubini, e Statuette;donollo una incognita Persona Bolognese.
Altro Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a lastra cesellata con grappoli
d’uva; lo donò il Sig. Giuseppe Giardini di Nola nel 1758.
Una Patena d’argento dorato che accompagna il medesimo.
Altro Calice di lastra d’argento cesellata rappresentante vari Cherubini, e diversi
misterj della Passione, con l’Arme intagliata appiedi di Monsig. De Carolis.
Altro calice dorato di lastra d’argento cesellata a fogliami, e teste di cherubini; lo
donò una benigna Persona.
NUMERO XLIV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Giacomo minore con
Diadema in testa, e Bastone in mano, di peso libre 34.
NUMERO XLV.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Andrea con Croce traversa, e
Diadema in testa di peso libre 34, e oncie 6.
NUMERO XLVI.
Due laterali d’argento che vanno uniti al Paliotto già descritto.
Un Semibusto d’argento rappresentante S. Cecilia con Iscrizione al piedestallo.
Georgius e Wisentbaris Cathedralis Nerbipoii Decanus ec. 1727.
Una Croce grande con suo piedestallo d’Ebano con Crocifisso, e ornamenti
d’argento; offerta da Persona divota.
Due Calderuole d’argento, e due Candelieri grandi pur d’argento dorato.
Un incensi d’argento in parte dorato, che nel coperchio forma un Ghiandone
dentro a 3 rami, e fuste di Quercia, lo donò Guidobaldo II della Rovere Duca
d’Urbino.
Una Croce di Ebano, l’anteriore viene ricoperto da diaspro, con sopra un
Crocifisso, e ornamento d’argento.
Vi sono 2 piante di Città d’argento, cioè, la Presidenza di Montalto, e Nancì
Capitale della Lorena con cornice dorata.
MUMERO XLVII.
Una picciola Croce composta di 6 vari pezzi di agata ligata in oro, con fascette
di lastra d’oro, e Crocifisso d’argento di getto dorato con piedestallo
ottangolare ovato, di amatista, e fascia all’intorno d’argento dorato. Due
piccioli Candelieri d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata; donolla
una benigna Persona.
Un Calice d’argento con Coppa dorata con l’impugnatura ed il piede di getto
centinato lavorato a basso rilievo a fogliami, e figure, con Arme, e Iscrizione
intagliata. Domenico Joma Tomacelli Cibo.
Altri 3 Calici d’argento parte di getto, e parte di lastra cesellata con fogliami,
figure, Angioletti, e misterj della Passione, con 5 Patene d’argento dorato
doni tutte d’occulte Persone.
NUMERO XLVIII.
Una Statua d’argento di getto rappresentante S. Tommaso collo Squadro in
mano, e Diadema in testa. Pesa libbre 30, oncie 6.
NUMERO XLIX.
Altra Statua d’argento di getto che rappresenta S. Matteo con Diadema in testa,
Borsa, e Libro in mano, di peso eguale all’altra.
Nei lati della finestra di mezzo a mano sinistra in un quadretto con cornice
dorata si distingue il Pennello dello Sghidone di Parma, che con delicatezza
rappresenta la Natività della B. V.
Il quadretto al lato del medesmo con cornice parimenti dorata addimostra la
Conversione fatta per grazia di Maria SS.ma dell’eretico scrittore Giusto
Lipsio, quale ha voluto che ne apparisca perpetua memoria in una Penna
d’oro fermata nel mezzo d’esso sopra un picciolo ricamo, e nel sotto apposto
seguente distico.
FAUSTE VIRGO PARENS CALAMI; QUAESO; ACCIPE VOTUM
TERRENA UT LINQUENS VERBA SUPREMA FERAT
IUSTI LIPSI ANAOHMA,
In faccia al medemo vi è un Quadretto di marmo di basso rilievo con cornice di
noce ornata di varj riporti di legni dorati, rappresentante la Ss. Annunziata
con Angelo, e Gloria di Serafini donato nell’anno 1703 dal Sig. Giuseppe
Mazzoli di Siena.
NUMERO L.
Un Calice d’argento con Coppa dorata lavorata a cesello con varie teste di
Cherubini di getto; offerto nel 1725 da pia Persona.
