San Gualtiero di Servigliano (FM) raccontato nel 1657 da don Salvatore Navarri

Trascrizione in lingua antica del libretto con traduzione dei testi latini ed aggiunta una nota.

COMPENDIO DELLA SANTA VITA, E BEATA MORTE DI San GUALTIERO

ABBATE LE CUI SACRE RELIQUIE RIPOSANO NELLA PAR(R)OCHIALE DI S. MARCO DI SERVIGLIANO DIOCESI DI FERMO

DEDICATA ALL’EMINENTIS. E REVERENDIS. SIG. IL CARDINAL GUALTIERI ARCIVESCOVO E PRINCIPE DI FERMO

DA DON SALVATORE NAVARRI Sacerdote di Servigliano

In MACERATA, Per Serafino Paradisi. 1657 Con licenza de’ Signori Superiori

\ Si placet Illustriss. et Reverendiss. D.D. Papirio Silvestro Episc[opo] Maceraten[si] Imprimatur Fr[ater]Vincentius de Guliis Min[orum]. Con[ventualium] Sac[rae] Theol[ogiae] Mag[ister] in Patr[ocinio] Univers[ae] Phil[osophiae] Profes[sor]

Imprimatur

Malatesta Gabutius I[uris] V[triusque] D[octor] Protonor[ius] Apostol[icus] Can[onicus] et Vic[arius] et Aud[itor] Gen[eneralis] Illustriss. et Reverends. D[omini] Episc[opi] Maceraten[sis].

Hieronimus Spinuccius Sacrae Theol[ogiae] Doct[or] vidit pro Reverendiss. P. Inquisit[ori] Gen[erali] Anconae ideo si eidem placet Imprimatur.

Imprimatur Fr. Dominicus Maria Ancechius Lector, ac Vicarius S. Officij Maceratae Ord. Predic.

traduzione <Se piace all’ill.mo e rev.mo signor don Papirio Silvestri vescovo di Macerata.  Si stampi. Fra’ Vincenzo Delle Gole dei Minori Conventuali, maestro della sacra teologia, professore nel <patrocinio> di tutta la filosofia. \ Si stampi. Malatesta Gabuzio dottore nell’uno e nell’altro diritto, protonotario apostolico canonico e vicario e uditore generale dell’ill.mo e rev.mo sig. vescovo Maceratese. \ Gerolamo Spinucci dottore di sacra teologia vide per il rev.mo inquisitore generale di Ancona, pertanto se allo stesso piace si stampi. \ Si stampi Fra’ Domenico Maria Ancechi lettore e vicario del sacro Officio di Macerata dell’ordine dei Predicatori

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                                  EMINENTISSIMO, E REVERENDISSIMO SIGNORE

   Nella terra di Servigliano riposano le venerande Ossa del Servo di Dio San Gualtiero Abbate Romano di Casa Patritii. L’affetto di devozione, che porto a questo santo, e il desiderio, che tengo, che la sua vita sia da tutti letta, imitata; mi hanno mosso a darla in luce, l’ho raccolta dall’originale, che in carta pergamena si conserva nella stessa arca del Santo (come ho mostrato con autentica ai superiori delle Stampe, che me l’hanno richiesto). Ma perché è assai antica, e di latinità, che mostra haver del semplice, l’ho tradotta in Italiano; la dedico a V. E. supplicandola, che si come con la sublimità del saper suo, ammirerà li mezzi, che tenne Dio per in(n)alzare il suo Servo alla Gloria; così ella con la generosità della sua Clemenza, scusi quelli errori, che posso haver commessi nel darla alle stampe. V. E. benedica questa piccolissima fatica, acciò che mediante la sua benedittione, altamente, si imprima nel cuore di chi la leggerà, e a guisa di grano di Senapa cresca sì, che possino gli animi inquieti degli Huomini venire, e habitare ne’ rami dell’imitazione del Santo Abbate, e io qui con questo picciolo ossequio della mia devozione, raccordandomele humilissimo Suddito, e Servo, bacio la sacra Porpora.

  Di V. E.              Humiliss. et Devotiss. Ser(vo)    D. Salvatore Navarri

COMPENDIO DELLA VITA DEL VENERABILE SERVO DI DIO

SAN GUALTIERO ABBATE DI CASA PATRITIA ROMANO

La cui festa si celebra alli 4 di Giugno

CAPITOLO I

   E’ ordinario costume di santa Chiesa nel descrivere, che ella fa le vite dei servi di Dio, proporre a’ Fedeli l’origine, e nobilità delle loro famiglie. Così ella nella vita di Sant’Antonio Abate, del quale dice Antonius Aegyptius et Christianis Parentibus ortus, etc. <Antonio Egizio e nato da genirori cristiani e altro>. Lo stesso usa nella vita de Santi Romualdo, Tomaso d’Aquino e tanti altri, la nobiltà del sangue, da un non so qual lustro alle attioni honorate, dei santi, e le fa più ragguardevoli ne gl’occhi de’ mortali. Io so, che il gran vescovo di Marsilia Santo Salviano con apostolico spirito intaccò un tantino la nobiltà lib. 3 de Gubernatione Dei. Quis est, vel dives omnino, vel nobilis, aut innocentiam servans, aut a cunctis sceleribus manus abstinens, quamquam superflue a cunctis dixerim, utinam, vel a maximis, quia volunt sibi id forte maiores, quasi privilegium vindicare, ut iure suo crimina, vel minora committant. <”Il Governo di Dio”. Chi è o in tutto ricco o nobile, o custode dell’innocenza o con le mani libere da tutte le malvagità, benché avrei detto ‘da tutte’ in modo superfluo, magari da quelle peggiori, poiché i maggiori vogliono rivendicare per sé ciò per caso, quasi come privilegio, in modo che per diritto prprio commettano almeno colpe minori ?>. E poco dopo segue Qui est, aut humano sanguine non cruentus, aut coenofa impuri tate non Sordidus? <Chi è che non è macchiato di sangue umano o non si è sporcato di macchie di fango?>Onde credo, che Chiesa Santa, sì come non riprova il detto del Santo Vescovo nelli nobili cattivi, così dimostra, che da nobili sa trarre fonti di virtù, e rivi di santa protezione, e sì come l’oro, e le perle si ritrovano l’uno nelle puzzolenti caverne della terra, e l’altro nel fango delli profondi seni de’ Mari; così la santità e perfettione christiana anco tra le ricchezze, e nobiltà si ritrova di finissimo caratt<er>o. Tale si scoperse in San Gualtiero humil Servo di Dio al racconto della di lui vita dò con essa principio.

CAPITOLO II

Trasse dunque la sua origine dalla Città di Roma, e discese dal sangue dei signori Patrizi nobilissimi per molti titoli. Il padre nomossi Eurito <=Enrico>, e la madre Vittoria alla nobiltà dei natali, benché accompagnassero una non ordinaria bontà di vita, conservandosi nel timore di Dio, nel quale consiste la vera felicità; era però loro di scontento la mancanza di prole, onde spesse volte pregavano la Divina clemenza, che desse loro qualche figlio, mentre fosse per essere a Sua maggior gloria, e a tale effetto non mancavano di ricorrere all’orationi d’altri Servi di Dio, conoscendo benissimo, che la molteplicità delli Intercessori ottiene alle volte da Dio, quello, che per altro sarebbe negato

CAPITOLO III

Pareva, che l’onnipotente tardasse ad essaudire le voci, che si mandavano al Cielo a quest’effetto. Onde Eurito <=Enrico>, e Vittoria implorarono l’aiuto dell’infocate Orazioni del Sommo Pontefice di quei tempi, facendo voto di edificare, e dotare una Chiesa, quando  la clemenza del benignissimo Salvatore si degnasse concedere loro un Figliuolo.

CAPITOLO IV

Non passò lungo tempo, che Vittoria conobbe sopra di sé caduta la celeste rugiada, ed essere gravida d’un Figliuolo, che doveva essere l’ornamento di sua Casa, e a suo tempo felicemente lo partorì a questa luce mortale, per dover con la luce di santa vita illuminare altri molti. Si fecero nella paterna Casa quelle allegrezze, che si possono im(m)aginare alla vista di graziosissimo Fanciullo, e più s’accrebbero con una non ordinaria ammirazione, quando si scoperse nella spalla destra del Bambino una lucente Stella di carne con sopra il salutevol segno della Croce, illustre presaggio di quel celeste splendore, con cui doveva poscia per la via della Croce guidare molti, e ritrovare il Salvatore.

CAPITOLO V

Portata la nova ad Eurito <=Enrico>, corse per vedere il figlio novellamente nato, e rimirando la sua bellezza, e attonito del segno lucidissimo della Stella, e Croce; rese a Dio le debite grazie con humile affetto riconoscendo non dai proprij meriti, ma dalle Orationi de’ Servi del Signore, e massime da quelle del Romano Pontefice aver ottenuto il compimento de’ suoi desiderij. Onde accompagnato da nobile comitiva, si trasferì dal Pontefice, e facendoli offerta del maggior bene, che possedesse, disse con profonda umiltà. “Ecco, Beatissimo Padre, il dono, che mi ha fatto Dio per mezzo delle vostre Orazioni, Voi ne avete da essere il Padrone, e Signore”.

CAPITOLO VI

Alla vista di Creatura sì bella restò il Papa preso, e dal vivifico segno di Croce nella spalla ammirato, e presolo tra le sue braccia, ringraziò il Signore autore di opera così riguardevole, e battezzandolo gli impose il nome Gualtiero, e con spirito divino predisse, che sarìa stato un gran Servo del Signore, e condottiero di molti a pascoli eterni.

CAPITOLO VII

Cresceva intanto il Benedetto Fanciullo sì in età, come ne’ lodevoli costumi, e religiose creanze, e tirava a sé gl’occhi di chiunque lo mirava, per essere di gravità, maturità, e prudenza ornato.

CAPITOLO VIII

Vestì Eurito <Enrico> il suo Gualtiero di vesti condecenti al nobil stato suo, e sopra la spalla destra fece ricamare una Croce, e Stella corrispondente a quella, che era nella carne impressa, acciò si conoscesse, qual grazia era stata concessa dal Cielo al suo Figlio. Arrivato all’età di sett’anni Gualtiero fu mandato alla scuola, nella quale facendo non ordinario profitto, mostrava, che il suo sapere fusse <più> dal Cielo infuso, che da Maestri terreni appreso, mercé che lo Spirito Santo si era eletto quell’anima semplice, per riporvi li tesori della sua sapienza.

