IMMACOLATA CONCEZIONE LA PIU’ AMATA LA PIU’ CHE AMA LA PIU’ AMABILE

IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA (Lc.1,26-38)

“TI SALUTO, O PIENA DI GRAZIA”

La festa dell’Immacolata ricorda che l’azione salvifica per l’umanità, iniziata da Dio nell’Antico Testamento, giunge ormai al suo compimento: Gesù Messia, Gesù Figlio di Dio.

Gesù, Figlio di Dio come uomo entra nella storia degli uomini per mezzo di Maria. Egli, per l’azione creatrice di Dio, inizia la Sua vita terrena nel seno purissimo di Maria. Tutto avviene secondo la profezia d’Isaia (Is. 7,14).

La santità di Gesù ha origine da Dio. Egli è Figlio di Dio nato dalla Vergine MariaLa Vergine risponde con totale docilità alla proposta dell’Angelo e accoglie nel suo seno Colui che è la Benedizione di tutta l’umanità.

Maria accetta… è capace di vibrare in sintonia con la Parola che continuamente crea e rinnova l’universo; diventa così collaboratrice di Dio nel comunicare vita all’umanità” (A. Maggi).

“Sarà la Madre del figlio di YhwhL’ignota ragazza di Nazareth che nessuno, neanche tra i vicini, conosceva, sarà proclamata beata da tutte le generazioni“. “La donna, che non può neanche osare toccare la Bibbia, accoglierà dentro di sé la Parola di Dio fatta carne.

La donna, che non può rivolgersi al sacerdote, né tanto meno toccarlo, sarà madre del Santo dei Santi.

Il Dio, che mai ha rivolto la parola ad una donna, la chiamerà immà (mamma)” (A.Maggi).

“Il Signore è con te”.

Il Signore è vicino a Maria per proteggerla. Maria è la nuova Eva. Con la prima Eva l’umanità sperimenta quanto è grande la fragilità della condizione umana per il peccato. Con Maria l’umanità è segnata dalla grazia e l’uomo diventa una creatura nuova per essere simile al Figlio suo.

“Avvenga di me secondo la tua parola”.

Maria si affida completamente a Dio e Iddio realizza in lei ciò che umanamente è impossibile.

Anche il cristiano è una persona scelta, chiamata a rispondere con gioia e con amore al progetto di Dio.

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Blasi Mario evangelizza l’avvento domenica quarta anno B Luca 1,26ss

IV DOMENICA DI AVVENTO (Lc 1,26-38)

“NON TEMERE, MARIA, PERCHE’ HAI TROVATO GRAZIA PRESSO DIO. CONCEPIRAI UN FIGLIO, LO DARAI ALLA LUCE, LO CHIAMERAI GESU'”.

“Non temere” è il verbo che indica la svolta della vita. E’ l’inizio di una nuova missione. E’ il verbo anche dello stupore del cuore per la grandezza e la bellezza di Dio che fa scelte impensate.

“La proposta di Gabriele non è stata altro che la conferma di ciò che da sempre Maria aveva intuito e mai saputo esprimere. L’attesa risposta a quelle profonde esigenze di pienezza di vita che aveva sentito dentro di sé e a quella sete di eterno che Dio aveva posto nel suo cuore… La Vergine di Nazaret, in profonda sintonia con Dio -che fa nuove tutte le cose- risponde al richiamo della vita che vuole sbocciare” (A.Maggi). Gesù è la vita che sboccia nel seno di Maria. E’ l’Emmanuele, Dio con noi. Egli è la presenza di Dio nella storia. E’ il Dio fatto uomo che libera l’uomo dal male e lo salva. E’ l’amore di Dio, che, se accolto, trasforma la vita.

“Eccomi, sono la serva del Signore,

avvenga di me quello che hai detto”.

Maria si affida completamente a Dio e inizia per lei una vita nuova. Non percepisce subito la profondità della chiamata, ma si abbandona generosamente alle esigenze del piano di Dio che vuol salvare l’umanità. Sa che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (S.Paolo).

Il volere di Dio è sempre il bene dell’uomo. E’ volontà di Dio che l’uomo cresca nella vita in modo completo.

“Gesù afferma: Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compia la sua opera (Gv. 4,34)… L’alimento di Gesù consiste nel realizzare il disegno del Padre, lavorando a favore dell’uomo. La metafora “mangiare” significa per Gesù la sua identificazione con il Padre, come fonte di vita. La sua missione è espressione di una comunione profonda e di un vincolo di amore. Io sono nel Padre e il Padre è in me (Gv. 14,11), afferma Gesù, per indicare che dalla totale identificazione con il Padre, nasce la sua assoluta fedeltà al progetto che Dio ha sull’umanità, poiché l’obiettivo di entrambi è identico: comunicare vita all’uomo” (A.Maggi).

Ogni cristiano adempia la volontà di Dio con serenità di spirito.

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AVVENTO TERZA DOMENICA CON IL PARROCO BLASI MARIO VANGELO GIOVANNI 1, 6sss

III DOMENICA DI AVVENTO (Gv 1,6-8.19-28)

“EGLI NON ERA LA LUCE, MA DOVEVA RENDERE TESTIMONIANZA ALLA LUCE”

La terza domenica di Avvento presenta Giovanni Battista, il testimone della Luce: Gesù. Egli è il messaggero inviato da Dio per preparare il popolo ebreo ad accogliere il Messia. Ha il compito di indicare la luce vera.

Egli si trova nel deserto, “luogo sterile e disabitato, separato dalla civiltà e dalla vita sociale”, ma “simbolo della fedeltà d’Israele a Dio”. Esorta tutti perché abbiano a credere al Messia per mezzo di lui. Tutti si devono convertire per accogliere il Messia.

“L’intera società è responsabile dell’ingiustizia che esiste in essa e che deve emendare. Il Signore che viene potrà raggiungere il Suo obiettivo se gli ascoltatori rispondono alla chiamata di colui che grida: “preparate il cammino del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. La salvezza non è compito solo di Dio né tanto meno del messaggero, ma tutti devono mettere la loro parte” (J. Mateos/ F. Camacho).

Giovanni Battista va al di là del Giordano per preparare il popolo “fuori delle strutture sociali sia politiche che religiose” del suo tempo. Egli chiama tutti al Battesimo di penitenza; immerge nell’acqua tutti coloro che si riconoscono peccatori e vogliono cambiare vita.

Il passato peccaminoso deve essere seppellito per iniziare una vita diversa. Dio perdona, ma il Suo perdono passa attraverso il fratello. “Non c’è amicizia con Dio, senza amicizia con l’uomo”. Chi opprime il fratello con le ingiustizie non ottiene il perdono da Dio.

“Preparate la via del Signore”.

Il profeta esorta a cambiare vita per accogliere il Signore. Si accoglie il Signore quando il Suo Amore entra dentro di noi.

L’amore di Dio accolto crea l’uomo nuovo che porta il cambiamento nella società. L’amore di Dio va accolto e ridonato. L’amore di Dio accolto nel cuore rende lieta la vita. State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi… Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni specie di male” (1^ Tessalonicesi).

 

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AVVENTO PRIMA DOMENICA CON IL PARROCO BLASI MARIO ANNO B Marco13,33ss

I DOMENICA DI AVVENTO (Mc 13, 33ss)

“VEGLIATE DUNQUE, POICHE’ NON SAPETE QUANDO IL PADRONE DI CASA RITORNERA, SE ALLA SERA, O A MEZZANOTTE, O AL CANTO DEL GALLO, O AL MATTINO, PERCHE’ NON GIUNGA ALL’IMPROVVISO TROVANDOVI ADDORMENTATI”

Il padrone parte per un lungo viaggio ed affida ai suoi servi la cura della casa. Grande è la fiducia che egli ha dei suoi servi.

La casa rappresenta il mondo, la creazione che Dio ha messo nelle mani dell’uomo; rappresenta anche la Chiesa. Dio ha grande fiducia negli uomini; ogni uomo è chiamato a svolgere il suo compito, e lo deve realizzare con amore, con onestà e competenza.

Sorprende una cosa: il padrone ritorna sempre di notte, e mai di giorno; eppure nei tempi antichi viaggiare di notte era pericoloso.

La notte rappresenta la storia dell’uomo. E’ una storia segnata dal dolore, dalle ingiustizie, dalla violenza, dall’odio, dal terrore e dalle tragedie; è una storia dolorosa, intrisa di male e di peccato. Con la venuta di Gesù questa storia è illuminata da una luce particolare. Con la Sua morte e la Sua resurrezione Egli redime tutte e quattro le veglie della notte: la sera, la notte, il canto del gallo e l’alba.

Alla sera, nell’ultima cena, dimostra il Suo amore donandosi come pane che dona la Vita.

Nella notte, nell’orto degli ulivi, tradito da un discepolo, rivela il Suo amore a chi, nel cuore, desidera guadagnare anche a danno dell’amico. Per trenta denari Giuda tradisce il Maestro.

Al canto del gallo, Pietro, per paura, rinnega il Maestro; Gesù, però, con uno sguardo, lo redime.

All’alba Pilato condanna a morte Gesù, ma all’alba Gesù risorge; vince la morte per tutti.

La storia dell’uomo ormai è segnata dalla croce e dalla resurrezione di Gesù. E’ segnata dal Suo amore che guida e sostiene, e dona la Vita ad ogni uomo. L’uomo è chiamato ad accogliere questa vita nel cuore.

“Vegliate”

E’ vigilante colui che realizza la propria vita secondo l’insegnamento di Gesù. E’ vigilante colui che è solidale con chi vive nel momento della difficoltà. Nell’orto degli ulivi Gesù chiede ai discepoli di vegliare con Lui, cioè di essere solidali con Lui in quel momento supremo della vita.

Il cristiano sia sempre solidale con tutti.

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OTTAVIO DE ANGELIS sacerdote della Diocesi di Fermo esemplare educatore docente cristiano caritatevole

OTTAVIO DE ANGELIS SACERDOTE, MAESTRO DI VITA E DI CULTURA
di Emilio Tassi

Tra le più significative figure di ecclesiastici dell’arcidiocesi di Fermo, vissuti tra la fine dell’Ottocento e le metà del Novecento, certamente merita di essere considerato con particolare attenzione don Ottavio De Angelis, sacerdote esemplare, emerito insegnante, difensore strenuo degli emigranti italiani in Argentina, appassionato sostenitore della dignità dell’uomo.1

Nella prima metà del secolo scorso l’intensa attività nei vari campi della vita ecclesiale e sociale di un nutrito gruppo di sacerdoti fermani si è sviluppata tra il 1890 e il 1940, durante il governo episcopale dei suoi quattro arcivescovi: il card. Amilcare Malagola, mons. Roberto Papiri, mons. Carlo Castelli, mons. Ercole Attuoni.

Fu il card. Malagola (1877-1895) colui che intuì per primo la necessità e l’urgenza di avviare un processo di aggiornamento, sulla scorta del magistero di Leone XIII, per mettere la Chiesa fermana al passo con i tempi nuovi e con le nuove esigenze.

La prima sua preoccupazione fu quella di preparare il clero ai gravi compiti dei tempi nuovi e realizzò tale progetto con un deciso rinnovamento degli studi seminaristici e con un serio aggiornamento del clero. Non meno solerte fu la sua azione sul piano sociale: promosse tra i primi l’associazionismo del laicato cattolico, spianando il campo alla formazione del Movimento Cattolico nell’arcidiocesi di Fermo e favorì in tali gruppi una seria formazione religiosa e sociale.

