Statuti del Comune della Città e dei Castelli di Fermo parte finale posteriore al 1507

Dall’edizione del 1589 traduzione dal latino con elaborazione di Albino Vesprini

STATUTA.tradotti.A.V..fine.Pp.204-224 margini2

Traduzione dal latino e dalla lingua volgare locale. –

STATUTI DEL TERRITORIO FERMANO ed. Fermo 1589

CAPITOLI EDITI SUL MERCATO E SULLA FIERA DELLA MAGNIFICA CITTA’ DI FERMO, IN AGOSTO, COME FURONO ORDINATI AD OPERA DEI CITTADINI CON DECRETO DI CERNITA.

– 1- II luogo ove si debba fare la fiera, cioè dove si debbano vendere gli animali, sia dove sinora è consuetudine; ma il luogo ove si vendono le altre mercanzie si intenda che è dentro la Città, nella piazza di San Martino, e lungo le strade maestre.

– 2- Inoltre che la fiera detta sia e che debba essere “franca” <libera> a tutti i forestieri che condurranno <porteranno>, compreranno o venderanno le loro mercanzie nella detta fiera, stando il tempo che sotto si dichiarerà; cioè che possano mettere, portare, vendere o comperare ogni genere di merce e di animali senza alcun dazio, ovvero gabella <tassa>; non estendendosi a coloro che vendessero grano, farina, pane, vino, olio all’ingrosso, carne da taglio e ogni altro genere di biada, e vettovaglie, espressamente specificando che la carne salata e il cacio <formaggio> che sono venduti a pezzi interi, non debbano pagare <alcuna> gabella; salvo che non si vendesse al taglio, ma i forestieri anche se vendessero carne salata e formaggio a taglio, non siano obbligati a pagare alcun dazio ovvero gabella.

– 3- Inoltre durante il tempo della fiera i Cittadini e i Contadini, i quali conducessero o vendessero o immagazzinassero, o comprassero o portassero qualche mercanzia, non siano tenuti a pagare alcuna gabella, dichiarando però che le robe che si avessero da immagazzinare, si debbano segnalare ai gabellieri <dazieri>, e finita la fiera i cittadini siano obbligati, a richiesta dei Gabellieri, con giuramento, chiarire quello che gli avanza; ma espressamente si dichiara che di robe comperate per proprio uso non si paghi gabella. E se vi fosse qualche difficoltà per le cose che si vendessero o portassero, di qualunque specie siano, allora ci si attenga al giudizio di quei Cittadini che saranno incaricati come sovraintendenti della fiera con giuramento di colui che la vendesse o portasse o immagazzinasse; o in qualunque modo capitasse qualche dubbio; ma in tale modo da ultimare, esaminare e chiarire prima che si abbiano questi dubbi e differenze, tramite i Consoli dei mercanti di luglio e di agosto.

– 4- Inoltre che i mercanti forestieri possano mandare le loro mercanzie e le robe nel Porto e nella Città di Fermo entro l’anno come a loro capiterà e conservarle, e per riporle fino al tempo della fiera senza alcun dazio, né pagamento di gabella. Ma se prima del tempo della fiera le vendessero, siano obbligati, per quello che vendono, a pagare il dazio ovvero la gabella ai Gabellieri senza alcuna opposizione. E ciò abbia luogo per il passato, al presente e nell’avvenire. E si intenda che se le robe si inviassero tramite un commesso o per commenda <accomandita> si debbano immagazzinare tutte in un luogo che verrà stabilito tramite il Comune.

– 5- Inoltre che i mercanti e qualunque altra persona di qualsiasi stato e condizione essa sia, possano, nell’avvenire, per tutto il mese di agosto, in qualunque anno della fiera, liberamente vendere o comperare senza alcun pagamento di dazio o gabella. E siano iberi ed esenti da questi dazi e gabelle per tutto il mese di agosto, ed anche i mercanti forestieri possano portare tutte le mercanzie e le robe loro e farle portare per tutto il mese di settembre seguente in ogni anno quando la fiera si farà, senza pagamento di detti dazi o gabelle. Ma se qualcuno passasse con robe e con apparenza di franchigia, le portasse in tale tempo, con l’intenzione di non vendere nella detta fiera, mettesse roba, sia obbligato al dovuto pagamento delle gabelle.

– 6- Inoltre che a ciascuno sia lecito fare la senseria <mediazione> in questa fiera, purché sappia scrivere, affinché possa tener conto delle vendite che si fanno di mano sua, in modo che si abbia a far scrivere dal notaio dei sovrintendenti della fiera; altrimenti qualsiasi vendita, che viene fatta di loro mano, non sia valida.

– 7- Inoltre che questa fiera sia e debba essere franca e libera per ogni persona che ci verrà in modo che nessun Cittadino, Contadino o forestiero, di qualunque condizione e luogo egli sia, cioè durante il tempo di questa fiera, possa essere costretto né concordato da alcun suo creditore per qualche debito contratto prima del tempo di questa fiera, né per rappresaglia del Comune, né da parte di una persona speciale che avesse  <rivalsa> contro qualcuno, salvo per un debito che si contraesse o si facesse nella fiera, si debba fare accordo e costringere a quel che la ragione volesse.

E similmente non si possa, durante il tempo della fiera, giurare <affermando> qualcuno sospettato e fuggitivo, e così neanche si possa fare alcuna molestia durante questa fiera a quelli che fossero condannati per danni dati, ma anche essi siano iberi e sicuri.

– 8- Inoltre che la detta libertà e sicurezza non si intenda per qualche bandito, nemico, ribelle o traditore della santa Chiesa, e del Magnifico Comune di Fermo, e che non sia <una fiera> ibera per coloro che commettessero azioni illecite o commettessero qualche delitto o misfatto durante questa fiera o in questa fiera, o fuori dalla fiera stessa, nel territorio di Fermo e del contado, o delle Terre raccomandate. Ma il Podestà e il Capitano e altri Officiali del Comune di Fermo, contro tali delinquenti, abbiano pieno arbitrio di punire e condannare nella persona o nei beni, secondo che a questi Officiali sembrerà opportuno e piacerà, in modo sommario, senza strepito, senza figura di giudizio <processo>, con piena facoltà di aggiungere o non diminuire tale pena, che in tale delitto si deve imporre; nonostante uno statuto o una delibera che dicesse il contrario.

– 9- Inoltre che si debba assestare e aggiustare il peso della quantità e provvedere che si aggiustino all’apparecchio <dispositivo> di quello tutti gli altri pesi.

– 10- Inoltre che si faccia il bussolo <sorteggio> dei sovraintendenti, i quali abbiano a intendere, esaminare e decidere sommariamente tutte le vertenze che per comperare, e per vendere e per qualunque altro motivo capitassero in questa fiera, e il Capitano e il Collaterale richiesti da loro di intervenire, debbano decidere, secondo ragione, le cose dubbiose e nessun Avvocato o Procuratore possa intervenire in tali cause, sotto la penalità di 25 libre, per ogni volta quando qualcuno trasgredirà.

– 11- Inoltre i Regolatori, che ci saranno nel tempo, affinché i mercanti siano contenti e volentieri stiano e ritornino, provvedano comodamente e a buon prezzo assoldare l’affitto delle botteghe o case necessarie, e similmente provvedano che dal contado arrivino le vettovaglie, come meglio sembrerà a loro, purché ci sia abbondanza, e coloro della Città o del contado che faranno il pane e lo porteranno, o lo venderanno nella Città al tempo della fiera, non siano, per esso, obbligati ad alcun dazio, ovvero gabella.

*

0RDINAMENTI E CONSUETUDINE DEL MARE PUBBLICATI PER MEZZO DEI CONSOLI DI TRANI

   Al nome dell’Onnipotente Iddio. Amen. Anno 1603, prima indizione. Questi infrascritti ordinamenti, e ragione furono fatti, ordinati e provvisti e inoltre deliberati dai nobili e discreti uomini Messer Angelo de Bramo, Messer Simone de Brado, e conte Nicola di Roggiero della Città di Trani eletti Consoli in arte del mare tra i più competenti che si potessero trovare in questo golfo Adriatico.

(1)   Propongono, inoltre dicono, determinano e decidono questa infrascritta questione dell’arte del mare, la quale è cosiffatta: che se alcuna nave grande, ovvero piccola, colpisse in terra per sfortuna, e fosse spartita la poppa dalla proda, la mercanzia che sta nella detta nave non sia tenuta a rinnovare questa nave. E se la questa nave non fosse spartita da poppa a proda, la mercanzia che sta in essa sia tenuta a rinnovare questa nave. E i marinari siano tenuti ad aspettare otto giorni per salvare i suoi corredi. E qualunque marinaro che partisse innanzi la detta scadenza di otto giorni da questa nave, sia tenuto a pagare d’ogni denaro del suo salario, di 3 denari 10.

(2)   Questi Consoli propongono ancora, dicono e decidono, che qualunque equipaggiamento si perdesse, non sia tenuto d’andare a varea: salvo che questi equipaggiamenti non fossero “guasti”, ovvero venduti per sopravvivere le persone, la mercanzia, e anche la nave, qualora in questo caso fossero i detti equipaggiamenti, siano tenuti ad andare a varea.

(3)   Propongono, dicono, e decidono i detti Consoli, che se la mercanzia della nave fosse rubata da Corsari, questa mercanzia rubata sia tenuta ad andare a varea. E qualora esistessero <alcune> di queste mercanzie, che non fossero <state> rubate, tutte quelle che esistessero siano tenute di risarcire quella che fosse rubata. E il salario dei marinari non sia tenuto di risarcire nessuna mercanzia.

(4)   Questi Consoli del mare propongono, dicono, e decidono, che se una barca scoperta andasse contro terra a sfasciarsi, e si sfasciasse, la mercanzia non sia tenuta a risarcire la barca. E qualora la barca scoperta fosse in pelago in burrasca e i marinari di questa barca per questa sfortuna gettassero in mare la mercanzia per meglio salvarsi, la mercanzia, così perduta, deve andare a varea.

(5)   Questi Consoli propongono, dicono, e decidono che se una nave grande, ovvero piccola, fosse noleggiata, e caricata, e partisse del porto, e avesse fatta vela, e per caso tornasse in porto, qualora i mercanti ridomandassero la robba, e non volessero che questa nave la portasse più oltre, il padrone della nave deve avere tutto il nolo convenuto, come che se l’avesse portata dove che i mercanti avessero voluto.

(6)   Questi Consoli propongono, dicono, e decidono, che qualunque nave, grande o piccola fosse carcata in porto, e innanzi che la detta nave si partisse del porto i mercanti gli domandassero la lor mercanzia, il padrone della nave gli deve rendere la mercanzia, e esso padrone deve avere, e ricevere da’ mercanti il mezzo del nolo convenuto.

(7)   Questi Consoli propongono ancora, dicono, e decidono che se questa nave fosse in porto per caricarsi, e i mercanti che l’avessero noleggiata e promesso al padrone di dargli la mercanzia, <se> non la volessero poi dare, il padrone non può domandare altro che il quarto del nolo.

(8)   Questi Consoli propongono ancora, dicono, e dichiarano che se un padrone di nave andasse in luoghi vietati e ancora andasse in un porto dove non dovesse andare; salvo che non fosse per sfortuna, gabella, e ogni altro danno, in questo camino, e altri luoghi vietati avvenissero che i marinari di questa nave vietassero al padrone, e il padrone non lo volesse fare, sia tenuto il padrone a pagare tutto questo danno, e in caso che i marinari, e anche il padrone non conoscesse questo fatto, il danno tutto che avvenisse  deve andare in varea.

(9)   Questi Consoli del mare propongono, dicono, determinano, e decidono che un padrone non possa lasciare alcun marinaro, altro che non fosse per quattro cagioni, e difetti dello stesso marinaro: primo per il bestemmiare Dio; la seconda per esser “meschiarolo” <vizioso malvagio>; la terza per essere ladro; la quarta per lussuria: e per queste quattro cose il padrone possa lasciare il marinaro, e condurlo in terra ferma e fare <valere> le ragioni loro in terra ferma.

(10)   Questi Consoli del mare propongono, e decidono, che se un marinaro partisse con la nave dalla sua terra, e si ammalasse, egli deve avere tutta la sua parte.

(11)   Questi Consoli propongono e decidono i detti che se un marinaro si conducesse, ovvero partisse con la nave da casa sua, egli non può partire, ne lasciare l’armeria <?cantiere> della detta nave: salvo che per tre cagioni e cose: la prima è, se egli fosse fatto padrone d’un’altra nave; la seconda se fosse fatto nocchiero; la terza è, se in tale viaggio avesse fatto voto di andare a San Giacomo, al Santo Sepolcro, o a Roma, e per queste tre cose ha cagione legittima di partire, e deve essere licenziato senz’altro interesse, o danno “refare”.

(12)   Questi Consoli del mare propongono ancora, dicono, e decidono che qualunque padrone portasse marinari a parte in nave grande, ovvero piccola, qualora un marinaro volesse partire, gli deve lasciare la metà di quello che dovesse avere, ovvero della parte sua.

(13)… Questi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che qualunque padrone andasse con una (s)fortuna a vela e la sua vela si guastasse, sia suo tutto il danno. Ma se egli andasse a vela e dicesse ai marinai: “Cala ora, che io voglio mettere il terzarolo” e i mercanti e i marinai gli dicessero: questo che non cala, ma che tenesse duro, e tale vela si perdesse; in ciò sia tenuta di (ven)ire e andare a varea.

(14)… Questi Consoli del mare propongono ancora, dicono e decidono che se la nave fosse uscita, i marinai non debbono “levare” senza licenza del padrone, ovvero del nocchiero. E più a questo se la garoppa, ovvero se il canapo si mozzasse, <per> questo si deve andare a varea. Anche (quando) con loro litiga gli facesse forza e perdessero l’ancora, non sia tenuto a risarcire né andare a varea.

(15)   Questi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che qualunque nave facesse vela dalla sua terra che noi gli togliamo libertà che non debba calare vie collare, né tenere sosta, né mollare sosta senza licenza del nocchiero. E stando la nave in porto, il nocchiero non possa trarre la nave dal porto senza licenza del padrone.

(16)   Noi Consoli detti proponiamo, diciamo, e sentenziamo che qualunque padrone che conducesse uno scrivano, questo debba essere giurato del suo comune, e essere buono, e leale. E questo padrone non possa fare scrivere nessuna cosa, che abbia con nessuno mercante, che non sia il mercante presente, ovvero altro testimonio.  E sia caso simile e sia termine con questi marinari, e se facesse altro, ovvero il contrario, e scrivesse, che quel suo quaderno, ovvero libro <registro> non sia tenuto a nessuna ragione, né ad esso si debba dare fede alcuna. E se questo scrivano ricevesse mercanzia dai mercanti, e gli mancasse, sia tenuto lo scrivano stesso a risarcirla: e il detto quaderno deve essere coperto di carta pecudina <pergamena>.

(17)   Questi Consoli del mare propongono, dicono, e decidono che qualunque padrone che avesse qualche mercanzia in nave, e gli bisognasse scaricare, o in porto, ovvero in spiaggia, come tale roba ha dato in barca, questo padrone subito per il fatto stesso è scapolo <senza contratto> e libero di tale roba e mercanzia così scaricata, e la stessa barca sia tenuta a risarcirla: salvo, che non la perdesse per sfortuna di mare, ovvero de’ corsari: e in questi due casi non sia tenuta.

(18)   Questi Consoli del mare propongono, dicono, e decidono che qualunque mercante, o altro uomo, desse mercanzia a qualche suo fattore, o ad altra persona, che gliela vendesse, senza alcun testimonio dell’assegnazione, se si deve credere al detto fattore, e volesse andare dritto alla ragione di Signoria <vertenza> egli abbia due testimoni diritti, e leali, e costoro debbano essere creduti, e si dia loro piena fede.

(19)   Questi savi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che qualunque uomo che trovasse in mare roba che stesse attorno <vagante>, gli sia lecito di prenderla e assegnarla alla Corte, e darla per scritto entro il terzo giorno dopo che l’ha trovata e presa; e di questa roba così ricevuta, quando il padrone d’essa si trovasse, ne debba avere la metà. E questa roba debba stare in mano della Corte 30 giorni continui; e qualora in capo ai 30 giorni il padrone non apparirà, né un’altra legittima persona per lui, la roba debba essere di colui che l’ha trovata.

(20)   Questi Consoli propongono, dicono, e decidono, che qualunque persona che trova robba sott’acqua, due parti di questa debbano essere di colui che la trova, e la terza parte debba essere del padrone di questa roba il quale abbia un segno di <tali> robe.

(21)   Propongono ancora e dichiarano che qualunque persona trovasse roba che avesse un segno, nessuno la debba toccare, sotto pena del triplo di quanto tale mercanzia così trovata fosse stimata, e di più in arbitrio della detta ragione, che si trovasse nella detta Terra.

(22)   Questi Consoli del mare propongono, e dichiarano che qualunque nave facesse alcuna varea, si deve prendere il terzo per i corredi; perché i corredi non sono tenuti d’andare a varea, e non debbono essere mandati <a varea> se si perdessero, e così viceversa i corredi non debbono risarcire l’altra mercanzia.

(23)   Questi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che qualunque persona che trovasse oro, argento, o perle, o altre cose di pregio e di valore, e non l’assegnasse al padrone, ovvero al nocchiero, o allo scrivano, e succedesse che di queste cose e d’altre si devesse fare varea, o per corsari, o per sfortuna del mare, le dette cose non si debbono risarcire, e qualora tali cose si perdessero, debbono andare a varea.

(24)   Questi Consoli del mare propongono, dicono, e decidono che se qualche padrone di nave portasse roba o mercanzia, non la possa trarre fuor dalla nave senza licenza del padrone della mercanzia. E se egli la portasse fuori senza tale licenza, e la mercanzia si perdesse, il detto padrone della nave la debba risarcire.

(25)   I savi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che se qualche mercante noleggiasse qualche nave grande o piccola, e non ci fosse espresso il patto di scaricare, né di spacciare la nave, né per l’una parte, né per l’altra: perciò noi Consoli sentenziamo, che la nave essendo a chi la carica, non la deve aspettare se non otto giorni di tempo di bonaccia, e debba avere pagato il suo nolo. E se i detti mercatanti non volessero spacciare la nave, che la nave sia a rischio dei mercanti; e tale nave debba avere di salario quello che sarà determinato dai Consoli che saranno in quelle parti.

(26)   Questi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che se un padrone avesse caricato la nave di mercanzia, e ci fosse sfortuna, e non ci fossero i mercanti, questo padrone, se bisognasse, possa gettare fuori con le sue mani la detta mercanzia. E nessuna ragione gli possa stare contro, perché lo fa per scampare le persone della nave, e le altre mercanzie, e tale roba e mercanzia così gittata deve andare a varea.

(27)   Questi Consoli propongono, dicono e decidono che se la nave fosse assalita, e percossa dai corsari, sentenziano, che il padrone possa fare accordi con questo corsaro, o per argento <denaro>, o per altra roba, e per mezzo di questo patto salvino la nave, e l’altra mercanzia, in assenza di mercanti in nave.

(28)   Questi Consoli del mare propongono e decidono che ne nessun padrone mai possa colpire nessun marinaro, ma il marinaro deve scampare, e andare a proda dinanzi alla catena del remiggio; e per tre volte deve dire: “Dalla parte della mia signoria non mi toccare” e se il padrone passasse la catena per batterlo, il marinaro si deve difendere: e se il marinaro occidesse il padrone, non sia tenuto al bando <esilio>.