CAPITOLO IX

Nell’andare alla scuola passava Gualtiero avanti una chiesa, della quale era custode un Venerando Sacerdote per nome Armando persona di eccellenti meriti, e di singolar devotione. Costui rimirando Gualtiero, in vederlo oltre della bellezza corporale, ornato di modestia, affabilità, e virginal candore abbellito; proruppe in tali parole: “Oh mio Dio, e Salvator Giesù fareste pure la bell’opra, se vi degnaste di concedere a questo Giovane, che alla bellezza del suo corpo accoppiaste la bellezza interna delle Sante virtù”. Mentre così discorreva, passò Gualtiero conforme all’ordinario suo, e dimandato dal Sacerdote Armando col proprio nome; rispose come un altro Samuele: “Eccomi venerando Padre, che cosa mi commandate, nella quale vi possa servire?” Soggiunse il Sacerdote: “Che segno è quello, che portate sopra la veste nella destra spalla?” “Ne significa un altro – rispose Gualtiero – che mercé la grazia di Dio, mi fu impresso nella carne naturalmente, e corrisponde a questo che voi vedete”. E scoperto il luogo del segno glielo mostrò. Preso da tal vista occasione Armando, disse: “Figlio dilettissimo non vogliate essere ingrato a Dio, che tanta gratia vi concesse, facendo nel Corpo vostro un marca, e segno del suo celeste amore; habbiate in voi sempre il suo santo timore, e humiliato nel suo Divino conspetto rendetevi degno sempre di maggiori gratie”.

CAPITOLO X

Sentì il beato giovane gli avvisi, come da Dio venuti replicò: “Che cosa poss’io fare per più piacere alla Divina bontà, e intracciare il suo santo volere?” A questa interrogatione rispose il Religioso Huomo: “Dovete sapere, che il nostro Salvatore in quanto all’esser suo Divino fu purissimamente, e eternamente generato dal suo Eterno Padre, e come Huomo fu dalla sua Santissima Madre senza opra di Huomo, senza lesione del virginal candore concetto, e partorito con ammirazione della natura, che mai più haveva visto, ne vedrà partoriente, né parto simile. Onde dilettati grandemente della purità della mente, e del corpo, e desidera, che si conservi il virginal candore dai suoi affettionati, quale per conservare non dubitarono Chori di Virginelle pudiche, sottoporre il collo alli Carnefici, lasciarsi arrostire nel fuoco, liquefarsi nelle caldaie di pece, essalare le loro anime fra crudeli tormenti con sparger quanto sangue havevano nelle vene.

CAPITOLO XI

Havendo fatte in un tratto profonde radici nel cuore di Gualtiero il discorso del Sacerdote Armando, si dispose di voler servire a Dio, non solo con purità di cuore, che consiste in non macchiare l’animo con sorte alcuna di peccato per quanto gli fosse dal Cielo somministrato l’aiuto di farlo, già che senza la Divina grazia nulla si può operare; ma anco propose di consacrare la purità del corpo abbandonando ogni sozzura di carnal diletto, lasciando raro essempio a’ mortali, li quali non ancora arrivati all’età perfetta, e avendo per così dire le lab(b)ra bagnate di latte si ingolfano com’animali nel fango del sozzo piacere, servendo l’uno, all’altro di mal accostumato Maestro, tanto in parole, com’in fatti. Non così il Santo Giovane Gualtiero, che cacciò dalla casa del suo cuore l’infame fantesca del piacere mondano, e vi collocò la padrona cioè la santa Virginità.

CAPITOLO XII

Profittando giornalmente Gualtiero in ogni conto, tanto ne’ costumi, quanto nelle scienze, giunse a quell’età, che è solita apportare contrad(d)itioni. Pensò il Demonio di sviarlo da’ suoi santi propositi, e staccarlo dalli cari abbracciamenti di quel Signore, al quale haveva dedicato tutto il suo amore, e perché non gli riuscivano le arti sue fraudolenti; adoprò quelle della malitia umana, come dimostra il seguente successo.

CAPITOLO XIII

La Figlia di certo Cavaliere Romano, che nell’Historia della vita di questo Santo è chiamato Preside, viste le cavalleresche maniere del honesto Giovane fortemente di lui s’innamorò, e venendo dalle fiamme d’amore abbruciata, e dagli strali del cieco appetito trafitta, non trovava, se non nel pensier di Gualtiero il suo riposo, e ogni giorno più consumandosi; determinò di scoprire il suo volere al proprio Padre, stimando di dover trovare compassione nel paterno seno, e il fogo ardente del travagliato suo cuore. Scoprì intrepida qual fosse il desiderio suo, e come unigenita, e amata ne ricevé risposta di sod(d)isfatione, piacendo al Padre il partito preso dalla Figliola, e incontinente fatto chiamare Eurito <=Enrico> Padre di Gualtiero il Preside così favellò. Non è cosa da Huomo prudente il lasciar fuggire quelle occasioni, che portano gl’avanzamenti alle Famiglie, che egli conoscendo le nobili maniere del giovane Gualtiero, haveria volentieri concesso a lui la sua Figlia in Moglie, e unite due nobilissime Famiglie insieme in un solo sangue. Piacque altresì ad Eurito <=Enrico> il proposito del Cavaliere, e accettando la Giovane per Moglie al Figlio, se ne ritornò allegro a Casa, e lo fece consapevole del già concertato Maritaggio. Fu questo avviso una ferita al cuore del Beato Giovane. Onde vigorosamente rispose al Padre, che non poteva esser mancatore di fede a chi egli haveva promesso la sua Verginità, cosa che non ne haveria potuto esse(g)uire, quando si fosse congiunto con Donna, anco con vincolo maritale; essendo verissimo come dice l’Apostolo San Paolo, che li maritati sono divisi, parte servendo Dio, parte al loro Corpo, ma li Vergini sono tutti di Dio seguendolo, dovunque egli va. Cominciò Eurito <=Enrico> a sentire assai la risolutione del Figlio; onde parte con preghiere, e parte con lusinghe andava ammollendo lo stabilito dall’imperturbabile cuore di Gualtiero. Pure non trovando il terreno cedente all’aratro delle persuasioni, si venne alle minacce, e battiture, le quali non ad altro valevano, che a far maggiormente scintillare il fuoco, che stava nel petto del martirizzato Giovane. Poveri Padri tanto ciechi, che non vedono il bello nell’essere virtuoso, mentre distornano li Figli dal servizio di Dio. Non mancava in oltre Eurito <=Enrico> di trattare Gualtiero come disob(b)ediente, e ingrato.

CAPITOLO XIIII

Tra queste violenze, e angustie già infastidito dal trattare del Padre, si risolvé d’andare a ritrovare il Sacerdote Armando, accio(c)ché con il di lui consiglio si pigliassero quelli partiti, che fossero valevoli per fuggire le diaboliche insidie. Fu concluso tra di loro che si attendesse alle Orationi, vero rimedio per ogni sorte d’afflittione. Ritornato a Casa il Santo Giovane, e ri(n)serratosi nella sua Camera prostrato in terra cominciò le sue Orationi dicendo: “Voi, o Figlio dell’Eterno Padre, Sapienza increata; Voi, o Gesù Figlio della più Santa Madre, che al Mondo fosse; Voi s(i)ete il Protettore de’ Vergini, e che tenete il sigillo dell’illibata Verginità. Ecco l’infelice Gualtiero maltrattato dal proprio Padre, non per altro, che per non voler con sozzo piacere, perdere la castità, ancorché palliato sia dall’honestà matrimoniale. Tra queste Orationi, Altissimus dedit vocem suam, <l’Altissimo diede la sua voce> e si sentì  un soffio di leggierissimo vento, che li portò all’orecchio questo consiglio. “Fuggi, Gualtiero, fuggi, e a guisa d’un altro Giuseppe lascia il mantello dell’occasione.” Obediente il Giovine alle voci di Dio ritornò dal suo fedele Padre spirituale manifestandogli l’ordine havuto dal Cielo; perciò ambedue di nascosto partendosi da Roma, pellegrinarono per qualche tempo; alla fine pervennero nella Marca, e nella Valle Marana, vicino (nota 1) al Fiume Tenna posero la loro habitatione, ivi tra le solitudini di quei luoghi fatti Romiti, e solitarij con vivere vita angelica, scordati d’ogni altro affare habitavano con la mente nel Cielo. Godeva Gualtiero di vedersi libero dalli lacci del Mondo, e lontano da quelle voci, che tanta noia gl’apportavano. Ma sì come non è possibile che la luce stia senza il suo splendore, che gl’è connaturale, e inseparabile, così la Vita de’ Servi di Dio manda copiose le sue luci. Onde molti tirati dall’essempio di Gualtiero lo seguirono, fondando un monastero vicino al detto Fiume Tenna, il quale poi dalle ingiurie del tempo fu distrutto, essendo quivi prima del Romano Pontefice stato dichiarato Abbate san Gualtiero.

CAPITOLO XV

Erano passati molt’anni, che li Parenti del Santo non havevano potuto havere nuova del loro Figliuolo, e sentendosi ispirati da Dio, partirono di Roma, né sapendo dove s’andassero, finalmente giunsero nella Marca, nel qual luogo hebbero qualche lume, dove si ritrovasse il loro tanto desiderato bene, e sollecitamente colà condotti, non si può spiegare l’allegrezza, che hebbero in vedere il venerando sembiante d’uno, che se bene haveva il Corpo mortale, conversava con lo spirito nel Paradiso. Proruppero gli buoni Genitori in quelle parole: “Fili, quid fecisti nobis sic? Ego, et Pater tuus dolentes queremus.” <Figlio cosa ci hai fatto? Io e tuo padre, dolenti, ti cercavamo.> Ma il santo Abbate havendo a sufficienza risposto a’ suoi Parenti, trattenneli seco per qualche tempo, consolandoli, e incam(m)inandoli per la via del Cielo. Ritornati poscia a Roma i Parenti, edificati sopra modo dalla vita esemplare del santo Abbate, si disposero di venire ad un atto heroico, nel quale consiste la vera perfezione. Venduto per tanto quanto havevano, e fatti poveri, per arricchire il Salvatore nelli altri poveri, e dato anco parte delle loro sostanze alle Chiese, si ricoverarono sotto l’ombre del santo Figlio, desiderando appresso di quelle chiudere gl’occhi, e esalare lo spirito nelle mani di colui, al quale essi havevano dato l’essere, e la vita temporale, sì come riuscì loro, chiudendo li giorni, come si può piamente credere, con la morte de’ Santi. Furono seppelliti conforme la tradizione, che si ha nella Chiesa, che ancora sta in piedi sotto il titolo di san Gualtiero vicino al Fiume Tenna, nella quale si v(u)ole, che ci siano anco le ossa di Armando Compagno di san Gualtiero.

CAPITOLO XVI

Il santo Abbate doppo haver governato con religiosi ammaestramenti li suoi Monaci, predicendo il giorno della sua morte, e profetizzando altre cose; andò a ricevere il premio delle sue honorate fatiche, e gloriosi travagli, che egli haveva  tol(l)erato in questa vita.

Il Corpo di questo Benedetto Servo di Dio doppo qualche tempo portato nella Par(r)(r)ochiale di San Marco di Servigliano, ivi risplende con molti miracoli, e con molte gratie, che egli fa a chi con devotione si raccomanda alla di lui intercessione, il che manifestano li molti voti, e tavolette appese nella Chiesa dove riposano le sacre Ossa, come anco nella Chiesa vicino al Fiume Tenna, dove rese lo spirito al Signore.

   La festa di quello Santo si celebra alli 4 di Giugno con concorso straordinario de’ Popoli vicini, e lontani, la cui sacra Testa resta fin al presente nella parte di dietro segnata con un risplendente segno della santissima Croce. Cosa di stupore a vedersi! Per tal giorno concesse il Sommo Pontefice Innocentio X. Indulgenza plenaria a chi visitando la Chiesa Par(r)ochiale di Servigliano farà quant’ordina sua Santità, il che sia a gloria di Dio.