Altro Calice d’argento lavorato a fogliami con diversi Cherubini intorno, e
sottopiede v’è l’Iscrizione. D. Margaritae Carelli Viduae, etc Nobilis Anglae.
Una Patena d’argento dorato che appartieni al detto Calice.
Altri 4 Calici d’argento cesellati parte a fogliami, e teste di Cherubini, e parte
con varj misterj della Passione, con 4 Patene d’argento dorato appartenenti
a medesimi; offerti da incognite Persone.
NUMERO LI.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Paolo con Diadema in testa, e
Spada in mano, pesa libbre 42.
NUMERO LII.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Filippo con Dadema in testa, e
con Crocetta in mano, di peso libre 32.
NUMERO LIII.
In questo Credenzone si conserva una parte dei nuovi Argenti fatti per 7 Altari
consistente in 7 Croci, 28 Candelieri grandi, e 14 piccoli, de’ quali se ne darà
a suo tempo un più distinto ragguaglio, allorché saranno terminate le
Carteglorie, Lampade, e Cornucopi, con tutti gli Candelieri per gli altri Altari,
che attualmente si lavorano, e l’altra parte si conserva nel Credenzone al
numero XLVI.
NUMERO LIV.
Un Calice d’argento tutto dorato che ha la Sottocoppa e impugnatura
triangolare, tutto di getto lavorato a basso rilievo con varie figure, festoncini,
Cherubini, Angioletti, e molti Stromenti della Passione; lo donò il Principe, e
Principessa Santobuono Napolitani.
Altro Calice d’argento tutto dorato quasi simile all’altro; fu donato nel 1730 da
occulta Persona.
Altro Calice d’argento tutto dorato, col Sottocoppa di lastra cesellata
rappresentante varj Misterj della Passione, e teste di Cherubini; donollo il
Cardinal Portocarrero.
Altro calice d’argento tutto dorato, e cesellato con molte figure, e semibusti
allusivi al SS. Sagramento; lo donò una Persona benigna.
Altro Calice tutto d’oro, che a là Sottocoppa di lastra traforata, e cesellata a
fogliami, con l’impugnatura parte di getto, e parte di lastra lavorata a
fogliami, e grappoli d’uva; donollo il Cardinale Portocarrero Seniore.
Cinque Patene d’argento dorato, appartenenti ai suddetti Calici.
NUMERO LV.
Una Statua d’argento di getto che rappresenta S. Pietro con Diadema in testa, e Chiavi in mano. Pesa libbre 40.
NUMERO LVI.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Bartolomeo con Diadema in
testa, e Coltello in mano. Pesa libbre 31, oncie 6.
Nel lato sinistro della contigua Finestra si osserva un Quadretto con cornice di
Ebano, ornata di 4 riporti di lastra d’argento traforato, e cesellato a fiorami
con Pitture in pietra negra rappresentante la Madonna di Loreto sopra la S.
Casa portata dagli Angeli, e di al basso un’Ecclesiastico genuflesso, con
appresso S. Francesco, e avanti un Angelo che fuga la morte donato dal
Nobil Uomo Carlo Contarini Veneto.
In faccia al detto Quadretto è il grande attestato della particolare divozione
verso Maria Ss. del Sig. Girolamo Luterio Romano, quali con tutta la sua
Eredità donò il Quadro rappresentante la Natività del Salvatore con la B- V.,
e S. Giuseppe opera stupenda di Raffaele d’Urbino.
Sotto il detto Quadro evvi un quadretto con cristallo, e cornice intagliata, e
dorata, quale rappresentando la B. V. con il Bambino giacente palesa il
merito di Claudio Ridolfi detto il Veronese.
NUMERO LVII.
Una Croce di Busso con moltissime figurine intagliate, rappresentanti il
Testamento nuovo, e il vecchio; la donò il Cardinale Gio: Francesco Albani
nel 1697, che fu poi Pontefice sotto il Nome di Clemente XI.
Altra minor Croce di Busso di egual travaglio; la donò D. Bartol. Nigri di Castel
Casale Mag. Nel 1610.
Una Noce di Cocco di Spagna divisa in 2 parti, in una parte al di dentro è
lavorata in tagli rappresentante il presepio con molte figurine, e nell’altra
l’Adorazione dei Magi, conservata in una Scattola tonda ricoperta di corame
negro; la donò la Sig. Anna Maria Sembrini Maceratese.