(29)   Questi Consoli del mare propongono ancora e decidono che qualunque nave, grande o piccola, avesse messa <dentro> mercanzia, e la nave facesse acqua ai mercanti, è lecito di non dargli più roba, e il padrone ha libertà di andare per i suoi fatti per scampare le persone e la nave.

(30)   Questi Consoli del mare propongono, dicono e sentenziano che nessun naviglio che sia in mare mai debba far patto, né convenzione alcuna, e se la facesse in mare con mercanti, o con marinari non valgano, siano di nessun valore, né per tali patti si possa chiedere, salvo, che non fosse in porto in luogo remeggiati in quattro, ovvero che lo scritto appaia dall’una parte e dall’altra, ovvero per mano dello scrivano, perché i testimoni non possono andare là dove vanno le navi.

(31)   Noi Consoli del mare proponiamo, e decidiamo che ciascuno padrone di nave abbia libertà di ‘riscuotere’ una nave, per sfortuna di mare, per <motivo di> corsari: e se gli abbisognassero i danari, abbia la libertà di prenderli sopra di essa, e della nave sia buon guardiano, e faccia quello che deve.

(32)   Questi Consoli del mare propongono, dicono e decidono che una galea che va ‘in corso’ si presentasse, e la nave avesse robba dentro, o in tutto, o in parte, e i mercanti rivolessero la loro roba e mercanzia, il padrone non sia tenuto a dargliela, salvo; che i mercanti non gli affrancassero la nave.

SI CONCLUDONO GLI ORDINAMENTI DEL MARE PUBBLICATI PER MEZZO DEI CONSOLI DI TRANI

*

ORDINE, CONSUETUDINE E DIRITTO DI VAREA SECONDO GLI ANCONETANI

   E’ stato stabilito e ordinato che se qualche naviglio si rompesse, ovvero pericolasse in mare, si debba fare varea della nave, così pure della mercanzia che sta nella nave, <facendo> in questo modo e forma: cioè, che la nave sia obbligata a fare la varea con tutte le mercanzie, e tutte le mercanzie debbano fare varea con la nave. Nel qual caso si debba fare l’estimo della nave per mezzo di tre mercanti, i quali non fossero partecipi alla detta varea, secondo l’ordine di questo statuto. E questi tre mercanti si debbano eleggere per opera di quelli a cui appartiene la varea, cioè per ciascuna delle parti, e l’altro in comune; e questi eletti siano costretti a dichiarare la detta varea entro quattro mesi. E la detta dichiarazione che si farà per opera dei detti eletti, o per la maggior parte di loro, ciascuno dei detti siano tenuti di praticare, sotto la pena di perdere la parte che gli toccherà della varea, la quale venga ai detti partecipi.

   E dell’estimo che si farà della detta nave per opera dei detti eletti, se ne debba battere un terzo per i corredi, i quali non siano tenuti alla varea, e la detta mercanzia si debba stimare secondo il costo che fu di quella in quel luogo dove fu trovata la detta mercanzia, e il danno che fosse ricevuto si debba separare, cioè la nave con le mercanzie, e le dette mercanzie con la nave detta, per soldo, e per libra.

   E acciocché nella detta varea non si possa commettere malizia, non si possano mettere nella detta varea se non quelle cose, o mercanzie che fossero scritte per opera dello scrivano; salvo, che se si trovasse per alcuni essere messe nella detta nave migliori mercanzie che non fossero scritte per opera dello scrivano, allora in quel caso mettesse. E in vantaggio della detta barca le dette cose, o mercanzie migliori che non fossero scritte, e in svantaggio dei mercanti di cui fossero per l’inganno che commisse, si debba mettere per le mercanzie che avesse fatto scrivere.

  E affinché il presente statuto sia di maggiore intelligenza, dichiariamo che la detta barca si debba fare per la figura che qui si dichiarerà: cioè poniamo per figura che il naviglio per cui si deve fare varea con le mercanzie sia di valuta di 1500 fiorini, se ne vuole abbattere un terzo che non si mette per i corredi, né va a varea: restano fiorini 1000 al naviglio che si deve mettere alla varea. E le mercanzie che furono caricate nel detto naviglio nel luogo dove fu caricato costarono fiorini 4000 (quattro mila) e sono di quattro mercanti, e di quattro diverse mercanzie, una è cotone, altra è cenere, altra è pepe, e altra è zucchero, sicché a ciascuna di queste mercanzie è tenuta la barca per il quarto dei detti 1000 fiorini a fare la detta varea, che per i quattro ne tocca: fiorini 250. E ciascuna di quelle mercanzie che è di somma di fiorini 1000, è obbligata al naviglio, e alla detta varea.

   E se il naviglio e alcune di dette mercanzie fossero in tutto perdute, vogliamo che il naviglio perduto, e la mercanzia perduta non faccia varea uno con l’altro. E se non fossero perdute in tutto, ma fossero perdute in parte, allora la parte che non fosse perduta debba fare varea con quella che è perduta per soldo, e per libra, e restituire alla parte più dannificata, cioè al naviglio con le mercanzie per soldo, e per libra perduto con il non perduto.

  E simili ordine e forma si debbano praticare  nella detta varea, se le mercanzie fossero altre mercanzie, o più, o meno, o di maggior, o di minor numero, e valuta: e così per il naviglio se valesse più, o meno.

   E la varea che si deve fare mercanzia con mercanzia, si faccia in questo modo; cioè, che non sia tenuto di far varea mercanzia con mercanzia se non in questo modo e forma: sapone con sapone, olio con olio, tele con tele, canavacci con canavacci, zafferano con zafferano, carte con carte, mandorle con mandorle, panno di lana con panno di lana, stoppa con stoppa, ferro, rame, stagno, piombo, acciaio, e metallo, tutte, e ciascuna di queste con ciascuna di quelle cose, vino con vino, noce e fichi con noce e fichi, carne con carne, cascio con cascio, mele con mele, legname con legname, fustagni con fustagni, funicelle e seta con seta e funicelle, bambagia con bambagia, o soda, o filata, zucchero, o polvere, e confetti, l’uno con l’altro, pepe con pepe, zenzero con zenzero, cinnamomo con cinnamomo, garofani con garofani, allume, cenere con cenere, e allume, incenso con incenso, noce moscate con noce moscate, mastici con mastici, ciambellotti con ciambellotti, drappi d’oro con drappi d’oro, drappi di seta con drappi di seta, lana con lana, lino con lino, cuoio con cuoio d’ogni generazione che sia lavorato, e conciato, cera con cera, pesce con pesce d’ogni generazione, biade con biade, e con legname, sego con sego lavorato, e non lavorato, pegola con pegola, datteri con datteri, uva passa con uva passa l’una con l’altra. e tutte le altre mercanzie che di sopra non sono nominate, facciano la varea col suo proprio, e simile.

   E ciascuna mercanzia non perduta, o ricuperata faccia varea con le altre mercanzie che fossero perdute secondo come è dichiarato di sopra.

   E tutte le mercanzie scampate si debbano deporre per quelli, ai quali appartiene la varea, presso due persone comuni, alle quali non appartiene la varea. E questi depositari abbiano libertà di custodirle, e venderle secondo come sarà vantaggio, e più utile delle mercanzie.

   E le mercanzie, ovvero la moneta che se ne trarrà, tenerle per sin tanto che si dichiarerà la detta varea. E nessuno dei detti mercanti debba toccare le dette mercanzie, né prelevare delle dette mercanzie per portarsele, se non che le tengano i detti depositari, sotto pena di perdere quello che gli toccasse dalla varea, per fin tanto che la detta varea non fosse dichiarata, nonostante che fosse segnata del suo segno.

   E fatta la detta dichiarazione, i detti depositari debbano fare varea delle dette cose, e consegnarle secondo la dichiarazione fatta per opera dei detti tre arbitri, o per due di loro.

   E questo statuto si debba praticare  in ogni luogo dovunque il caso di varea intervenisse ai navigli e ai mercanti d’Ancona.

   Questo è dichiarato, che mercanzie che siano sotto coperta vive, non siano tenute ad alcuna cosa di varea con le mercanzie che fossero sopra coperta vive. Ma la mercanzia che fosse sopra coperta viva, sia tenuta a contribuire, e far varea alle mercanzie che fossero sotto coperta vive.

   Ancora dichiariamo, che l’aver di cassetta <scrigno> che fosse sopra coperta, cioè oro, argento, perle, pietre preziose, anelli, drappi d’oro e di seta, ciambellotti vari, armellini, e arnesi dei patroni, dei mercanti, dei passeggieri e di tutte le altre persone che fossero in nave, <roba> che fosse sopra coperta viva non si debba mettere a varea, né a profitto né a danno.

\\\

     Anno 1578

Gregorio XIII Papa. O diletti figli, salute e Apostolica benedizione. La fedeltà e la singolare devozione vostra che è confermata nei nostri riguardi e verso la Sede Apostolica ci inducono ad accogliere volentieri le vostre richieste con la grazia di esaudirle. E così, propensi verso le vostre suppliche in questa incombenza, per effetto del presente atto di autorità Apostolica, con la nostra certa consapevolezza e con la pienezza della potestà apostolica, noi approviamo e confermiamo le tasse delle retribuzioni per i giudici e per i notai dei crimini della nostra Città Fermana come voi le avete assegnate e sono state confermate ad opera del nostro diletto figlio, il nobile uomo Jacopo Buoncompagni Governatore di questa città e inoltre le grazie, le facoltà, le immunità, i privilegi, gli indulti e tutti quanti gli statuti concessi ad opera nostra e degli altri Pontefici Romani nostri predecessori in quanto non tendono contro la libertà ecclesiastica né a pregiudizio della Camera Apostolica, e a queste cose noi aggiungiamo il vigore della validità perpetua e inviolabile e suppliamo ad ogni singolo difetto, tanto di diritto che di fatto, se mai, forse, intervenga in queste cose e comandiamo e ordiniamo che siano eseguite da tutti coloro ai quali compete. Decretiamo sin da ora non valido e nullo ciò che capiti fatto su ciò in contrasto, coscientemente o ignorantemente, da qualsiasi autorità, in modo diverso, nonostante le costituzioni e gli ordini Apostolici di Pio IV predecessore nostro, di felice memoria, sul dovere di registrare le grazie che concernono l’interesse della Camera Apostolica entro un certo tempo allora stabilito, nei registri di questa Camera o le grazie da aggiungervi. E nonostante tutti gli indulti, anche i privilegi, le consuetudini, gli statuti confermati e convalidati a favore della nostra Città Fermana, in qualsiasi modo dati, approvati, rinnovati che siano in contrasto contro le lettere apostoliche, anche con giuramento e con conferma Apostolica o con altro qualsiasi modo. Facciamo deroga per tutte le cose e consideriamo come espressi nel presente atto tutti i loro contenuti, in questo cambiamento della sorte, in modo speciale ed espressamente e quanto ora confermato resti nella sua validità nonostante qualsiasi cosa in contrasto. Data a Roma presso San Pietro con il segno dell’anello del Pescatore, il giorno 2 luglio 1578 anno settimo del nostro Pontificato.                                                                                                   Cesare Gloterio

\\\

TABELLA O TASSA DELLE MERCEDI (Onorari) DEGLI UFFICIALI DELLA CURIA FERMANA.

Per ordine dell’illustrissimo all’eccellentissimo signor Giacobbe Boncompagni della Citta di Fermo, e Governatore perpetuo del suo stato rivista e migliorata dal magnifico dell’eccellentissimo signor Giovanni Maria Agnolo suo Luogotenente e gli scritti deputati e dallo stesso eccellentissimo signore inviata per essere praticata inviolabilmente.

Confermata col breve sopra detto Gregorio XIII e col breve S. D. N. Sisto V, sotto la data a Roma presso San Pietro sotto l’anello piscatorio il giorno 10 febbraio 1586 posto sopra in principio degli statuti immediatamente avanti la prima pagina.

In primo luogo ogni Officiale all’arrivo nel suo ufficio sia tenuto e obbligato far registrare nella cancelleria del la Comunità le lettere, le patenti e l’autorità di esercitare il suo ufficio a lui concessa dai superiori.

2- Inoltre ogni depositario sia tenuto a trattenere le tasse dei Segretari di tutti gli officiali, altrimenti sia obbligato col suo proprio denaro.

3- Inoltre che il signor Luogotenente, l’Uditore, il Cancelliere, il Bargello , e gli altri Officiali del signor Governatore, o del Luogotenente siano obbligati di sottostare al sindacato secondo il solito è consueto modo di fare.

4- Inoltre alle sentenze del signor Governatore, o del Luogotenente, tanto per le cause ordinarie quanto per le altre civili fatte in prima istanza si possa presentare appello al giudice ordinario degli appelli: in realtà nelle cause sommarie o delle persone povere debba essere ammesso l’appello non ritardando l’esecuzione.

5- Inoltre il signor Luogotenente, o altri per conto suo, o il suo Uditore possa percepire la parcella possa con il modo scritto qui, cioè nelle cause penali per la parcella l’uditore prenda e possa prendere per la sentenza che assolva una pena capitale 6 fiorini e non di più; ma se fossero stati due o più, anche mille in un solo processo o in diversi processi, coloro che nello stesso tempo fossero stati trovato carcerato per un stesso reato, in un unico contesto e nello stesso tempo, le parcelle siano raddoppiate e abbia a prendere fiorini 12 soltanto, fra tutti anche se avesse riportato più sentenze e lo stesso ordine sia praticato  nelle cause dei Comune.

6- Inoltre per una sentenza che assolva una pena afflittiva senza la morte, possa prendere 3 fiorini; ma se sono molti in un solo processo, o in diversi processi, per lo stesso reato, in un unico contesto e nello stesso tempo e nelle cause dei Comuni le parcelle siano raddoppiate.

7- Inoltre per l’assoluzione da una pena pecuniaria o anche corporale nel caso di non pagamento della pena pecuniaria possa prendere un bolognino per ogni fiorino e non di più, purché non ecceda la somma di 3 fiorini al di sopra dei 25 libre; sopra a ciò in verità non possa prendere nulla e nelle cause di più persone e dei Comuni le parcelle siano raddoppiate come sopra.

8- Inoltre per l’ordinanza di cancellazione di un processo, nel quale oltre la querela ci sono indizi nulli, o dove non fosse intervenuta una sentenza di condanna, < non possa prendere> alcunché.

9- Inoltre per le parcelle nelle cause civili fino a 6 fiorini, il signor Uditore non possa prendere nulla: in realtà sopra 6 fiorini possa prendere un bolognino per ogni fiorino soltanto, purché non ecceda 6 fiorini e non oltre per qualsiasi somma.

10- Inoltre per le parcelle nelle cause civili, nelle cause “libellarie” o basate su instrumenti, in cui fu fatto un processo ordinario e sia intervenuta una sentenza definitiva venga praticato l’ordine scritto qui: al di sotto di 25 libre non possa prendere alcunché: al disopra in verità un bolognino per ogni fiorino purché non superi 6 fiorini.

11- Nelle cause sommarie, cioè dei luoghi pii, delle vedove, dei fanciulli, degli alimenti o per le retribuzioni, non possa prendere nulla per le parcelle qualora nella sentenza a favore dei detti non fosse stata fatta una condanna delle spese.

12- Nelle cause basate sugli istrumenti di esecuzioni, dove non c’è un processo, per le parcelle non possa ricevere nulla.

13- Inoltre il signor Luogotenente, o un altro per suo conto, non abbia la facoltà per l’ammissione di un rescritto emanato dall’Urbe, da qualsiasi superiore sulle assoluzioni nelle pene capitali, non possa né valga prendere se non 2 fiorini, anche se nel rescritto fossero indicati molti e, per le pene afflittive del corpo un fiorino, per le altre pene pecuniarie, nulla.

14- Inoltre per l’esame di un qualsiasi testimone con articoli e interrogatori tanto nelle cause civili quanto in quelli penali non possa percepire se non 6 bolognini tra il giudice e il notaio fatta eccezione per le cause del Comune di Fermo per i danni dati o per i dazi nelle quali non possa percepire alcunché.

15- Inoltre per la interposizione di 1 decreto del palazzo bolognini 4, al di fuori realtà bolognini 8.

16- Inoltre per l’accesso al luogo della discordia bolognini 20 nella città, 1 fiorino nel suo territorio, al di fuori realtà del territorio della città fiorini 2 e abbia la facoltà di chiedere le spese per ogni giorno fra le 2 parti e non di più e altrettanto abbia nelle cause di omicidi o dichiarati atrocissimi per costituzione, o per altri gravi per i quali fosse capitato di andare a cavallo purché la sua diaria non ecceda la somma di 6 fiorini, e se fosse stato di più che abbia solamente le spese: in realtà nelle altre cause non possa andare a cavallo e se per caso fosse andato a cavallo non possa ricevere alcunché.

17- Inoltre non possa nelle cause civili, ove non fossero state prodotte nel processo eccezioni per iscritto, diversamente che dalla mano del notaio segretario prendere la parcella a meno che il processo fosse stato fatto altre volte.

18- Inoltre nell’alternativa essi o semplice cessione di beni o nella semplice quinquennale di persone povere per le parcelle non possa prendere alcunché, se non fosse intervenuta una obiezione: se in realtà fosse intervenuta una contraddizione, non possa ricevere oltre un fiorino o di meno ad arbitrio del Governatore o del Luogotenente.

IL SEGRETARIO

19- Per il bollettino per l’esportazione del frumento da un luogo ad un altro luogo della giurisdizione nulla, poiché spetta i magnifici signori priori, al di fuori realtà sotto 10 salme 4 Bolognini; e da lì sopra in realtà un bolognino per ogni salma, tanto se venisse esportato per terra quando per mare e da lì sopra qual dunque sia la quantità un bolognino per ogni salma, conteggiato anche il sigillo.

20- Inoltre per ogni lettera con sigillo in tutto possa prendere 4 bolognini e non di più.

21- Inoltre per il bollettino di non importunare le donne nelle cose riguardanti la dote o le cose extradotali anche se abitanti nella stessa casa fosse lui in più, possa prendere 4 bolognini conteggiato anche il sigillo; per la conferma in realtà bolognini 2.

22- Inoltre per il salvacondotto in caso di pena capitale 1 scudo, in altre pene afflittive del corpo 1 fiorino, nelle pene pecuniarie criminali 20 Bolognini, della pena dell’esilio 8 Bolognini, nelle cause civili 6 Bolognini, anche se fossero stati in più gli obbligati in solido; in realtà per la conferma o la proroga per la metà conteggiato il sigillo.

23- Inoltre per la licenza di denuncia delle armi, conteggiato il sigillo soltanto bolognini 6 e non di più, anche se fosse da prestarsi una cauzione di non abusarne.

24-Parimenti per una pena alternativa, anche se fossero stati in più gli obbligati in solido nella supplica, 6 Bolognini.

25- Inoltre in ogni caso e per qualunque motivo ove fosse stato necessario apporre il sigillo senza la redazione di alcuna scrittura, abbia per il sigillo 2 Bolognini.

IL CANCELLIERE

26- Anzitutto se fosse capitato a detto Cancelliere per che motivo di andare a cavallo, debba avere per la sua paga 1 fiorino per ogni giorno, e le spese per 3 giorni soltanto; se fossero stati di più, soltanto le spese.

27- Per le lettere relative a patenti non possa percepire alcunché.