Il Breve di sua Santità è il seguente.

INNOCENTIUS PAPA X

Universis Christifidelibus praesentes litteras inspecturis salutem, et Apostolican benedictionem Ad augendam fidelium et animarum salutem caelestibus Ecclesiae thesauris pia charitate intenti; omnibus utriusque sexus christifidelibus poenitentibus, et confessis, ac sacra communione refecti, qui Ecclesiam Parochialem Sancti Marci loci Serviliani Firmane Dioecesis, cui Ecclesiae, eiusque Cappellis, et Altaribus, sive omnibus sive singulis, eamque seu eas, vel ea, aut illarum, seu illorum  singulas, vel singula etiam visitantibus, nulla alia indulgentia reperitur concessa die Festo Sancti Gualtieri a primis Vesperis, usque ad occasum solis Festi huiusmodi singulis annis devote visitaverint et ibi pro Christianorum Principum concordia, Haeresum extirpatione, ac Sancte Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deum preces effuderint; Plenariam omnium peccatorum suorum remissionem, et indulgentiam misericorditer in Domino concedimus, praesentibus tantum ad septennium valituris. Volumus autem ut si alias Christifidelibus in quacumque anni die dictam Ecclesiam, aut Cappellam, aut Altare in ea situm visitanti bus, aliqua alia indulgentia perpetuo, vel ad tempus nondum elapsum duratura etiam in erectione, et quacumque alio modo, quamtumlibet privilegio concessa fuerit, vel si pro impetratione, praesentatione, ordinatione, seu publicatione aliquid, vel minimum detur, aut sponte oblatum, recipiatur, praesentes nullae sint eo ipso.

Datum Romae apud Sanctam Mariam Maiorem sub Anulo Piscatoris die 5 Martij 1652.

< Breve del papa INNOCENZO X. Salute e Apostolica benedizione a tutti i fedeli cristiani che avranno guardato la presente lettera. Per potenziare la salvezza dei fedeli e delle anime per mezzo dei celesti tesori della Chiesa e con l’intenzione di maggiore carità per tutti i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, penitenti e confessati e nutriti della santa Comunione, quando visiteranno devotamente la chiesa parrocchiale di San Marco del luogo di Servigliano della diocesi Fermana, dai primi vespri fino al tramonto del giorno della festa di San Gualtiero, mentre si riscontra che non è stata concessa nessuna altra indulgenza a questa chiesa, alle sue cappelle e agli altari, sia tutti, sia singoli, noi facciamo concessione ai visitatori che ivi eleveranno a Dio pie preghiere per la concordia dei principi cristiani, per l’estirpazione delle eresie e per l’esaltazione della Santa madre Chiesa, dando loro l’indulgenza e la remissione di tutti i loro peccati per concessione misericordiosa del Signore, in ogni singolo anno soltanto durante un settennio. Ma vogliamo che qualora fosse stata altrimenti concessa qualche altra indulgenza valida in perpetuo o solo per un tempo non ancora trascorso, in un qualsiasi modo o in un’erezione, con qualsiasi privilegio a favore dei fedeli cristiani che visitano questa chiesa o una cappella o un altare sito in essa, quand’anche per una impetrazione, per una presentazione, per una ordinazione o per una pubblicazione, dando o ricevendo qualcosa anche minima, o un’offerta spontanea, per il fatto stesso la presente lettera sia nulla. Data da a Roma presso santa Maria Maggiore sotto l’anello del pescatore <=Pietro> il 5 marzo 1652.

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E perché al conseguimento di questa Santa indulgenza concorrono molti Popoli, ho stimato necessario acciò che fruttuosa si possi conseguire, porre qui alcuni avvertimenti, che serviranno per preparatione.

   Il Primo avvertimento è, che si deve andare alla visita del Santo, non per curiosità, o per spasso, né trattenersi in hosterie, o taverne bevendo allegramente, né per la strada andar burlando, o mormorando, o parlando delli altrui fatti. Ma con divota compuntione di cuore pregando Dio, che voglia perdonare i peccati passati, e preservarci per l’av(v)enire.

   Secondo avvertimento è che la persona, arrivata alla chiesa, dove si celebra la Festa, salutato prima il santissimo Sacramento, e poi venerate le sante Reliquie, si  ritiri un tantino in disparte per prepararsi alla confessione, la quale per vigore del Breve del Papa devesi premettere alla santa Comunione ad effetto di conseguire la sacra Indulgenza, e fatto questo, si deve far la sacra comunione, pregando per la concordia de’ Principi Cristiani, essaltatione di santa Chiesa, e estirpatione dell’Heresie.

   Terzo avvertimento è circa l’Orationi, che si devono fare a quest’effetto, delle quali non si può dare certa regola, lasciandosi alla divotione di ciascheduno, con tutto ciò saria fruttuosa Oratione il recitare li Salmi penitenziali con le Letanie de’ Santi, ov(v)ero per quelli, che non sanno leggere, recitare la terza parte del Rosario, ov(v)ero la Corona del Signore.

   Quarto avvertimento, ci deve ogn’uno guardare da balli, e altre leggierezze, acciocché, mentre la persona va per so(d)disfare a Dio con i meriti del sangue del suo Figliuolo, che si sborsa nel conseguimento dell’Indulgenza in sodisfatione all’eterno Padre, la persona incauta non contraesse nuova colpa mortale, alla quale corrisponde il reato della pena eterna, che è il maggior male, che possa avvenire ad anima ricomprata col sangue pretioso di Gesù.

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ORATIONE DI SAN GUALTIERO

Euge Serve bone, et fidelis, quia in pauca fuisti fidelis, supra multa te constituam intra in gaudium Domini tui.

Iustum deduxit Dominus per vias rectas. Et ostendit illi regnum Dei. <Ben fatto, o servo buono e fedele, poiché fosti fedele nel poco, ti stabilirò sul molto: entra nel gaudio del tuo Signore. – Dio ha condotto il giusto attraverso le vie di rettitudine. E gli ha presentato il Regno di Dio>

OREMUS

Intercessio nos quesumus Domini Beati Gualterij Abbatis commendet, ut quod nostris meritis non valemus, eius patrocinio assequamur. Per Dominum nostrum ect. \ <Preghiamo. Di grazia, o Signore, l’intercessione del Beato Gualtiero ci raccomandi in modo tale che riusciamo a conseguire con il suo patrocinio quello che non riusciamo con i nostri meriti. Per Cristo Signore nostro ….>

<

nota 1. Documento base sono gli «Acta Sanctorum, Junii, I edizione 1695» ed. G. HENSCHEN pagine 405-407 con la trascrizione di una pergamena di epoca umanistica.

Riguardo al luogo dove giunsero nella Marca di Fermo Gualtiero e Armando (nome che altri autori leggono dalla pergamena “Armeno”) si precisa la traduzione: “Entrambi vennero nel Piceno, in una selva nella Valle Marana e si stabilirono presso Servigliano \….\ in seguito i ricchi e potenti costruirono per loro un ospizio presso il fiume Tenna che non molto dopo fu eretto a monastero in cui si inclusero molti nobiluomini dei quali Valterio era padre e guida. Precedeva gli altri per santità di vita e integrità di abitudini e a tutti insegnava quello che si deve osservare nella via del Signore …”

A Servigliano nella zona valliva del Fosso «Marana» che si versa nel fiume Ete vivo, resta una chiesa attualmente dedicata a Santa Lucia. Presso il fiume Tenna esiste ancora una chiesa di san Gualtiero.

Se il nome Armeno fa pensare al Medio Oriente per l’Armenia anche la stella a forma di Croce fa pensare alla Madonna del Monte Carmelo e ai Carmelitani, scacciati dalla Terra santa dai musulmani nel secolo XIII e l’epoca più probabile in cui questi due monaci vissero a Servigliano pare sia databile appunto al secolo XIII. Lode a Dio>

LAUS DEO

<Digitazione di Albino Vesprini belmontese>

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NATALE POETICO CON STORNELLI RACCOLTI DA ALBINO VESPRINI BELMONTESE

NATALE CON GLI STORNELLI

digitazione di Vesprini Albino

STORNELLI

Adesso cominciamo gli stornelli,

tra cui ve ne saranno brutti e belli.

   Ecco si fa avanti il più piccino

   e dirà la prima lode a Gesù Bambino.\

+

   Fiore fiorello,

guardate tutti quanto è bello

quel ricciuto biondo Bambinello.

+

   Fiore di riso,

fanciulli miei, sappiate, non a caso

è sceso il buon Gesù dal Paradiso

+

   Fiore di rosa,

è povero Gesù, non ha una casa

dentro una fredda grotta si riposa.

+

   Roseto in fiore,

un dono, amici, noi dobbiamo dare,

al Sommo Bene dare il nostro cuore.

+

   Fiore d’alloro,

donare questo cuore, assai più caro

dell’argento non sol, ma pur dell’oro.

+

   O fioraliso,

ci vediamo, Gesù, Bambino caro

ci vediamo lassù nel Paradiso.

+

   Stellina d’oro,

è nato un Bambino tanto caro

e intorno cantan gli angioletti in coro.

+

   Candido Bimbo,

Egli è venuto come un candido colombo

dal cielo, e n’ha lasciato schiuso un lembo.

+

   Fiore boschivo,

dal bel ciel con la manina d’oro

rese alla terra un ramoscel d’olivo.

+

   Fior de lillà,

un ramoscel d’olivo o buon Gesà

per gli uomini di buona volontà.

+

   Bottoncin d’oro,

ma gli uomini non han retto volere,

e non han pace…. oh! Cambia il loro cuore.

+

   Dolce Bambino,

e alfin governa con la tua manina

gli uomini in pace, la sera e la mattina.

+

Fiore più bello,

a riscaldar Gesù, se non mi sbaglio,

ci sta un mio caro amico: l’asinello.

+

Fior di limone,

sapevo uno stornello tanto bene

me l’han fatto scordar queste persone.

+

   Fior di mortella

è nato un Bimbo in povera capanna

la capanna la illumina una stella.

+

   Fior gelsomino,

se ti piace la frutta, mio Bambino

te ne recherò, domani, un bel cestino.

+

   Fiori silvestri,

ti sian graditi gli stornelli nostri,

te ne offriamo un cestino e due canestri.

+

   Fior gelsomino,

lo culla la mammina piano piano

e bacia con amore il suo visino.

+

   O vaghi fiori,

hanno recato al Bimbo i loro doni

i ricchi Magi ed i poveri pastori.

+

   Fior di viola

attorno alla capanna un canto vola,

l’angelo canta e suona la mandòla.

   E la mandòla,

l’angel suona librandosi sull’ala,

nel ciel la melodia festosa vola.

+

   Fiorin d’amore

ride una stella sull’azzurro mare

e un inno canta pel il mio piccol cuore.

+

   Margheritina

canta ogni cuore una dolce canzone,

al Bimbo di Bethlemme e a la mammina.

+

   Raggio di luna,

squilli di gloria nella notte volan,

scendono gli angeli a frotte nella sua cuna.

+

   Boccuccia rosa,

 sbocciano fiori di virtù soave,

là dove le sue labbra il Bimbo posa.