Le numerose iniziative si svilupparono ulteriormente e si moltiplicarono durante il governo episcopale di mons. Roberto Papiri (1895-1906) e nel lungo periodo dell’episcopato di mons. Carlo Castelli (1906-1933), nei primi anni del quale esplose il caso Murri che rappresentò un momento di crisi, ma non di arresto, dal momento che le attività delle aggregazioni laicale e religiose ripresero, anche se con modalità diverse dopo il 1913.

Sulla figura di don Ottavio De Angelis poco è stato scritto e forse in maniera riduttiva; il contributo più centrato, ma in forma succinta, quasi a mo’ di scheda biografica, è quello offerto da mons. Rolando Di Mattia.4 Gli dedica invece solo un cenno don Tarcisio Chiurchiù, che si limita soltanto a sottolinearne l’amicizia con Romolo Murri e lo qualifica, a nostro avviso con una eccessiva semplificazione, “un modernista fermano sconosciuto”.5

Sempre in chiave modernistica ne parla don Lorenzo Bedeschi, il quale si limita a sottolineare l’interesse verso il De Angelis come traduttore di alcuni scritti del Tyrrel.6

Gli ha dedicato la sua tesi di laurea, discussa presso l’Università di Urbino nell’anno accademico 1970-71, Alberto Massei, il quale, pur convinto del modernismo del De Angelis, sulla scorta del prof. Bedeschi che ne è stato relatore, amplia alquanto il proprio discorso, prendendo in esame altri aspetti della personalità del sacerdote fermano. Quanto poi all’asserito modernismo non esibisce convincenti documenti e testimonianze che attestino l’effettiva partecipazione al movimento modernista. E’ invece apprezzabile il fatto che l’autore riporti in appendice alcune let­tere del De Angelis dalle quali al massimo si può desumere l’amicizia e la simpatia per il Murri, specialmente durante le tristi vicende che portarono alla sua condanna, ma non il coinvolgimento né diretto né indiretto al modernismo. E’ lodevole anche il fatto che il Massei abbia riportato in appendice la fotocopia di un manoscritto inedito del De Angelis che, se esaminato attentamente, potrebbe risultare utile ad evidenziare il pensiero e la sensibilità del nostro in relazione alla difficile situazione vissuta dagli emigranti italiani in Argentina all’inizio del Novecento nonché la spiccata sua sensibilità per i problemi sociali.7

Da quanto detto, si può facilmente arguire quanto siano riduttivi e unilaterali i contributi offerti dalla maggior parte degli studiosi citati.

Rappresenta invece una lodevole eccezione il breve saggio elaborato da mons. Di Mattia; che, fondandosi sui vivissimi ricordi personali di alunno che dal 1928 al 1933 lo ha avuto come insegnante di lettere classiche e di letteratura italiana, riesce a delineare i tratti essenziali del De Angelis, offrendo il quadro completo, seppur troppo sintetico, della sua personalità di insegnante, di uomo di alta cultura e di sacerdote.

Il presente articolo non ha certo la pretesa di ricostruire in maniera esaustiva la figura del sacerdote fermano, ma vuole offrire l’individuazione di alcune piste ed indicazioni, in base alle quali poter elaborare una motivata e completa analisi che metta in luce le qualità, i meriti e la com­plessa spiritualità di don Ottavio De Angelis e di illustrare in particolare le sue doti di insegnante e di sacerdote sensibile ai problemi sociali dei lavoratori e dei poveri.

La Biografia.

Ottavio De Angelis nacque a Carassai, provincia di Ascoli Piceno, diocesi di Fermo, il 16 giugno 1876 da Basilio e da Maria Utrek; era il quattordicesimo figlio nato da quel matrimonio e l’ottavo dei figli viventi. La madre morì a 38 anni, quando Ottavio aveva appena sei anni; eppure il ricordo della mamma rimase in lui vivissimo, come è dimostrato dal fatto che egli siglerà con lo pseudonimo di Mario Utrek due suoi importanti manoscritti, rimasti inediti.

Il padre Basilio in una lettera indirizzata all’arcivescovo di Fermo card. Amilcare Malagola e datata 27 ottobre 1886, chiese di poter inviare al seminario di Montalto il figlio Ottavio, onde poter iniziare gli studi, ricevendone il consenso. Forse due anni dopo lo ritroviamo alunno nel Seminario di Fermo, dove resterà fino alla fine degli studi ecclesiastici.

Nel 1899 fu ordinato diacono da mons. Roberto Papiri; nel maggio dello stesso anno mons. Antonio Sabatucci, nominato Internunzio Apostolico in Argentina,9 lo richiese a mons. Papiri e lo scelse come suo segretario particolare. Fu così che il giovane Ottavio, ancora diacono, partì per Buenos Aires; durante la traversata, fu da mons. Sabatucci ordinato Sacerdote il 14 maggio 1900.

Quello che egli scrisse nell’immaginetta ricordo della sua ordinazione, ci consente di comprendere lo spirito della sua scelta vocazionale: Quoniam pater meus et mater mea dereliquerunt me, Dominus autem assumpsit me [Mi ha preso con sé il Signore, giacché mio padre e mia madre mi lasciarono], quasi volesse dire che la morte dei genitori fosse stato il segno che la propria vita dovesse essere dedicata totalmente a Dio.

La sua permanenza in Argentina durò soltanto poco più di due anni, fino al febbraio 1902. L’esperienza però fatta in quella terra, popolata da emigrati italiani, segnerà la sua vita e gli permetterà di affinare la sua sensibilità per i problemi della giustizia sociale.

Nel periodo trascorso in Nunziatura, accanto all’internunzio mons. Sabatucci, don Ottavio, oltre a svolgere i compiti che a lui venivano imposti dal suo ufficio, esercitò il suo ministero sacerdotale nella chiesa del S. Rosario dei P.P. Redentoristi in Buenos Aires. Tre documenti ci attestano dell’impegno profuso nel suo lavoro e la sua specchiata condotta morale: il primo è una dichiarazione rilasciata dal P. Rettore dei Redentoristi, il secondo è l’attestato rilasciato da mons. Sabatucci, il terzo è la lettera testimoniale dell’Arcivescovo di Buenos Aires, mons. Mariano Antonio Espinosa.10

Al suo ritorno in Italia, mons. Papiri lo destinò, nel 1905, cappellano a Monte San Giusto, dove nel 1909 ottenne la nomina a Canonico di quella Collegiata.

Tra il 1902 e il 1905 appena ritornato in patria e in attesa di una destinazione, egli si dedicò ad approfondire i suoi studi classici, che non abbandonerà mai, mantenendo stretti contatti di amicizia con gli Scolopi di Firenze. Apprendiamo da una lettera datata 16 novembre 1906 che lo Scolopio padre Giovanni Mantica, rettore del Convitto “Alle Querce”, di Firenze chiese all’Arcivescovo mons. Castelli di mettere a sua disposizione il De Angelis per servirsene come insegnante presso l’Istituto da lui diretto; il permesso fu concesso a firma del Cancelliere di Curia mons. Antonio Rocchetti. Tutto ciò ci fa pensare che don Ottavio fosse particolarmente stimato negli ambienti colti di Firenze. Un altro documento ci attesta che don Ottavio si dedicava alla predicazione anche fuori i confini della propria diocesi: infatti l’arcivescovo Castelli il 16 novembre 1908 gli concede di assentarsi dalla diocesi per tutta la Quaresima 1909 per ragioni di predicazione.11

Il risultato dei suoi studi è ben visibile, se si esaminano le pubblicazioni che molti anni più tardi vedranno la luce: “Nuovo metodo di esporre la morfologia greca elementare”; “Sintassi greca elementare”; “Esercizi greci relativi alla grammatica”; “Esercizi di sintassi e di stilistica latina ad uso dei ginnasi e licei”; “Morfologia latina in tre volumi”.12

Don Ottavio De Angelis seguì con interesse e a volte con simpatia il movimento murriano; sulla sua posizione nei confronti del murrismo crediamo sia necessario un adeguato approfondimento, che noi proporremo più avanti.

Nel 1915 l’Arcivescovo lo trasferì da Monte San Giusto a Fermo, destinandolo a svolgere il compito di cappellano curato nella parrocchia di S. Lucia, la più vasta ed importante parrocchia della Città. Aumentavano quindi i suoi impegni pastorali, ma non si interrompeva il lavoro di ap­profondimento dei suoi studi classici.

Nel 1928 l’arcivescovo Castelli gli affidò l’insegnamento di Lettere e Letterature classiche nel liceo-ginnasio del Seminario, che egli tenne fino al 1940, allorché fu nominato professore delle stesse discipline nel liceo classico statale della Città. Nel 1929 venne annoverato al Capitolo Me­tropolitano come Canonico.

Nel 1946 fu colpito da trombosi meningea che lo costrinse ad abbandonare la sua attività. Affrontò e resse la sua malattia con la consueta, virile e cristiana serenità fino alla morte che lo colse il 1 giugno 1961, festa del Corpus Domini.

Il Maestro

Don Ottavio ha sempre rifiutato di essere chiamato “professore”; preferiva essere chiamato “maestro”, poiché diceva che questo termine connotava un impegno molto più vero perché comprendeva sia la funzione di insegnare le discipline scolastiche sia quello ben più importante di insegnare la vita.

La sua formazione linguistica e letteraria, iniziata con molta serietà fin dagli anni del seminario, era proseguita, grazie ad un diuturno studio personale e ai contatti con il gruppo di amici fiorentini e toscani, dopo il suo ritorno dall’Argentina dal 1903 al 1926. Proprio nel 1926 infatti vedeva la luce, per i tipi dell’editore Carabba di Lanciano, un volume dal titolo Nuovo modo di esporre la morfologia greca elementare; l’anno successivo veniva pubblicato il testo Corso di esercizi greci, relativi alla grammatica, con un facile e rapido Corso per apprendere i vocaboli greci, in appendice; nel 1928, anno in cui iniziò l’insegnamento nel Seminario, editò un altro testo Sintassi greca elementare e guida per tradurre dal greco.

Sulla novità del metodo didattico adottato dal De Angelis appare decisiva la testimonianza di un suo alunno, poi docente lui stesso, Di Mattia Rolando;13 così egli scrive: “Il suo metodo di insegnamento era veramente nuovo e il professore ci riempì di meraviglia quando, alla prima lezione, affermò che la grammatica non serviva, o serviva a poco; osservava che noi avevamo imparato a parlare l’italiano senza conoscere la grammatica la quale, magari, ci sarebbe stata utile più tardi per prendere chiara coscienza della lingua; e che importante era conoscere i vocaboli che ci avrebbero permesso, se non di parlare, almeno di leggere gli autori greci, comprendendo il senso dei testi; e che il tutto sarebbe stato più facile di quanto noi potevamo immaginare”.14

Il metodo era certamente rivoluzionario e certamente nasceva da una consapevolezza, frutto di intenso studio e di esperienza.