Un Quadretto che rappresenta la Ss. Annunziata di lastra d’argento in parte
dorato sopra velluto rosso con cornice nera, contornata di varj riporti
d’argento; donollo un’incognita Persona.
Altro quadretto con cornice nera, che contiene scritti a minutissimo carattere il
Parter noster, Credo, Te Deum ec. E le altre orazioni talmente disposte, che
formano un Crocifisso; lo donò il P. Vincenzo da Mercartello Provinciale de’
Cappuccini della Marca.
Altro picciolo Quadretto di Ebano rappresentante il P. Eterno, lo Spirito S., il
Nome di Gesù, 6 Santi, e la B. V. Nel mezzo; lo donò una Persona occulta.
Sonovi anche diverse Scattole con dentro pezzi d’oro, d’argento, varie gioje, e
moltissime altre cose.
NUMERO LVIII.
Una statua d’argento di getto rappresentante S. Taddeo con diadema in testa, e
Picca in mano. Pesa libbre 31, e oncie 6.
NUMERO LIX.
Altra Statua d’argento di getto rappresentante S. Giovanni con Siadema in
testa, e Calice in mano. Pesa libbre 34, e 6 oncie.
NUMERO LX.
Una Risurrezione d’argento consistente 4 figure di getto rappresentanti il
Salvatore, e 3 Soldati atterriti intorno al Sepolcro di lastra d’argento, con
diversi pezzi di cristallo, e base pur di lastra con l’Arme di getto della
Principessa Olimpia Ludovisi di peso libre 15 meno un’ oncia.
NUMERO LXI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno; donollo il nominato
Principe d’Avellino.
Due vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXII.
Altro Ramo di Fiori d’argento ornato di coralli, con suo vaso, pur dono del
Principe d’Avellino Napolit.
Due Ampolline d’argento ai lati.
NUMERO LXIII.
Un Giardinetto d’argento ornato di ambra, granate, e cristal di monte. Nel
mezzo scorgesi una Fontana circondata da 4 colonnette di lastra, e 4
Alboretti di getto, con fogliami di lastra, dalle quali innalzarsi un pergolato di
viti il tutto d’argento. Il medemo è contornato da balaustrate, su cui miransi
alquanti uccelli, e Scimmiette, e nel piano in un lato il Giardiniero con Zappa
in spalla, e di una Donna con Vaso in mano, e nell’altro altra Donna che
tiene in capo una Canestra, ed un Fanciullo per la mano; offerto nel 1700
dalla Co: di Lemos Spagnuola.
Ai lati d’esso nel piano sonovi 2 Rame di Fiori d’argento coi loro vasi, ornate di
coralli; le donò il Principe d’Avellino.
NUMERO LXIV.
Una Statua di lastra d’argento cesellata rappresentante S. Paterniano
pontificalmente vestito, che tiene in ampie le mani la Città di Fano, da cui fu
donata. Nel braccio sinistro resta appoggiato il Pastorale pur d’argento. La
medema posa sopra piedestallo dorato, con in mezzo l’Arme della detta
Città, e un Cherubino per lato.
Due Candelieri grandi triangolari d’argento dorato, in ogni lato e di lastra
cesellata d’oro sopra lapislazzoli si vede uno dei Misteri della Passione;
donolli la Casa Borghese.
NUMERO LXV.
Un’Incensiere, e Navicella d’oro con 4 catene dello stesso metallo, il tutto
lavorato a ramoscelli, ghiande, e frondi di quercia; donollo Francesco M. U.
della Rovere Duca d’Urbino. Pesa 9 lib., e 6 oncie.
Una Crocetta d’Ebano, incastrata in lastra d’oro con Crocifisso di getto d’oro
smaltato a varj colori. Due Candelieri compagni alla descritta Croce, ornato il
tutto di granate sardoniche grezze, e pezzi quadri di cristal di Monte; dono
del Cardin. Andrea d’Austria.
NUMERO LXVI.
Un Ramo di Fiori d’argento con suo vaso, e coralli intorno, offerto dal Principe
d’Avellino.
Due Vasetti d’argento con manichi.
NUMERO LXVII.