   E quando un fiore,

si posa vicino al bambinello biondo,

sboccia perenne una virtù d’amore.

+

   Fiore più bello,

un altro, amici, resta da salutare

il nostro vezzosetto somarello.

STORNELLI (si cantano davanti al presepe da due bambini

o bambine alternativamente sull’aria dello stornello)

A) Fiori di lino

      di ciclamini al dolce Gesù buono

      voglio intrecciar, cantando, un mazzolino.

B)  Fior di giaggiolo

      vorrei rapir le stelle al nostro cielo

      e le notturne note all’usignolo.

A)  Fiori del mare

      di stelle e di gorgheggi o dolce amore

      serti e ghirlande a te voglio intrecciare.

B)  Fiori dei prati

      la tua bontà, o Maria, che il ciel allieti

      voglio cantar con gli stornelli alati.

A)  Fiore d’alloro

       vorrei cantar dell’anima il sospiro

       sopra le corde d’una cetra d’oro.

B)   Fiore di sera

       di tue virtù che il nostro cuore accoglie

       informerem la nostra vita intera.

A)  Fior d’ogni fiore

      gli Angeli vedo azzurri come il mare

      scendere a te, Gesù, piccolo Amore.

B)  Fiore del cielo

      mentre lottiamo in questo ingrato suolo

      coprici, o Madre, col tuo azzurro velo.

A)  Fior del sorriso

      fa che al banchetto eterno, armonioso

      tutti cantiam tue glorie in Paradiso.

B)  Fior del sorriso

      nel dolce di Maria seno amoroso

      ci stringeremo tutti in Paradiso.

A e B Fior d’amaranti

          quando l’amore tuo ci tiene avvinti

           la vita è bella, fra sorrisi e pianti

A e B  Fior del mattino

           non voglio viver mai da Te lontano

           o dolce amico mio, Gesù Bambino.

  • Mammole viole !

Un Bambinel che ha gli occhi in cielo

e sulle labbra baci e non parole! …

Fiorin di prato !

I Cherubini guardano rapiti

il soave miracolo sbocciato ! …

Candido Bimbo!

Egli è venuto come una colomba

lasciando, nel ciel, schiuso un lembo! …

Roseto in fiore !

E come una colomba messaggera

porta nel cuore un messaggio d’amore ! …

Fiore boschivo !

E dal ciel con la sua mano breve

reca in terra un ramoscel d’olivo ! …

Fior di lillà !

Un ramoscel d’olivo, o buon Gesù

per gli uomini di buona volontà ! …

Bottoncin d’oro!

E’ nato un Bambinello tanto caro

intorno cantano gli Angioletti in coro.

  • Misericordioso Amore,

Ma gli uomini non han retto volere

e non han pace …Oh ! Cambia il loro cuore

Dolce Bambino !

Alfin governa con la tua manina

gli uomini, in pace, affratellati e buoni!

  • Ringraziamo i poeti e i cantori
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IL TORNEO CAVALLERESCO nelle Marche dall’epoca feudale (Gabriele Nepi)

PIU’ DI OTTO SECOLI DI GIOSTRE NELLE MARCHE DAL 1149 IN UN DOCUMENTO STUDIATO da Gabriele NEPI a Fermo

Tornei e Cavalcate hanno caratterizzato il medioevo. Dante stesso parla “ … di color che corron a Verona il drappo verde’’ (Inferno XV, 123/24) e di “cavalier muover lo campo a cominciar stormo e far loro mostra… e vidi gir gualdane ferir torneamenti e correr giostra’’. Non si parla di azioni guerresche, ma di esercizi e spettacoli militari. Giostre e tornei sono una peculiarità del feudalesimo e della Cavalleria. Sebbene si fa risalire la loro istituzione a G. De Prévelly nel 1066, essi esistevano da tempo in epoca feudale. Avevano luogo generalmente a primavera per festeggiare fausti avveni menti o in occasione dell’investitura di nuovi cavalieri. Di essi si dava notizia a mezzo dei messi e il bando veniva reso pubblico per ogni dove. Accorrevano, anche da lontano, dame e menestrelli, suonatori e cavalieri. Il rullo dei tamburi ed il clangore delle chiarine caratterizzavano l’evento. Figuranti in ricchi paludamenti dai colori sgargianti e dame sfoggiami vesti ricchissime, costituivano la folla variopinta. Il Concilio del 1139 proibì tornei, cavalcate e giostre cruenti che finivano con il far morire l’avversario. Agonismo accettabile quello “sportivo” di gioia, di festa e talvolta di tripudio. E in questa forma furono autorizzati di nuovo alla fine secolo XII. Il premio che andava al vincitore era rappresentato da oggetti simbolici, quali una corona, gioielli e in modo speciale da un palio o panno di seta coloralo che costituiva il trofeo agognato per ogni partecipante alla gara. La dama consegnava il premio al vincitore tra squilli di trombe, rullo di tamburi e suono delle campane. Nella storia dei tornei, delle giostre e dei palii; ne compaiono di molto antichi. Quello “di Fermo, risale al 1182 o addirittura al 1149 dato che nel 1449 in un atto notarile Monterubbiano dichiarava a Fermo che il palio veniva consegnato alla città da trecento anni. Nel secolo XIII vengono i palii di Ferrara (1279) Asti c Vercelli. Celebre è il palio di Siena. Nel Fermano tali manifestazioni sono tra le più antiche d’Italia: si ricordano quelli tuttora celebrati come “Sciò la Pica” nel giorno di Pentecoste a Monterubbiano, che ricorda la venuta dei Piceni guidati da un picchio. Vi è il Palio della cavalcata dell’Assunta a Fermo (15 agosto). Si ricorda la sfilata tra scampanii festosi e sparo di colubrine dalla rocca. Le vie e le piazze erano pavesate a festa in una gloria di sole e di colore. Oltre alle Magistrature, sfilavano i Capitani d’armi. Era tutto uno scintillare di elmi e di corazze, un garrire di gonfaloni e di orifiammi, un incedere ieratico e maestoso, festoso, solenne e gaio. Vi era anche la Quintana. Il cavaliere si esercitava su un bersaglio mobile costituito da una statua gigante con braccio teso lateralmente. Vi era inoltre la Giostra del Toro, per molti versi simile all’attuale corrida. C’è poi – nuovo sulla scena ma non meno importante – il Torneo Cavalieresco di Castel Clementino che rievoca la cessione del territorio di San Gualtiero da parte della Comunità di Santa Vittoria in Matenano a Servigliano.

Gabriele Nepi

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DIO SI STA MANIFESTANDO

DANIEL ROPS “L’Epifania eterna” edito L’Osservatore Romano 06.01.1939 traduzione

DIO SI MANIFESTA OGGI IERI SEMPRE.

Testo di Daniel Rops edito in francese nell’Osservatore Romano il 6 gennaio 1939 e qui tradotto

                                                              L’EPIFANIA ETERNA

   La Stella che saliva all’orizzonte orientale annunciava alle genti “Colui che fu generato prima dell’aurora”. I cori degli angeli, frementi nella notte, non avevano ancora messo altri in risveglio che rari pastori. Un prodigio! Gli uomini attendono sempre i sogni. E ai popoli del mondo, ai sovrani lontani, alle nazioni sconosciute l’Astro strano manifesta la nascita. Trent’anni più tardi, l’oscurità della sesta ora e lo spaccarsi delle pietre manifesteranno parimenti il sacrificio. Nell’irragionevolezza del mondo questi avvertimenti cadono come un granello di miglio che la terra ricopre e sembra obliare.

   Li conosciamo noi questi giorni che Isaia ha previsti. Ci sono le tenebre in mezzo a noi. Vedremo noi le nazioni camminare verso la pace? Noi apparteniamo ad un’epoca che sembra sconfitta dalla notte. Tante persone sembra che abbiano perduto persino la fiducia in una luce, in una stella. Da ciò, sulla terra, la violenza apre lesioni, come in un grande organismo compaiono piaghe alle mani, alle membra, al viso prima che tutto il corpo sia infettato. Combattono, con l’oscurità nell’animo i popoli azzannandosi tra di loro e sapendo a malapena per cosa si uccidono a vicenda. Altri rinnegano la loro fede antica, per soppiantare la Gerusalemme dell’amore. Altri violano il precetto che Dio nel Natale ha portato al mondo e là dove tutto era carità, sostengono l’odio e il diritto della violenza. Dove sta la stella?

  L’Epifania, la “manifestazione” di Dio tra gli uomini non è uno di quei fatti della storia tale che non possa essere dimenticato dalla negligenza umana. L’Epifania, ogni giorno, ha con sé, con tutte le energie, come un grido, una misteriosa inquietudine. In mezzo a questi popoli che da odiose leggi sono vincolati alle apparenze, in contingenze, del tradimento, quanta lealtà intima resta ancora? Quanti, il giorno di Natale, hanno ascoltato, in sé, l’annosa voce secolare? Quanti, oggi, cercano la stella, non nello sfarzo ufficiale, ma nel loro cuore? Le persecuzioni e le minacce ostacolano il risplendere delle parole eterne, ma queste parole vivono in un corso sotterraneo e, un giorno, tornano alla luce. Anche la terra oblia il granello di miglio che essa racchiude, ma la vita si sviluppa nella sua profondità, e finisce per elevare verso il cielo la sua attualità, l’esile gambo della speranza sua.   

   Epifania eterna! Se le persecuzioni non lasciassero sopravvivere che un solo cristiano, tutta la parola seminata dal Cristo, sopravviverebbe nondimeno in lui e le sue spalle fragili porterebbero sempre la speranza tutta dell’umanità. Sì fragile, pure minacciato, egli basterebbe ancora a manifestare, in faccia ad un mondo, interamente consegnato all’oblio, la grandezza di Dio e le sue promesse. Ma le persecuzioni non riescono a ridurre al cristianesimo a tale unico bastione. Più si fanno pesanti le minacce, più si innalza l’entusiasmo. Se il buio della notte copre oggi tanto spazio sulla terra, certamente marciano verso la luce persone di buona volontà. In parallelo agli sforzi che gli Stati paganizzati fanno per vincere la legge soprannaturale, si affermano gli sforzi fedeli delle persone che vedono in questa sola legge e mai altrove, il loro ultimo ricorso. Le persecuzioni fanno nascere l’eroismo. I vescovi di Fulda, i preti di Spagna e Messico, i cristiani clandestini nel silenzio della Russia, e tanti testimoni sono presenti oggi per testimoniare che la manifestazione di Cristo alle persone umane non è stata futile e che nulla potrà cancellarla dai nostri cuori.

Questa è Epifania (manifestazione), senza sosta attuale, oggi, da nessun vivente può essere potuta obliare. In ogni occasione, una voce ostinata, eroica, la richiama di fronte ai mostri che ci minacciano. Davanti alle ingiustizie e davanti ai crimini, in contrasto con le dottrine che tendono a mutilare la persona, una sola persona soltanto una ha avuto la forza e il coraggio di alzarsi e di parlare forte e chiaro. <Il Papa>. Non ha detto nulla che non sia stato detto dai suoi predecessori, non ha affermato niente che non era stato affermato durante duemila anni di dottrina e di storia; egli non manifesta nulla che già non era stato manifestato alle persone umane quando la Stella è sorta nel cielo.