28- Inoltre per una fideiussione di attenersi alla legge in qualunque causa anche capitale 4 bolognini e se fossero stati in più in un unico contesto, siano raddoppiati.

29- Inoltre per la produzione di qualunque atto di domanda o di scrittura, bolognini 2 e non di più.

30- Inoltre per ogni carta di copie che deve avere dieci righe o otto, bolognini 2: in verità nelle cause di più persone o di abitanti nel comune bolognini 4 per ogni carta ed egualmente per la registrazione di qualsiasi scrittura richieste da registrare bolognini 2.

31- Inoltre per la pubblicazione di donazioni da comunicare, qualunque sia la quantità bolognini 4.

32- Inoltre per la chiusura di un processo, alla lettura di una sentenza, o assoluzione in una causa capitale fiorini 1 se in realtà fossero stati 2, o 3, o di più, non possa percepire se non 2 fiorini, se le cose dette fossero state fatte in unico contesto se di più in diversi villaggi, bolognini 20 per ognuno e non di più.

33- Inoltre per la chiusura di un processo, lettura di una sentenza, o assoluzione in una causa dove venisse imposta una pena principale afflittiva del corpo, o sotto condizione, dopo che fosse andata in condizione al di qua della morte, per ognuno bolognini 20; se fossero stati in più 1 fiorino in un unico contesto.

34- Inoltre per la chiusura, la cancellazione di una pena semplicemente pecuniaria, o corporali, o sotto condizione, sotto 20 libre bolognini 6 e da lì sopra fino a 50 <libre> bolognini 16; se tutte contemporaneamente fossero comparse per la cancellazione, bolognini 16 per tutte; se separatamente bolognini 8 per ognuna e non di più.

35-Parimenti per l’assoluzione, o la chiusura di un processo relativo al disprezzo di un comando, caso nel quale possa essere richiesta l’abolizione, per ogni accusato richiedente l’abolizione per sé, bolognini 2, se per tutti in un unico contesto bolognini 6 e non di più.

36- Inoltre nella registrazione di una supplica anche se in essa fossero nominati in più, bolognini 4 nelle cause criminali o civili; ma se fossero in più nelle criminali siano raddoppiati anche se fossero mille.

37- Inoltre per la registrazione di preghiere firmate dall’Ill.mo signor Governatore bolognini 8 e se capita di cancellare qualche costoso processo in corso, sia praticato  l’ordine sopra detto.

38- Inoltre per la cancellazione, e chiusura di 1 processo o di 1 condanna relativa al disprezzo di 1 comando in 1 causa criminale allo scopo di preparare, di evitare o di provare possa percepire bolognini 8 e non di più, anche se fossero stati in più nel precetto condanna indicati, se in unico contesto o se separatamente ognuno paghi la stessa cosa.

39- Inoltre per l’inventario da darsi circa i beni di 1 omicida o di chi avesse ferito mortalmente qualcuno o in altri casi capitali dove i beni venissero confiscati fiorino nella città e nel territorio, nel comitato in realtà 2 fiorini e le spese; realtà in altri casi nulla.

40- Inoltre per l’esame di un teste per l’informazione della curia non possa ricevere alcunché, anche se avesse prestato cauzione di presentarsi.

41- Inoltre per una sentenza da produrre in forma pubblica in una causa capitale non possa percepire oltre 1 fiorino; e se avesse fatto un registro o la sentenza detta possa ricevere per sua paga di ragione delle copie e inoltre per la pubblicazione di tutto il registro 12 bolognini e non di più.

42- Inoltre che non possa costringere qualcuno a cancellare un processo dove non fosse provato alcunché, né gravarlo meno per la cancellazione per la detta causa.

43- Inoltre per una sentenza da produrre in forma pubblica nelle altre cause al di qua della morte oltre il registro come sopra, possa percepire 12 bolognini e non più, se anche fossero stati in più.

44- Inoltre per la produzione di uno strumento pubblico di fideiussione, di pace, o di qualsiasi altro atto, e qualità anche per qualsiasi causa, non possa percepire oltre 2 carlini fino a 100 fiorini e da lì in su 1 fiorino.

45- Inoltre per ogni rogito semplice, di qualsiasi fideiussione o di un altro strumento tramite detto notaio rogante possa percepire 4 Bolognini, e se sono più, sia raddoppiato.

46- Inoltre per l’esame di ogni testimonio a richiesta della parte esaminata possa percepire bolognini 6 e non di più fra il giudice e il notaio.

47- Inoltre per una citazione con il seguito di una commissione e il sigillo, in tutto possa percepire bolognini 8 e non di più, purché <la somma> non sia eccessiva.

48- Inoltre per la remissione, la cancellazione, o l’abolizione di un processo ordinario dei luoghi possa percepire 6 bolognini e non di più.

49- Inoltre per un bollettino di scarcerare in una causa capitale o principalmente afflittiva del corpo o sotto condizione, dopo che fosse venuta in condizione possa percepire 4 Bolognini; in altre cause pecuniarie in realtà possa percepire bolognini 2, nelle cause civili nulla.

50- Inoltre per i primi progetti tanto atteso di informazione quanto fatti per qualsiasi altro motivo, non possa percepire nulla né anche abbia la facoltà di applicare la tassa.

51 – Inoltre che le lettere recanti autorizzazioni amministrative debbano essere tassate come insolito, cioè di un bolognino per ogni castello per la diaria del Balivo e non oltre anche se avesse portato più autorizzazioni amministrative.

52- Inoltre quando qualcuno fosse stato trovato o fosse stato colto in flagrante reato non possa prendere alcunché per la cancellazione se non fosse stato necessario formare un processo sopra quel reato.

53- Inoltre che i debitori civili non possono essere precettati e non possono essere contaminati nella pena del disprezzo di un comando, se non fossero debitori da 10 libre  di denari su e se fosse stato fatto diversamente, il precetto, la condanna e l’esecuzione siano e debbano essere nulle.

54- Inoltre che il Cancelliere, o il notaio di quello o i sostituti non possono accogliere accuse di danni dati, né formare un processo sopra di essi né diversamente in dette cause di danni dati intromettersi in qualsiasi modo e se si faccia diversamente siano cancellate e siano respinte gratis se senza alcun pagamento sotto la pena per il trasgressore ad arbitrio del signor Governatore o del Luogotenente.

55- Inoltre quando tramite il magnifico Comune di Fermo alle Comunità dei castelli di quello o di quelli Officiali fossero state fornite notizie di alcune cause di reati, come contenuto dei loro capitoli convenga praticare le cose dette, per evitare che qualcuno di essi sia punito 2 volte per un delitto o diversamente delle cancellazioni.

IL BARGELLO  E GLI ESECUTORI

56- Il Bargello  e gli altri Officiali e tutti i semplici esecutori della Curia per le esecuzioni nelle cause civili per le quali abbiano gli incarichi nella disposizione 1 bolognino e non di più per ogni fiorino, anche se la somma fosse al di sotto di un fiorino, né inoltre si possa chiedere più di 1 fiorino per ogni esecuzione rispetto a quanta sia la quantità e l’importanza, e ciò venga praticato tanto nella Città che nel comitato.

57-Parimenti in vigore del braccio secolare 1 bolognino per ogni fiorino purché non superi la somma di 3 fiorini qualunque sia la quantità e ciò sia inteso nei confronti di quelli soggetti alla giurisdizione della Città; contro i forestieri venga rispettato il solito modo.

58- Inoltre il catturato e posto nelle carceri per debiti civili, se su questa cosa fosse stato agevolato da altri creditori e riconfermato, non sia obbligato e possa essere costretto a pagare l’esecuzione se non per la metà.

59- Inoltre che gli Officiali e gli esecutori detti non abbiano la facoltà di fare qualche esecuzione per debiti civili nella Città e nel comitato se non per una precedente disposizione dei giudici sottoscritta per mano di Notai iscritti al Collegio, né possano rifare l’esecuzione se non per una nuova commissione e trascorsi dieci giorni dal giorno dell’esecuzione fatta, diversamente l’esecuzione sia nulla e incorra nella pena di 10 libre  per ogni volta e per ogni trasgressore.

60- Inoltre per le esecuzioni delle cause civili al di sotto di 25 libre  i Balivi possano fare l’esecuzione, come fino a questo momento fosse stato approvato, purché abbiano una commissione per iscritto.

61- Inoltre gli esecutori non possano entrare in una casa per fare le esecuzioni per qualunque causa senza la presenza di un vicino o di uno dei Massari, o di un Balivo, né prendere nella esecuzione le cose vietate.

62- Inoltre per la cattura, carcerazione e custodia e il bollettino per persone povere non possa percepire nulla, ma siano rilasciate gratis e per amor di Dio, se così fosse stato ordinato nel bollettino dal Luogotenente e dall’Uditore di quello, purché paghi le spese: e se una persana sia povera o no ci si attenga alla dichiarazione del magnifico signor Luogotenente.

63- Inoltre i carcerati da restituire alla Chiesa Cattedrale, secondo la forma degli statuti non debbano pagare nulla, eccetto le spese.

64- Inoltre per la esecuzione delle pene dei condannati criminali debba avere un bolognino per ogni libra di quello che sia pervenuto alla Camera, purché non superi 4 fiorini.

65- Inoltre per l’esecuzione di obbligazioni fatte nella Camera si paghi al modo di quelle civili.

66- Inoltre per la cattura di una persona condannata alla pena capitale dieci fiorini dai beni del condannato, se ci stessero, se no, del Fisco, in quanto sia stato catturato dal Bargello  e dalla sua Curia e non diversamente, e nella eventualità in cui il condannato o il catturato, come sopra, per qualche giusto motivo venisse assolto, debba avere dal catturato soltanto la metà della cattura, e non di più; se invece si facesse la composizione, paghi un bolognino per ogni libra, purché non superi i 4 fiorini, e non oltre, come sopra, a meno che non fosse esiliato, nel quale caso l’esecutore non abbia meno di 4 fiorini.

67- Inoltre per la cattura di una persona condannata principalmente ad una pena afflittiva del corpo o sotto condizione, se capita che l’esecuzione venga fatta sulla persona 2 fiorini dal Fisco di quanto sia arrivato alla Camera, come sopra; se invece si facesse la composizione, debba avere un bolognino per ogni libra, purché non superi la somma di 4 fiorini. Se, in realtà, venga graziato, o rilasciato per qualche altro motivo senza pagamento di alcuna pena, 2 fiorini e meno ad arbitrio del signor Governatore o del Luogotenente.

68- Inoltre se qualcuno sia stato catturato dalla Curia senza alcun incarico del giudice, e sia stato trovato innocente o non colpevole, non debba avere alcuna esecuzione, neanche una ricompensa del carcere.

69- Inoltre per una esecuzione di uno che si è costituito spontaneamente per giustificare l’imputazione, non possa ricevere nulla oltre le spese.

70- Inoltre per l’esecuzione di un carcerato esistente nel Palazzo per ordine del Giudice, 4 bolognini, e meno, ad arbitrio del Giudice.

71- Inoltre per l’esecuzione di coloro che vengono spontaneamente per rispondere alla inquisizione, che risultassero da carcerare, non possa ricevere nulla.

72- Inoltre per un’esecuzione di un testimonio, il quale sia stato carcerato ad intimidazione allo scopo di trovare la verità, non possa ricevere nulla, e dovunque sia rilasciato gratis.

73- Inoltre per una esecuzione e una cattura di uno non condannato per una causa capitale, il quale successivamente risultasse da dover essere assolto, nella Città o nel territorio, 12 bolognini; nel contado in realtà 5 carlini, in una causa afflittiva del corpo o in quella condizionale la metà, in realtà per un’altra causa semplicemente pecuniaria la terza parte.

74- Per una esecuzione e per una cattura di un carcerato a richiesta del Padre o di un altro per correzione, carlini 2.

75- Inoltre per un’esecuzione di un condannato per disprezzo di un comando, nelle cause civili 5 bolognini e non di più.

76- Inoltre gli esecutori siano obbligati eseguire le cose commissionate con efficacia per tutta la quantità, diversamente non possano conseguire l’esecuzione o la ricompensa; e se abbiano detto che non hanno potuto fare l’esecuzione, non ci si attenga al loro rapporto, a meno che non presentino la prova dell’Ordinario dei luoghi, nel quale caso possano avere la loro paga; e nel caso che abbiano potuto fare l’esecuzione, e non avessero fatto l’esecuzione, siano puniti ad arbitrio del magnifico signor Luogotenente, anche corporalmente.

77- Inoltre se capitasse il caso che per qualche omicidio, o per un altro reato dei più atroci, o per altri come sopra, per i quali fosse stato necessario che il Bargello , o il Luogotenente con i suoi aiutanti intervenisse a cavallo, possa conseguire per ogni giorno un fiorino e le spese per sé e per gli aiutanti, e non possa stare più di tre giorni, e sia stato di più, non possa ricevere nulla in più oltre le spese.

78- Inoltre se talora il Bargello o gli altri esecutori fossero intervenuti con i cavalli per dover condurre i catturati alla Città, presi dai Vicari o da uomini di legge, o diversamente che dagli stessi esecutori, il Bargello se sia intervenuto con efficacia con i cavalli abbia un fiorino, come sopra.

79- Inoltre se sia capitato che l’Uditore o il Cancelliere, per qualche giusto motivo, intervenisse con il cavallo, e portasse con sé le guardie o gli aiutanti o altri della servitù, non possano per quelli ricevere se non la dovuta paga contenuta nella tabella; in realtà per i detti aiutanti e guardie 12 bolognini, purché non superi il numero di quattro guardie, e non possano stare ivi oltre tre giorni, e se ci siano stati <per più di tre giorni> nulla eccetto le spese.

80- Inoltre per una esecuzione dei signori Dazieri e un’esecuzione di taglie della Salvezza del Signore Nostro o del Comune di Fermo possa ricevere un bolognino per ogni fiorino, purché non superi la somma di un fiorino.

81- Inoltre nessun esecutore possa esportare i pegni fuori dalla giurisdizione della Città tanto durante il suo officio, quanto dopo, sotto la pena del furto; ma debba consegnare quelli e darli al deposito addetto, se in Città nello stesso giorno, se nel contado entro due giorni dopo il rientro nella Città, e da costui ricevere la nota di ricevimento dei pegni.

82- Inoltre gli esecutori siano obbligati restituire ai Notai tutte le commissioni <d’incarico> delle cause civili purché entro 10 giorni, con l’attestazione della esecuzione sul retro, diversamente oltre le pene contenute nella tabella non possano ricevere nulla per le esecuzioni di quelle, e sulle cose dette venga fatto il sindacato, e debbano porle nella cassa destinata ed ordinata dal Collegio, per evitare frodi, con due chiavi, delle quali una debba stare presso il Bargello  per suo interesse, e l’altra presso il Notaio designato dal Collegio.

83- Inoltre gli esecutori che siano andati a fare un’esecuzione in nessun modo abbiano la facoltà di fare l’esecuzione sui beni proibiti per statuto, né per i beni presi nell’esecuzione oppure debbano fare la tenuta <di sequestro> – anche quando non richiesti – <con> due specifiche ricevute in parole volgari, e una di queste va consegnata nelle mani di quelli contro i quali sia stata fata l’esecuzione, e l’altra <ricevuta>, in realtà, va consegnata al Vicario del detto Castello, oppure ad uno dei Massari del momento, sotto la pena per ogni trasgressore da imporsi ai detti, ad arbitrio dei Sindaci; e a queste ricevute sia prestata fede e facciano piena prova contro colui che le scrive; e il Cancelliere sia obbligato di praticare le dette cose nei già detti modo e forma, in quanto abbia preso qualcosa per sé, o qualcuno <abbia preso> a nome suo. E nella eventualità che egli avesse rifiutato di fare la ricevuta, costui che si rifiuta di dare un pegno in nessun modo incorra nelle pene, ma sia inteso che avesse agito giustamente, regolarmente e rettamente.

84- Inoltre che i Giudici e il Bargello  e gli esecutori suoi debbano essere soddisfatti del loro salario e della consueta paga: non possano né abbiano facoltà diversamente che gli uomini siano gravati, se capiterà che vadano a cavallo, né che in alcun modo vadano contro qualche colpevole, per la loro diaria e per la paga, né gravare se non il colpevole o i suoi beni, non i suoi consanguinei, né quelli della Comunità, quandanche i colpevoli non avessero qualcosa in beni, dato che essi stessi o debbano essere soddisfatti della loro paga o siano pagati dal Fisco e non vengano ad essere pagati diversamente. Invece si presumano essere beni di un delinquente, tutte le cose trovate nella sua casa, e queste possano essere prese per l’esecuzione, dopo aver fatto uno scrupoloso inventario di tutte, e qualora, successivamente, fosse stato provato che tali beni sono di un altro anziché del delinquente, senza alcuna spesa debbano essere restituite ai veri padroni.

IL CUSTODE DELLE CARCERI

85- Prima di tutto per sua paga, tanto per <le causa> civili quanto per le penali per l’ingresso di qualsiasi carcerato, 2 bolognini e altrettanto per l’uscita, e per ogni giorno che sia stato in carcere un bolognino; ma se nello stesso giorno sia stato rilasciato, non possa ricevere alcunché oltre quanto per l’ingresso e l’uscita.

86- Inoltre per una carcerazione di qualcuno per un debito civile al di sotto di 20 bolognini fra ingresso e uscita un bolognino e non di più.

87- Inoltre per la carcerazione per una causa del Comune, anche se fossero stati in molti, un bolognino per ogni giorno, e per l’ingresso e l’uscita 4 bolognini.

88- Inoltre per la carcerazione di uno obbligato in solido di più persone, come sopra nel precedente capitolo.

89- Inoltre se il detto Bargello e gli altri esecutori avessero avuto e avessero fatto pagare di più le esecuzioni ed i compensi come precisati in tutti i detti capitoli, siano obbligati alla restituzione del doppio di essi e siano puniti con 10 libre e siano sottoposti al sindacato <controllo> come sopra.

90- Inoltre nessuno dei detti Officiali che sia di una qualche Terra o di una località nelle vicinanze della Città di Fermo per 40 miglia, possa stare in questa Città o nel Contado, in qualche officio o servizio con qualche Rettore, o Protettore di questa Città, se non in caso di necessità, nel quale non debba essere ammesso, se non con il consenso del magnifico signor Luogotenente e dei magnifici signori Priori.

91- Inoltre sia nominato dai magnifici signori Priori un Oste per dare ai carcerati le spese <il mantenimento> allo scopo di evitare maggiori spese di detti carcerati ed evitare frodi del custode delle carceri.

92- Inoltre qualora siano stati in molti i debitori di un unico luogo, di una stessa persona e tutti i detti crediti risultino <scritti> per mano di un unico Notaio, per un minore dispendio del debitore, nella seconda lettera, o requisitoria da trasmettere per quanto sia venuto di debito e abbia fatto venir meno i giorni, i creditori vorranno che i loro debitori siano richiesti nello stesso momento con una unica requisitoria e non con molte.

93- Inoltre se in tutti i detti Capitoli capitasse qualche dubbio, ci si attenga e ci si deve attenere al giudizio, all’arbitrio e alla dichiarazione del magnifico signor Luogotenente e dei magnifici signori Priori della Città di Fermo esistenti nel tempo.

94- Inoltre le cose contenute nella Tabella che precede debbono essere praticate sotto la pena, fin dove venga rispettata la Bolla del santissimo <papa> verso il magnifico signor Luogotenente di 10 ducati oltre il doppio, e anche  fin dove verso il sig. Uditore,

 fin dove verso il Cancelliere, fin dove verso i restanti altri Officiali, oltre la pena del doppio, ad arbitrio del magnifico signor Luogotenente del momento, secondo la qualità dei casi e dei tempi, o al tempo del sindacato dei sindacatori, da assegnarsi alla Camera dell’illustrissimo signor Governatore.