L’apprendimento dei vocaboli, punto di partenza del suo nuovo metodo di insegnamento (così come appare dal volume Esercizi greci…), presentava 150 radici di vocaboli portatrici di concetti fondamentali: attorno ognuna di esse si snodava una bella sfilza di 20-25 vocaboli che di quel concetto davano le articolazioni e le sfumature; vi erano poi i prefissi e i suffissi che arricchivano il patrimonio lessicale e il processo di gradazione vocalica lo incrementava ancora con il passaggio dal significato originario ad uno affine.

Nel giro di pochi mesi gli alunni erano in grado di acquisire la conoscenza di circa 1500/2000 vocaboli e potevano districarsi nella lettura di brevi brani di narrativa e via via di testi più complicati.

Contemporaneamente l’insegnante supportava la conoscenza del lessico con graduali e opportune lezioni di grammatica e di sintassi, tratte sempre dalle strutture dei testi letterari conosciuti. Osserva ancora mons. Di Mattia “chi ha voluto, al termine del corso liceale, era in grado non solo di tradurre, ma di “leggere” correntemente poeti e prosatori greci, bisognoso del vocabolario soltanto quando si trattava di entrare nelle peculiarità linguistiche e nelle sfumature di pensiero dei vari Autori”.

Lo stesso metodo egli adottò nell’insegnamento del latino, se possibile con una cura più raffinata. Parallelamente al lavoro di apprendimento linguistico, il professore affrontava con altrettanto impegno didattico il lavoro di analisi della letteratura.

        Attingiamo ancora ai ricordi e alla testimonianza del Di Mattia: “Noi abbiamo seguito i corsi triennali delle tre letterature (don Ottavio insegnò anche Letteratura italiana nei tre anni di liceo n.d.r.) svolte da lui con il predetto metodo di studio. Gli innumerevoli autori, radiografati dal nostro professore, con le loro vicende e i loro scritti, hanno contribuito largamente a farci scoprire ed analizzare i molteplici aspetti della vita umana privata e pubblica: dall’angoscia del dubbio ad una granitica visione di fede, dalle tenerezze dell’amore al sorriso scettico e beffardo, dal desiderio di solitudine alla passione politica e civile”.

Questa testimonianza ci permette di cogliere sia il metodo didattico che lo spessore dell’insegnamento del docente De Angelis. Egli era convinto che lo studio letterario non si dovesse e non si potesse ridurre a sapere, per ciascun Autore, dove nacque, quando visse, cosa fece, cosa scrisse; era necessario invece cogliere con intelligenza e vagliare criticamente il messaggio umano dell’autore, la sua visione della vita e dell’uomo, l’influenza esercitata nella generale evoluzione della mentalità e del costume; il tutto per riuscire a vivere il proprio tempo con la chiara coscienza della ricchezza di motivi, problemi, prospettive in esso maturati per l’apporto di quegli Autori e di quelle culture.

Questi criteri di fondo sono illustrati nella Lettera prefazione didattica indirizzata ai cari giovani, datata Fermo 1956; questo testo fa da introduzione al suo lavoro Idee generali e quadro della Letteratura Italiana, edito postumo dai suoi appunti raccolti dal nipote. Si tratta di un voluminoso fascicolo che contiene appunti, giudizi, utili per una pubblicazione.17

Naturalmente il professore aveva i suoi autori preferiti e li presentava con entusiasmo, usando immagini vive che erano come squarci di luce su paesaggi meravigliosi e reconditi; erano autori diversi per indole, tematiche, tempi e ambienti culturali; la passione per essi rivelava la multiforme ricchezza spirituale del Maestro: impossibile non citare Orazio. Il professore condivideva e commentava con gusto i ricchi e saggi consigli della Epistula ad Pisones de arte poetica, circa la composizione e condivideva il sorriso ironico, lo sguardo disincantato del poeta, la sua aurea mediocritas, segno di equilibrio superiore che guarda le cose dall’alto e le governa.

Che poi il Maestro percepisse profondamente l’elemento drammatico della vita, lo rivela la sua passione per Giovanni Pascoli. Anzi egli aveva stabilito un rapporto epistolare con la sorella del poeta Mariù. Del Pascoli il Nostro apprezzava il senso della natura e del mistero, ma apprezzava soprattutto la dolorante nostalgia di un bene perduto e ormai irraggiungibile a causa di un duro destino che sembra non consentire all’uomo di conseguire le mete che l’insaziabile suo desiderio di conoscere continua a proporgli. E’ il Pascoli de I Poemi conviviali.

Tuttavia il suo “Autore” era Dante Alighieri; il “poema sacro” per il Maestro era /’universo, non un universo, quello medievale. Nell’arco dei tre anni di liceo egli faceva leggere interamente i cento canti della Commedia, li presentava e non pochi li leggeva personalmente con una lettura appassionata. Non si può tacere infine che il professore allargava agli alunni gli orizzonti dello spirito, mettendoli dinanzi alla grandiosità e alla potenza della visione unitaria che Dante ha della vita, del mondo e della storia e aprendoli alla comprensione sapida della terza Cantica.

Mons. Di Mattia così conclude la sua testimonianza sull’attività didattica del De Angelis: “Abbiamo capito tutto? abbiamo capito tutti? Non lo so”, ma una cosa è certa: la nostra vita diventava a poco, a poco più serena.

 

Il Sacerdote

La sua vita sacerdotale fu segnata in maniera decisiva nei primi tre anni (1900-1903) dall’esperienza fatta in Argentina al seguito del Nunzio Apostolico mons. Sabatucci. I tre anni trascorsi in Nunziatura acuirono in lui la sensibilità per i problemi sociali e in particolare per la difficile situazione degli immigrati; e tale sensibilità lo accompagnerà per tutta la vita.

Tornato in Italia, esercitando, tra il 1905 e il 1925, il ministero pastorale in due importanti parrocchie della diocesi, a Monte San Giusto e a S. Lucia a Fermo, oltre agli impegni pastorali nelle due parrocchie spesso faticosi, egli si dedicò all’approfondimento dei suoi studi letterari. Come abbiamo notato, era in una costante corrispondenza con il gruppo fiorentino dei Padri Scolopi, che rappresentavano un importante polo culturale. In considerazione della sua vasta cultura l’arcivescovo mons. Castelli gli affidò l’insegnamento delle lingue e letterature classiche e della Letteratura italiana nel liceo del Seminario.

Quale fosse lo spirito che animava don Ottavio nella sua attività di insegnante- maestro, si può dedurre chiaramente da alcune osservazioni annotate nei suoi appunti; “Autori e critici accreditati riconoscono come il fattore spirituale cristiano, innestato sul classicismo, è elemento efficacissimo in un’opera d’arte. I surrogati spirituali di questo o di quell’autore sono mutuati dalle esigenze di un ’anima “naturaliter christiana”, cristiana in potenza”. Queste parole fanno intuire, senza ombra di dubbio, con quale occhio egli guardasse alle letterature classiche. Le sue lezioni pertanto non erano frutto di entusiasmo di un letterato colto e raffinato, ma erano contributi sostanziosi di un sacerdote che mirava all’educazione sia dei giovani orientati al Sacerdozio sia degli altri che alla sua scuola potevano apprendere a vivere, con dignità, da uomini.

Al medesimo intento educativo, ispirato dal suo zelo sacerdotale, mirava una sua inedita e intelligente iniziativa: egli introdusse uno speciale corso di letteratura cristiana antica latina e greca nell’ultimo anno di liceo, corso che il professore elaborò di persona per i seminaristi che erano sul punto di iniziare il corso degli studi teologici. Si tratta di un vero e proprio corso di letteratura, ma egli intendeva con esso far penetrare nella visione e nella prospettazione che della fede cristiana avevano dato catecheti e apologisti, storici e teologi, oratori e poeti. E anche in questo campo le preferenze e le interessanti sottolineature del Maestro venivano evidenziate: il vigore apologetico di Tertulliano, la delicatezza di Prudenzio, l’oratoria di S. Giovanni Crisostomo e soprattutto le appassionate analisi interiori nelle Confessiones e la poderosa visione della storia nel De Civitate Dei. C’era, come è evidente, nello zelo sacerdotale del professore un’ansia di modernità che avvinceva i giovani seminaristi, anche se suscitava qualche perplessità in altre componenti tradizionali del Seminario.

Il De Angelis peraltro si era interessato al problema della formazione ecclesiastica dei seminaristi fin da giovane prete: è del gennaio 1904 una lettera indirizzata al don Romolo Murri in cui segnala un opuscolo scritto da mons. Le Camus, e che egli aveva tradotto dal francese, proprio su questo argomento. Il De Angelis chiede al Murri un suo parere sull’opportunità di darla alle stampe. Il Murri lo incoraggia a farlo ed eventualmente si impegna, nei limiti del possibile, di provvedere personalmente a farlo.19

Nel 1908 ritorna sull’argomento in un opuscolo nel quale tratta della religione come mezzo di educazione individuale in vista del miglioramento sociale, cioè anche come strumento per la formazione del sacerdote in vista della sua attività pastorale.

Il presunto modernismo o murrismo di don Ottavio De Angelis

Il problema del murrismo, o peggio del modernismo di don Ottavio non può essere affrontato in maniera superficiale, fondandosi sul “si dice”, ma attenendosi ai documenti.

Crediamo che si debba partire dalla sensibilità, evidenziata dal Nostro fin dagli anni giovanili, per i temi sociali e per l’ideale di giustizia sociale. Ve lo spingevano il suo temperamento esuberante, unito alla intelligenza della situazione sociale e seguiva le molteplici attività del Movimento Cattolico allora fiorente in diocesi sotto la guida di illuminati sacerdoti come mons. Artesi, mons. Curi, mons. Cipriani, don Domenico Fontevecchia e tanti altri.

Questa sensibilità si intensificò e si chiarì con il soggiorno in Argentina, dove il De Angelis poté conoscere direttamente e concretamente le misere condizioni dei nostri immigrati.

Il Massei pubblica in appendice della sua tesi di laurea la fotocopia di due trattazioni manoscritte redatte dal giovane sacerdote con lo pseudonimo Mario Utrek. La prima di esse è dedicata Agli operai italiani della Repubblica Argentina e reca il titolo La simpatia dell’operaio: i due garofani. Il garofano nella mente dello scrittore assume un significato simbolico: il garofano bianco vuol significare lo stato democratico, propugnato dal Movimento cattolico promosso dalla “Rerum Novarum” del sommo pontefice Leone XIII”, difeso dalla Democrazia cristiana di Romolo Murri come condizione della dignità del lavoratore, mentre il garofano rosso diventa il simbolo dello stato socialista totalitario.

Il secondo manoscritto, dedicato Al mio povero padre, ha per titolo Operai, chi vi ridusse alla strada? Organizzatevi! La trattazione sviluppa tre temi: a) Operaio, leggi attentamente e vedrai chi ti fece venire schiavo per la seconda volta; b) Che cosa insegnano i sacerdoti di Gesù Cristo, il Papa, la Chiesa sulla condizione dei lavoratori? c) a chi devi ubbidire e cosa devi fare, se vuoi rimediare ai mali tuoi?~ Buenos Aires 28 ottobre 1901. Mario Utrek.