   Ma questa eterna verità, poiché egli la dichiara con tutta la sua forza e con tutta la sua fede, si direbbe che distrugge le tenebre e che il mondo è accecato da questa luce. E’ un vecchio la cui vita è durata soltanto per la protezione del cielo esattamente affinché queste parole fossero dichiarate. Un giorno la storia insegnerà che le grandi encicliche di Pio XI, nei nostri anni oscuri, saranno state le affermazioni di speranza – sole, o quasi – che sono state date al mondo e questi testi semplici, fermi, implacabili avranno salvato lo spirito.

   Sono testi che ci dicono “Orsù prode, piccolo gregge, le potenze della terra possono aggredire e cercare di distruggerti. Non è oggi che, nella gloria, i re di Tharsis e le carovane delle autorità, le ricchezze del mare e le forze delle nazioni si vedranno dirigersi verso la culla dell’Infante Dio. Ma il segno apparso ai Magi non è divenuto inutile. Ogni giorno migliaia di persone lo stanno ricevendo nella verità del loro cuore. E tu, piccolo gregge, trionferai un giorno perché tu avrai capito il senso della Stella.

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1771 Clemente XIV papa decreta la costruzione di un nuovo castello serviglianese – 2021 siamo a 250 anni .

Inizi con Gabriele Nepi

Il Chirografo clementino per il castello che da lui ebbe poi nome CASTEL CLEMENTINO reca la data 9 ottobre 1771

Gabriele Nepi ha fatto conoscere la novità dei festeggiamenti di Castel Clementino con il primo Torneo cavalleresco mai avvenuto prima del 15 giugno 1969 a Servigliano. Ecco l’articolo nel “Il Resto del Carlino” del 18 giugno 1969.

   “A Servigliano ha avuto luogo il primo torneo cavalleresco “Castel Clementino” con un risultato lusinghiero e positivo, sia per il numero degli intervenuti, sia per la bravura dei cavalieri giostranti, degli sbandieratori, dei tamburini e la bellezza dei regali paludamenti delle dame.

   Tale torneo ha preso il nome da Castel Clementino in onore di Papa Clemente XIV, un marchigiano di Sant’Angelo in Vado che ebbe il merito di costruire ex-novo Servigliano ora sono due secoli.

   I Serviglianesi in onore di tale Papa diedero al nuovo centro abitato il nome di Castel Clementino, nome che portò dal 1777 fino all’avvento del regno di Vittorio Emanuele. Sulla piazza centrale parata a festa e pavesata di colori, al rullo dei tamburi, lo sfilare di dame, cavalieri e sbandieratori, di paggi dai colori sgargianti. E’ stato benedetto il parroco il palio dal parroco Quondamatteo e subito ha avuto luogo la sfilata per le vie cittadine dei cavalieri, dame e ed armigeri dei quattro rioni delle della dama del Palio A. L., del portatore del palio A. C., della dama del Comune V. O., dei paggetti, damigelle, maestre del campo e del lettore del bando A. C.

Ecco il bando proclamato, fra l’emozione di molti serviglianesi e dei molti accorsi dai paesi vicini, dalla voce del banditore a momenti stentorea e imperiosa:

   “Genti festosamente accorse al nuovo castello mirabilmente eretto per accogliere quanti abbandonarono le dirute case del fatiscente Servigliano vecchio, ascoltate! I Consiglieri di questa alma città col consenso dei Priori di Fermo e del Vicario del Magnifico Comitato Fermano, invitano oggi tutto il contado va a celebrare ad onore della Santa ed Individua Trinità, dell’evangelista San Marco nostro almo protettore, il Torneo Cavalleresco di Castel Clementino.

   Popolo! Sia noto a tutti che il Consiglio ha decretato doversi questa magnifica comunità appellare col novello nome di Castel Clementino in onore di Sua Santità il nostro Munificientissimo Sovrano Clemente XIV rilievo per Divina Provvidenza Papa.

   I priori, con il sopra mentovato torneo, vogliono eziandio tributare un degno ricordo a li cavalieri della serenissima Repubblica di Venezia, li quali, tornati nella patria, dopo aver valorosamente combattuto contro il Saracino, nemico di nostra santa religione e del nome di Cristo, appellarono col nome di San Marco questa terra, onde sorse poscia il castello di Servigliano; Popolo di San Marco, mostra la tua prodezza e il tuo valore!

   Mentre con onore gli ardimentosi cavalieri si cimenteranno nella giostra dell’anello per la conquista del Palio, il popolo tutto, con dignitoso comportamento, assista senza recare veruna molestia ai prodi competitori e ai cavalli.

   Nel pomeriggio, tra i rappresentanti dei rioni (…) ha avuto luogo la gara dell’anello disputata nel capace campo sportivo serviglianese. <…> La gara è stata disputata con passione e con impegno

   Il pubblico, specie nel pomeriggio, è intervenuto numeroso e curioso. Positivo, dunque, come abbiamo detto il bilancio della prima edizione e positive anche le premesse per successive edizioni, cui non mancherà certo un notevole successo.”

Gabriele Nepi.

   Riportiamo anche l’inizio del Comunicato STAMPA redatto dal Presidente della Pro Loco di Servigliano, Dr. Girolamo Luccisano: “Si è svolto in questo Comune il 1° Torneo Cavalleresco ‘Castel Clementino’ organizzato da apposito comitato nel quadro delle celebrazioni per il prossimo bicentenario della ricostruzione del paese, voluta con munifico gesto da papa Clemente XIV …”

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STATUTI DI FERMO E DEI CASTELLI FERMANI. GOVERNO DELLO STATO DELLA CITTA’ DI FERMO Libro primo.

STATUTI DEL COMUNE DELLA CITTA’ E DEI CASTELLI FERMANI

STATUTA FIRMANORUM. Firmi 1589.

STATUTI DEI FERMANI – Libro primo – Rubriche 1-10

* Invocato il nome della Santa ed Individuale Trinità*

 LIBRO PRIMO DEGLI STATUTI DEL COMUNE DI FERMO

Felicemente inizia

*

   Il libero arbitrio è stato concesso alla creatura del genere umano formata da Dio Ottimo Massimo, con somma provvidenza, e lui stesso, genitore generosissimo, massimo autore, artefice che sta al di sopra, ha creato tutte le cose, e ha voluto che tutte le cose, create nel globo che sta al di sotto, siano sottomesse al dominio di questa creatura per cui l’astioso maligno astutissimo, invidiando una felicità tanto grande, ha aggredito i nostri progenitori, con malvagità, deviandoli dal giusto corso della ragione e fuori dalla rettitudine dell’intenzione, e li ha fatti precipitare. Da ciò, come da un seme viziato, è stata procreata la mortalità che è andata deteriorandosi sempre maggiormente, peggiorando fino ad ogni scelleratezza perniciosa, accrescendo l’empietà, e appunto per l’innocenza e per l’onestà, non ha reso, né lasciato sicuro nessun luogo.

   Ma colui che redime le cose decadute, corrobora quelle redente, le redime e le garantisce, ha provveduto con cuore generoso, offrendo leggi santissime, concedendo ministri dotati di somma rettitudine per dover ostacolare l’audacia dei malvagi e per difendere l’innocenza.

   Da ciò si ha che i probi e sapienti uomini Giuliano di ser Francesco della Contrada Castello, Antonio di Egidiuccio della Contrada Pila, il signor Cola del signor Vanne della Contrada San Martino, ser Chierico di Brunico della Contrada Fiorenza, Ansovino del signor Filippo della Contrada San Bartolomeo, il Maestro Filippo figlio del Maestro Domenico della Contrada Campoleggio, per opera del Consiglio Generale della Città, sono stati legalmente e solennemente deputati a fare gli statuti della Città Fermana e del suo contado, delle fortificazioni e del distretto, come risulta scritto per mano di ser Cicco figlio del Maestro Nicoluccio da Fermo, Notaio e Cancelliere del Comune e del Popolo di questa Città. Costoro, per l’autorità, il vigore e l’arbitrio che è stato concesso a loro, ad opera dello stesso Consiglio, fecero, e ordinarono, decretarono e stabilirono i decreti, gli ordinamenti, gli statuti e i detti capitoli, a lode e a riverenza di Dio onnipotente e della sua Madre la Beata gloriosa Vergine Maria e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e dei gloriosi Apostoli, Santi Giovanni Evangelista e Bartolomeo e del Beato Martire Sabino, quali protettori e difensori del Popolo della Città Fermana, ad onore di tutta la Corte celeste; e ad onore e riverenza della Sacrosanta Romana Chiesa e del papa, santissimo padre in Cristo e signore nostro,  e ad onore di tutto il ceto dei Cardinali; e a trionfo ed esaltazione del Comune e del Popolo della Città Fermana e del suo contado, delle fortificazioni e del distretto; e ad onore e magnificenza dei signori Priori del Popolo e del Vessillifero di giustizia della Città Fermana e del suo contado, delle fortificazioni e del distretto, e per il progresso, l’unione e l’esaltazione perpetua del presente Stato libero, pacifico e popolare di questa Città Fermana e per la finale distruzione e perpetua estirpazione di qualunque attentatore o di chi voglia attentare contro le dette cose, o contro una di queste dette, in qualsivoglia modo.

Libro 1. Rub. 1 – La venerazione della festa di Santa Maria del mese di agosto.

   Riteniamo sia cosa degna e un dovere, che principalmente tutti i Fermani, mostrino, in ogni maniera, una profonda riverenza verso la gloriosissima e beatissima Vergine Maria, massimamente nella festa dell’Assunzione nella metà del mese di agosto: ed anche in questa festa sia venerata Colei, che più degli altri, con la sua pietà, è solita proteggere la Città Fermana e i suoi Cittadini da ogni pericolo. Pertanto, confermando la consueta ed antichissima tradizione, decretiamo ed ordiniamo, che i signori Priori del popolo e il Vessillifero di giustizia, il Podestà e il Capitano, che ci saranno nel tempo, e chiunque di essi, siano obbligati e debbano, sotto il vincolo del loro giuramento, e sotto la penalità, per ciascuno, di 100 libre di denaro, adoperarsi e fare e occuparsi con fatti nel completamento dei servizi, affinché ogni anno nella festa dell’Assunzione di detta beatissima e gloriosissima Vergine Maria, che è a metà del mese di agosto,  per quanto si può, si faccia fare onorevolmente questa festa e che sia celebrata in questa Città al modo come la tradizione esiste da tempo antico; e alle calende <inizio> del mese di agosto se ne faccia l’annuncio pubblico, in continuazione, in questa Città con tutte le trombe e gli strumenti di questo Comune, con avvisi, affinché tutti i Sindaci dei Castelli della Città, e del contado di questa Città, e tutti quelli di Porto San Giorgio con la barca, e i Beccai <macellai>, i Mugnai <molinari>, i Calzolai, i Tabernari <osti>, tutti i singoli cittadini abitanti di questa Città, con tutti i loro ceri e le luminarie, anche tutti i singoli Mulattieri e Vetturali con le loro ‘lampade’ debbono preparare e coadiuvare in modo che nella vigilia di detta festa con le loro lampade, con decoro e in ordine, come è comandato ed è tradizione, si rechino alla chiesa cattedrale della detta Vergine Maria in detta Città, per fare offerte e per onorare questa festa, sotto la pena contenuta negli statuti della Città: e qualora la pena non sia stabilita, sotto la pena da riportare ad arbitrio del Podestà o del Capitano.