Vista da me Giovanni Maria Brugnolo Luogotenente dell’illustris.mo ed eccell.mo signor Iacopo Boncompagni Governatore. E da me Pomponio Morfo, Stefano Sansovio, Belisario Azolino e Geronimo Vittorio deputati ecc.

   Noi Iacopo Boncompagni Governatore della Città di Fermo confermiamo che sia da praticare inviolabilmente la premessa tassazione. Iacopo Boncompagni Gov(ernatore).

*

IN NOME DI DIO AMEN

Il magnifico ed eccellente signor Giovanni Maria Brugnolo di Pavia Luogotenente Generale nel Governo Fermano stando nella sua Camera ecc. decretò ed ordinò che il Bargello e gli esecutori esistenti nel tempo nel Governo Fermano debbano e siano obbligati avere presso di sé e di manifestare ai condannati e ai debitori il motivo per il quale è fatta l’esecuzione contro di loro, nelle esecuzioni tanto civili quanto penali da dover fare, e se sia per una causa civile oppure penale e se sia per una pena pecuniaria oppure afflittiva del corpo e per quanta somma, e per richiesta di chi, sotto la pena di uno scuto per ciascuno e per ogni volta da applicarsi ad arbitrio dei magnifici signori Luogotenenti che stanno in servizio nel tempo nel Governo, e ciò per giusti motivi che muovono il suo animo, e soprattutto affinché tutti sappiano ed abbiano la consapevolezza circa la paga e la esecuzione che da questi stessi debbano essere pagate ai detti Bargello e agli esecutori, nonché per eliminare i motivi delle estorsioni e delle frodi ecc. e in ogni migliore modo ecc.

Fermo il giorno 7 gennaio 1578.

   Brugnolo Luogotenente                    \   Giulio Cesare Megan. Cancell. rogito

*

Anno 1586

RESCRITTO DELL’ILLUSTRISS.mo ED ECCELL.mo SIGNOR IACOPO MARCHESE BONCOMPAGNI GOVERNATORE PERPETUO DELLA MAGNIFICA CITTA’ FERMANA

   Recentemente si è raggiunto l’esito ad opera di questa magnifica Città riguardo ad alcune cause da istruirsi almeno per mezzo della Curia del signor Capitano della Città e per mezzo dei Vicari dei Castelli del suo contado: esito confermato per mezzo del Breve del signore nostro Sisto V, in data: Roma presso San Pietro con segno dell’anello del Pescatore il giorno 10 Febbraio 1586 posto al principio degli Statuti, e precede immediatamente la pagina prima.

=   Dato che l’istituire le leggi e il praticarle sono cose necessarie tra le altre cose, a tutti qualsiasi i popoli, per vivere bene e felicemente, e dato che sono cose buone e giuste, sta bene a chi Presiede che renda liberi dai gravami consueti i sudditi e le persone sotto la sua giurisdizione, per quanto possa. Pertanto la Comunità del popolo e gli uomini della Città e dello Stato Fermano desiderosi e abituati a vivere sotto le leggi e similmente desiderosi che gli altri vivano sotto queste, stando attualmente sotto il governo dell’Eccellenza Vostra, chiedono vivamente che sia comandato che i Capitoli scritti qui sotto e ciascuno di questi, per il vigore di un decreto perpetuo e di una legge, siano praticati in tutto e per tutto, con precisione da ciascuno di coloro a cui sono stati rivolti e siano eseguiti in ogni modo, sotto pene da imporre ad arbitrio della stessa Eccellenza Vostra o del <vostro> successore nel governo, nel tempo, cercando di ottenere che i Capitoli e ciascuno di essi siano confermati  e per quanto sia necessario essi e ciascuno di essi siano istituiti come norme, e siano conservati inviolabilmente, come detto prima. Anzitutto dato che ad opera del magnifico Comune di Fermo alcuni processi sui reati e sulle procedure sono stati concessi alle sue Comunità dei Castelli o agli loro Officiali di queste, come è contenuto nei loro Capitoli, e sia conveniente che le cose qui dette siano conservate, per impedire che nessuno venga punito due volte per uno stesso delitto, oppure, che, in altra maniera, nessuno sia aggravato nelle ‘cassazioni’ e nelle stanchezze delle persone, quando il Cancelliere penale in carica nel tempo abbia o debba avere dalla Cancelleria di ciascun Castello una copia dei detti Capitoli o il transunto dato che è competenza del suo officio che non si processino quelli che non sono da processare a sua opera; e nei casi la cui indagine compete almeno a questi Castelli non si proceda in alcun modo alla inquisizione e se venga fatta, sia cancellata o sia rimessa senza altra mercede, sotto penalità per il trasgressore, da imporsi ad arbitrio del Governatore o del Luogotenente in carica nel tempo o dei sindacatori. Inoltre qualsiasi causa, di qualunque valore esista, venga istruita in prima istanza o sia decisa con una sentenza definitiva da parte dei Vicari dei Castelli di questa magnifica Comunità e in tali cose il magnifico signor Luogotenente o gli altri Giudici di questa Città che ci sono attualmente e ognuno di quelli che ci saranno nel tempo, non si intromettano in alcun modo, né abbiano la facoltà di avocare a sé tali cause, piuttosto se qualcuno fosse citato di fronte a questi debbano rimandare i tali così citati e le loro cause ai loro Ordinari. E colui chi fa la parte attiva facendo sì che sia citato un suo debitore, come detto prima, in contrasto alla forma del presente Capitolo, sia punito con la penalità, per ciascuna volta, di 10 scudi da assegnare alla Camera della Eccellenza Vostra. E di fatto i poveri di questo Stato sono vessati ogni giorno con gravissimi incomodi e dispendi, prendendo occasione dal disprezzo di un precetto, di fatto c’è la consuetudine che quelli citati di fronte a questi Vicari, ad istanza dei propri creditori, avessero il precetto di dover pagare il debito richiesto entro un certo tempo, sotto tale pena o di non uscire  dal Palazzo senza che prima appaghino il creditore, e qualora il debitore non paghi nel tempo stabilito o senza che abbia appagato il creditore, o esca dal Palazzo, tali Vicari sono costretti a denunciare alla Curia Maggiore, come detto prima, coloro che disprezzano il precetto e viene poi formato il processo per essi, in grave danno per i poveri e di questi Vicari, senza che la Camera lucri qualcosa, dato che tali processi sarebbero cancellati per abolizione, mentre tutte le cose dette sopra sono in contrasto contro la forma degli statuti di questa Città, pertanto al fine di provvedere per l’indennità dei creditori in modo tale che i poveri debitori, per una causa tanto lieve, non siano vessati con gravissimi incomodi e dispendi, né siano costretti ogni giorno ad accedere alla Città con grave loro danno, e neppure i Vicari siano privati dei propri emolumenti, piuttosto siano trovati uomini probi e dotti eletti ad esercitare tali offici; si fa richiesta che per mezzo dell’Eccellenza Sua, sia concessa facoltà a tali Vicari di istruire le cause di quelli che disprezzano il loro precetto nelle cause civili inferiori a 10 scudi, e di portarle al dovuto termine, senza che abbiano l’obbligo di fare la notifica a qualche Curia di questa Città; e abbiano la facoltà di condonare le pene in tutto o in parte, con una grazia, come a questi stessi piacerà. Inoltre i Vicari di questi Castelli non siano obbligati né debbano fare la notifica alla Curia Maggiore di questa Città delle risse delle donne e degli imberbi, né per le parole ingiuriose, ma essi abbiano potere di istruire tali cause e portarle al termine nella dovuta conclusione, purché tali parole ingiuriose non sia state profferite contro un uomo graduato e stabilito in qualche dignità o contro i molto nobili dei Castelli. E in questo caso debbano fare la notifica alla detta Curia e non abbiano in nessun modo potere di intromettersi in tali cose, sotto una penalità da imporsi ad arbitrio del signor Luogotenente in carica nel tempo, contro i Vicari che abbiano trasgredito. Inoltre la Curia del magnifico signor Luogotenente non si intrometta in nessun modo né sotto alcun qualsiasi aspetto, neanche con pretesto di bandi di questa Curia, nell’istruire le cause che competono all’officio del signor Capitano sui danni dati, sulle turbative, sulle invasioni di vie, di ponti, di fontane, dei beni comunali, sul disprezzo di un precetto, sull’uccisione di animali, e su altre cose contenute negli statuti di questa Città; ma lasci, come è usanza, l’indagine di ciò al detto signor Capitano e ai Vicari ai quali ciò è concesso per opera dei capitoli e dei patti, tanto più che tali cause e l’istruirle e le pene sono state comperate dalla reverenda Camera ad opera di questa magnifica Comunità. Inoltre non si possano fare appello, né reclamare, né far ricorso, o parlare di nullità da parte di alcuno sulla sentenza emanata dal signor Capitano nei casi delle cose straordinarie e nelle altre cose contenute nel capitolo immediatamente precedente, ma la sua sentenza debba essere messa in esecuzione, nel caso che ci fosse un appello, nonostante alcuna inibizione del signor Giudice. E tuttavia tale Giudice <d’appello>, a richiesta dei tali detti sopra, sia obbligato a verificare l’inibizione. La sua sentenza pubblicata abbia validità e stabilità nelle dette cause, né possa parlarsi di nullità contro di lui, quandanche l’ordine delle leggi non venga praticato, purché sia intervenuta un’unica citazione. Tuttavia è possibile, in via di ricorso, presentare le richieste alla magnifica Cernita o al Consiglio speciale e addurre il suo gravame e da questa Cernita o dal Consiglio si faccia il provvedimento come meglio sarà conveniente concludere giuridicamente. Inoltre, come è lecito per la forma delle Costituzioni e della Tabella ora confermata dall’Eccellenza Vostra, che sia provveduto espressamente che gli Esecutori della Curia del Bargello che hanno i mandati esecutivi ad istanza dei creditori contro i loro debitori, siano obbligati a fare l’esecuzione effettiva contro questi debitori, in modo tale che questi creditori da ciò conseguano i loro crediti, altrimenti questi Esecutori non possano conseguire, né ottengano validamente, alcuna paga di tali esecuzioni. Tuttavia gli Esecutori del Bargello non praticano ciò, ma ricevono da tali debitori i pegni, per se stessi soltanto, o per loro paga, si fa umile supplica alla stessa Eccellenza Vostra che comandi espressamente che queste Costituzioni e la Tabella in ciò vengano mantenute, sotto penalità del quadruplo da imporre agli Esecutori trasgressori, inoltre dieci scuti per ciascuna volta, da imporsi al signor Luogotenente, ogni qualvolta che dopo che sia stato richiesto, non abbia fatto in modo che ciò venga praticato. La penalità è da assegnare alla Camera della stessa Vostra Eccellenza. E tanto il signor Luogotenente quanto i detti Officiali e il Bargello possano essere costretti a pagare queste penalità, ad opera dei Sindacatori nei sindacati su questi stessi. Qualora questi Sindacatori abbiano trascurato di fare ciò, incorrano nelle medesime pene. Noi Iacobo Boncompagni Governatore della Città di Fermo confermiamo i Capitoli scritti qui sopra, in ogni miglior modo, eccetera. Iacopo Boncompagni Governatore.

\ Il giorno 2 aprile 1578 mercoledì. Su richiesta del signor Pellegrino Dominici procuratore della magnifica Comunità Fermana. Il magnifico ed eccllent.mo signor Dionisio Ratta Bolognese Dottore dell’uno e dell’altro Diritto, Luogotenente Generale per l’illustr.mo e eccellent.mo signor Jacopo Boncompagni Governatore perpetuo della magnifica Città Fermana e del suo Contado; stando nel Palazzo di sua solita residenza, secondo il Rescritto  per il predetto illustr.mo  e rever.mo signore, in modo riverente accolse i Capitoli scritti sopra, e li approvò e ordinò che siano praticati inviolabilmente da parte di chiunque, soprattutto da parte del Cancelliere penale e del Bargello e dei loro officiali, e a questi pertanto diede ordine che gli stessi <Capitoli> siano registrati e scritti nel registro della Cancelleria Penale e che le cose registrate siano restituite al soprascritto richiedente, sotto le penalità contenuti negli stessi Capitoli ed altre da infliggere ad arbitrio della Sua Signoria e dei successori, eccetera. Tutte le dette cose furono redatte nella Sala dell’Udienza del predetto signor Luogotenente, e alla presenza ivi dei signori Giulio Latino e Vincenzo C <ambio?>…. Avvocato e Procuratore di Fermo e degli <intesi?>… testimoni.

Il giorno 4 dello stesso mese, venerdì. Tutte le cose dette sopra furono intimate al signor Giulio Cesare Meganino da Fossombrone Cancelliere Penale e al Capitano Latino Cambio da Monte San Martino, contattati personalmente, dopo aver rilasciato a costoro la copia ad opera di me Notaio pubblico infrascritto. Io Gerolamo Maggiore da Fermo Notaio.

*

Sabato giorno 6 Giugno 1579

O Magnifico Signore: compare in giudizio personalmente il signor Domenico Teodoro Adami e nella data stabilita della citazione fatta da parte del Bargello della magnifica Città di Fermo e nella contumacia di chi non è presente, e alla presenza di Gregorio suo Cancelliere, disse ed espose, per mezzo di questo Bargello  e per mezzo del suo Luogotenente e dei loro sbirri ed esecutori, che ogni giorno si commettono molte estorsioni e avvengono esecuzioni tanto nella Città, quanto nello Stato, facendo pignoramenti ed esecuzioni contro i Padri per le condanne dei figli di famiglia che risultano condannati nel Curia della Signoria vostra Magnifica nella pena dei bandi e dato che queste cose sono in contrasto con la forma del diritto con grave danno di questi Padri e soprattutto di un certo Ancileo da Francavilla, e di Morisione da Montappone e di Rutilio da Monte Vidon <Corrado>, di Giovanni di Simone da Monteleone, contro i quali e contro ciascuno di essi, fecero varie esecuzioni ed estorsero per loro mercede una certa somma di denaro per le condanne dei figli di questo stessi; pertanto in qualità di Sindaco della Città e dello Stato chiede e fa istanza per mezzo del vostra Signoria Magnifica che si faccia un provvedimento riguardo alle dette cose per un rimedio opportuno e in ogni miglior modo ecc. Alla presenza del detto Gregorio Cancelliere e in assenza del Bargello, a nome suo, e anche rispondendo per lui e facendo contraddittorio e dicendo che le cose riferite sopra le può fare per competenza di diritto ecc. Il magnifico signor Luogotenente nella seduta ecc., ammise le cose dette sopra, “se e in quanto” e diede ordine di restituire le esecuzioni fatte, e nel futuro i Padri non devono essere in alcun modo molestati per le condanne dei loro figli, purché questi figli non siano stati condannati alla pena capitale o alla confisca dei beni, eccetera e in ogni miglior modo eccetera. Alla presenza del signor Teodoro Sindaco accettante e referente di grazie della giustizia amministrativa ecc. e in ogni miglior modo ecc.          Giordano Alessandrini, Notaio Curiale Fermano, attuario <fa> rogito.

*

GREGORIO XIII PAPA <data male al 29 dicembre 1585 – papa Sisto V>

A tutti i fedeli cristiani che vedranno questa lettera salute e benedizione apostolica. Allo scopo di togliere il dissidio tra il venerabile fratello Vescovo Fermano e i diletti figli, la Comunità e gli uomini di quella Città che è insorto più di una volta, ci è sembrato opportuno prescrivere e comandare, all’una e all’altra parte, le cose che seguono. Anzitutto certamente le tasse delle mercedi ultimamente stabilite da parte dello stesso Vescovo e che dal suo cognome sono dette Pinelliane, siano da ora in poi praticate così come furono corrette e moderate per nostro comando. Si stabilisca un Depositario nel dover riscuotere in futuro le pene dei reati e costui le riscuota e poi sia applicato a favore dei luoghi pii quanto prescritto del Concilio Tridentino. Il Vescovo non pratichi un uso ad arbitrio nell’imposizione delle pene, quando la pena è certa, ma esegua i sacri canoni, soprattutto la costituzione del papa Alessandro VI di felice memoria che inizia “Benché nelle cause delle fornicazioni adulterine e di reati simili”, il Vescovo abbia potere di fare indagini su queste cose tra i suoi sudditi, praticando tuttavia i sacri canoni. Il Procuratore del Fisco della Curia Vescovile non può esigere nulla a titolo di viaggio, per sé o per i suoi, quando egli, cavalcando, viaggia fuori della Città e attraverso la Diocesi per motivo di fare investigazioni e non sia lecito al Vescovo mandare costui o un Commissario, o altri a fare investigazioni, in generale, in detta Diocesi, con riscuotere le spese di tale viaggio, ad eccezione quando a farne la richiesta sia la parte e questa dovrà allora pagare le spese. Inoltre il Procuratore del Fisco per nessuna ragione percepisca una parte da queste pene pecuniarie. Gli Officiali del Vescovo siano contrari al sindacato soltanto presso lo stesso Vescovo e i suoi superiori. Si mantenga la consuetudine nell’indagare sui danni dati, quale si praticava prima della venuta di questo Vescovo, e il Capitano degli appelli e gli Officiali dei ‘danni dati’ e gli straordinari della Città ed i Vicari dei luoghi dello Stato stesso, in tali casi, facciano la procedura sui beni del clero amministrati ad opera dei laici o posseduti in altro modo, cosicché non si possa fare inibizione a questo clero per opera del Vescovo o dei suoi Officiali, se non quando lo stesso Vescovo in precedenza l’abbia impedito, ma sia lecito a costoro di proporre le querele di ‘danni dati’ di fronte a questo Capitano o agli Officiali e ai Giudici e fare l’azione legale su costoro. Non siano aumentate le penalità oltre il consueto, a ragione di tali ‘danni dati’ sui beni ecclesiastici, ma siano riscosse secondo la forma degli statuti e le delibere della Città e dei luoghi e delle Terre di questa Diocesi. In futuro le <tasse> vettigali o le gabelle per l’estrazione del frumento o di altro genere di granaglie dalla terra di Monteverde verso altro luogo di questa Diocesi. In futuro i tributi o le gabelle per l’esportazione del frumento, o di altro genere di cereali dalla Terra di Monte Verde verso altro luogo di questa Diocesi, non siano imposte dal Vescovo, né siano riscosse in alcun modo. I Priori della Città, quando accompagneranno il Vescovo, secondo come a costui sembrerà opportuno, possano andare avanti o andare dietro al seguito. Il Vescovo provveda al più presto per un archivio in cui i processi matrimoniali, le sentenze e i diritti di proprietà di tutti dei cittadini e degli abitanti della Diocesi e dei patrocinanti e le cose pertinenti al Tribunale Ecclesiastico siano collocati e diligentemente conservati in modo separato. Perciò ai venerabili fratelli Vescovi Anconetano, Maceratese e Osimano, comandiamo d’autorità di questo atto, che essi stessi, o due, o uno di essi personalmente o tramite un altro o altri, si prendano cura e si adoperino a che le cose che sono comandate e ordinate da noi con la presente lettera siano inviolabilmente praticate da tutti coloro a cui competono e a quelli che ne avranno competenza in futuro, costringendo tutti quelli contrari, e i ribelli di qualunque dignità, stato, grado, ordine e condizione saranno stati, per mezzo delle censure e delle pene ecclesiastiche e degli altri rimedi di diritto e di fatto, senza che l’appello sia non ammesso, con i procedimenti legittimi che si debbono fare e praticare  su queste cose, anche aggravando le censure e le stesse pene sempre più spesso, dopo aver richiesto su ciò, quando sarà stato necessario, l’aiuto del braccio secolare, nonostante le costituzioni e gli ordini apostolici e nonostante il giuramento, di conferma Apostolica, da parte delle già dette Comunità e Chiesa di Fermo, e nonostante qualsiasi altra convalida stabile e nonostante gli statuti, le consuetudini, anche i privilegi, gli indulti e le lettere apostoliche, cose concesse in qualsiasi modo, confermate e innovate. E facciamo deroga ai contenuti di questi e di tutte le cose come se siano inserite in ogni parola nel presente atto, li consideriamo sufficientemente espressi almeno in modo speciale, espressamente per l’efficacia delle cose dette prima, e nonostante qualsiasi cosa in contrasto, oppure nonostante cose su cui la Sede Apostolica abbia fatto un indulto ad alcuni in modo comunitario o separatamente per cui con una Lettera Apostolica esso non si possa interdire, sospendere o scomunicare, deroghiamo senza che noi facciamo menzione, parola per parola, pienamente ed espressamente di tale indulto. Data a Roma presso S. Pietro sotto il segno dell’anello del Pescatore, il giorno 29 di Dicembre 1585 <?!> anno tredicesimo del nostro Pontificato <1584>.