E’ evidente che Ottavio De Angelis, durante gli anni degli studi di teologia, aveva seguito con interesse e simpatia le tematiche che si dibattevano in ambiente cattolico in seguito alla pubblicazione dell’Enciclica leonina Rerum Novarum e simpatizzava con del Movimento cattolico che don Murri animava anche nella diocesi di Fermo. Murri pensava che questo compito spettasse alla Chiesa; don Ottavio propugnò anche e soprattutto l’organizzazione degli operai. Egli vi contribuì non come combattente di linea ideologica, ma con la riflessione concreta, con gli scritti e con l’azione educativa dei giovani che furono alla sua scuola. Non cerchiamo il murrismo e il modernismo nel Nostro perché il lui tutto è soltanto qui, in questa ansia cristiana, concreta, di giustizia, di libertà e di riscatto degli oppressi. Non fece sue le deviazioni ideologiche. Non c’è alcuna traccia nei documenti della sua partecipazione e del suo personale coinvolgimento nel movimento murriano, specialmente a partire dal 1907. Ne fa fede un breve testo scritto di suo pugno nel 1952, forse come appunto per un ricordino funebre: Alla scuola di Leone XIII, conseguito il sacerdozio missione sociale, sdegnò carriera diplomatica e pinguissima prioria. Disilluso deviazioni moderniste, accettò insegnamento liceo, ove fu apprezzato maestro. Colpito nel 1946 da trombosi meningea, riaccese l’anima al primiero ideale di un sacerdozio missionario. E’ questa una chiara e diretta testimonianza della chiarezza della sua posizione autenticamente cristiana rispetto alle vicende murriane.

Oltre a questa dichiarazione, vi sono altri elementi documentali che aiutano a definire il preteso modernismo del Nostro.

.a. Non esiste alcun documento né alcun cenno nelle carte conservate nell’Archivio diocesano dal quale si possa ipotizzare il coinvolgimento del De Angelis nella vicenda ideologica murriana: non esiste nella corrispondenza tra lui e la Curia, non esiste nei diari dell’arcivescovo Castelli. Sempre visse la sua presenza sinceramente cristiana.

.b. Tra il 2005 e il 2006 sono stati pubblicati tre ponderosi volumi dall’Archivio Segreto Vaticano a cura del Prefetto mons. Pagano e dell’archivista dott. Dieguez nei quali vengono riportati tutti i documenti della “Segreteriola” papale di Pio X. E il nome di don Ottavio De Angelis non compare mai, segno evidente che egli non venne mai segnalato come murriano e tanto meno come modernista22.

.c. Nella copiosa corrispondenza intercorsa tra S. Pio X e l’Arcivescovo Castelli negli anni 1907-1910, mai compare alcun accenno nei confronti del Nostro don Ottavio.

Risulta al contrario che mons. Castelli lo designò a partire dal 1905 come cappellano in due importanti parrocchie, gli permise di esercitare la predicazione quaresimale anche fuori diocesi, lo propose nel 1928 come canonico della chiesa Metropolitana, accolto e nello stesso anno gli affidò il delicato incarico di insegnante nel Seminario arcivescovile.

E’ probabile tuttavia che la sua bontà d’animo, la sua moderazione, la sua sensibilità culturale, la sua impostazione di fraternità ideale, la sua stima amichevole con don Romolo Murri, lo indussero ad assumere un atteggiamento di distacco e di freddezza con perplessità nei confronti delle dure misure disciplinari adottate nei riguardi del Murri sacerdote scomunicato con la scomunica maggiore finale.

Conclusione

Penso che la figura di don Ottavio De Angelis, per lo spessore della sua personalità, la vastità della sua cultura, l’efficacia della sua attività, meriti una ben diversa e approfondita trattazione.

A mio avviso sarebbe sommamente opportuno analizzare soprattutto i due manoscritti compilati in Argentina nel 1901, ai quali in questo saggio si è fatto solo un fugace accenno, al fine di operare una sistematica ricostruzione del suo pensiero. Così come sarebbe necessario sottoporre ad un attento esame i testi scolastici da lui elaborati e pubblicati per individuare con esattezza l’efficacia e la novità del nuovo metodo di insegnamento delle lingue classiche da lui proposto e messo in pratica nella concretezza della sua attività didattica.

Vivamente ci auguriamo che qualche diligente e appassionato studioso si assuma l’onere non lieve di una tale meritoria impresa.

NOTE

1.- Mette conto citare alcune di queste figure del Fermano: Roberto Papiri, sacerdote originario di Montefortino, poi divenuto vescovo di Macerata e successivamente Arcivescovo di Fermo, Giovanni Cicconi, Domenico Artesi, i fratelli Biagio e Filippo Cipriani, poi creato vescovo di Città di Castello, Augusto Curi, arcivescovo di Bari, Romolo Murri, Luigi Capotasti, divenuto cardinale, Massimiliano Massimiliani poi vescovo di Modigliana, Domenico Fontevecchia, Giuseppe Cesetti, Luigi Potetti, Vincenzo Vagnoni.

2.- E TASSI, Gli Arcivescovi di Fermo dei secoli XIX e XX, Fermo 2006, pagg.134-137; R. Di MATTIA, L’Archidiocesi di Ferno, cenni di storia, Fermo 1995, p. 68; T. CHIURCHIU’, Il Movimento Cattolico nell’Archidiocesi di Fermo, Fermo 2004; E. TASSI, L’importante ruolo del settimanale “La Voce delle Marche” in “Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo”, Fermo, n.13 (1992), pp. 5-9.

3.- E. TASSI, Gli Arcivescovi…, p.134-137; R. DE MATTIA, L’Archidiocesi…, pp.70-78; T. CHIURCHIU’, Il Movimento Cattolico… cit., pp.212-264.

4.- Rolando DI MATTIA, Figure del Fermano. Ottavio De Angelis, in “Firmana”, n.40, Fermo, pp.141-147. l’autore fu alunno del De Angelis negli anni del ginnasio e del liceo (1928-1933).

5.- T. CHIURCHIU’, Il Movimento Cattolico…, pp.118-119.

6.- L. BEDESCHI, Don Ottavio De Angelis traduttore di Tyrrel, in “Fonti e documenti”, Urbino nn.22-24 (1993-1995), pp.232-235.

7.- A. MASSEI, Don Ottavio De Angelis e l’accusa di modernismo, tesi di laurea “pro manuscripto”, Urbino a.a.1970-1971

8.- ASAF, Serie corrispondenza con la Curia arcivescovile 1885-1932, Carassai, Busta 10, fase. 28, 27 ottobre 1886, doc. 8. Nella rubrica annotata all’inizio del fascicolo: “Affari diversi” si legge: “Basilio De Angelis di Carassai chiede di vestire da chierico suo figlio Ottavio per poterlo mandare a scuola nel Seminario di Montalto”. Il 13 ottobre novembre viene annotata la risposta affermativa a firma del Cancelliere: “Si comunica al Rettore del Seminario di Montalto la facoltà di riceverlo”. In questo Seminario si distinse per acuta intelligenza e per il serio impegno negli studi.

9.- Mons. Antonio Sabatucci. nato ad Ascoli Piceno il 23 marzo 1835, eletto vescovo titolare di Tebe nel 1890 e Delegato Apostolico in Colombia, trasferito presso la Repubblica -Argentina come Internunzio nel 1899. Cfr. Annuario Pontificio 1901.

10.- A. MASSEI, Don Ottavio De Angelis … Documenti riportati in appendice.

11.- ASAF. Serie Corrispondenza con la Curia, busta 40, Montesangiusto.

12- I detti volumi sono stati editi presso l’editore Barabba di Lanciano tra il 1928 e il 1933.

13- Mons. Rolando D. Mattia, docente nelle Scuole superiori statali e priore emerito della parrocchia di S. Maria in Loro Piceno (MC), che fu suo alunno dal 1928 al 1933

14- R. DI MATTIA, Figure dei Fermano…, in Firmana, cit. p. 1

15.- R. DI MATTIA, Ibidem, p. 142.

16.- R. DI MATTLA, Ibidem, p. 143.

17.- Bisogna essere grati al compianto avv. Ottavio Albanesi, nipote di don Ottavio il quale nel 1971 ha curato la pubblicazione del manoscritto per i tipi della tipografia La Rapida di Fermo, in occasione del decimo anniversario della morte dello zio.

18.- R. DI MATTIA. Op. cit., p. 145.

19.- La lettera e la relativa risposta è stata pubblicata dal MASSEI nella sua tesi di laurea, pp. 42-43.

20.- O. DE ANGELIS. Da Gesù – tre discorsi popolari, tipografia Sociale, Fermo 1908.

       21.- A. MASSEI. Don Ottavio De Angelis e l’accusa di modernismo, in appendice.

22.- A. M. DIEGUEZ. L’archivio particolare di Pio X – cenni storici e inventario, Città del Vaticano 2005. (Cfr. Indice analitico dei nomi); A. M. DIEGUEZ – S. PAGANO, Le carte del Sacro Tavolo. Aspetti del Pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato, Voll. I-II, Città del Vaticano, 2006. (Cfr. Indice analitico dei nomi).

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Fermo arte sacra dell’argenteria della bottega Antonelli a Fermo intorno all’anno 1788

Anno 1788 e varie date  A Fermo fu attiva la bottega dell’argentiere Raffaele Antonelli, noto dal 1788 al 1828, ed ebbe un seguito nel secolo XIX con la produzione del figlio Luigi.    La più antica notizia risale al 1788; anno in cui modellò una muta di cartegloria d’argento per il Santuario della Madonna del Pianto in Fermo. Nel 1791, per la Compagnia del SS. Sacramento di Massignano eseguì un ostensorio in argento, sbalzato e cesellato con ornati in princisbek, firmato “Raffaele Antonelli di Fermo”. Nel 1812, chiese licenza alla prefettura del Dipartimento del Tronto, sotto il napoleonico “Governo Italico” con sede a Fermo, di bollare la sua produzione con le iniziali “R.A.” e col punzone raffigurante “Palma d’olivo”; poi, sotto il “Governo Pontificio” alla sigla personale aggiunse il punzone con lo stemma camerale, detto di “Padiglione” ed usato per lavori in argento.

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ARTE SACRA con VENERAZIONI delle IMMAGINI di SANTI culto cristiano Museo Diocesano a Fermo

=  Parole di don Germano.     Nel 1997 il successore mons. Gennaro Franceschetti ha creduto fortemente nel museo come “bene pastorale” e quindi come strumento di evangelizzazione e di incontro anche con chi non è particolarmente partecipe della vita cristiana, ed ha sostenuto, promosso, favorito e sollecitato la conclusione dei lavori ed ha curato la disposizione delle opere con adeguamento dell’apparato didattico. Al vicario generale mons. Armando Trasarti è stata affidata la oculata gestione delle risorse finanziarie. Finalmente il 16 aprile 2004, alla presenza del ministro per i Beni Culturali, on. Giuliano Urbani, di numerose autorità e gran folla di cittadini, il museo è stato inaugurato. E’ il polo di una ricchissima e preziosa rete di musei e di raccolte parrocchiali, diffuse nel territorio dell’arcidiocesi. La Chiesa Fermana si sta dimostrando molto sensibile alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Numerosi sacerdoti con grande passione ed entusiasmo ed anche con sacrifici economici hanno sistemato locali, realizzato impianti, restaurato opere, allestendo piccoli, ma straordinari musei parrocchiali. Il territorio di questa arcidiocesi è costellato da tali raccolte che vanno da Massignano a Campofilone, a Carassai e, da Capodarco di Fermo, a Petriolo, a Corridonia, a Mogliano, a Morrovalle fino a Montefortino, mentre si progettano altre sedi ancora.     Il museo ecclesiastico si pone come luogo di valorizzazione e recupero di un patrimonio posto al servizio della missione della Chiesa ed è significativo da un punto di vista storico-artistico. E’ strumento di evangelizzazione cristiana, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di fruizione artistica, di conoscenza storica, come ha scritto la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, nel testo: “La funzione pastorale dei musei ecclesiastici”. Città del Vaticano 2001.