.1. Rub. 2 – I ceri, le altre luminarie e le lampade da offrire nella festa della Beata Maria.

   Inoltre decretiamo ed ordiniamo che il signor Podestà, il Capitano e qualsivoglia di questi e qualsivoglia altro officiale forense della Città di Fermo, che esercita l’officio, soprattutto in questa Città, durante il periodo di detta festa, sia obbligato e debba, nella vigilia di detta festa della beata Maria del mese di agosto, far fare un cero per ciascuno, a proprie spese, secondo ciò che ad essi piacerà, e con tali ceri andare alla detta chiesa ed offrire i detti ceri al Torchio <torcia> di detta chiesa e con esito lasciarli: e i Priori del popolo e il Gonfaloniere di giustizia e ciascuno di essi e qualsivoglia altro consigliere di detta Città, esattamente, sia obbligato a portare in tale festa un cero, ossia uno per abitazione e per fumante <famiglia>. E se i detti Priori e il Vessillifero e qualsivoglia di questi avranno trasgredito, siano puniti a 20 soldi di denaro nel tempo del loro sindacato, e ciascun consigliere punito a 10 soldi di denaro. E qualsivoglia altro focolare, o fumante che abita nella Città, ad eccezione delle persone miserabili, siano obbligati a mandare, o ad andare con le luminarie di cera nella predetta festa e nella detta chiesa insieme con quelli della propria contrada, per l’onore di questa festa, sotto pena di 5 soldi di denari per ciascun trasgressore tra costoro. Inoltre i fumanti <famiglie> e gli uomini del Porto di San Giorgio, e quelli che abitano in questo Porto, siano obbligati e debbano, di persona, venire a questa festa con le loro luminarie, e con una barca, come di tradizione, e offrire queste loro luminarie e la barca al detto Torchio; in modo tale tuttavia che, per la grandezza di questi ceri e delle luminarie da portare, non siano imposti né una modalità, né una forma; ma restino a volontà e ad arbitrio di qualsivoglia portatore; e i trasgressori, per ciascuna volta siano puniti con 10 soldi di denari, per ciascun trasgressore. Inoltre ciascuna società dei Macellai, dei Mugnai, dei Calzolai, degli Osti e degli Albergatori siano obbligati e debbano fare i preparativi e cioè i Macellai, i Calzolai, i Mugnai, nella vigilia di questa festa, preparino e abbiano preparato per ciascuna di queste società, un cero grande, elaborato ed ornato al modo consueto che sia del prezzo e del valore finora consueto; e questi Osti e Albergatori <abbiano portato> una taverna, oggetto elaborato e ornato al modo solito; e tutte queste società debbono andare alla festa nella vigilia con i detti ceri, con una taverna e con i lumi e offrire questi ceri in questa chiesa, questa taverna e questi lumi e con esito di lasciarli a questo Torchio; e ciò sotto la penalità di 50 libre di denaro per ciascuna società che trasgredisca nelle dette cose. Inoltre tutti i singoli i fumanti <famiglie> dei Castelli e delle Ville di questa Città, siano obbligati e debbano pagare ai Sindaci, ogni anno nel mese di agosto, prima di questa festa della beata Vergine Maria, 12 denari per ciascun focolare di questi Castelli, eccettuando, al contrario, i Castelli con i quali si avessero patti e essi finora non sono soliti pagare per i ceri di questa festa. I detti Sindaci da tutta questa somma di denaro siano obbligati a portare un cero per ciascun Castello di costo tale quale il pagamento di ciascun Castello; e questi Sindaci, una volta riuniti insieme, siano obbligati a portare tutti questi ceri accesi dalla Chiesa di Santa Lucia di Fermo a questa festa e offrirli nel detto Torchio; presso questa Chiesa di Santa Maria in tale vigilia di questa festa e agli officiali deputati presso questo Torchio e riguardo all’Operaria di questa Chiesa, fare ciò nell’ora in cui siano stati richiesti per opera del Sindaco di tale Comune Fermano o dell’officiale del signor Podestà, sotto penalità per ciascun Comune dei Castelli e delle Ville del quadruplo di ciò che è obbligato a soddisfare per questi ceri, da assegnare al detto Torchio e 30 soldi per ciascun Sindaco che non faccia o non porti ciò. Inoltre ciascun coltivatore di campi, cittadino del contado o estraneo o forestiero che fa l’aratura in un terreno fermano, paghi e sia obbligato a pagare ogni anno per un cero, da offrire in tale festa, 4 bolognini e ciascun bovaro 2 bolognini a richiesta dell’esattore. Inoltre gli Slavi che abitano in Città siano anche essi obbligati ad offrire un Cero in tale festa del peso di cera non inferiore a 80 libre; ma nell’anno successivo, la metà della misura (pedale) dell’avanzo, venga restituita a costoro, nei singoli anni. Inoltre tutti i mulattieri e gli asinari, che hanno muli e asini o altre bestie per vettura, e i fornaciari di questa Città debbano e siano obbligati a portare o far portare a questa Chiesa, nella vigilia di tale festa, ed offrire effettivamente e consegnare agli officiali dell’Operaria di questa Chiesa una salma di laterizi o di pietre angolari per ciascuno, sotto penalità di 25 soldi al trasgressore e per qualsivoglia volta. E questo signor Podestà e il Capitano e i loro officiali possano e debbano di fatto e senza alcun processo far pagare e riscuotere subito tutte e singole queste penalità, non appena abbia constatata la disobbedienza di costoro o di qualcuno degli stessi, e farle assegnare per il Torchio e per l’Operaria di questa Chiesa di Santa Maria. Il milite di questo sig. Podestà o del Capitano, oppure entrambi insieme, siano obbligati e debbano andare, con armi e a cavallo, insieme con i damigelli ed gli aiutanti di questo signor Podestà e del Capitano o di entrambi di questi, ed essere accompagnati dai trombettieri di questo Comune per sorvegliare per quanto possibile tutte le singole Società predette degli uomini del Porto, dei Sindaci dei Castelli e delle Ville, dei Macellai, dei Mugnai, dei Mulattieri e dei Vetturini, affinché non insorga alcuna rissa, in questa festa, sotto penalità di 100 libre di denaro da trattenere dal loro proprio salario al tempo del loro sindacato.

.1. Rub.3 – Gli Officiali da eleggersi per la custodia, la conservazione delle entrate e per le cose dell’Operaria di detta chiesa di Santa Maria.

   Ad onore e riverenza alla Beata Vergine Maria siano eletti e debbano essere eletti, ogni anno, dai signori Priori del popolo e dal Vessillifero di giustizia della detta Città, circa alla fine del mese di luglio, un solo sacerdote, buon Cittadino e di vita onesta, e due altri cittadini buoni e idonei, e rispettosi della legge e insigni, e un solo Notaio esperto e rispettoso delle leggi, i quali siano chiamati Sindaci e officiali addetti alla custodia del Torchio <luogo delle torce> con tutte le cose e delle entrate dell’Operaria <laboratorio> di detta chiesa. E questi ricevano anche i lasciti, e i legati fatti e le cose da farsi per la costruzione e per l’Operaria della detta chiesa; e facciano le spese e le rivolgano all’Operaria di detta chiesa. Il Podestà e il Capitano ed ognuno di questi stessi o qualsivoglia altro officiale di questa Città, a richiesta di questi Sindaci e officiali o di uno di essi, siano obbligati e debbano costringere, in modo reale e nella persona, tutti coloro che debbono pagare qualcosa, a dare e consegnare a quest’Operaria, restituire e rilasciare, come se fossero debitori del Comune. L’officio di questi Sindaci e officiali e del Notaio duri un anno completo, iniziando dalle calende di agosto, e ultimando come seguita. Inoltre questi Sindaci e gli officiali siano obbligati a conservare le chiavi del Torchio, ossia dei Torchi, e delle Casse dell’Episcopato di Fermo. E ciascuno ne abbia una chiave, e in tali Torchi e casse debbano essere riposti e custoditi i singoli privilegi, gli istrumenti, le giurisdizioni e tutti gli altri diritti riguardanti questo Episcopato e il Comune di Fermo, ovunque fossero trovati, in mano di chiunque, e non possano essere venduti o alienati o in altra maniera essere dati ad alcuno né in alcun modo essere ceduti. E questi Sindaci e officiali siano obbligati a fare l’inventario dei già detti palli, privilegi, diritti attualmente esistenti e di altri che si presentassero nuovi. E si intenda che deve essere fatta la stessa cosa per la Città di argento e per la tavola d’argento. E tutte queste cose debbano essere custodite dai detti Sindaci e dagli officiali secondo il modo indicato sopra. E i detti privilegi, i diritti e le giurisdizioni, i patti e i palli che ci sono ora o che ci saranno in futuro, tra le entrate di detta chiesa, come piacerà ai detti Signori Priori e al Gonfaloniere e a detti officiali, e come agli stessi sembrerà più prudente, sono da depositarsi e ordinatamente conservarsi, soprattutto per i palli che debbono essere offerti in detta festa, ad opera dei Sindaci delle Terre di Monte Santo, di Monte Santa Maria in Giorgio, di Monterubbiano, e di Ripatransone, e di Montecosaro, le quali terre siano obbligate e debbono dare i detti palli al Comune di Fermo, annualmente in detta festa, come li donarono continuamente nei tempi passati, e tali cose siano depositate dai detti officiali nella cassa grande della detta Operaria, destinata a questo, e collocata nella sacrestia della detta chiesa, o in un altro luogo decoroso e sicuro, ove siano riposti. Inoltre i detti Sindaci e gli officiali siano obbligati a ricevere tutte le offerte e le entrate di qualsivoglia cosa che sia dovuta e da doversi dare a questa Operaria, e spendere quelle cose soltanto per tale Operaria e per altre cose necessarie ed evidenti e spendibili per i motivi della detta Operaria e di tale chiesa, e fare e avere un registro, nel quale, tramite il loro Notaio, tutte le entrate e le spese che venissero fatte e occorressero a loro tempo, siano messe per iscritto. E dopo aver ultimato l’anno del loro officio, siano obbligati a rendere e a consegnare, entro otto giorni, ai loro successori detto registro, e le dette cose, i diritti, i privilegi, i patti, i palli di detta chiesa e della Operaria, e tutti i denari che fossero nelle loro mani. E i detti loro successori, ricevuto il loro registro già detto, siano obbligati, entro altri otto giorni, a vedere, a calcolare e ad esaminare diligentemente il loro rendiconto già detto, e se abbiano trovato che sia avanzato qualcosa a quelli e che ancora non sia stato restituito, siano obbligati a riscuoterlo. In realtà il Notaio incaricato dai signori Priori e dal Gonfaloniere a tale ufficio, sia obbligato e debba scrivere il detto inventario per gli officiali o per i Sindaci, e in detto registro mettere per iscritto le entrate e le uscite, e scrivere, secondo il volere e l’ordine dei detti Sindaci e degli officiali o di uno degli stessi, tutte le cose che riguardino gli affari della detta chiesa e dell’Operaria. E chiunque fra i detti Sindaci e gli officiali e il Notaio abbia trasgredito nelle dette cose, o in qualcuna delle già dette, incorra per il fatto stesso nella penalità di 25 libre di denaro. Vogliamo inoltre che si intenda questo Notaio incaricato a tale officio, insieme con questi officiali e con i Sindaci dell’Operaria, che è lui, per l’autorità del presente statuto, il Sindaco del Comune di Fermo che riceve i palli e le altre offerte, che venissero fatte nella vigilia e nella detta festa di Santa Maria del mese di agosto, da quelle persone o dalle Comunità che sono obbligate per i palli e per fare altre offerte al Comune di Fermo e alla Chiesa già detta, ed egli debba rilasciare ricevuta per le cose che riceve. E per conto del Comune di Fermo, non ci sia altro Sindaco, né possa esserci per le dette cose. E questo Notaio abbia e debba avere, per le dette cose, quel salario che gli altri Sindaci del Comune sono stati soliti avere già nei tempi passati in tale caso, quando ricevono per conto del Comune, i palli e le altre cose. E le vendite e i passaggi di proprietà, e le concessioni fatte e da farsi in futuro dai già detti officiali e dagli operai o da ciascuno degli stessi, abbiano validità e rimangano stabili per l’autorità di questo statuto, né possano in alcun modo essere ritrattati; ma siano obbligati di presentare il rendiconto ai loro successori su tali passaggi di proprietà, soltanto circa il prezzo fatto e il denaro riscosso.