                                                                                   Giovanni Battista Canopi

*

RISPOSTE AI CAPITOLI ESPOSTI A NOME DELLA CITTA’ FERMANA E LE DELIBERAZIONI SULLE TASSE DEL TRIBUNALE DEL Rev. Padre Sig. VESCOVO FERMANO

   Capitoli degli aggravi presentati dalla Comunità di Fermo contro Monsignor Vescovo

         con le risoluzioni della Illustrissima Congregazione.

   Le Signorie Vostre Illustrissime e Reverendissime ad alcuni capitoli degli aggravi che ora si fanno nel vescovato di Fermo, contra gli uomini della Città, e della sua Diocesi hanno rescritto che s’osservi il solito. E poiché in alcuni capitoli S(ua) S(ignoria) Reverendissim(a) e la Città non convengono nel solito affermando lei esser in un modo, e la Città in un altro, per levare l’occasione della lite per l’avvenire, se desidera che in tutti i capitoli si facciano decreti chiari, e determinazioni conformi alla giustizia.

   E quanto al primo capitolo della Tassa delle mercedi nuovamente fatta da S(ua) S(ignoria) Reverendissima e alterata oltre l’antico stile, si dice poiché non si trovava la Tassa solita antica mandata da ser Giacomo Carello Notaro a quel tempo nel Vescovato a S(ua) S(ignoria) Reverendissima qui in Roma subito dopo che fu promossa al detto Vescovato, si debba in luogo di essa praticare la tassa secolare, che si usa nella Corte di S(ua) Eccell.za Illustriss.ma e questa è minore assai di quella Pinelliana fatta stampare nuovamente da S(ua) S(ignoria) Reverendissima come si può vedere “La Congregazione stabilì che la Tassa Pinelliana fosse da rivedere e da correggere, come fu fatto, e corretta fu portata al Vescovo”.

Al secondo <cap.> sulle pene dei Malefici, tanto quelle riscosse quanto quelle che si riscuoteranno, essendo che queste pene facciano fruttare circa scudi duemila l’anno, pare che fosse conveniente che, o tutte, o la maggior parte si debbano distribuire per l’amore d’Iddio, e applicare a luoghi pii ad arbitrio di S(ua) S(ignoria) Reverendissima conforme a quel che dispone il Sacro Concilio, e non metterle ad uso proprio, come s’è fatto sinora, non aiutando i luoghi pii bisognosi, non restaurando la Chiesa Cattedrale, che tiene un grande bisogno, e non facendo molte altre opere buone e necessarie alla Città e alla sua Diocesi, e per questo si desidera si metta un Depositario che distribuisca le <somme di> dette pene ai luoghi pii ad arbitrio di S(ua) S(ignoria) Reverendissima, e che tenga conto delle entrate, e delle uscite, e pare che una cosa simile fosse ordinata a Monsignor Camaiani già Vescovo d’Ascoli, perché facendosi in altra maniera la detta provvigione del Depositario sarebbe vana.

   “Che sia costituito un Depositario di queste pene, che in seguito siano attribuire ai luoghi pii secondo la prescrizione del Concilio, e il Reverendissimo signor Vescovo in futuro sia più mite nel riscuoterle”.

   Al terzo <cap.>, nella composizione delle pene non si deve eccedere <rispetto> alla pena delle Costituzioni, e l’arbitrio di S(ua) S(ignoria) Reverendissima non ha da prevalere sulla pena certa determinata nelle dette costituzioni, ma solamente nei casi ammessi dalle leggi, né in questo si deve attendere allo stile <usato>, perché l’abuso causato dal Superiore, è maggiore: con l’autorità fa quel che gli pare, spesso, oltre che non consta quale sia il vero stile, e trattandosi del suo comodo non si deve dar fede in questo a S.S. Reverendissima, nemmeno alla Città per la medesima ragione, però osservandosi la legge scritta, non si fa aggravio a nessuno.

   “Dal momento che c’è una pena certa, il signor Vescovo non faccia un uso ad arbitrio e siano praticati i sacri Canoni e particolarmente il capitolo: «è lecito, fuori dalle pene»”.

   Al quarto <cap.> nei casi delle fornicazioni, degli adulteri, e simili, per i quali parla la costituzione lib. IIII cap. LXIX si debba praticare questa costituzione, e si proceda nei detti casi a querela solamente di quelle persone, come dispone, e vuole detta costituzione, e non ex officio, e per mezzo di inquisizione, come ha fatto S.S. Reverendissima per il passato, e oltre ai casi delle semplici fornicazioni, e delle pubbliche meretrici, e “soluti cum soluta” <di uno sciolto con una sciolta -dal coniugio-> ha fatto pagare grosse <somme di> pene, ma anche in casi di adulterio e di stupri con diffamazione dei parentadi, dei matrimoni, e con morte di uomini, e con danno ha fatto la procedura per mezzo dell’inquisizione, come di sopra, e la detta costituzione, come fatta ultimamente, pare si debba praticare più presto che altra legge anteriore, e l’esperienza ancora lo insegna, ché al tempo di S.S. Reverendissima ha causato cattivi effetti, come è detto sopra.

“Il Vescovo possa e debba fare inchieste sopra i delitti dei sudditi, cap.1 de off. ord. <l’officio degli Ordinari>perciò siano praticati i Canoni.”

   Al quinto <cap.> il Fiscale <che fa un percorso> cavalcando non debba farsi pagare alcuna mercede di spese di viaggio, come fa ora d’uno scudo al giorno per sé, vettura di cavallo, salario di sbirri, e spese per tutti, con grande pregiudizio delle genti, e spesso di coloro che non hanno colpa alcuna, dato che essendo lui <impiegato> per il Fisco non è giusto sia pagato dal reo, e nemmeno S. S. Reverendissima possa mandare questo Fiscale, o altri per la Diocesi a dover fare l’inquisizione generale facendosi pagare come detto sopra, e al Notaio mezzo scudo il giorno.

   “Piace che il Fiscale, o il Commissario non siano inviati a spese del reo, a meno che la parte chieda e questa deve pagare le spese.”

   Al sesto <cap.> nelle composizioni questo Fiscale non debba avere la parte ventesima, né porzione alcuna dal supplicante, ma dalla Camera, né più si faccia quel che si è incominciato a fare nei rescritti: cioè dopo pagati scuti tot, e concordato il Fisco, di ciò si osserva tutto il contrario nella Corte secolare di S. Eccellenza Illustrissima.

   “Il Fiscale non partecipi per alcuna ragione delle pene delle condanne.”

   Al settimo <cap:> gli Officiali di Monsignor Vescovo debbano stare a sindacato alla fine del loro officio, le S(ignorie) V(ostre) Illustrissime e Reverendissime hanno rescritto che nulla va innovato, il che pare duro alla Città essendo il sindacato introdotto dalla ragione, e per terrore degli Officiali che volessero commettere estorsioni, e ciascuno deve rendere conto dell’amministrazione sua; e la Città ne ha un Breve da N(ostro) S(ignore) <il Papa> da poter sindacare i suoi officiali, anche che fossero Prelati, si dice che per stare a sindacato si debbano mandare prima per tutta la Diocesi le lettere patenti informando riguardo al detto sindacato, dato che non basta far ‘bandi’ solamente a Fermo, la sera per la mattina, come si fa al presente, perché essendo la Diocesi grande, il sindacato è finito prima che pure si sappia che sia cominciato, così si osserva nella Corte secolare di sua Eccellenza Illustrissima.

   “La Congregazione mai ha ammesso il sindacato degli officiali del Vescovo, come viene richiesto, ma vuole che quelli quotidianamente obbligati al sindacato siano presso il Vescovo del luogo, e presso i Superiori.”

   All’ottavo, <cap.> S. S. Reverendissima non possa intromettersi nelle cause di ‘danni dati’, e di straordinari, turbative, occupazione di vie pubbliche, bruttura di strade, devastazione di ponti, di fontane, e altre cose comunali, quando occorrono farsi da laici lavoratori, affittuari o servitori di Preti, o della Chiesa, i quali non devono godere il privilegio del Prete, o della Chiesa ma come laici debbano in queste cause esser sottoposti al Giudice ordinario della Città, come nelle altre cause, e civili, e penali, secondo la forma.

   “Riguardo alla conoscenza dei danni sia praticato il modo di fare che veniva praticato prima della venuta dell’attuale Vescovo, se c’è consapevolezza di questa, e qualora in ciò sorgerà una difficoltà sulla consuetudine, la Congregazione lo deciderà.”

   E il fatto che S.S. Reverendissima ha cominciato ad introdurre un nuovo gravame, che, per mezzo di lettere ai Vicari Foranei, oltre le pene statutarie, aumenta le pene di ‘danni dati’ contro i laici che facessero danno sui beni di Chiese, o i Preti a chi fa pascolare una pecora tra le stoppie gli fa pagare uno scudo per pecora, mentre secondo lo statuto la “pena” è solamente d’un soldo, e applicano una parte di detta pena a sé medesim(i), e quel che è peggio contro chi fa danni mandano precetti per dover informare e ne formano processi, e per un danno dato da più persone mandano più precetti per formare più processi, come si può dimostrare, ingrassando la Cancelleria, e in caso di turbative mandano persone a cavalcare talmente che è più la spesa, che la pena, ed è più la pena che la pecora, e pertanto si supplicano le SS.SS. Illustrissime che si degnino proibire tal cosa.

   “A cagione dei danni inferti ai beni ecclesiastici, non siano aumentate le pene solite.”

   Al decimo <cap.> S. S. Reverendissima non debba far pagare la nova gabella d’un ‘grosso’ per soma di grano, o altre biade che si ricavano dal territorio di Monte Verde sua giurisdizione, in pregiudizio degli uomini che possiedono in detta giurisdizione, e in contrasto alla Bolla “In Coena Domini” che proibisce nuove gabelle, considerando che non sia stato solito pagarsi per il passato, come consta per <dichiarazione in>  fede di molti, e contro la ragione perché non si esporta fuori dalla Diocesi di S.S. Reverendissima, ma da luogo a luogo attraverso la sua giurisdizione, e da padroni delle possessioni, nelle quali queste granaglie, biade, e altri frutti sono raccolti.

   “In seguito nessuna gabella sia pretesa per l’occasione detta, come ordinò anche il Santissimo Signor Nostro.”

   All’undecimo <cap.> le S(ignorie) VV. Illustrissime e Reverendissime si degnino dichiarare che quando il Magistrato accompagna S(ua) Sig. Reverendissima l’abbia a mettere in mezzo della prima schiera, revocando ogni altro ordine in contrario, essendo questa l’intenzione del N(ostro) S(ignore).

    “Sia praticato quanto stabilì il Santissimo Signore Nostro.”

   Al dodicesimo <cap.>, e di fatto S.S. Reverendiss. ha fatto buttare confusamente tutte le scritture della Cancelleria del Vescovato sopra una soffitta dove non si può andare per la bassezza del tetto, in preda alla polvere, e ai sorci, e così tra poco tempo si consumeranno tutte, e si perderanno le ‘dispense’, <atti> “se c’è evidenza”, i processi, le sentenze, i giuspatronati, e ogni altra cosa che vi era, in pregiudizio della Città e della Diocesi tutta, si supplicano le S(ignorie) VV. Illustrissime e Reverendissime che si degnino di ordinare che S(ua) Sig. Reverendissima. debba far prelevare tutte <queste scritture>, e subito accomodarle con buono ordine, come si deve, in una stanza del Vescovato, che non ci manca, e si spenda <prelevando dalle somme> delle pene di malefici tutto quello farà bisogno per un’opera di tanta importanza.

   “Provveda il Reverendissimo Signor Vescovo di un armadio nel quale siano diligentemente collocate le scritture, e ciò sia <fatto> quanto prima.”

   Al tredicesimo <cap.> inoltre si desidera che le cause si risolvano per mezzo della giustizia, facendosene istanza dai Procuratori, e dagli Avvocati dei carcerati, e non si sia fatto soffrire nessuno come si fa, con allungare le spedizioni, acciocché quelli colpiti dal tedio nelle carceri, non vengano forzati a supplicare, o per dir meglio a quell’espediente nuovo e insolito, che per decreto si dice ‘dopo aver pagati scuti tot’, assolviamo e liberiamo.

   “Le cause, come saranno conformi alla legge, debbono essere svolte per mezzo del diritto e non con accordi.”

*

Anno 1581

TASSA PENALE DELLA CURIA VESCOVILE FERMANA

Fatta nella Congregazione il giorno 29 Novembre 1580

 1-Per una visita della persona offesa nella Città non si prenda nulla perché si deve fare d’ufficio.

 2-Per simile visita fuori Città da fare per ordine del Vicario nulla, per il motivo indicato sopra.

3-Per un teste informativo della Curia non sia percepito assolutamente nulla, ma se per ordine del Vicario, per qualche motivo, sarà stato costretto a prestare una cauzione, paghi come quando viene prestata la cauzione, e più sotto verrà indicato   bol.2

4-Per la comparizione di qualche reo che risponde alla querela,

e per la Fidejussione                                                                                     bol. 4

  5-Per il precetto di comparire personalmente contro i delinquenti principali                                                                                                       bol. –

 6- Per la citazione per rispondere ad una inquisizione, nulla                       bol. –

7-Per una lettera per requisitorie                                                      bol. 5

 8- Per il mandato di cattura, nulla, se questo sia fatto d’officio, ma se avviene

      su richiesta della parte querelante                                                           bol. 5

 9-Per ogni cosa stabilita con il suo esame su ciascun reo carcerato, colui che avrà voluto la copia del processo, nulla si paghi nulla, poiché non viene pagato nella copia, se non per la visura quando la parte non avrà voluto la copia, e allora siano pagati bol.3

10- Ma se fossero stati stabiliti più fatti, solamente per quattro il Notaio possa avere soltanto la paga scritta sopra, riguardo alla visura soltanto, eccettuati i poveri.

11- Se in realtà abbia voluto estrarre la copia del processo sia pagato come indicato sotto, ma nessuno sia costretto a ricevere la detta copia.                             –

12- Quando invece il processo venga aperto, venga pagato come per le copie, come nel numero seguente.                                                                                          –

13- E per le copie dei processi per ogni foglio in due pagine aventi 40 righe bol.2

14- Per il costituirsi del Procuratore nella causa, per la scelta del luogo e per ogni altro atto occorrente, fuorché per le cose espresse                                               bol.2

15- Per l’esame di ciascun testimonio per la difesa con gli interrogatori della Curia                                                                                                                      bol.6

16- Per il richiamo di uno stesso testimonio con gli interrogatori, se d’ufficio non si paghi nulla, se a richiesta della parte                                                       bol.3

17- E più o meno, considerata la lunghezza del lavoro, e l’interrogatorio, come vedrà  conveniente il reverendo Signor Vicario, purché non ecceda        bol.6

18- Per ogni sequestro con la relazione                                                        bol.5

19- Per la pubblicazione di detti testimoni, se viene fatta per il Fisco non si paghi nulla, ma se viene fatta a richiesta della parte                          bol.3

20- Per ogni rinuncia, cioè della difesa. Come viene pagato per un altro atto giudiziale,  o per una richiesta, una protesta, una comparsa come ai numeri 22 e 23.

21- Per ogni referto di una ostetrica, o di un medico, di un  chirurgo, di un ‘fisico’, o di qualche perito, ma a richiesta del Fisco assolutamente nulla, ma se a richiesta della parte                                                                                bol.2

22- Per la presentazione di qualche scrittura                                                bol.1

23- Per ogni atto con un decreto del Giudice o senza in una causa che sta

       facendo                                                                                                   bol.2

24- Per ogni fideiussione conservando la indennità                           bol.5

25- Per la citazione per la sentenza, se a richiesta del Fisco nulla,  se a richiesta della parte                                                                         bol.5

26- Per la intimazione di una sentenza di condanna                           bol.5

27- Per un decreto di rilascio o di liberazione di un reo carcerato, senza alcun mandato, che non è necessario                                                          bol.5

28- Per l’invio e la registrazione di qualche supplica con decreto del Giudice bol.2

29- Per la lettura di una sentenza sulla trasgressione di precetti, o l’assoluzione, l’abolizione e cancellazione di questi stessi, si paghi come prescritto nelle costituzioni della Marca.

30- Per la lettura di una sentenza di assoluzione e di liberazione da una querela, da un’indagine e da un processo per qualsiasi delitto per il quale fosse da imporre qualche pena afflittiva del corpo, o del carcere perpetuo, o di carcere  perpetuo, o di esilio perpetuo, o del remeggio, e per la cancellazione dei loro processi in vigore di quella sentenza, anche per tutto sia pagato come viene stabilito nelle dette costituzioni della Marca.

31- Ma se fosse capitato di fare la cancellazione di tali processi in forza di una supplica o di un decreto per qualche causa si paghino              bol.24

32- Per la lettura di una sentenza di assoluzione o liberazione da una accusa, da una querela, da un’indagine e da un processo, e dalla sentenza venisse ad imporsi una pena pecuniaria, o del carcere a tempo, o dell’esilio        bol.20

33- E se sia capitato di fare la cancellazione dei processi ora indicati in forza      di una supplica o di un decreto                                      bol.24

34- In verità per la lettura di una sentenza per una querela, un’inquisizione o   un processo in casi o per motivi meno importanti                                 bol.10

      E se la cancellazione di tali processi dovrà essere fatta in forza della stessa sentenza                                                                                                   bol.10

35- In realtà da ultimo la cancellazione di tali processi sia stata fatta in forza

       di una supplica o di un decreto                                                               bol.10

36- Ma se con una sola sentenza o con un decreto sia capitato di svolgere molte <cause> fra tutte secondo la qualità e la distinzione delle dette cause sia pagata soltanto una tassa raddoppiata.

37- In realtà per la lettura di una sentenza   in parte di assoluzione e in parte di condanna, venga pagato come sopra espresso rispettivamente per i singoli casi.