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MASSIGNANO documenti d’archivio segnalati in vari libri e in archivi. Appunti

MASSIGNANO in appunti sporadici dalla protostoria al cristianesimo sino al secolo XIX date 100 d. C. – 1224 – 1228 – 1258 – 1364 – 1550 – 1407 – 1441 – 1442 – 1446 – 1447 – 1450 – 1454 – 1455 – 1469 – 1483 – 1511 – 1530 – 1537 – 1538 – 1551 – 1559 – 1564 – 1565 – 1566 – 1568 – 1569 – 1570 – 1575 – 1576 – 1577 – 1579 – 1595 – 1597 – 1600 – 1602  – 1622 – 1623 – 1628 – 1629 – 1632 – 1634 – 1642 – 1646 – 1668 – 1673 – 1675 – 1678 – 1684 – 1696 – 1706 – 1762 – 1770 – 1781 – 1785 – 1788 – 1800 – 1830 – 1832 – altro

.Anni della protostoria Nel volume di Innocenzo Dall’Osso sul Museo nazionale archeologico di Ancona Massignano è menzionato nella pagine 6;  179; 244 – \ – \ Un cenno a Massignano archeologica nel volume di Vladimir Dumitrescu “L’età del ferro nel Piceno” pagina 7

.Anni 98-100 ca. d. C. Il martire e presbitero Marone esiliato nel Piceno è l’apostolo della fede in Gesù Cristo in questo territorio.

PER IL CULTO   La pratica dei pellegrinaggi contribuisce a facilitare la costruzione o l’ampliamento degli edifici sacri, lungo i percorsi dei pellegrini. La via Lauretana dal litorale passa nell’entroterra attraverso Massignano e Monte Giberto ed ha dei punti di riferimento nelle chiese locali. Il pellegrinare in preghiera è svelamento dell’anima. Negli edifici sacri si realizza la pratica cristiana della preghiera, dell’Eucaristia, della Confessione con l’animo rivolto a Maria che accompagna sempre tutti nel cammino spirituale verso il figlio Gesù. I non credenti o non praticanti ricevono l’annuncio della divina bontà misericordiosa.

.Anno 1224 Onorio vescovo servo dei servi di Dio al venerabile fratello Rainaldo vescovo Fermano, ed a quelli che lo dovranno sostituire come successori <salute>. Per il ruolo a noi affidato, per amministrare, è nostro compito di esprimere la grazia della nostra benevolenza a tutte le chiese ed a quelle che essendo soggette maggiormente alla Sede Apostolica, sono riconosciute come nostra proprietà, per il duplice diritto <= civile e canonico>. A queste vogliamo e dobbiamo provvedere con preferenza. La chiesa Fermana è minuta (dotata) di privilegi spirituali della Sede Apostolica, ma vogliamo aggiungerle il vigore della forza “temporale” (= sulle cose materiali) da parte della Chiesa Romana, seguendo l’esempio del nostro predecessore, il papa Innocenzo di felice ricordo e proibiamo fermamente, d’autorità apostolica, che nessuno presuma di fare esazioni <tassare>, tenere il “placito”, o trattare le cause, ad eccezione del Legato della Chiesa Romana, persona di speciale mandato apostolico, nella città di Fermo o nei castelli cioè Sant’Elpidio, Castro, Civitanova, Montesanto, Montecosaro, Monte Vallente <? Morrovalle>, Poggio San Giuliano ora Macerata, Casali, San Claudio, Montolmo, San Giusto, Cerqueto, Gualdrani, Montegranaro, Monte Astone <Montottone>, Ripatransone con Agello, Capomonte, Monte Antico, e Mussiano <= Massignano>, Marano, Furcilla e altri che ora sono giustamente posseduti dalla chiesa Fermana o che potrà in futuro ottenere legittimamente o negli altri beni che a questa appartengono; mi i suoi beni rimangano integri e restino nella tranquillità, salvi i  nostri diritti. Aggiungiamo anche riguardo a tutti i proventi che questa riceve dal “placito”, dal “bando”, dal mercato, dalla piazza o dai porti fuori della città, e per l’Episcopato o per altri diritti regali nella città Fermana o fuori, questi siano pagati a te ed ai tuoi successori, senza alcun contrasto, né diminuzione, salva l’autorità della Sede Apostolica. Nessun uomo osi mai infastidire l’Episcopato Fermano, né rubare, né invadere i suoi beni, né mai molestare i suoi uomini, né aggravarli. Se tuttavia qualcuno avrà la presunzione di mettersi contro questo, o di danneggiare questo privilegio, faccia composizione di cento libre d’oro puro per la pena da pagare, metà al sacro palazzo Lateranense e il resto per il vescovo e per i suoi successori nel tempo. Io Onorio vescovo della chiesa cattolica, io Pelagio vescovo Albanense, io Corrado vescovo Portuense di Santa Rufina, io Nicola vescovo Tuscolano, io Stefano cardinal presbitero della Basilica dei santi dodici Apostoli, io Gregorio cardinal presbitero del titolo di Sant’Anastasia, io Giovanni cardinal presbitero di santa Prassede, Io Ottaviano cardinal diacono dei santi Sergio e Bacco, io Gregorio cardinal diacono di San Teodoro, io Stefano cardinal diacono di Sant’Adriano, io Romano cardinal diacono di Sant’Angelo, io Pietro cardinal diacono di San Giorgio al vello aureo. Data nel Laterano per mano di maestro Wido(ne), cappellano del Papa,\ idi di febbraio <13> indizione XII, nell’anno dell’incarnazione del Signore 1224, anno 8° del Pontificato del Papa Onorio III.

.Anno  1228 Rinaldo vicario di Federico II  in  COLUCCI – Antichità Picene XVIII app. doc. n. IX p. XIV – “…. Con l’autorità imperiale affidataci, concediamo che i castelli di Massignano, Marano, S. Andrea e Penna siano di pertinenza di Ripatransone. E se il Comune di Ripatransone vorrà, diamo le facoltà di demolire i detti castelli .

.Anno 1258 Se ne interessa Manfredi – Nell’anno 1258 il re Manfredi, grato per i servizi resi da Fermo, conferma ad essa la giurisdizione sui castelli di Monturano, Boccabianca, Torre San Patrizio, Grottammare, Monte San Martino, Petritoli, Montefiore dell’Aso, Monterubbiano, e altri.  In precedenza la storia di Fermo assurgere a livello nazionale; qui notiamo che Manfredi il famoso figlio di Federico II, di cui parla Dante nella Divina Commedia, si occupa di Monturano. Egli, dagli accampamenti presso San Ginesio nel mese di ottobre del 1258, dispone: “Concediamo e confermiamo al Comune di Fermo, i diritti perpetui la giurisdizione che la nostra Curia ha nel castello di Marano (Cupramarittima), Boccabianca, Torre di palme,  Monturano, Moresco, Massignano, Laireno, Torre San Patrizio, Grottammare, Castel di Monte, San Giovanni, Monsampietro, Monte San Martino, Petritoli, Monte Falcone, Monterubbiano. Concedimus et confirmamus perpetua iura et iurisdictionem, qua et quae Curia nostra habet in Castro Marani, Buccablance, Turris Palme, Monturani, Morisci, Massignani, Layreni, Turris Sancti Patritii, Grutte maris, Castro Montis Sancti Petri, Castro Montis Scti Martini, Castro Petrituli, Castro Montis Falconis, Castro Montis Rubiani”

.Anno 1300 circa e seguenti – manoscritti cenni di storiografia – Cenni di appunti storici su vari paesi, tra cui Fermo, Massignano, Montegranaro, Montegiorgio e al. Manoscritto n. 1323 della Biblioteca Comunale di Fermo

.Anno 1364-.-  Archivio di Stato di Fermo – Hubart Elenco delle pergamene di Fermo   n. 429 = – Fermo – Copia o trascrizione di una parte del Testamento copiata da un certo Testamento del defunto magnifico ed eccelso Sig. Giovanni del defunto Sig. Filippo Visconte di Oleggio della Diocesi di Novara ecc. come in quel Testamento rogato da Domenico da Gubbio notaio nell’anno del Signore 1364 – rogato in copia da Cicco di Mattiolo da Massignano

.Anno 1400 ca. antichi documenti per vertenza attorno al 1550 -. Hubart n. 2359  molte date- Massignano – Parecchie scritture ed atti nella causa del Comune e della Comunità di Massignano e il Comune della città di Fermo sopra l’acquisto e la liberazione dalla giurisdizione della Sede Apostolica ecc. come in quegli atti insieme con la proibizione, di fronte agli atti, fatta agli uomini del Castello di Massignano di costruire sul lido del mare, sotto pena di 1000 Ducati.

.Anno 1400 seguenti Gli AGOSTINIANI a Massignano nel secolo XV  dipinto

.Anno 1407 Hubart n. 1061 – – Massignano – Atto del mandato di procura fatta tramite la Comunità, il Comune e gli uomini del Castello di Massignano nella persona di Vanne di Muzio di Andrea di detto Castello, affinché si presenti a nome di questo Comune di fronte ai magnifici Sigg. Priori della città di Fermo a dover chiedere che il Comune di detto Castello abbia ad esigere il salario del Podestà cioè libre 40 di denari, come si legge più ampiamente in questo atto. Anno del Signore 1407. Rogito di ser Antonio di Vannuccio di detto Castello.

.Anno 1441 Hubart n. 1824 – Montefiore –  Sentenza o Lodo fatto tramite il signore Alessandro sforza, vice marchese ed arbitro tra la comunità del Comune di Fermo e gli uomini della Terra di Monte fiore cioè a dire che Vagnozzo e Domenico da Massignano ed altri cittadini e gli abitanti del Comitato di Fermo, possessori nella Terra di Montefiore, sono obbligati a pagare le collette ed altre cose nella Comunità della Terra di Montefiore. Sotto l’anno del signore 1441 – rogato da Andrea Chiavellino da Gualdo.

.Anno 1442 MASSIGNANO DOCUMENTI. studio di  FILIPPO BRUTI LIBERATI.”8 novembre 1847 Nel felice imeneo di Amalia Fiori con Giuseppe Laureti ambedue di Massignano il marchese Filippo Bruti Liberati offre al padre della sposa signor Antonio Fiori meritissimo priore comunale la prima memoria sul detto commune di Massignano”

.Anno 1442  Da un opuscolo di Filippo Bruti Liberati edito nel 1847 Questa contiguità [tra Ripatransone e Massignano] sì che Francesco Sforza il 22 settembre 1442 assediando Ripatransone, scrivesse alla Magistratura di Massignano, affinché mandasse 25 grandi tavole forti dette “arse” per fare ripari alle bombarde a Pier Brunoro, uno dei capitani acquartierato con l’armata alla Maddalena oggi villa Boccabianca, La data è nel felice accampamento di rimpetto a “in felicibus castris contra Ripa Transonem. Documento edito dal Colucci <Antichità Picene> al tomo 18 numero 134.