.1. Rub. 4 – Le spese da farsi per i Sindaci delle comunità e per alcuni altri forestieri che vengono a detta festa.

   Per l’onore del nostro Comune decretiamo ed ordiniamo che i signori Priori del popolo e il Gonfaloniere di giustizia di detta Città, e i Regolatori del già detto Comune, secondo come da essi sarà stato deliberato, facciano e facciano fare le spese dall’erario e dal patrimonio di questo Comune per i Sindaci e per gli Ambasciatori delle terre di Monte Santo, Monte Cosaro, Monte Rubbiano, Monte Santa Maria in Giorgio e Ripatransone che vengono alla detta festa della Beata Maria con i palli e con i loro associati. E questi signori Priori e il Gonfaloniere di giustizia insieme con i già detti Regolatori siano obbligati e debbano provvedere e decidere circa le guardie armate per la vigilanza di questa festa e ingiungere ai Castelli del contado queste guardie armate: e i Castelli siano obbligati, secondo il volere e l’ordine dei detti Signori Priori e del Gonfaloniere a mandare queste guardie ben fornite ed armate per la vigilanza di detta festa e per la conservazione del presente dello Stato popolare, secondo come dai detti signori Priori e Gonfaloniere sarà ritenuto opportuno dover porre in assetto, in numero di quantità e nella modalità. E tali guardie siano obbligate e debbano stare in detta Città e andare insieme con gli officiali del signor Podestà o del Capitano attraverso questa Città per la detta custodia, secondo l’ordine di tali officiali. E a queste guardie si possano e si debbano dare le spese dall’erario del Comune, se a questi Signori Priori e ai Regolatori sembrerà cosa conveniente.

.1. Rub. 5 – La venerazione alla Santa Spina.

   Decretiamo ed ordiniamo che durante i festeggiamenti della Santa Croce del mese di maggio e del mese di settembre, e nel giorno del ‘Venerdì santo’, i signori Priori, il Gonfaloniere di giustizia, insieme con gli officiali della Città di Fermo, siano obbligati a pubblicamente venerare la santa Spina ed andare alla chiesa di Sant’Agostino in uno qualunque dei detti giorni, nei quali questa santissima Spina venga esposta pubblicamente, per tutto il giorno, dal mattino fino ai vespri, e i detti signori Priori debbano offrire due ceri del valore di un fiorino d’oro dall’erario e dal patrimonio del Comune di Fermo, per ciascuna volta.

.1. Rub. 6 – La festa del beato Bartolomeo apostolo da onorarsi singolarmente.

   Dato il fatto che il popolo della Città Fermana, nel giorno del beato Bartolomeo apostolo, fu liberato dal furore della Tirannia e affinché non siano lasciate in oblio le grazie che si accolgono donate da Dio, per l’intercessione dei meriti dei santi suoi, decretiamo ed ordiniamo che nei singoli anni, in perpetuo, per conservare la memoria molto lieta, nel giorno della festa, e nella vigilia di San Bartolomeo apostolo del mese di agosto, sia fatta e si debba fare qualche festa singolare, ad onore e riverenza del detto beato Bartolomeo, secondo la delibera e la volontà dei signori Priori del popolo e del Gonfaloniere di giustizia, che lo saranno nel tempo, insieme con i Regolatori di questa Città. E i detti Signori Priori e Gonfaloniere per praticare la festa e la solennità da farsi in detta festa possano spendere dall’erario e dal patrimonio del detto Comune fino a 25 libre di denari senza alcun’altra delibera della Cernita o del Consiglio speciale o generale.

.1.  Rub.7 – I Sindaci e i procuratori da eleggersi in qualsivoglia chiesa della Città.

   Vogliamo e decretiamo che in ogni chiesa della Città di Fermo, siano eletti da tutti i parrocchiani, o dalla maggior parte di questi stessi, due Sindaci e i procuratori, uomini fedeli e idonei, i quali, entro dieci giorni dopo la loro nomina, facciano l’inventario dei beni stabili di tale chiesa in cui saranno stati eletti, e dei registri (libri), delle campane, dei paramenti e degli altri ornamenti e delle cose della detta chiesa, e di tutte le altre cose e dei beni e diritti di detta chiesa, affinché, nell’avvenire, non venga fatto un’alienazione di proprietà, neppure cosa alcuna illecita, né la dannosa negligenza più oltre danneggi queste stesse cose. E costoro siano obbligati anche a recuperare i beni ecclesiastici, a richiedere i lasciti e il pagamento di altri debiti, e altre cose da coloro che ingiustamente le possiedono, e ad accompagnare gli altri diritti ecclesiastici, facendo salvo tuttavia il diritto del Vescovo. E nel richiedere e riscuotere i detti lasciti, i singoli Notai di questa Città siano obbligati a notificare e far vedere ai detti Sindaci e ai Procuratori i singoli testamenti, i lasciti e i legati spettanti e pertinenti alle dette chiese. E se i proventi delle dette chiese non fossero sufficienti per i cappellani delle stesse chiese, i detti Sindaci e i Procuratori, mostrino, rendano e consegnino a questi stessi le cose recuperate per il sostentamento degli stessi, con la volontà della maggior parte dei Parrocchiani, e dopo aver calcolato il conto delle rendite delle dette chiese, volgano quanto avanza per l’utilità e per il comodo delle dette chiese. E questi Procuratori siano obbligati, entro i quindici giorni successivi, dopo ultimato il loro officio, a dare agli altri Procuratori che subentrano, un completo rendiconto dell’amministrazione delle dette chiese, sotto la pena di 50 libre di denari da prelevare a ciascun trasgressore ad opera del Podestà o del Capitano; né per questo sia conseguito alcun compenso; e decretiamo che questo sia eseguito nel distretto di Fermo. E se fosse riscontrato che qualche chiesa o monastero non abbia i Parrocchiani, sia fatta una disposizione per questi stessi, secondo il volere dei signori Priori e del Gonfaloniere di giustizia. Questi procuratori e i Sindaci qualora siano stati trovati colpevoli in qualcuna delle dette cose, sul fatto e senza processo, siano puniti ad arbitrio del Rettore, sino alla somma di 25 libre di denari, come pena, e restituiscano le altre cose. E fra i detti il Podestà e il Capitano e ciascuno degli stessi, abbia rispettivamente tutto il potere di investigare e di punire e di fare la procedura per mezzo di una indagine. Ed ogni parrocchiano, sia considerato e sia legittimo accusatore e denunciatore, a vantaggio della sua Chiesa.

.1. Rub.8 – I Palli da offrirsi alle seguenti chiese istituite nella Città di Fermo.

   Decretiamo ed ordiniamo che nei singoli anni venga dato un palio del valore di 100 soldi dall’erario del Comune di Fermo alle singole chiese istituite nella Città di Fermo, nelle quali stabilmente vengono celebrati i divini offici, nel giorno di festa di dette chiese: e sia dato anche nella festa di Santa Ada <?Anna> nella chiesa di San Savino. E ciò quando i signori Priori, e il Gonfaloniere di giustizia insieme con i Regolatori  ritenessero opportuno che questi palli si debbano dare alle dette chiese, oppure a certune di queste o a qualcuna di esse.

.1. Rub. 9 – Lo statuto della chiesa di San Salvatore.

   Il Podestà della Città di Fermo sia obbligato espressamente a recuperare, con tutti i modi adatti a tale scopo, la chiesa di Sant’Emidio posta al di là del fiume Tenna, che direttamente appartiene alla Chiesa di San Salvatore di Fermo, e a dare al Priore di detta chiesa l’aiuto, il consiglio e il sostegno per recuperare la stessa Chiesa, e i diritti sui beni della stessa, le pertinenze che servono a detta chiesa di San Salvatore. E il Podestà sia obbligato a fare la stessa cosa per le altre chiese di questa Città, allo scopo di recuperare i loro diritti.

.1. Rub.10 – I carcerati da offrire.