38- E per la cancellazione di tali processi da farsi in forza di detta sentenza,       venga pagato in ragione di quanto espresso sopra nei singoli casi.       E così anche venga inteso e si debba praticare se la cancellazione di tali        processi debba farsi in forza di una supplica o di un decreto.

39- Per la copia di una sentenza con la sottoscrizione di mano di un Notaio       in forma pubblica                                                             bol.12

40- In realtà per una copia semplice e senza la sottoscrizione del Notaio   bol.3

41- Per un’autenticazione semplice e con la sottoscrizione del Notaio        bol.5

42- Per qualunque instrumento pubblico e autentico di una sentenza con      attestazione la fede di legalità                                                                bol.17

43- Per la sottoscrizione e la pubblicazione di un processo                         bol.12

44- Per un istrumento di pace in tutto                                                bol.4

45- Per un istrumento di obbligo di composizione per la Camera               bol.4

46- Per un inventario da farsi in Città, o nel suo territorio, nei casi nei quali deveessere fatto, se ciò è per un motivo d’officio, a richiesta del Fisco, nulla

      <da pagare>, ma se a richiesta della parte                                              bol.20

47- Per un inventario da farsi nella Diocesi per ordine del Giudice nei casi nei  quali debba essere fatto oltre le spese di viaggio e le spese da tassare, fiorino 1     E quando quello sia a richiesta del Fisco, nulla.

48- Per la paga di un Notaio inviato fuori dalla Città per la preparazione di un processo per qualsivoglia causa penale, se quello viene mandato d’officio e a richiesta e istanza del Fisco non si paghi nulla; ma vada a spese dello stesso Fisco; se invece <vada> a richiesta della parte querelante, oltre alla vettura del cavallo, e alle spese da farsi per costui e per il cavallo, per ciascun giorno paghi fiorino 1

49- E se <un Notaio> fosse stato inviato nello stesso luogo contro molti; la stessa cosa,  ma nulla è da prelevare dai rei.

50- Il Reverendo signor Vicario tuttavia, stia attento a non mandare i Notai a preparare un processo, eccetto siano i casi più lievi, ma vada egli stesso, o      mandi un Commissario con un Notaio a spese di quelli che fanno l’istanza o del Fisco, o della parte.

.*. Riforma della tassa Pinelliana per il Bargello, per le Guardie, per il custode delle carceri, e per  i Balivi della Curia Vescovile Fermana, tanto nelle cause penali, quanto nelle civili, fatta dall’Illustrissimo e Reverendissimo Cardinale di Santa Romana Chiesa sopra le consultazioni dei Vescovi delegati nel giorno 19 Maggio 1581.

1- Il Bargello abbia quel numero di guardie che il signor Vescovo al momento avrà giudicato espediente e abbia un balivo e per la persona di costui un cavallo e lo stesso signor Vescovo assegni per paga mensile alle singole guardie un fiorino e il doppio al Bargello affinché svolgano molto fedelmente il loro officio.

2- Uno solo fra le dette guardie, ad arbitrio del Vicario Generale, faccia la custodia delle carceri e gestisca la loro vigilanza fedelmente.

3- Il Bargello prima che cominci ad esercitare il suo officio presti, nelle mani dello stesso Vicario, il giuramento di esercitare bene e fedelmente il suo ufficio.

4- Inoltre presti una idonea cauzione, tanto per sé stesso quanto per la servitù di non eccedere sulla tassa sotto indicata e di sottostare al sindacato alla fine del suo officio davanti ai Sindacatori nominati dal Vescovo o dal suo Vicario.

   La tassa seguente sia praticata pertanto in tutti i casi, tanto puramente penali, quanto casi misti, come segue

NELLE CAUSE PENALI

5- Il Bargello, nelle cause penali per la cattura di ogni reo, fatta per ordine del Giudice nella Città, o nei suoi sobborghi percepisca in tutto tre giuli.

6- Fuori dalla Città, in realtà, in tutti i luoghi della Diocesi per cinque miglia, 5 giuli.

7- Ma oltre cinque miglia come paga e per le spese tanto proprie quanto per le guardie, per la vettura del cavallo, per ciascun giorno nel quale probabilmente ad arbitrio del Vicario per la detta cattura gli sia capitato di stare lontano, 10 giuli.

8- E se gli sia capitato di catturare molti, oltre la somma dei detti 10 giuli, il Bargello

 per la rata da pagarsi da tutti insieme non pretenda dai singoli oltre 5 giuli per la loro cattura.

9- Ma per qualcuno trovato in flagranza di crimine e catturato per mero officio, non pretenda nulla, se non per la cattura, secondo le già dette tasse.

10- Quando, in realtà, il Bargello esce per qualche cattura, non possa condurre con sé se non un numero di guardie che deve essere stabilito dal Vicario.

11- Comandiamo inoltre che non si possa catturare qualcuno senza il mandato dal Giudice, se non trovato in flagranza di crimine, né sia valido che ricevano alcunché dai catturati per le catture di tal modo per mero loro officio, e senza un mandato del Giudice e fatte nella Città o nella Diocesi, se non da quelli che saranno stati trovati realmente colpevoli, perché se sarà capitato che costoro siano assolti, non abbiano nulla, affatto.

12- Il Bargello in <caso di> cattura di qualunque reo, per ordine del Vicario, o per mero officio, <quandanche> il colpevole sia trovato in flagranza di reato, o in Città, o nella Diocesi, e inoltre costui sia stato trovato colpevole, tuttavia per la leggerezza del reato,

 o per altro giusto motivo che muove l’animo del Vicario, venga da graziare e da rilasciare, tanto lo stesso Bargello, quanto i suoi esecutori non possano ricevere realmente nulla, ma solamente ciò che avesse stabilito il Vicario.

13- Al Bargello se per un ordine della Curia fosse capitato di andate a cavallo in qualche luogo della Diocesi per condurre nelle carceri vescovili qualcuno già trattenuto abbia 10 giuli o diversamente come sopra al capitolo 6.

14- Il Bargello per la cattura di qualche testimonio per informazione della Curi, non possa prendere nulla affatto, qualora il catturato in qualche modo non sarà stato trovato reo, e allora sia praticata la tassa espressa sopra.

15- Per la ritenzione o la carcerazione di uno che si è presentato spontaneamente non riceva nulla se non le spese per il vitto, se queste sono somministrate.   Per la carcerazione di uno trovato nel Palazzo non più che 6 bolognini.

16- Il Bargello, per le reali esecuzioni, tuttavia, contro i condannati in contumacia, per ogni e qualunque sua propria paga e per quella delle guardie, egli prenda un bolognino per ogni libra della somma, purché la sua paga non ecceda venti giuli in tutto e per il fatto stesso detta somma sarà applicata per i luoghi pii, secondo il decreto del Concilio Tridentino, oppure sarà data al Depositario delle pene.

17- Ma se avrà fatto l’esecuzione al minimo, o per qualche parte soltanto, allora non riceva nulla, o per quella parte sola per la quale l’esecuzione sia stata fatta veramente.

18- Qualora capiti, in un caso permesso dalla legge, che il Bargello o le guardie per compilare un inventario con il Fisco o con il Notaio della Curia vescovile che si presenti nella Città o nei sobborghi, abbia un giulio.

19- In verità fuori Città o fuori dai sobborghi, in qualunque località della Diocesi, entro 5 miglia 3 giuli.

20- Invece oltre le 5 miglia per paga e per le spese, tanto dello stesso Bargello quanto delle guardie e per la vettura del cavallo, se sarà stata necessaria, per ciascun giorno durante il quale, essi per compilare tale inventario, abbia dovuto allontanarsi, ad arbitrio del Vicario, 8 giuli.

21- Dichiariamo che tanto il Bargello quanto le sue guardie per un inventario di tal fatta non possano presentarsi, se non per un esplicito mandato del Vicario, quando la presenza di essi sarà stata necessaria, e allora vada da solo lo stesso Bargello, o con un tale numero di guardie oppure si presentino le guardie senza lo stesso Bargello, come ad esse dallo stesso Vicario sia stato comandato.

22- Vogliamo tuttavia che il Bargello e le guardie siano obbligati per tutti i beni mobili o semoventi, presi nell’esecuzione, di fare con vocaboli popolari la ‘fede’, le quietanze, o come le chiamano, le ricevute, in doppia copia, anche quando essi non siano stati richiesti, e consegnare una di queste alla parte nei cui beni sia stata fatta l’esecuzione, l’altra, in realtà, per il promotore della Curia ed anche affinché di tutte le cose e denari ricevuti per la loro paga o a questi stessi presenti o ad altri paganti a nome di quelli, siano obbligati similmente a fare le quietanze per le parti che così le chiedono. A tali quietanze sia prestata fede e costituiscano piena prova contro colui che scrive.

NELLE CAUSE CIVILI

23- Per una esecuzione civile anche se fa al di sotto di un fiorino, il Bargello prenda un bolognino per tutti i singoli fiorini, purché per ogni esecuzione ammontante a qualsiasi somma, qualunque sia la somma o l’importanza, non possa esigere oltre un fiorino.

24- Dichiariamo ed ordiniamo che possa ricevere la detta paga, quando sia stata fatta l’esecuzione in tutto o in parte, con efficacia, e se sia stata fatta in parte, abbia la paga soltanto per quella parte soltanto, così come per una esecuzione sola vera e fatta con successo abbia soltanto una sola paga, e così per una vera esecuzione fatta con efficacia riceva un’unica paga soltanto e qualora, per caso, l’esecuzione non venga fatta assolutamente non possa prendere nulla.

25- Per una esecuzione da parte di qualche braccio secolare stabilita dalla Curia Romana non si pretenda nulla oltre ciò che viene preso per la esecuzione da farsi d’autorità ordinaria, come sopra nel capitolo 23.

26- Per un arresto di qualche carcerato per un debito civile non percepisca nulla.

27- Per una cattura in forza di un mandato per sospetto di fuga possa ricevere quello che per altre esecuzioni già è stato stabilito sopra.

28- Il custode delle carceri possa prendere non più di 2 bolognini dai singoli carcerati per l’entrata e altrettanto per l’uscita.

29- Per il tempo invece durante il quale fossero stati carcerati non esiga più di 1 bolognino per ogni singolo giorno da ciascuno di essi.

30- E questo venga praticato tanto nelle cause penali quanto nelle civili e in tutte le altre.

PER I BALIVI

31- Il Balivo per la presentazione di qualunque lettera emanata dalla Curia Vescovile e da farsi qualsiasi persona, possa ricevere nella Città 1 bolognino.

32- Per una citazione in realtà fatta a voce in Città, 3 quattrini.

33- In realtà <fatta> fuori dalla Città per ogni miglio 1 bolognino.

34- E se sia capitato di presentarsi con qualche Commissario, con un Fiscale, con un Notaio della Curia Vescovile, o anche con il Bargello, abbia 2 giulie mezzo, dopo aver conteggiate le spese nei singoli giorni.

35- Invece per il rilascio di qualche carcerato o da una causa criminale, da una mista o spirituale o civile non sia fatto alcun particolare mandato per iscritto con spesa, ma sia sufficiente la sentenza o il decreto del Giudice o un mandato fatto a voce.

36- Inoltre in tutte qualsiasi le esecuzioni, reali e personali, nei singoli casi venga assolutamente applicata la tassa prescritta sopra.

37- Escludiamo invece da tutte le singole paghe del Bargello e degli esecutori

 le persone povere e quelle che per mero officio, riguardano l’officio e la Curia per qualche interesse pubblico o privato.

38- E se capitasse di avere dubbi sulla situazione di miserabilità e della povertà di qualcuno ci si attenga al giudizio del Vicario Generale.

39- Le altre cose non comprese o non specificate e quelle che sia capitato che in qualche modo si volgono nel dubbio riguardo alla tassa retro già scritta siano riservate ad una dichiarazione del signor Vescovo o del suo Vicario.

40- Da ultimo vogliamo che tutti i singoli Bargello, guardie, custodi e Balivi pratichino inviolabilmente le dette tasse, né che prendano alcunché, neanche minimo, che spontaneamente o in altro qualsivoglia modo sia stato dato, sotto la pena di 50 scuti sul fatto stesso per opera di ogni trasgressore nei singoli capitoli, nelle parti e nelle componenti delle dette tasse, e si debba incorrere in esse, per ogni volta che si sarà trasgredito, e sono da assegnarsi ai luoghi e alle opere pie ad arbitrio del detto signor Vescovo o del suo Vicario.

.*. Attesto che tutte le cose dette sopra concordano con i loro originali e per l’autenticità mi sono sottoscritto, e ho apposto il mio sigillo. Io Cesare Spaziano Segretario della Congregazione dei detti illustrissimi e reverendissimi signori Cardinali della Santa Romana Chiesa.

                                                                                  Luogo † del sigillo

Furono date al Sig. Teodoro Adamo, oratore della Città Fermana, il giorno 19 del mese di Maggio 1581. Pontificato del santo Padre in Cristo e signore nostro Gregorio Papa XIII Anno nono del suo Pontificato.

   Avendo gli illustrissimi e reverendissimi Sigg. Cardinali della sacra Congregazione delle visite dei Vescovi fare alcune determinazioni, e risoluzioni sopra alcune richieste date per parte della Città di Fermo de capitolo a capitolo, come appaiono nelle scritture autentiche sottoscritte per mano di Monsignor Cesare Spiziano Segretario della detta Congregazione con il solito sigillo, sotto la data del 16 di Novembre 1580 e sotto la data di 9 di Maggio 1581 consegnate a M(esser)  Teodoro Adamo Ambasciatore della Città di Roma li 19 del medesimo, Noi Domenico Pinello per la grazia di Dio Vescovo, e Principe di Fermo abbracciando le dette risoluzioni, e determinazioni, ordiniamo che siano eseguite, e praticate inviolabilmente. E per maggior dichiarazione e specificazione d’alcuni capitoli ambigui, o generali, o per togliere ogni occasione di nuove difficoltà con la presente dichiariamo, diciamo, e ordiniamo:

.-.  Sopra il capo della Tassa delle mercedi rivista e corretta dalla sacra Congregazione, ordiniamo che si stampi, si pubblichi, e se ne mandino copie in ciascuna Terra e luogo della Diocesi, acciò dopo pervenuta in notizia sia praticata, sotto la pena imposta nel cap. 40 che inizia “Infine vogliamo” e sotto altre pene maggiori, a nostro arbitrio.

.-. Al secondo <cap.> delle pene dei reati per l’esecuzione di detto rescritto noi dichiariamo Depositario delle dette pene e dopo che queste sono pervenute in mano sua, si debbono assegnare secondo la forma di detto rescritto.

.-. Al quarto <cap.> nei casi di fornicazioni, adulteri, stupri, e simili, avendo i suddetti illustrissimo ne Rescritto “Sia praticata la consuetudine” non essendo difforme la Costituzione della Marca lib.4 cap.69 e seguenti rispetto al Canone del Concilio Tridentino Sess.24 cap.8 e sess.25 cap.14 dichiariamo, e ordiniamo che detta Costituzione praticata in antico in questo Vescovato, sia praticata inviolabilmente per l’avvenire, e non si possano formare processi in casi simili, contro la forma di detta Costituzione. E se si facesse in altro modo, i processi siano nulli, e si debbano cancellare gratis, e il Cancelliere possa esser sindacato su ciò, sotto la pena ad arbitrio dei sindacatori.

.-. Al settimo<cap.> gli Officiali debbano stare a sindacato alla fine del loro officio dichiariamo, e ordiniamo, che i Cancellieri e i sostituiti prima che prendano il loro officio debbano giurare in mano del nostro Vicario di esercitare bene, e fedelmente il loro officio, e ugualmente dare idonea sicurtà de non eccedere la detta Tassa, e di stare al sindacato alla fine del loro ufficio, come deve ancora starci il Bargello per sé, e per i suoi collaboratori, secondo la determinazione fatta dalla sacra Congregazione nella riforma de4lla Tassa di questo Bargello sotto la data di 9 di Maggio 1581 capp. 3 e 4. E la forma di questo sindacato sarà la seguente, cioè:

FORMA DEL SINDACATO

   I Sindacatori debbano essere il nostro Vicario, e un Cittadino Dottore da nominarsi dai Magnifici Sigg. Priori della Città nel tempo.

   Si intimi per tutta la Diocesi per mezzo di pubbliche lettere patenti il sindacato di questi Officiali, stabilendo prima il giorno quando ha da cominciare doppo il ritorno delle dette patenti.

   Detto sindacato duri otto giorni, cioè cinque per dare le querele, e tre per giustificare, e risolvere; e in questi risultati, s’intendano detti Officiali assolti quando altrimenti non vengano condannati.

    Sulla sentenza da farsi da questi Sindicatori non si possa fare appello, né domandare ricorso, e appellandosi, anche per via del ricorso, non lo si ammetta se prima effettivamente non paga quanto sarà condannato, e in tale caso quello a favor del quale sarà data la sentenza debba fare un attuale deposito da restituirsi in caso di soccombenza.

   All’ottavo <cap.> la sacra Congregazione ha rescritto: “Si pratichi la consuetudine che si praticava prima della venuta dell’attuale Vescovo”. Noi informati di detta consuetudine per mezzo di testimoni degni di fede, e per mezzo di libri di questa Città non trovando altro in contrario nei libri del Vescovato, dichiariamo la detta consuetudine essere stata ed essere che il Cap(itolo) dell’appello degli officiali dei ‘danni dati’ e straordinariati della Città e i Vicari del suo Stato hanno proceduto e procedano in simili cause secondo la detta domanda fatta. E per osservanza di setta consuetudine e di detto rescritto dichiariamo, e ordiniamo, che per l’avvenire ai detti Cap(itoli) e Officiali di ‘danni dati’, e straordinariati, e officiali dello Stato non si inibisca, né si dia in nessun modo un impedimento. Né si possa vietare a persone Ecclesiastiche il poter far accuse nei casi simili innanzi ai detti Cap(itoli) e Officiali e sia lecito a loro di poterle fare senz’altra nostra licenza. E questa licenza  per il presente si concede indifferentemente a tutti, come dispone il Canone “Se un chierico … laico, fuori dal foro <giudiziario> di competenza”.

   Al nono <cap.> per mezzo di lettere ai Vicari Foranei hanno rescritto: “Non siano tolte le pene consuete” dichiariamo le pene solite essere le pene solite da pagarsi dai laici secondo la forma degli statuti, e secondo le delibere della Città, e delle Terre e dei luoghi della Diocesi.

   All’undicesimo <cap.> riguardo al viaggio che farà il Magistrato della Città con noi per accompagnarci, ordiniamo che si osservi tutto quello che l’Illustrissimo Cardinale Maffeo d’ordine del Signore Nostro ha scritto su ciò per mezzo di una sua <lettera> sotto la data di 9 di Maggio 1581, il contenuto della quale è questo.

Copia della lettera scritta dall’Illustrissimo Sig. Cardinale Maffeo

.-.   A monsignor Vescovo di Fermo.  –  Molto Reverendo Sig. come fratello.