Altro Ramo dei Fiori d’argento guernito di coralli con suo vaso, parimenti dono
del Principe d’Avellino.
Due Ampolline d’argento ai lati.
Sopra la Porta del Tesoro da una catenella d’argento resta appesa una
Sciabola con l’impugnatura, e fodero di lastra d’argento dorato, con riporti di
verde antico, ornato di 128 smeraldi, e rubini, 167 turchine, con tracolla, e
passamano d’oro, con 2 fibbie, e attacca glia d’argento dorato con 12
turchine: donata dal Principe Giuseppe Landgravio d’Hassia Darmstade nel
1720.
Nello stesso sito di pure pendente una Galera, Timone, 32 Banchi, 2 Antenne,
fiamma picciola d’argento, 28 remi con punte d’oro, caicchio a pompa, 2
Cannoncini pur d’argento di getto, con altre 3 fiamme, e Bandiera a poppa di
lastra d’oro; offerta da Ferdinando I, Gran-Duca di Toscana nel 1592.
Degna parimenti di osservazione è la generosità del Canonico Raffaelli di
Cingoli quale con 15 quadri fra grandi, e piccioli di varj eccellenti Pittori,
ornati di cornici dorate, e intagliate ha decorato la Sagrestia del Tesoro, e
primieramente il Quadro grande sopra il Lavamano di marmo, che
rappresenta la Scuola della B. V. è opera di Guido Reno; Del Baroccio è il
S. Francesco sopra il Genuflessorio a mano destra, e del Calot il famoso
Quadro ricoperto con cristallo sotto il medemo rappresentante lì quattro
Novissimi.
Il Quadro in alto vicino alla porta della Chiesa rappresentante la Deposizione
del Redentore dalla Croce è opera del Tintoretto, l’altro nel mezzo nella
stessa linea del Bastanese, ed il terzo di Andrea del Sarto.
La Madonna sotto il Quadro della Deposizione di Giacomo Parmegianino, il
Quadretto in rame di Benvenuto Garofolo, e la Madonna vicina alla Porta del
Tesoro di un Scolaro di Raffaele.
Il Quadro grande fralle due finestre rappresentante il Salvatore condotto a Pilato
di Gherardo della notte, ed il S. Girolamo sotto il medemo di Claudio
Veronese, ed essendo varia circa gli altri 4 quadri l’opinione de’ Pittori si
tralascia di asserirne il preciso Autore.
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D E S C R I Z I O N E
Delle Poste per diverse Parti a miglia italiane.
Da Loreto a Roma
Loreto città Recanati città m. 5
Sambucheto m. 5
Macerata città m. 7
Tolentino città m.10
Valcinarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenove m. 9
Foligno città m.10
Le Vene m. 8
Spoleto città m. 9
Strettura m. 9
Terni città m. 9
Narni città m 7
Otricoli m.10
Borghetto m. 7
Civita castellana m. 5
Rignano m. 8
Castelnuovo castello m. 7
Malborghetto m. 7
Prima Porta m. 4
ROMA m. 8
___________
Miglia 172
Da Roma a Napoli
Torre a mezza via m. 9
Marino terra m. 6
Velletri città m.10
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Terracina città m. 9
Fondi città m. 8
Itri castello m. 8
Mola borgo m. 9
Garigliano osteria m. 6
Si passa il fiume in barca.