  Al fine che i carcerati non siano tormentati nelle carceri, vogliamo che i signori Priori del popolo e il Gonfaloniere di giustizia della Città di Fermo, nella festa di Santa Maria del mese di agosto, mentre i divini offici vengono celebrati, quando questi stessi Signori andranno alla chiesa di Santa Maria, possano offrire due o tre tra i reclusi e i carcerati per i delitti e per le condanne ad essi inflitti, se costoro sono rimasti e stettero nelle carceri del Comune almeno per un mese; ma non a motivo di qualche debito civile verso una persona privata, e sempre che questi reclusi da offrire abbiano ottenuto dalla parte offesa la pace e il perdono dell’offesa fatta, in l’occasione di quell’offesa per la quale offesa erano stati condannati. E i detti signori Priori e il Gonfaloniere possano fare questa medesima cosa nella festa della Natività del Signore nostro Gesù Cristo e nella festa della Pasqua di Resurrezione. Negli altri tempi, poi, e nelle feste dello stesso Signore, in nessun modo facciano tali offerte né rilascino i detenuti senza un’esplicita licenza del Consiglio generale. E qualora in queste festività, nelle quali i detti carcerati e detenuti, possono essere offerti, ad opera dei detti Signori, vi fossero molti carcerati che fossero rimasti nelle dette carceri almeno durante detto tempo di un mese, e avessero ricevuto il perdono dalla parte offesa, come è stato detto sopra, allora siano rilasciati e offerti due o tre fra essi, secondo quanto ai detti Signori Priori e Gonfaloniere sarà sembrato opportuno, e secondo quanto questi stessi signori delibereranno o stabiliranno. E qualora tra di essi non vi sia accordo nello scegliere detti detenuti, allora che facciano la proposta e facciano fare la proposta nella Cernita che è stabilita in seguito, nel libro secondo di questo volume sotto la rubrica “Del modo di convocare i consigli”; e quello che sarà stato deliberato in detta Cernita, ciò si faccia, e offrano coloro che la detta Cernita delibererà; e qualora tale offerta venga fatta in un modo che sia diverso, l’offerta dei detti carcerati e dei detenuti non abbia validità per il diritto stesso. E i signori Priori e il Gonfaloniere che abbiano trasgredito sulle dette cose, senza praticare la detta formalità, incorrano nella pena di 100 fiorini d’oro per ciascuno e per qualsivoglia volta; e siano in obbligo per i danni e per gli interessi del Comune. E se la detta offerta dei detti carcerati sarà stata fatta con l’osservanza di dette formalità, allora le condanne, per le quali restavano in detto carcere, siano cancellate, e, inoltre, per questo motivo, i detti detenuti, così offerti, non possano essere vessati o infastiditi dal Comune né da persone speciali, ulteriormente, in nessun modo. Inoltre vogliamo che se qualcuno sia stato offerto, come è detto sopra, e successivamente avrà commesso un reato, e sarà stato condannato a causa di un delitto, non possa, per l’avvenire, essere offerto più in alcun tempo, ma sia obbligato sempre in carcere, se sarà stato possibile tenerlo, fino a quando non avrà scontato interamente la condanna, o la pena dovuta che abbia ricevuto secondo la condanna fatta per lui. E poiché in questi casi il più delle volte i poveri vengono oppressi, per effetto della presente legge sia cosa prudente che chiunque, in avvenire, allo stesso modo, facesse un’elargizione a una chiesa secondo la forma degli statuti, non paghi niente, né per il carcere, né per il bollettino del Cancelliere, né per alcuna cosa, in alcun modo ad un qualunque officiale o al Cancelliere, e nemmeno alla Comunità di Fermo. E gli emolumenti saranno di qualunque cancelleria. E ciò debba essere praticato in perpetuo da tutti. Rendiamo noto che tutte le singole le dette cose siano intese ed abbiano validità per i condannati per la persona.

Fine del libro primo. \\\

STATUTA FIRMANORUM tradotto dal latino da Albino Vesprini nota che le parentesi <…> indicano un’esplicazione aggiunta.

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SERVILIO e Servigliano un nome e il toponimo all’inizio del primo secolo avanti Cristo

SERVILIO e Servigliano delle provincia di Fermo

   Da Servilio proviene il toponimo “Praedium Servilianum” per la proprietà stabile di un romano Servilio che al tempo della Repubblica Romana visse nel territorio Piceno, e oggi permane il toponimo rimasto al comune della provincia di Fermo, Servigliano, lungo il corso del fiume Tenna a metà percorso dai monti Appennini al mare Adriatico.

   Il nome Servilio è registrato nei libri delle «Guerre Civili» scritte da Adriano da Alessandria (detto Alessandrino) scrittore greco che nei primi decenni del secondo secolo dopo Cristo venne a Roma dove viveva da cittadino romano al tempo dell’imperatore omonimo Adriano (117-138). Egli dà notizia del nobile SERVILIO che nel 663 anno di Roma era PROCONSOLE stabilito come governatore del territorio Piceno. Lo scrittore riferisce che quando erano insorti i popoli italici contro i Romani, il proconsole Servilio si recò in Ascoli presso i ribelli dai quali però venne ucciso. L’anno 663 di Roma, nell’attuale cronologia corrisponde all’anno 91 avanti Cristo se consideriamo Roma fondata nel 952 a. C.

   Il nome romano Servilio ricorre nelle iscrizioni delle lapidi trovate a un chilometro dall’attuale Servigliano a Piane di Falerone (antica Falerio), riferite al 30 a. C. da Theodor Mommsen nella sua monumentale raccolta di iscrizioni (vol. IX, pp. 517ss) indicanti persone di funzionari pubblici faleriensi. Potrebbero essere nomi delle famiglie discendenti dal Servilio proconsole da cui deriva il toponimo dell’attuale Servigliano.

Nota che Tito Livio nelle Periochae 75 dice Quinto Servilio «proconsole». Velleio Patercolo nelle Historiae Romane lib. II, 15 dice Servilio «pretore». Il riferimento è a Quinto Servilio soprannominato Cepione. Appiano dice che Servilio si recò in Ascoli dove fu ucciso e alcuni studiosi dicono che partì da Fermo che fu la sede militare di Pompeo.

Gente Servilia tra le più notevoli di Roma nelle cariche pubbliche. Il questore poi pretore Quinto Servilio Cipione, sposato con Livia figlia del console Marco Livio Druso, ebbe figli Servilia amante di Caio Giulio Cesare imperatore da cui ebbe Marco Giunio Bruto che uccise suo padre Cesare. Altro figlio di Livia Quinto Servilio iunior ad Ascoli Piceno. Livia divorziata ebbe figlio Marcio Porco Catone l’Uticense, che fu cugino di Servilia e di Quinto Servilio e cugino del Bruto cesaricida.

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Pittori Bonfini ATTRIBUZIONE: SERVIGLIANO DUE AFFRESCHI DELLA PRIMA META’ DEL SECOLO XVI

attribuibili

SAN GUALTIERO DI SERVIGLIANO HA DUE DIPINTI DELLA PRIMA META’ SECOLO XVI ATTRIBUIBILI AI PITTORI BONFINI DI PATRIGNENE (Montalto Marche AP)

A Servigliano (FM) c’è un dipinto datato 1620 che raffigura la Beata Vergine Maria con il divin Figlio onorati nella contemplazione da Sant’Agostino e da san Gualtiero nell’abside della omonima chiesa rurale in contrada San Gualtiero non lontano dalla pianura del fiume Tenna, a confine con Penna san Giovanni. Questa chiesa è terremotata e chiusa. Non se ne prevede il restauro.

Ma non è questa l’unica pala (quadro) d’altare per san Gualtiero esistente a Servigliano. Altro simile esiste nella chiesolina vicina all’antico convento dei frati agostiniani demaniato e venduto ad altri usi. Questa è stata restaurata da un privato.

Altri affreschi serviglianesi del secolo XIV e XV e posteri nella chiesa francescana di Santa Maria del Piano, nel centro urbano.

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Il cardinale Gustavo D’Hohenlohe nel 1876 scrive al card. Filippo De Angelis arcivescovo di Fermo

          E/mo Padrone mio ed Amico Veneratissimo

     L’Eminenza Vostra mi ha fatto un vero favore con la gent.ma Sua del 19 p. p., e se mi furono di consolazione le amorose accoglienze per parte del S<anto> Padre e dei Colleghi nostri, molto più mi commossero le amichevoli parole della Eminenza Vostra; gradisca adunque le mie più vive azioni di grazie e insieme alla assicurazione che giornalmente pregherò nella S. Messa per V. E., e che spero, che lieto, sano e robusto vedrà non solo il 50.mo anniversario del glorioso Suo Episcopato, ma molti e molti anni ancora, per il bene della Chiesa e per la consolazione dei Suoi amici ed ammiratori, tra i quali mi glorio di nominarmi.

     V.E. ha indovinato, che preferisco questo soggiorno di Tivoli ad altro, e specialmente il carnevale l’ho passato tutto qui, ma per la solita congregazione del Concilio conviene andare domani a Roma, e così potrò anche assistere alla passeggiata di S. S.

     Godo assai di vedere l’Accademia Ecclesiastica sotto la Presidenza del car/mo Mons. Agnelli, speriamo che presto sarà anche Vescovo come i predecessori. Voglia gradire le espressioni di profondo rispetto e venerazione sinceramente baciandole um/te le mani ho l’onore di ripetermi di Vostra Eminenza

      Villa d’Este, 2 Marzo, 76

                                                umil/mo e devot/mo servo ed amico

                                                 Gustavo Card. D’Hohenlohe        

\\\ < Documento dell’archivio privato Felice Catalini a Loreto riguardante il Cardinale arcivescovo di Fermo, trascritto per la tesi di Laurea da ILLUMINATI Romolo nel 1968>

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Il cardinale Filippo De Angelis arrestato e deportato da arcivescovo di Fermo a Torino nel 1860 non esercitava alcun potere di governo politico amministrativo

<Lettera al giornale L’ARMONIA n. 167 del 18 luglio 1861 di Torino a difesa del Card. De Angelis>\

                                                                 Roma, 10 luglio 1861

                                    Ill.mo Sig. Direttore,

     Ho letto con penosa sensazione nella Gazzetta del Popolo che si stampa costà, N°173, delli 14 giugno p. p., una lettera firmata – I Venti di Fermo – (sic), indirizzata all’E.mo sig. Cardinale De-Angelis, la quale piucché ad aggravare i fatti relativi ad epoca infaustissima, tende a far prevalere l’odiosa opinione che l’Eminenza Sua avesse mano nelle cose di governo, e specialmente nelle politiche misure del 24 giugno 1859, onde farlo misero segno dei sarcasmi e dell’ira dei tristi, forse per attenuare l’iniqua ingiustizia e il sacrilegio di vederlo da lunghi mesi sostenuto prigione in Torino.

     Poiché aveva io l’onore di reggere qual Delegato Pontificio la Provincia fermana, così posso dinanzi a Dio e agli uomini a testimonio che tutte e singole le disposizioni prese in quei frangenti per salvare, come salvai, il capoluogo del movimento sovversivo, tutte procedettero dalla autorità governativa senz’alcuna partecipazione di questo reverendo e degnissimo porporato. Se non che per decorosa cortesia ed alla persola di Lui, e dirò anche per tener conto della commozione dei buoni in quei disgraziati momenti, mi vidi obbligato ad avvisare poche ore avanti l’attuazione degli arresti l’E.mo Arcivescovo a scanso di impressioni allarmanti, e vedendo milizie in giro o clamori sospetti durante la notte. Ecco tutto ciò che seppe il Sig. Cardinale De Angelis delle cose di Fermo del 24 giugno 1859.

      Denudata da questo lato la vergognosa calunnia, non sarà men facile di credere menzognero il rimanente della lettera rapporto agli arrestati che posso assicurare in numero di “sei” essere da Fermo partiti in comode vetture coperte alla volta di Roma, dove subito formali contestazioni,, da loro stessi di poi notificate nei pubblici fogli, come altri “sei” detenuti in Fermo ebbero tutti questi a scelta – o un regolare processo, o l’esilio.- Prudentemente acconciatisi al secondo, furono tosto e spontaneamente somministrati ad alcuni degli ultimi sussidi pecuniari, perché non avevano mezzi del proprio da sostenere le spese giunti che fossero alla prescelta destinazione.

     Io la prego, signor direttore, di voler accogliere nel suo egregio giornale la presente significazione di animo, che riguardando un fatto personale non può essere impugnata dai tristi, né posta in dubbio dagli onesti. In questa occasione sarebbe stato colpa il tacere; obbedendo alla mia coscienza, ho soddisfatto me stesso, ed ho reso non meno un tributo alla verità, che se in molti casi può essere un bisogno, era in questo certamente un dovere.

                                                     Mi creda con ogni stima ed ossequio

                                                                                  Suo Devotissimo Servitore

                                                  N<icola> Marchese Morici

    

   

  

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