   Nelle risoluzioni che furono fatte in questa Congregazione sopra le di(vergenze) che erano tra Vostra Signoria e la sua Città e mandate qua un tempo fa, ve n’era una dell’undicesimo Capitolo spettante l’accompagnare il Vescovo come fanno i Priori, e fu detto che si praticasse quello che aveva ordinato il Signore Nostro. Ora l’Ambasciatore della Città ha fatto istanza a Sua Beatitudine per avere in iscritto la mente sua in quella materia, conforme all’osservanza che già era introdotta, contro la quale appariva una lettera della Congregazione del Concilio scritta d’ordine di Sua Santità prima dell’ultima risoluzione fatta in favor dei Priori. Ed essendo parsa al Signore Nostro la dimanda giusta, mi ha dato commissione che io scriva a Vostra Signoria che, nonostante qualsivoglia lettera in contrario permetta che i Priori quando essi vogliono venire ad accompagnarla, vadano avanti di lei, oppure di dietro, come più a loro piacerà, perché essendo questo un atto volontario e di cortesia, Sua Santità non vuole che si faccia loro violenza alcuna, e così dovrà eseguire Vostra Signoria a cui mi raccomando con tutto il cuore. Da Roma li 9 Maggio 1581.

.-. Questa copia concorda con i suoi originali, e per fede ho messo la mia firma, ed ho apposto il mio sigillo oggi 22 Maggio 1581. Così è Cesare Speziano Segretario

Sigillo

Quanto poi ai Capitoli 3; 5; 6; 10; 12 e 13, e ai rescritti dei detti Illustrissimi e Reverendissimi Sigg. Cardinali, per ciascuno di questi dichiariamo, vogliamo e ordiniamo, che si pratichino con precisione inviolabilmente, sotto le pene contenute in dette risoluzioni, e altre maggiori a nostro arbitrio.

.-. Così diciamo, dichiariamo, stabiliamo e ordiniamo: Io Domenico Pinelli Vescovo Fermano. Data a Fermo sotto il giorno 29 Dicembre 1581.  Luogo † del sigillo

                                                             Aldovrandino Concetti Segretario

Stampato a Fermo presso Sertorio De Montibus. 1589. Precedente edizione del 1507

-.-.-.

    Elaborazione di Albino Vesprini

F I N E Sia lode a Dio

Posted in Senza categoria | Tagged , | Leave a comment

LA FIERA DI FERRAGOSTO A FERMO Regolamento antico

Mercato liberto negli STATUTI DEL TERRITORIO FERMANO ed.1589  pagina 204

CAPITOLI EDITI SUL MERCATO E SULLA FIERA DELLA MAGNIFICA CITTA’ DI FERMO, IN AGOSTO, COME FURONO ORDINATI AD OPERA DEI CITTADINI CON DECRETO DI CERNITA.

– 1- II luogo ove si debba fare la fiera, cioè dove si debbano vendere gli animali, sia dove sinora è consuetudine; ma il luogo ove si vendono le altre mercanzie si intenda che è dentro la Città, nella piazza di San Martino, e lungo le strade maestre.

– 2- Parimenti che la fiera predetta sia e che debba essere “franca” <libera> a tutti i forestieri che condurranno <porteranno>, compreranno o venderanno le loro mercanzie nella detta fiera, stando il tempo che sotto si dichiarerà; cioè che possano mettere, portare, vendere o comperare ogni genere di merce e di animali senza alcun dazio, ovvero gabella <tassa>; non estendendosi a coloro che vendessero grano, farina, pane, vino, olio all’ingrosso, carne da taglio e ogni altro genere di biada, e vettovaglie, espressamente specificando che la carne salata e il cacio <formaggio> che si vendano venduti a pezzi interi, non debbano pagare <alcuna> gabella; salvo che non si vendesse al taglio, ma i forestieri anche se vendessero carne salata e formaggio a taglio, non siano obbligati a pagare alcun dazio ovvero gabella.

– 3- Parimenti durante il tempo della fiera i Cittadini e i Contadini, i quali conducessero o vendessero o immagazzinassero, o comprassero o portassero qualche mercanzia, non siano tenuti a pagare alcuna gabella, dichiarando però che le robe che si avessero da immagazzinare, si debbano segnalare ai gabellieri <dazieri>, e finita la fiera i cittadini siano obbligati, a richiesta dei Gabellieri, con giuramento, chiarire quello che gli avanza; ma espressamente si dichiara che di robe comperate per proprio uso non si paghi gabella. E se vi fosse qualche difficoltà per le cose che si vendessero o portassero, di qualunque specie siano, allora ci si attenga al giudizio di quei Cittadini che saranno incaricati come sovraintendenti della fiera con giuramento di colui che la vendesse o portasse o immagazzinasse; o in qualunque modo capitasse qualche dubbio; ma in tale modo da ultimare, esaminare e chiarire prima che si abbiano questi dubbi e differenze, tramite i Consoli dei mercanti di luglio e di agosto.

– 4- Parimenti che i mercanti forestieri possano manda le loro mercanzie e le robe nel Porto e nella Città di Fermo entro l’anno come a loro capiterà e conservarle, e per riporle fino al tempo della fiera senza alcun dazio, né pagamento di gabella. Ma se prima del tempo della fiera le vendessero, siano obbligati, per quello che vendono, a pagare il dazio ovvero la gabella ai Gabellieri senza alcuna opposizione. E ciò abbia luogo per il passato, al presente e nell’avvenire. E si intenda che se le robe si inviassero tramite un commesso o per commenda <accomandita> si debbano immagazzinare tutte in un luogo che verrà stabilito tramite il Comune.

– 5- Parimenti che i mercanti e qualunque altra persona di qualsiasi stato e condizione essa sia, possano, nell’avvenire, per tutto il mese di agosto, in qualunque anno della fiera, liberamente vendere o comperare senza alcun pagamento di dazio o gabella. E siano liberi ed esenti da questi dazi e gabelle per tutto il mese di agosto, ed anche i mercanti forestieri possano portare tutte le mercanzie e le robe loro e farle portare per tutto il mese di settembre seguente in ogni anno quando la fiera si farà, senza pagamento di detti dazi o gabelle. Ma se qualcuno passasse con robe e con apparenza di franchigia, le portasse in tale tempo, con l’intenzione di non vendere nella detta fiera, mettesse roba, sia obbligato al dovuto pagamento delle gabelle.

– 6- Parimenti che a ciascuno sia lecito fare la senseria <mediazione> in questa fiera, purché sappia scrivere, affinché possa tener conto delle vendite che si fanno di mano sua, in modo che si abbia a far scrivere dal notaio dei sovrintendenti della fiera; altrimenti qualsiasi vendita, che viene fatta di loro mano, non sia valida.

– 7- Parimenti che questa fiera sia e debba essere franca e libera per ogni persona che ci verrà in modo che nessun Cittadino, Contadino o forestiero, di qualunque condizione e luogo egli sia, cioè durante il tempo di questa fiera, possa essere costretto né concordato da alcun suo creditore per qualche debito contratto prima del tempo di questa fiera, né per rappresaglia del Comune, né da parte di una persona speciale che avesse  <rivalsa> contro qualcuno, salvo per un debito che si contraesse o si facesse nella fiera, si debba fare accordo e costringere a quel che la ragione volesse.

E similmente non si possa, durante il tempo della fiera, giurare <affermando>

 qualcuno sospettato e fuggitivo, e così neanche si possa fare alcuna molestia durante questa fiera a quelli che fossero condannati per danni dati, ma anche essi siano liberi e sicuri.

– 8- Parimenti che la detta libertà e sicurezza non si intenda per qualche bandito, nemico, ribelle o traditore della santa Chiesa, e del Magnifico Comune di Fermo, e che non sia <una fiera> libera per coloro che commettessero azioni illecite o commettessero qualche delitto o misfatto durante questa fiera o in questa fiera, o fuori dalla fiera stessa, nel territorio di Fermo e del contado, o delle Terre raccomandate. Ma il Podestà e il Capitano e altri ufficiali del Comune di Fermo, contro tali delinquenti, abbiano pieno arbitrio di punire e condannare nella persona o nei beni, secondo che a questi ufficiali sembrerà opportuno e piacerà, in modo sommario, senza strepito, senza figura di giudizio <processo>, con piena facoltà di aggiungere o non diminuire tale pena, che in tale delitto si deve imporre; nonostante uno statuto o una delibera che dicesse il contrario.

– 9- Parimenti che si debba assestare e aggiustare il peso della quantità e provvedere che si aggiustino all’apparecchio <dispositivo> di quello tutti gli altri pesi.

– 10- Parimenti che si faccia il bussolo <sorteggio> dei sovraintendenti, i quali abbiano a intendere, esaminare e decidere sommariamente tutte le vertenze che per comperare, e per vendere e per qualunque altro motivo capitassero in questa fiera, e il Capitano e il Collaterale richiesti da loro di intervenire, debbano decidere, secondo ragione, le cose dubbiose e nessun Avvocato o Procuratore possa intervenire in tali cause, sotto la penalità di 25 libre, per ogni volta quando qualcuno trasgredirà.

– 11- Parimenti i Regolatori, che ci saranno nel tempo, affinché i mercanti siano contenti e volentieri stiano e ritornino, provvedano comodamente e a buon prezzo assoldare l’affitto delle botteghe o case necessarie, e similmente provvedano che dal contado arrivino le vettovaglie, come meglio sembrerà a loro, purché ci sia abbondanza, e coloro della Città o del contado che faranno il pane e lo porteranno, o lo venderanno nella Città al tempo della fiera, non siano, per esso, obbligati ad alcun dazio, ovvero gabella.

****

Traduzione di Vesprini Albino dal testo scritto in lingua volgare locale. –

Posted in Senza categoria | Tagged , | Leave a comment

CHI TACE: «E Gesù taceva»

TACENDO DISTRUGGE GLI INGANNI

Lucio Anneo Seneca ispirandosi a Sofocle ha scritto la tragedia dal titolo Edipo ove si legge la frase 527: «Distrugge gli imperi colui che, essendo comandato di parlare, tace». Può essere vera questa frase? Dipende dal fatto se sia meglio discutere. Gesù di fronte al giudice tace per mitezza, per misericordia, per pazienza, per umiltà, ma ha la fede che Dio agisce per far trionfare la verità e di fatto dopo immolato egli risorge a vita immortale. Tacere non è debolezza, è prudenza di fronte alla canea che lo odia mortalmente e allora il discutere non farebbe emergere la verità. Il tacere non è silenzio vuoto: tra gli scogli del voler apparire, come fanno i nemici, il non detto è come un’onda avvertita. Non tace l’onda silenziosa della vita. Anche le piante crescono nel silenzio. Tacere non è fingere. Di fronte ai prepotenti e ai politici non coerenti, chi non parla sta seminando il dubbio. Una bocca chiusa e uno sguardo fisso stimolano a riflettere e a cercare la verità. Urla chi teme che si scopra la verità. Chi richiesto di parlare in tali situazioni decide di tacere fa germogliare i semi della lealtà, semi che distruggono le falsità imperialistiche. “L’arte di tacere non è un semplice invito al silenzio, un manifesto del mutismo, ma un’analisi delle infinite possibilità della continenza verbale e scritta”.

Posted in Senza categoria | Tagged , | Leave a comment

VANGELO DEL RISORTO CHE VIENE INCONTRO:

«NON TEMETE: ANDARE AD ANNUNCIARE …»

Cenni rapidi sul Dipinto: GESU’ CAMMINA TRA NOI RISORTO CON IL CORPO IMMORTALE GLORIOSO

Nel dipinto firmato d’azzurro da S. Tricarico, Gesù Cristo, in tunica bianca e lungo manto dorato, cinge ai fianchi una fascia di colore sanguigno. Questa opera pittorica come ogni opera d’arte parla alla mente e al cuore di chi la contempla e trasmette la ricerca del senso delle cose che è avvertito con i ricordi d’infanzia uniti alle riflessioni adulte.

Attorno all’immagine del Cristo predomina massicciamente il colore blu che rappresenta la costanza, la fedeltà e la meditazione. Il cielo ceruleo con nuvole azzurre proietta un’impressione di serenità con il senso dell’infinito. In altre parti fa da contrappunto il colore sanguigno che è sublimato dal rosaceo delle colline per chiamare all’attesa di un futuro con le novità che nascono a primavera.

Dal sepolcro aperto del Cristo risorto fuoriesce una luce dorata. Sulla strada e nei riflessi del manto aureo il colore sanguigno fa ricordare l’evento della salvezza: il Cristo Messia si è immolato sulla croce che è dipinta con il lenzuolo della deposizione sul colle del calvario.

Questa pittura può offrire le tracce che avvicinano alla fede che viene solo proposta. Di per sé la fede è un dono divino che non viene mai imposto. Nell’ampio ambiente naturale al centro, il Cristo percorre le strade dei cammini umani con passo agile di pellegrino, e con sul capo l’aureola.

La primavera ha i suoi segni in primo piano nei fiori tipici del biancospino avanti al sepolcro circondato da rocce. Sono questi i fiori con cui la primavera fa fiorire le speranze. E sullo sfondo la terra rosacea della collina ha il sorriso del buon cuore.

E’ importante non immaginare solo Gesù in alto, perché lui cammina fra noi.

Posted in Senza categoria | Leave a comment

Legislazione a Montefortino 1568

LEGGI VANTAGGIOSE A MONTEFORTINO 1568

Montefortino.Statuto

SONO VANTAGGIOSE LE LEGGI ADATTE AI TEMPI E ALLE CULTURE

   Gli Statuti propri di Montefortino (FM) stampati nel 1568 furino compilati da otto cittadini eletti a Montefortino aalo scopo di meglio guidare le abitudini politiche nell’orientamento verso la pace. Nel proemio al libro primo, si spiegano i vantaggi della propria costituzione giuridica e si elencano le parti degli ordinamenti a cominciare dal culto al divino Creatore, il governo repubblicano <cioè comunale>, le cause civili, i reati penali pubblici e privati, i crimini straordinari.

   Ecco tradotto dal latino il proemio del primo libro.” I precetti della disciplina morale, da cui la vita umana riceve la formazione e l’educazione, meritano in certo modo un rilievo molto splendido, pertanto quelli che riguardano il governo e la salvaguardia delle città vengono raccomandati. Questa disciplina procura, senza dubbio, ogni forma di felicità. Il conquistare la felicità realmente è cosa eccellente per le persone e sarà di maggior gloria per la cittadinanza tutta quanta, sicché ogni castello in seguito a ciò giunga a avere la beatitudine.

    Infatti il bene più ampiamente rivelato, per ispirazione divina, è tanto più apprezzato. Ogni persona consegue la perfezione dalla società civile e dalle sacre leggi, a cui si sottomette vivendo con rettitudine e fruisce dei vantaggi della serenità e della pace, stando lontano dall’impulsività per opera delle dovute correzioni, benché un uomo imbecille sia un animale e non abbia resistenza da sé stesso.

   Meditiamo sul fatto che nulla è più necessario, nulla più vantaggioso, nulla più soddisfacente, nulla c’è di meglio, per vivere bene e felicemente e per rinvigorire l’umana società, quanto il vivere sotto la disciplina delle giuste leggi, giacché si agirebbe a capriccio in tutte le cose, qualora si togliessero le leggi, mentre la natura dei mortali è tanto prona al male.

   Ciò soprattutto nei luoghi montani dove noi viviamo con la sterilità ed i grandi influssi della natura. Senza le amministrazioni pubbliche, senza le cittadinanze, senza i paesi, non si troverebbero né alcuna giustizia né alcuna onestà; soltanto stragi, rapine e nefande scelleratezze di ogni maniera. E ciascuno farebbe quello che pretende con muovere la guerra con le armi e con la forza. In tal modo, l’unione del genere umano non è consistente, ma la sua dissoluzione diverrebbe inevitabile.

   Deriva da tali fatti l’esperienza per cui i popoli e i re hanno pubblicato le leggi per loro stessi: Abramo, Mosè, il Faraone, il Re per i Greci, Licurgo per gli Spartani, Mercurio Trimegisto per gli Egiziani, Solone per gli Ateniesi, Numa Pompilio per i Romani e infine innumerevoli altri re e popoli hanno agito affinché l’umana spericolatezza fosse frenata dal timore e la lealtà fosse tutelata frammezzo ai disonesti e la sconsideratezza, anche la frenesia di fare del male fossero raffrenate per mezzo di spaventevoli supplizi.

   Queste istituzioni degli antichi risultavano essere sorgenti di rettitudine e di salvezza e adatte per vivere bene, e nulla le superava. Tuttavia gli statuti umani sono mutevoli nella varietà dei luoghi e delle abitudini, al punto che le leggi antiche scomparvero quasi per la maggior parte, nell’evolversi dei disusi. Le diverse nazioni si fissarono poi leggi diverse congruenti alle loro culture.

 E questo nostro popolo Fortinate con i poteri che sono dati sia dalla propria autorità giuridica, sia dai sommi Pontefici, fece la sua <precedente> giusta e onorevole costituzione dei diritti <o leggi> municipali.

   Tuttavia <la precedente> è in parte astrusa, in parte difettosa, in parte anche meno congruente ai nostri tempi moderni e <il Consiglio generale Fortinate> ha decretato che si pubblicassero nuove leggi per mezzo delle quali questa repubblica tutta quanta possa essere governata con vantaggi.

Posted in Senza categoria | Tagged , , | Leave a comment

AVVERTIMENTI DIVINI NON MINACCE MA CHIAMATE ALLA CONVERSIONE

SAN PAOLO AI ROMANI 8, 19ss

Pestilenza, guerre, morire. Adoperiamoci a restare uniti a Dio.

TUTTO STA NELL’ACCOGLIERE GLI AVVERTIMENTI DIVINI. (Antimo Lorcassi)

“20 marzo 2022, le menti ed i cuori sono sfidati dalle follie di guerra e dalla pestilenza, mentre la natura e le persone soffrono per le violazioni umane (Rom. 8,19ss). Sono avvertimenti profondissimi. Il Vangelo odierno Lc 13,1-9 racconta che, ai tempi di Gesù Cristo, a Siloe, città a sud di Gerusalemme, crollò una torre per cui morirono diciotto persone. «Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo». Sappiamo che le bombe negli arsenali hanno un potenziale per distruggere almeno un centinaio di volte il nostro globo terrestre e bruciare miliardi di persone viventi. Ci domandiamo se non è preferibile adoperarsi per non partecipare alle morti, neanche in modo involontario né inconsapevole.

   Don Oreste Benzi, personalità di alta umanità, ha scritto: «Dio ci avverte continuamente. Sappiate guardare in maniera diversa tutto quello che succede nella vita. In ogni avvenimento è presente il Signore e lui ti avverte di qualcosa. In ogni cosa c’è tutta una meraviglia stupenda, anche nel dolore, nella sofferenza, nella malattia. Tu sappi vedere che il Signore continuamente ti avverte, sappi leggere i messaggi di Dio! Ma se sei troppo attaccato a te stesso e continui per quella via, non accogli gli avvertimenti di Dio. … Purificati per non essere al centro del tuo cammino …”è «Io.Sono che ti manda».

(Io.Sono è il nome di Dio)

                                                                                                        Lettera di San Paolo ai Romani, 8, 19-24

«L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.»

Posted in Senza categoria | Tagged , | Leave a comment

Il Mulino sul fiume Tenna Belmonte Piceno

VENTI SECOLI DEL MOLINO AL FIUME TENNA A BELMONTE (FM)

Dino Fattoretta

Belmonte Piceno

 Gennaio 2022

GRAZIE a chi ha dato le notizie qui raccolte.

Ogni mulino vuole la sua acqua

Ognuno tira acqua al proprio mulino

Porta acqua al mulino dell’amico

Nell’antico paese

A Belmonte Piceno il mulino sul fiume Tenna esiste da venti secoli e negli ultimi due secoli è stato gestito dai mugnai Valori fino al 1902 poi dai Carnevali.