.Anno 1446 La bolla di Eugenio IV del 1446 per i 48 castelli concessi a Fermo, tra cui Massignano, Montottone, Ponzano, Loro, Servigliano, Altidona, Petritoli, Falerone

.Anno 1447 forse? 1450     Pedaso, con Torre di palme, Altidona, Lapedona, Moresco, Cupramarittima, S. Andrea, Campofilone, Grottammare, Massignano, San Benedetto del Tronto , Acquaviva (Picena), Carassai, Petritoli, tutto il castelli della zona marina, dipendenti da Fermo, su invito di questa città mandano un soldato per ogni famiglia per difendere Sant’Angelo in Trisongo, una località, ai confini con Ripatransone, ma, in territorio di Acquaviva Picena allora soggetta a Fermo. I paesi dovevano inviare un soldato a famiglia (unum militem pro foculare) bene armato, con le balestre, lance, schioppi.

.ANNO 1450 CIRCA –  VITTORE CRIVELLI    A Massignano, nella chiesa parrocchiale di San Giacomo, dipinta ad olio su tavola con cornice frammentaria, costituita da pilastrini laterali con capitelli, è raffigurata la Madonna in ginocchio, lievemente rivolta verso sinistra, a mani giunte, a capo chino con un manto verde bordato d’oro, nell’atto di adorare il Bambino disteso a terra sopra un cuscino.\\    Quattro Cherubini volano in alto; dietro la Vergine è un drappo verticale rosso ed un parapetto su cui a destra si colora un garofano e a sinistra è poggiato un libro aperto. Dietro tale parapetto la Madonna è fiancheggiata da due Angeli, uno con le mani giunte e l’altro con le braccia conserte, a terra, da un lato, è deposta una mela.

.Anno 1454 VICARIO DI FERMO A MONTE GIBERTO anno – 1454: Marino d’Antonio da Massignano;

.Anno 1455 Hubart n. 1062 – Massignano – Bolla di provigione della chiesa campestre di Sant’Attone del Menocchia fuori del Castello di Massignano, diocesi Fermana e anche della prebenda fatta nella stessa chiesa dal Papa nostro Signore Callisto III nella persona del Sig. Nicola de Cagnoli, da Monte Aquilino, a motivo della libera rinuncia del Sig.Leonardo Deotaguidi di recente Rettore di detta chiesa, come più ampiamente si legge in questo atto. Data Roma anno del Signore 1455.

.Anno1469 Scrive Filippo Bruti Liberati in un opuscolo per nozze del 1847. – A Massignano trovai in archivio altro documento contenente una sentenza per i confini territoriali fra Ripatransone e Massignano dei 24 marzo 1469 quando era Francesco Lunerti sindaco, e Niccola vescovo Manduriense Commissario giudice.

.Anno 1483 Hubart n. 1695 -solo notaio – Atto di alcune proposte e deliberazioni fatte da Crisogono di Giacobbe, altrimenti detto Chimente, e da Crisogono di Corradino dal Castello di Mogliano, nel Parlamento degli uomini di detto Castello, sopra le intenzioni di accuse per i danni arrecati, fatto nella Curia di Mogliano, deliberazioni che fatte da predetti uomini, come è possibile vedere in detto atto, ebbero valore per 157 fave nonostante 22 contrarie. Sotto l’anno del Signore 1483 – rogato da ser Armilleo di Marino dal Castello di Massignano, Vicario di detto Castello di Mogliano.

.Anno 1511  A Massignano il Comune ha in archivio un istrumento in pergamena del 20 Novembre 1511 sotto Giulio II papa, in cui Domina Valeria moglie, e signora del signor Giovanni de Bertachinis di Firmo erede per la terza parte, e tutrice di Giovan Francesco figlio, erede, e per la terza parte il Sig. Girolamo Bertacchini di Fermo vendono il Molino in Massignano al Comune, posseduto con questo pro indiviso. Questo Istrumento fu stipulato in Fermo presso la chiesa di San Domenico con l’autorizzazione del giudice Catarino de Silvestrini di Norcia, davanti la Chiesa di S. Maria dell’Umiltà. (Dall’opuscolo di Filippo Bruti Liberati  edito 1847)

.Anno 1530 circe forse?  Hubart n. 999  non è scritta la data- – Sentenza fatta per Geronimo Vescovo Maceratese,  sopra il preteso pagamento  di tasse e sulla presunta esenzione di esse fra la magnifica Comunità e gli uomini della città di Fermo da una parte e la Comunità e gli uomini dei Castelli di Mogliano, Falerone, Servigliano, Ponzano, Massignano, e Altidona ecc. nella quale fu stabilito che la magnifica Comunità di Fermo non era da comprendere nel pagamento e nella contribuzione delle tasse da farsi tramite detti Castelli alla Camera Apostolica ecc. come detto in quella sentenza ecc.

.Anno 1537 seguenti-. Nella Biblioteca e nell’archivio di Fermo si hanno i manoscritti di MARINI che riassumono i verbali dei consigli comunali di Fermo e tra il 1537 e il 1547  si ha Massignanum, carte 117, 120v, 132, 137

.Anno 1538.-.- Nelle Cronache di G. Marino Lucidi si fa relazione dello Stato nell’Agro Piceno dal 1537 al 1547 che Paolo II concesse ai nipoti con capoluogo Montottone e ci fu un impiegato massignanese a fare da agente riscossore pontificio. Ecco il testo |: e fu la confederazione di tutto (p.572)  lo Stato, Gabelle, Maleficij civili, et immunali nelle prime istanze il Governatore, e molte altre Grazie, come  nel Breve, nella forma della Bulla dessimo in mano di Mes. Francesco da Massignano pagatore di buoni Ducati, e così tornammo con il Breve alli 27 Marzo 1538.

.Anno 1551 -.(vertenza nel volume del  Ratta)-Ventisei atti amministrativi 1551-1762 approvati dal Consiglio di Fermo- Il podestà Massignano nel sec. XVI è nominato con estrazione del nome. -Anno 1551 Ottobre 20 – Il Consiglio di Fermo non conferma una delibera fatta dal Castello di Massignano e riafferma la giurisdizione della città, dei cittadini fermani e delle autorità secondo gli statuti dei castelli fermani. \(vertenza in Ratta)

.Anno 1552 e seguenti-. Nel manoscritto 220 della Biblioteca di Fermo le lettere dell’arcivescovo fermano Alessandro Borgia. Massignano (sei lettere) 1752\07-14  a congr. concilio per Cosimi Antonio:  ipoteca sul beneficio S. Maria p.69 – 1753\03-20 a congr. vescovi e regolari per  i confratelli del SS. Sacramento e i Possenti pag.130  –   1753\05-07 a congr. immunità ecclesiastica per un furto a danno dei Gervasi pag.152;  –   1756\09-03 al maestro delle cerimonie papali, Reali, per gli ordini sacri a Nicola Laureti pag.219;  –   1757\02-04 a congr. vescovi e regolari per la preparazione agli ordini sacri di Niccola Laureti pag.279;  –   1757\10-10 a congr. vescovi e regolari a favore di Francesco Curi calunniato pag.331;    –    1757\12-05 a congr. vescovi e regolari per enfiteusi perpetua al sac. Casanova Andrea pag.348.

.Anno 1559 Giugno 4 -La Comunità di Massignano aveva chiesto autorizzazione al Consiglio di Fermo per esportare 700 passi di legna vendendone parte al Duca di Urbino e parte alla città di Fermo. La licenza fu concessa, fuori dalla giurisdizione con misurare per esportare e dare all’Ill.mo ed Eccellentissimo Duca di Urbino passi duecentocinquanta.  (vertenza in Ratta)

.Anno 1564 Agosto 27 – Giovanni Bernardino Lelii, potestà estratto del Castello di Massignano aveva proposto alla conferma come vicario ser Domenico Raso da Mogliano. Il Consiglio fermano assentiva.

.Anno 1565 – Hubart n. 888  –  Bolla di Pio Papa V di concessione e di permuta della Chiesa parrocchiale di Santa Maria  da Mogliano, e del Beneficio dell’Altare di Sant’Antonio siti nella chiesa di San Vittore del Castello di Massignano, della diocesi Fermana, fra il Rev.do Sig. Censorio Marziale, ed Angelo di Cordella,  con la riserva della persona per conto di detto Censorio, come in quella Bolla, nell’anno del Signore 1565 – anno primo del Pontificato.

.Anno 1566    Montottone doveva pagare un tributo annuale di 10 scudi alla Curia romana. Sin dall’inizio del processo, e cioè dal 1566, un Commissario pontificio, era stato inviato a Montottone, per amministrare la giustizia ed esigere gabelle e imposte. I Fermani, avendo trovati, una volta, alcuni montottonesi nel loro territorio, li fecero prigionieri. allora avvertirono il rettore della Marca  e questi prigionieri furono liberati.

.Anno 1568 seguenti-. Autonomia da Fermo —    Insieme con Montottone, anche Petritoli, Falerone, Servigliano, Massignano, Ponzano, Altidona e Mogliano mandarono oratori a Roma per supplicare il pontefice che li togliesse dal dominio della città di Fermo. Passarono mesi e mesi per compiere il processo; furono interrogati 36 testimoni per Montottone e 12 per Fermo. Scipione Claretti intanto, procuratore della comunità a Roma, il 7 aprile 1568 scriveva che i Fermani lo stavano avversando in tutti i modi. Quattro lunghi anni durò la schermaglia; e le spese per un tal processo superarono di parecchio le possibilità di pagamento da parte del castello montottonese. Finalmente, Pio V l’11 agosto 1570, assumeva la giurisdizione d’immediata potestà civile su Montottone che fu posto sotto la soggezione, il governo, e la protezione della Camera Apostolica, per cui sborsò al tesoriere della Camera la somma di 2200  scudi, che servirono a sussidiare la guerra contro i Turchi, vinta a Lepanto nell’anno seguente.

.Anno 1569  studio di FILIPPO BRUTI LIBERATI. “8 novembre 1847 Nel felice imeneo di Amalia Fiori con Giuseppe Laureti ambedue di Massignano il marchese Filippo Bruti Liberati offre al padre della sposa signor Antonio Fiori meritissimo priore comunale la prima memoria sul detto commune di Massignano”  –   1569  La bolla di S. Pio V del 9 Giugno 1569 che ne richiamava una di Alessandro IV. del secolo XIII e copia di detta Bolla di S. Pio V. esistente nella biblioteca di Macerata nel vol. 7 della collezione de manoscritti, riguardante la Marca pag. 124 da pubblicarsi per esteso, come assai onorifica ai Massignanesi, considerati, come Cittadini Fermani.