Sessa città m. 8
Torre francolisse m. 8
Capua città m. 7
Avversa città m. 8
Napoli città m. 6
_________
miglia 136
Da Loreto ad Assisi
Recanati città m. 5
Macerata città m. 13
Tolentino città m. 10
Valcimarra m. 7
Ponte della Trave m. 7
Muccia castello m. 7
Serravalle borgo m. 7
Casenuove osteria m. 9
Foligno città m.10
Assisi città m. 8
_______
miglia 83
Da Assisi a Firenze
Perugia città m .10
Torretta. Osteria m. 9
Corsaja borgo m. 9
Castiglione aretino m. 8
Bastardo osteria m. 7
Ponte a Levar borgo m. 7
Fiughine osteria m. 8
Freghi osteria m. 9
Firenze città m. 8
_______
miglia 75
Da Bologna a Milano per Cremona
Samoggia osteria m, 10
Modena città m. 10
Bonporto m. 8
S. Martino m. 7
Concordia m. 8
S. Benedetto m. 8
Cisterna castello m. 6
Sermoneta terra m. 6
Casenuove osteria m. 8
Piperno città m. 7
Badìa osteria m. 9
Mantova città m. 6
Castelluccio m. 7
Avoltoi m. 17
S. Giac. della Pieve m. 9
Cremona città m. 8
Pizzighettone m. 12
Zorlesco m. 10
Lodi città m. 10
Marignano castello m. 10
Milano città m. 10
________
miglia 150
Da Milano a Torino
Rosa villa m. 20
Bufalora villa m. 10
Novara città m. 16
Vercelli città m. 15
S. Germano villa m. 10
Torino città m. 10
________
miglia 81
Da Loreto a Venezia
Siloro m. 6
Ancona città m. 10
Fiumicino osteria m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 17
Cattolica osreria m. 10
Rimini città m. 15
Savignano castello m. 19
Cesena città m. 10
Forlì città m. 13
Faenza città m. 10
Lugo castello m. 12
Bastìa m. 12
Argenta m. 3
S. Nicolò m. 10
Ferrara città m. 10
Si passa il Po
Francolino m. 5
Passo di Rosati m. 7
Rovigo città m. 6
Boara m. 2
Solesina osteria m. 8
Monselice castello m. 15
Battaglia m. 3
Padova città m. 7
Lizzasusina m. 10
Venezia m. 5
________
miglia 240
Da Venezia a Udine
Mestre m. 6
Trevigi città m. 10
Lovadina m. 10
Si passa il Piave
Conegliano m. 5
Sacile m. 10
Fontana fredda m. 4
Pordenon m. 7
Valvason m. 8
Gradisca vdi sedian m. 5
Panchianis m. 3
Bressan m. 3
Udine città m. 5
_______
miglia 75
Da Loreto a Bologna
Camerano castello m, 8
Ancona m. 9
Case bruciate m. 10
Sinigaglia m. 10
Fano m. 15
Pesaro m. 6
Cattolica castello m. 10
Rimini m. 10
Savignano castello m. 10
Cesena m. 10
Forlimpopoli m. 8
Forlì m. 5
Faenza m. 10
Imola m. 10
Castel S. Pietro m. 12
Bologna m. 8
__________
Miglia 151
Da Genova a Milano
Pontedecimo borgo m. 7
Borgo m. 8
Isola borgo m. 4
Arquà castello m. 10
Portella osteria m. 10
Tortona città m. 8
Voghera castello m. 10
Bastìa osteria m. 8
Pavia città m. 8
Binasco m. 10
Milano m. 10
________
miglia 93
-.
Da Milano a Trento per Brescia
Cascinabianca ost. m. 7
Martinengo villa m. 22
Coccai villa m. 10
Brescia città m. 10
Ponte di S. Marco m. 10
Castelnuovo m. 9
Valderini osterìa m. 10
Vonborgo m. 10
Rovere castello m. 10
Trento città m. 10
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬______
Miglia 108
+-.+-.+-.+-.+-.
I N D I C E DELLE COSE NOTABILI NEL PRESENTE LIBRO
Cap, I Della Città di Loreto, e sua regione Pag. 2
II S. Casa di Loreto, e suo antico culto 3
III Traslazione della S. Casa 5
IV S. Casa, e sue vestigie 8
V S. Casa riconosciuta nella Marca 13
VI Del Tempio Loretano 16
VII Facciata del Tempio 19
VIII Porte del Tempio 21
IX Interno del Tempio 23
X Ornamenti del Tempio 25
XI Ornamenti esteriori della S. Casa 29
XII Struttura de’ Marmi attorno le S. Mura 32
XIII Degli ornamenti interiori della S. Casa 37
nella parte del S. Camino
XIV Ornamentidella S. Statua 41
XV Ornamento del resto della S. Casa 44
XVI Indulgenze, e Privilegi conceduti alla S. Casa 47
XVII La S. Casa divinamente conservata 52
XVIII Delle Cappellanìe, e Messe, che si celebrano
nella S. Casa, coi nomi dei loro Fondatori. 57
Esatto Catalogo de’ più qualificati Doni che si conservano