.Anno 1570 seguenti-.-  Nel 1570, in seguito al diffuso malcontento dei castelli assoggettati a Fermo, a causa del suo dispotico governo, la comunità di Falerone inviò a Roma, per perorare la loro causa, l’insigne dottore Paraninfo Fortunati e Valentino Antonini da Pio V (1566-1572), che concesse ai castelli di Massignano, Montottone, Ponzano, Loro Piceno, Servigliano, Mogliano, Petritoli e Falerone l’autonomia dallo Stato Fermano. Fu vero distacco poiché il provvedimento papale disponeva alla comunità faleronese di pagare le collette camerali, non più all’esattoria di Fermo, bensì a quella della Marca in Macerata, inoltre che le tasse per la movimentazione delle merci, si riversassero a favore dei suoi abitanti, che avevano la possibilità di eleggere un podestà o un vicario che governasse il castello con la conferma di tutti i privilegi concessi precedentemente da Paolo III.    Anche in questo caso l’autonomia degli otto comuni separatisti durò poco poiché nel 1573 viene nominato governatore di Fermo Giacomo Buoncompagni, parente prossimo di papa Gregorio XIII (1572-1585), che nel 1575,  con otto bolle distinte, una per ogni Comune, decretò il rientro dei castelli all’interno dello Stato Fermano.

.Anno 1575 Dicembre 30 – Alla richiesta di Giovanni Battista di Santoro da Massignano una proprietà terriera nel territorio massignanese ad un acquirente che era fuori dalla giurisdizione governativa fermana, il Consiglio fermano non diede autorizzazione riguardo alla possessione sita presso i confini. (vertenza in Ratta)

.Anno 1575.-.- Hubart n. 168  –  – Fermo – Restituzione di otto castelli separati della giurisdizione Fermana, concessa da Gregorio Papa XIII – nell’anno del Signore 1575 – Anno terzo del Pontificato. I castelli sono questi Massignano, Montottone, Ponzano, Loro, Servigliano, Altidona, Petritoli e il Castello di Falerone.

.Anno 1576 ?Pergamena dell’archivio arcivescovile  anno 1576. 01. 23 – Fermo – Massignano. Pergamena lacera nella parte superiore con testo perduto. Il vicario di Felice Peretti, che gestisce i benefici Fermani, concede al chierico Silvestro De Silvestris la nomina per l’altare di San Giovanni Battista nella chiesa di San Giacomo a Massignano, dopo la morte del predecessore Don Giovanni Battista Massi. Al tempo di Gregorio XIII.

.Anno 1577. 06. 24 Il pontefice Pio V sotto pretesto di inosservanza di capitoli e di altri espressi e pretesi titoli di gravami presentati da alcuni Castelli, aveva tolto allo Stato fermano, Massignano, Montottone, Ponzano, Loro, Servigliano, Altidona, Petritoli, e Falerone; e Papa Gregorio XIII con solenne Bolla restituisce gli otto Castelli alla Città dichiarando essere stata eseguita quella separazione contro la mente del suo predecessore.

.Anno 1579 Archivio Stato Fermo Hubart n. 1337 –  – Fermo – Mandato di esecuzione del Protonotario apostolico Girolamo di Matteo, uditore generale delle cause della Curia della Camera Apostolica,  per la sentenza pubblicata ad opera del Rev.mo Sig. Piero Melchiodo Vescovo di Macerata, nella vertenza introdotta in forza del decreto camerale tra la magnifica Comunità e gli uomini della città di Fermo da una parte e dall’altra parte la Comunità e gli uomini dei castelli di Mogliano, di Falerone, di Massignano, di Ponzano, di Servigliano e di Altidona riguardante il preteso pagamento delle dative e assegnamenti e sgravi di questi, ecc. In essa dichiarò che la magnifica Comunità Fermana e gli uomini non erano tenuti a pagare e contribuire alle dative o collette da farsi alla Camera Apostolica da parte di detti castelli e uomini ed essa ebbe assoluzione. Come scritto nell’atto. Data nell’anno del Signore 1579.

.Anno 1595 – Archivio Atto arcivescovile – 1595 – Licenza (consenso con permesso) di fare permuta di un pezzo di terra  di propretà ecclesiastica per l’evidente utilità a Massignano

.ANNO 1597  circa BONAVENTURA DA MASSIGNANO. Da Antichità Picene vol. XII p. CI Minore Osservante – Massignano, uno dei castelli  di Fermo, fu la patria del nostro Bonaventura, il quale si acquistò molta fama nelle dottrine Teologiche. Per molti anni ne fu Lettore Generale in vari illustri Conventi di questa Provincia, come in Matelica, in Macerata, in Ripatransone, in Fano, in Fermo, in Ancona, ma meritando che il suo merito risuonasse fuori dei limiti della Provincia e di coprire le Cattedre più distinte, passò Lettore a Perugia e a Napoli. Meritava purtroppo questa lunga faticosa carriera del nostro Bonaventura qualche onorevole ricompensa, per cui, per  giusto discernimento dei Padri suoi correligiosi, i quali nel 1616 lo elessero Custode Provinciale. Nel 1619 Ministro Provinciale e il P. Benigno da Genova Ministro Generale lo deputò Procuratore Generale e nel 1623 cessò di vivere in Roma, con aver lasciato molto nome della sua dottrina egualmente che della prudenza. Fu discepolo del chiarissimo P. Giovan Battista Uncini dal Massaccio.

.Anno 1600 19 Novembre 8 – Alessandro Tassoni da Massignano chiese licenza di poter fare una finestra nelle mura castellane massignanesi, alta da terra 10 passi, come esistevano molte altre per dare luce alla sua casa. Il Consiglio fermano affidò ai Priori e ai Regolatori di verificare tramite un cittadino se sussistesse alcun danno e il Magistrato poi deliberava. (vertenza in Ratta)

.Anno 1602 Febbraio 27 -La Comunità di Massignano aveva chiesto che come vicario per questo Castello non fosse nominato ser Francesco Boezio. Il Consiglio di Fermo inviava la pratica all’Adunanza della Cause per gli accertamenti contro Francesco Boezio. (vertenza in Ratta)

.Anno 1602 Gennaio 30 – Giovanni di Berardo Gentili da Massignano che chiedeva la licenza di fare una finestra nella parete della sua casa, nelle mura del castello massignanese, dell’altezza di palmi quattro sopra terra, il Consiglio fermano dopo ricevuta una relazione di fede inviata dal Comune di Massignano il giorno 8 Febbraio 1602 dava licenza. (vertenza in Ratta)

.Anno 1622 Maggio 18 – Flaminio di Marco Quintilio da Massignano desiderava fabbricare un’abitazione per la sua famiglia fuori dalla porta del Castello, 10 passi distante dalle mura, avendone ottenuta approvazione dal parlamento massignanese. Il Consiglio fermano nel dare approvazione stabiliva che il calcolo di 10 passi di distanza dalle mura fosse calcolato con la misura di quattro piedi fermani per passo. (vertenza in Ratta)

.Anno 1623 Ottobre 20 – Dionisio di mastro Buonanno da Massignano chiedeva di fare una finestra nelle mura castellane di due piedi da ogni banda. Il Consiglio affidò ai Priori di inviare un cittadino per sopralluogo e relazione e su risultato favorevole si autorizzasse. (vertenza in Ratta)

.Anno 1628 Dicembre 10 – Per i capitoli <dei contratti> sopra l’appalto del mulino pubblico, dell’osteria nelle spiagge della marina e dello spaccio dell’olio, il Consiglio fermano dava conferma a quelli sottoscritti dai deputati. (vertenza in Ratta)

.Anno 1629 Marzo 2 – Donna Dorotea Chierici da Massignano chiedeva la licenza per ristabilire erede sua figlia maritata nella terra di Montefiore e il Consiglio fermano, pur trattandosi di erede residente fuori dalla sua giurisdizione, dava assenso. (vertenza in Ratta)

.Anno 1632 Febbraio 27 – Giustiniano Mazzoni da Massignano non era inserito nel Bussolo dei Notai e chiedeva di esservi imbussolato. Il Consiglio fermano assentiva purché non vi fossero ragioni in contrario. (vertenza in Ratta)

.Anno 1634 Aprile 1 – Il parlamento della Comunità di Massignano aveva fatto decreto intorno al Bussolo del capitano della festa comunitaria, con la pena di 10 fiorini contro chi, dopo estratto il nome, ne ricusasse l’esercizio. Il Consiglio fermano confermava questo decreto. (vertenza in Ratta)

.Anno 1642 Giugno 25 – Giovanni Palma da Massignano, tintore, aveva ottenuto licenza dal Parlamento massignanese il 4 maggio precedente di fabbricare una stanza per la sua tintoria attaccandola alle muraglie castellane fuori dalla porta del Castello, nella parte da sole. Il Consiglio fermano stabiliva si facesse un sopralluogo e Claudio Paccaroni fece la visita con la relazione favorevole. Si diede l’approvazione. (vertenza in Ratta)

.Anno 1642 Marzo 6 – La Comunità di Massignano chiese che gli fosse confermato per il periodo successivo il precedente Vicario e per questa volta soltanto il Consiglio di Fermo lo concedeva.

.Anno 1646 Dicembre 22 – Pier Santo di Federico da Massignano chiese di fare una finestra nel muro del Castello. Il Consiglio fermano acquisì la relazione di Lorenzo Fazi che non vi era alcun danno nel farla e la autorizzò. (vertenza in Ratta)

.Anno 1668 Settembre 6 –  Messer Teofilo Salvi da Massignano fece un esposto perché iscritto nel libro dello Specchio ed escluso dall’ufficio del vicariato, chiedendo di essere reintegrato e abilitato, come prima, ad esercitare l’ufficio di Vicario nei castelli fermani. Il Consiglio della città fu favorevole. (vertenza in Ratta)

.Anno 1673 Agosto 2 – I capitoli di Massignano di contratto con il fornaro erano stati rivisti e approvati dalla Comunità. Fermo approvava questi capitoli sopra l’appalto del forno massignanese.

.Anno 1675 Pergamena arcivescovile 1675. 05. 28 – Roma – Clemente X, beneficio a Massignano,  per miglioria nei beni del beneficio: licenza a comperare un pezzo di terra favore del monastero dei SS. Felice ed Adaucto a Massignano di cui è commendatario il cardinale Decio Azzolino

.Anno 1678 – Furono aggiornati i capitoli della Comunità di Massignano sopra l’appalto del forno comunale e l’autorità di Fermo li confermò. (vertenza in Ratta)

.Anno 1684 Settembre 14 – L’antica consuetudine tra gli abitanti di Montefiore quelli di Massignano faceva condividere la facoltà di pascolare gli animali nei terreni dell’uno e dell’altro dei due castelli. Il Consiglio di Cernita approvava l’antica consuetudine di comunione dei pascoli. (vertenza in Ratta)

.Anno 1691 Novembre 6 – Giovanni Orlando Massi da Massignano chiese di fabbricare presso le mura del Castello, con relazione del signor Celio Carlucci riguardo al sito. (vertenza in Ratta)

.Anno 1696 Gennaio 9 – Il Consiglio della Cernita fermana diede la licenza a Gervasio Marconi da Massignano chiedente facoltà per fare due gradini nella strada per l’ingresso nella sua cantina, con relazione del cittadino deputato a ciò, signor Concetto Calabria. (vertenza in Ratta)

.Anno 1706 Febbraio 18 – Il Consiglio di Cernita di Fermo concedeva licenza, a richiesta di Pietro Massa da Massignano al fine di fare una scala all’ingresso alla sua casa con relazione fatta dal signor Pier Matteo Scattoni deputato a riconoscere il sito. (vertenza in Ratta)

.Anno 1707 Gennaio 12 – Silvio di Nicola da Massignano chiese licenza per edificare una nuova casa, con il consenso del Parlamento massignanese e con la relazione fatta dal signor Alessandro Cordella deputato a riconoscere il sito. La Cernita di Fermo diede approvazione. (vertenza in Ratta).-Anno .Anno 1717 Aprile 3 – Giovanni Antonio Ciarrocca da Massignano fece domanda per poter costruire una casa, con relazione fatta dal marchese Giovanni Battista Matteucci deputato a riconoscere il sito presso le pubbliche mura del castello, la Cernita Fermana faceva la concessione purché non aprisse mai ina porta nelle pubbliche mura. (vertenza in Ratta)

.Anno 1762 Maggio 10 – Il signor Don Marcello Enrighi, priore di Massignano, presenta una relazione per poter ingrandire due finestre che si trovano nella cantina della sua casa. (vertenza in Ratta)

.Anno 1770 -.Pergamena arcivescovile  – 1770. 05. 05 – Copia cartacea di bolla di Clemente XIV per Massignano, chiesa SS. Felice ed Adaucto

.Anno 1781 circa  secolo XVIII anno circa 1782 PAGLIALUNGA Luigi  costruttore del teatro fermano e del Municipio di Castel Clementino (=SERVIGLIANO); a MASSIGNANO la chiesa di S. Giacomo Maggiore

.Anno 1785 – Fra i Frati Cappuccini un Acciarri  da Massignano(1785-1822)

.Anno 1788 varie date  A Fermo fu attiva la bottega dell’argentiere Raffaele Antonelli, noto dal 1788 al 1828, ed ebbe un seguito nel secolo XIX con la produzione del figlio Luigi.    La più antica notizia risale al 1788; anno in cui modellò una muta di cartegloria d’argento per il Santuario della Madonna del Pianto in Fermo. Nel 1791, per la Compagnia del SS. Sacramento di Massignano eseguì un ostensorio in argento, sbalzato e cesellato con ornati in princisbek, firmato “Raffaele Antonelli di Fermo”. Nel 1812, chiese licenza alla prefettura del Dipartimento del Tronto, sotto il napoleonico “Governo Italico” con sede a Fermo, di bollare la sua produzione con le iniziali “R.A.” e col punzone raffigurante “Palma d’olivo”; poi, sotto il “Governo Pontificio” alla sigla personale aggiunse il punzone con lo stemma camerale, detto di “Padiglione” ed usato per lavori in argento.

.Anno 1800   LIBRI\\\  GARULLI, E. Nicola Laurantoni di Massignano deputato della costituente romana 1849 caduto per Roma. Ancona post 1949 LIBRO   \\  SANTINI, G. All’on. Sig. Leonardo Laurantoni di Massignano. S. n. 1872

.Anno 1830 -LIBRO\. Matteucci, Felice <1808-1887> – Matteucci, Giacomo. Per le nozze fauste della donzella Camilla Costantini patrizia fermana con il signore Filippo Marconi di Massignano / i fratelli Felice e Giacomo marchesi Matteucci in attestato di congratulazione e parentela offrono la seguente …. Fermo : dalla stamperia Bolis, con approv., 1830

.Anno 1832 -.-.EDILIZIA MASTRO MURATORE = ; Marconi Giocondo (1832, 1853) da Massignano

.Anno 1834 -.-La popolazione di Massignano nel 1834 era calcolata a 1520 abitanti

.Anno 1922  Francescano Acciarri 1922-2015  da Massignano; e altro

 

=  Parole di don Germano.     Nel 1997 il successore mons. Gennaro Franceschetti ha creduto fortemente nel museo come “bene pastorale” e quindi come strumento di evangelizzazione e di incontro anche con chi non è particolarmente partecipe della vita cristiana, ed ha sostenuto, promosso, favorito e sollecitato la conclusione dei lavori ed ha curato la disposizione delle opere con adeguamento dell’apparato didattico. Al vicario generale mons. Armando Trasarti è stata affidata la oculata gestione delle risorse finanziarie. Finalmente il 16 aprile 2004, alla presenza del ministro per i Beni Culturali, on. Giuliano Urbani, di numerose autorità e gran folla di cittadini, il museo è stato inaugurato. E’ il polo di una ricchissima e preziosa rete di musei e di raccolte parrocchiali, diffuse nel territorio dell’arcidiocesi. La Chiesa Fermana si sta dimostrando molto sensibile alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Numerosi sacerdoti con grande passione ed entusiasmo ed anche con sacrifici economici hanno sistemato locali, realizzato impianti, restaurato opere, allestendo piccoli, ma straordinari musei parrocchiali. Il territorio di questa arcidiocesi è costellato da tali raccolte che vanno da Massignano a Campofilone, a Carassai e, da Capodarco di Fermo, a Petriolo, a Corridonia, a Mogliano, a Morrovalle fino a Montefortino, mentre si progettano altre sedi ancora.     Il museo ecclesiastico si pone come luogo di valorizzazione e recupero di un patrimonio posto al servizio della missione della Chiesa ed è significativo da un punto di vista storico-artistico. E’ strumento di evangelizzazione cristiana, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di fruizione artistica, di conoscenza storica, come ha scritto la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, nel testo: “La funzione pastorale dei musei ecclesiastici”. Città del Vaticano 2001.

Nel 2002 pubblicava un opuscolo su questi temi.

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MASSIGNANO documenti d’archivio segnalati da Filippo Bruti Liberati con atti notarili degli anni 1442 1469 1511 1569

MASSIGNANO DOCUMENTI. studio di  FILIPPO BRUTI LIBERATI.”8 novembre 1847 Nel felice imeneo di Amalia Fiori con Giuseppe Laureti ambedue di Massignano il marchese Filippo Bruti Liberati offre al padre della sposa signor Antonio Fiori meritissimo priore comunale la prima memoria sul detto commune di Massignano”

 

1511  A Massignano il Comune ha in archivio un istrumento in pergamena del 20 Novembre 1511 sotto Giulio II papa, in cui Domina Valeria moglie, e signora del signor Giovanni de Bertachinis di Firmo erede per la terza parte, e tutrice di Giovan Francesco figlio, erede, e per la terza parte il Sig. Girolamo Bertacchini di Fermo vendono il Molino in Massignano al Comune, posseduto con questo pro indiviso. Questo Istrumento fu stipulato in Fermo presso la chiesa di San Domenico con l’autorizzazione del giudice Catarino de Silvestrini di Norcia, davanti la Chiesa di S. Maria dell’Umiltà.

 

1569  La bolla di S. Pio V del 9 Giugno 1569 che ne richiamava una di Alessandro IV. del secolo XIII e copia di detta Bolla di S. Pio V. esistente nella biblioteca di Macerata nel vol. 7 della collezione de manoscritti, riguardante la Marca pag. 124 da pubblicarsi per esteso, come assai onorifica ai Massignanesi, considerati, come Cittadini Fermani.

 

1469  A Massignano trovai in archivio altro documento contenente una sentenza per i confini territoriali fra Ripatransone e Massignano dei 24 marzo 1469 quando era Francesco Lunerti sindaco, e Niccola vescovo Manduriense Commissario giudice.

 

1442  Questa contiguità tra i due fece sì che Francesco Sforza il 22 settembre 1442 assediando Ripatransone, scrivesse alla Magistratura di Massignano, affinché mandasse 25 grandi tavole forti dette “arse” per fare ripari alle bombarde a Pier Brunoro, uno dei capitani acquartierato con l’armata alla Maddalena oggi villa Boccabianca, La data è nel felice accampamento di rimpetto a “in felicibus castris contra RipaTransonem. Documento edito dal Colucci <Antichità Picene> al tomo 18 numero 134.

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UN DIPINTO DI SALVATORE TRICARICO PER ONORARE LA PATRONA DEL CORPO NAZIONALE DEI VILGILI DEL FUOCO

Santa Barbara inconiciato (3)

Il pittore Tricarico Salvatore onora il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco donando loro un bel dipinto raffigurante la loro patrona Santa Barbara che è conosciuta anche come protettrice della Marina Militare italiana, dei minatori, dei muratori e copritetti, dei campanari, dei detenuti dell’artiglieria e genio degli architetti, degli artisti sommersi, nonché di torri e fortezze, dei dipendenti Anas, dei Cantonieri che dei geologi è invocata contro la morte improvvisa per fuoco, fulmini, esplosioni, crolli.
La ricorrenza liturgica il 4 Dicembre. A lei i minatori accendono ceri contro gli incidenti mortali nelle miniere ed è invocata parimenti dagli ardimentosi vigili nei pericoli di morte. Alla patrona hanno intitolato il premio che assegnano per «I custodi della sicurezza» e a lei cantano l’inno ufficiale di questo corpo nazionale.
La più antica figura di s. Barbara che si conosca risale all’anno 705 in un affresco nella chiesa di Santa Maria Antiqua Roma dove è ritratta col l’aureola. Anche tra i protestanti è conosciuta e raffigurata tra l’altro nella Chiesa evangelica di Holzkirch (metà secolo XVIII).
La santa ausiliatrice Barbara è nata intorno all’anno 273 d.C. Nell’attuale Izmit che allora si chiamava Nicomedia in Turchia, nel secolo terzo e fu martirizzata nel 306. Il suo coraggio richiama quello dei vigili del fuoco che con ardimento prestano soccorsi alle persone nei crolli, nelle burrasche che abbattono i pini montani, nel furore delle acque.
Il pittore è riuscito a dare solennità alla maestosa figura della patrona con sulla testa un’aurea corona di forma turrita difensiva, corona fatta con oro. La mano della martire mostra la verde palma. L’aspetto giovanile risalta nello sguardo vivido dei suoi luminosi occhi celesti come è celeste anche il velo che scende dal testa al collo e le contorna il viso.
L’espressione chiara è di volontà impegnata nell’affrontare le avversità, i pericoli di disastri e di morte. La santa che protegge la sicurezza delle persone, poggia i suoi piedi su una solida roccia che nell’arte cristiana raffigura Gesù, il Messia della salvezza.
Il pittore dà risalto alla persona con un una veste lunga, solenne, elegante di colore bianco, il candore di un animo leale, onesto e onorato. L’azzurro della cintura che le cinge i fianchi richiama una serenità di speranze radiose di luce e di pace. Il manto rosso è nella liturgia il colore dei martiri.
A destra del dipinto lo stemma tradizionale dei vigili del fuoco, elaborato con filamenti in oro, ha al centro il rosso cuore. Sotto lo stemma la bandiera d’Italia Verde, Bianca e Rossa e il nastro col motto in latino dichiara: “Flammas Domamus Donamus Corda” – “Domiamo la fiamma, Doniamo il cuore” a sinistra risalta l’immagine delle piante abbattute dal vento nel 2018 a destra l’incendio boschivo nell’impegno volenteroso che affronta i rischi e le rinunce ogni giorno, quando suona la sirena.
Nello stemma la fiamma esprime lo spirito di sacrificio e il desiderio di bruciare il male che si annida nelle abitazioni e di salvaguardare la ricchezza che accresce la potenza della patria.
In basso a sinistra la firma dell’autore, il dipinto realizzato ad olio su tela centinata cm 70 x 105 onorerà la sede Nozionale dei Vigili del fuoco.
Ci rallegriamo con il pittore Salvatore Tricarico per quest’opera che manifesta sensibilità per la protezione contro le calamità naturali e per i pericoli umani.

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