   In prossimità del fiume Tenna, non lontano dal bivio delle due strade provinciali, una verso il paese e l’altra lungo la riva destra dello stesso fiume, c’è un antico mulino ad acqua che è di proprietà delle famiglie belmontesi di Antonio ed Ettore Carnevali. Nelle carte topografiche e “tavolette” si legge “Molino Valori”. Per un altro molino che era nei pressi del fiume Ete si leggono notizie nel libro di Franco Giampieri che racconta la vita nella vallata dell’Ete. Giampieri scrive che i fiumi, sia piccoli che grandi, sempre sono stati alleati degli uomini ed anche nei momenti di magra hanno speso ogni loro goccia per soddisfare le persone, gli animali e le piante.

   Di fatto vicino ai fiumi sorsero i più grandi insediamenti storici e fin dalle epoche protostoriche risulta che le loro acque furono utilizzate per la forza motoria perché questo sistema energetico è certamente economico, efficiente, poco costoso, molto produttivo in varie applicazioni. Non per nulla, nel secolo XIX con la dinamo, per mezzo delle turbine ad energia idraulica è stata prodotta l’energia elettrica. Il geografo e storico greco Strabone, nel primo secolo avanti Cristo, ebbe a descrivere i molini ad acqua.

   Proprio nei primi decenni dell’era cristiana sorse il primo insediamento del mulino belmontese, in questo luogo della pianura del fiume Tenna, che era nell’ambito del territorio Faleriense (da Falerio colonia romana, oggi Piane di Falerone). Avvenne allora che vennero mandati a riposo dall’imperatore Augusto nel Piceno i veterani degli eserciti romani sia di Cesare che di Pompeo. Ogni luogo abitato in ambiente rurale era chiamato dagli antichi romani con il vocabolo “Villa” dove essi svolgevano pressoché tutte le attività produttive. Presso l’abitazione padronale c’erano diversi edifici e locali, come l’edicola, le officine, le capanne, i magazzeni, le cantine, la grotta, le stalle per allevamenti, il frantoio o pistrino e nei pressi del fiume un molino ad acqua, in modo tale che i lavoratori provvedevano alle comuni necessità.

   Cominciò ad esistere in epoca augustea il primo mulino a Belmonte Piceno presso il fiume Tenna (Tina divinità). In seguito alla decadenza di Roma e dell’impero romano nel quinto secolo, con l’arrivo e l’insediamento di popoli emigrati da fuori dall’Italia, i nuovi abitanti si stabilirono sulle alture, dove ancor oggi vediamo molti paesi. Le attività di macinazione dei semi e delle granaglie prevalentemente si fecero nelle abitazioni, immettendoli in una pietra incavata e sovrapponendo un’altra pietra che veniva girata con ogni metodo possibile di molitura.

   Nei frantoi si usavano le macine (o mole) di pietra che erano girate o con le braccia, o con animali, o con pale sull’acqua corrente. Nel secolo VIII con la venuta dei monaci benedettini in questo territorio, le attività nelle pianure nelle vallate di fiumi ripresero intensamente e i molini si potenziarono. I monaci benedettini Farfensi con il programma di pregare e lavorare, furono i più operosi imprenditori agricoli, anche mugnai, nel Piceno.  Sapevano anche pacificare le popolazioni. A questi subentrarono, con i Longobardi e con Franchi, i signorotti vassalli che ebbero il dominio sullo sfruttamento delle terre e delle acque, continuando l’uso dell’energia idraulica. Gli edifici per i molini erano anticamente costruiti con pietre e con mattoni in un modo staticamente solido, con muri spessi, come si può ancor oggi notare dove gli edifici permangono. Dovevano resistere anche ai pericoli di incursioni nemiche, oltre che all’usura nel tempo.

   Dal XIII secolo alcuni comuni riorganizzarono l’amministrazione e crearono mulini comunali sparsi nel corso di uno stesso fiume dato che l’acqua che scorrendo dava energia in un posto, non perdeva per questo la sua quantità scorrendo verso altro mulino.

   Una vicenda di guerriglia fu causata nei dieci anni dal 1537 al 1547, quando ci fu un nuovo governatorato chiamato Stato Ecclesiastico nell’Agro Piceno con capoluogo Montottone, della famiglia Farnese del papa Paolo III, emarginando Fermo, da secoli capoluogo.  Per la riscossione delle tasse furono causati dissidi. Di fatto, presso il fiume Tenna, gli utenti del pascolo della pianura di ricco pascolo, detta “Boara” frequentata in gran parte dai Montegiorgesi, anche dei comuni circonvicini, si trovarono concitati gli uni contro gli altri causando con rappresaglie, incendi e distruzioni dei rispettivi mulini. Dopo la morte del papa Farnese, con lo scopo di pacificare, la pianura “Boara” fu data (come resta) nel territorio del comune di Fermo.

   Il sito del predetto mulino belmontese presso il Tenna in collegamento dei percorsi stradali, era poco distante dal fiume, per non essere esposto ai pericoli delle esondazioni ed era costruito in modo solido e sicuro. L’acqua per l’energia necessaria a dare movimento alla mola (macina) ruotante era prelevata in un punto un po’ più elevato di ‘colta’ dal fiume, e attraverso il canale di presa (o gora), l’acqua si accumulava nella parata (o roggia) che era come un grande pantano con paratia per l’uscita (“reffota”) e arrivava a far girare le ‘pale’ nel luogo (detto margone). Seguitava a scorrere in altro canale (detto pescaia) per ritornare allo stesso fiume.    Una saracinesca regolabile sulla paratia serviva a accrescere o diminuire la quantità di immissione dell’acqua anche per evitare i danni occasionati dai forti temporali, che immettevano molta melma e frasche secche trasportate dal fiume. Questa struttura aveva necessità di manutenzione assidua in relazione all’impeto dell’immissione. Per macinare erano indispensabili due mole (o macine) di pietra, non una soltanto, in posizione orizzontale, una sovrapposta parallela all’altra, e la distanza tra loro era manovrabile per mezzo di una leva esterna. La mola inferiore era fissa mentre l’altra mola superiore era ruotante.

   Il sito del predetto mulino belmontese presso il Tenna in collegamento dei percorsi stradali, era poco distante dal fiume, per non essere esposto ai pericoli delle esondazioni ed era costruito in modo solido e sicuro. L’acqua per l’energia necessaria a dare movimento alla mola (macina) ruotante era prelevata in un punto un po’ più elevato di ‘colta’ dal fiume, e attraverso il canale di presa (o gora), l’acqua si accumulava nella parata (o roggia) che era come un grande pantano con paratia per l’uscita e arrivava a far girare le ‘pale’ nel luogo (detto margone). Seguitava a scorrere in altro canale (detto pescaia) per ritornare allo stesso fiume.    Una saracinesca regolabile sulla paratia serviva a accrescere o diminuire la quantità di immissione dell’acqua anche per evitare i danni occasionati dai forti temporali, che immettevano molta melma e frasche secche trasportate dal fiume. Questa struttura aveva necessità di manutenzione assidua in relazione all’impeto dell’immissione. Per macinare erano indispensabili due mole (o macine) di pietra, non una soltanto, in posizione orizzontale, una sovrapposta parallela all’altra, e la distanza tra loro era manovrabile per mezzo di una leva esterna. La mola inferiore era fissa mentre l’altra mola superiore era ruotante.   All’esterno dell’edificio si notavano i ricoveri d’alloggio e stalle per gli animali come le pecore, la cavalla o il cavallo, i maiali, i conigli, e il pollaio. Non lontano dal mulino c’era anche il forno per cuocere il pane e le focacce. L’acqua era utilizzabile nelle coltivazioni di ortaggi. La moglie del mugnaio (‘molenara’) preparava e faceva cuocere le pizze e le focacce, fruibili dai familiari e, a richiesta, dai clienti. Nelle vicinanze non mancava il pozzo di acqua potabile.  Ascoltando il racconto dei nonni riceviamo i ricordi di quando andavano al mulino. Arrivati, scaricavano i sacchi e vicino al portone d’ingresso c’era la Stadera per la pesa dei quantitativi. Al momento di venir macinate le granaglie erano immesse nel cassone sopra alle macine, poi si procedeva a molare. Secondo la vicinanza maggiore o minore delle mole il macinato poco affinato per semola e tritello, o più affinato come fiore di farina. Talora il mugnaio (molinaro) accumulava nel pavimento del piano superiore il grano nel magazzeno che da un pertugio (o boccarola) faceva scendere direttamente sul mulino. Preparava la farina da trasportare a vendere. 

   Si chiama tramoggia l’apertura del cassettone svasato costruito sopra le macine, come un imbuto a ricevere il grano da macinare e farlo scendere tra le due macine con un passaggio regolabile per mezzo della leva della macinazione. Nel frattempo che il funzionamento dei meccanismi della molitura ultimasse il servizio al cliente, per curiosità egli andava all’aperto, a guardare il moto rotatorio, come l’acqua muoveva le eliche, sotto il molino: una ruota aveva infisse le pale a forma di cucchiaio poste in linea in modo che il flusso dell’acqua corrente le colpiva e faceva ruotare il perno verticale (ritrecine), poggiato su una base di ferro (ragnola). Il perno che girava, per mezzo di un meccanismo con leva, veniva innestato nella ‘macina’ (mola) ruotante. Il “molenaro” con la leva faceva sollevare o abbassare il perno per muovere più velocemente oppure per rallentare il movimento rotatorio secondo l’immersione più o meno profonda delle pale nell’acqua.    Nella stanza delle mole si vedeva scendere la farina macinata, convogliata in modo da farla cadere in un capiente cassone di legno. Allora si diffondeva nell’aria un intenso profumo di farina che era mossa dall’aria tanto da sbiancare lo spazio circostante, anche le ragnatele. Ne è venuto il proverbio: «Chi va al molino s’imbianca di farina».

   Il mugnaio inoltre controllava l’altra leva che alzava o abbassava la mola rotatoria in modo da creare una farina più o meno grossa oppure sfinata. I bambini che accompagnavano i genitori al mulino si incantavano a guardare questo complesso di misteriosi meccanismi che accompagnavano il ritmo e il rumore della mola e lo sciabordio dell’acqua. Per soddisfare la propria curiosità facevano domande al mugnaio quando stava fermo davanti al cassone a guardare la fuoruscita del macinato.   Il lavoro del mugnaio era solerte e da esso riceveva il compenso di circa quattro chili di farina per ogni quintale di grano immesso alla molitura. L’impianto del mulino richiedeva un’attenta e laboriosa manutenzione oltre che per ripulire il canale e l’invaso della paratia, anche per rinsaldare o sostituire le pale (eliche) innestate fermamente nella ruota immersa del ritrecine, per regolare le saracinesche di discesa dell’acqua incanalata, per controllare la presa d’acqua dal fiume e il suo ritorno al fiume, soprattutto per ribattere periodicamente la dentatura scolpita nelle macine, lavoro questo che avveniva dopo che erano stati macinati circa tredici quintali di granaglie. Questa dentatura sulla superficie della mola era una scanalatura che faceva accostare la farina macinata ai bordi della mola in modo che poi scendesse.

   Un molino ben attrezzato macinava mediamente tra i due e i tre quintali di grano al giorno, secondo le varie possibilità dell’operatore e dell’immissione dell’acqua. I mulini presso il fiume Tenna avevano a disposizione l’acqua continuativamente in ogni mese dell’anno, grazie alla portata per lo più sufficiente del fiume Tenna, mentre il fiume Ete soffriva sistematicamente la discontinuità per la siccità estiva. La gente di passaggio arrivava dal mugnaio, anche senza portare grano, in qualsiasi giorno, semplicemente per soffermarsi a discorrere sulle recenti notizie, per scambiarsi opinioni sui lavori della gente e, all’occasione, la “vergara”, moglie del “molinaro”, preparava e serviva le focacce.  

   L’industrializzazione del secolo XIX ha recato radicali trasformazioni nel metodo e nei mezzi della molitura con nuovi meccanismi, a cominciare dai comuni del Nord, per arrivare a diffondersi nel Piceno a metà del ventesimo secolo. Allora alla forza motrice idraulica è subentrata quella elettrica. Pertanto moltissimi molini vennero traslocati, sistemandoli nella periferia dei centri urbani collinari delle Marche, mentre pochissimi mulini idraulici rimasero quasi tutti inattivi.

   Chi è attento alle farine sa che sono diverse per grossezza e qualità, come fior di farina, tritello, fecola, crusca. Anche i colori delle farine sono vari: bianco, nero, giallo, secondo la varietà delle granaglie scelte.

   La famiglia di Valori Giuseppe tenne questo molino belmontese sul fiume Tenna sino al 1902, poi è subentrata la famiglia di Eugenio Carnevali (Carassai 1837- Belmonte P. 1918, già mugnaio a Ortezzano). La secnda moglie Re Brigida (Amandola 1855- Belmonte 1945) è ricordata novantenne quando trasportava la farina con un’asina alle famiglie e ai negozi. Erede Antonio (Carassai 1862 – Belmonte 1935) figlio di Eugenio. Il nipote Igino nel 1950 introdusse l’uso dell’energia elettrica per la molitura, poi nel 1956 egli acquistò il molino elettrificato da Brunelli Quinto esistente nella periferia del centro urbano belmontese, dove i figli Antonio ed Ettore hanno continuato a macinare fino al secolo XXI.

                                     Dino Fattoretta

Posted in Senza categoria | Tagged | Leave a comment

Tommaso di Canterbury martire 1170 arcivescovo

TOMMASO BECKET ARCIVESCOVO DI CANTERBURY

SANTO MARTIRE PER LA LIBERTA’ DELLA CHIESA

    Nel 1154 Enrico II Plantageneto assume il trono d’Inghilterra, di Normandia e di una parte della Francia. Nel 1164 fissa i rapporti tra Stato e Chiesa, con alcuni obblighi particolari del clero: le chiese e i monasteri diventano feudi reali. I vescovi e gli abati sono soggetti a oneri fiscali. Qui si inserisce la storia del cavaliere lord Thomas Becket, nato a Londra il 21 dicembre 1118 da una famiglia benestante, il padre era commerciante. Avviato alla carriera ecclesiastica, dopo gli studi a Merton e a Parigi, entra al servizio dell’arcivescovo di Canterbury che gli fa studiare Diritto Canonico a Auxerre in Francia e a Bologna, e lo invia in diverse missioni a Roma.

   Nel 1154 Tommaso è nominato arcidiacono di Canterbury e nel 1155 il re Enrico II lo assume come suo personale consigliere e lord cancelliere del Regno di cui egli sostiene l’azione riformatrice. Nel 1161 muore l’arcivescovo di Canterbury e il re Enrico propone il suo cancelliere come successore. Tommaso Becket, nuovo arcivescovo di Canterbury, cambia vita, con nuove abitudini rigorosamente ascetiche monastiche e inizia a prendere le difese delle libertà della Chiesa, dei vescovi e del clero. Pertanto entra in conflitto insanabile con il sovrano. L’indole dell’arcivescovo è caratterizzata da un’espressione vivace e serena. Il re Enrico II, il 30 gennaio 1164 emana le «Costituzioni di Clarendon» che limitano i diritti ecclesiastici; controllando il potere della Chiesa; bloccando le manifestazioni dell’autorità del Papa in Inghilterra. L’arcivescovo di Canterbury si oppone e dice: «Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo». Egli non si impegna in alcuna causa, senza fare le riserve dell’onore di Dio e del suo ordine. Al rifiuto seguono contrasti e incomprensioni. Subisce processi e pene pecuniarie. Per ordine di Enrico II e nonostante l’appello del Primate Ranulfo di Broc, sono messi sotto sequestro i beni della Chiesa di Canterbury. Nello scontro contro il re, l’arcivescovo di Canterbury rassegna nelle mani del pontefice Alessandro III la carica pastorale, ma il papa lo conferma sulla sua sede, e dichiara la primazia della Chiesa di Canterbury.

 L’ESILIO A PONTIGNY.  LA PERSECUZIONE DEL RE

   Il primate che è in rottura con le cose pretese dal re contro la sua Chiesa, alla fine del novembre 1166, fugge in esilio in Francia, accolto calorosamente dal re Luigi VII. Per sei anni non potrà tornare in Inghilterra. Non lontano da Auxerre, in un vallone solitario circondato dai boschi si elevava l’Abbazia degli ospitali monaci cistercensi di Pontigny, sotto la guida dell’abate Guichard, futuro vescovo di Lione. Qui, il primate Tommaso è ricevuto su richiesta dal Papa. Egli vi dimora per lo spazio di due anni, per trasferirsi poi a Sens.

   Il primate d’Inghilterra tra i monaci s’applica alla preghiera e continua ad approfondire il diritto canonico. Tuttavia la vendetta del re d’Inghilterra non cessa di perseguitare l’esiliato, persino nel suo lontano isolamento. Nuove pene di esilio e di confiscazioni regie colpiscono non solo la famiglia dell’Arcivescovo, anche il clero che gli è rimasto fedele con le rispettive famiglie. Questi esiliati devono recarsi a Pontigny al fine di far notare al loro arcivescovo lo spettacolo della loro miseria. Impietoso l’esodo di clero e di laici, di donne, fanciulli e vecchi. E’ necessario provvedere alle necessità di questi rifugiati, spogliati di tutto.

   La carità dei monaci, quella del Papa, quella del re e dei Vescovi di Francia, tutto è messo in moto. Bisognerà, anche in seguito, provvedere oltre che ai miseri esiliati, anche per la situazione del clero fedele di Canterbury. Le negoziazioni per la pace tre il re e il primate di Canterbury vengono prolungate nel corso di lunghi anni del loro esilio.

VANI SFORZI DI MEDIAZIONE-

   Dal Natale del 1164 erano già state tentate molte prove di mediazione. La Regina Madre (che portava il titolo di Imperatrice in ragione del primo matrimonio con l’imperatore Enrico V) si preoccupa di ottenere da Enrico II che egli rinunzi ad imporre all’Episcopato l’obbligo di prestare giuramento alle Convezioni di Clarendon e che si contenti di una semplice promessa di voler rispettare le usanze orali, con riserve a favore della libertà della Chiesa, in pieno accordo con l’Imperatrice Matilde, Alessandro III e Luigi VII. Sono personalità di rilievo che cercano di orientare il re d’Inghilterra per il ritorno in pace con l’Arcivescovo di Canterbury.

   Un incontro del re, che era stato fissato per la metà di aprile del 1165 a Pontoise, non ha luogo, essendosi ritirato lo stesso re d’Inghilterra, all’ultimo minuto, all’annunzio della probabile presenza del Papa. Nel giugno successivo, Alessandro III, in virtù dell’appello di Tommaso Becket, annulla la sentenza di Northampton con cui il re agiva in disprezzo delle costituzioni ecclesiastiche, del diritto e delle consuetudini vigenti, dato che il re con un “pronunziato” stava confiscando i beni mobili dell’arcivescovo di Canterbury, che erano beni tutti della Chiesa.

   Nella Pasqua del 1166, Enrico II, in un incontro con Luigi VII, rifiuta di trattare con lui sull’argomento dell’Arcivescovo di Canterbury, e rifiuta di ritornare in pace con il clero della diocesi di Tommaso Becket, se non prestano giuramento di praticare le sue Costituzioni, con disprezzo, così, per la fedeltà che essi devano al loro arcivescovo. La maggior parte del clero fedele preferiva rimanere in esilio, rifiutando di giurare per le Costituzioni regie.

   Dal canto suo, il primate di Inghilterra cerca di portare il re a riflettere sul rispetto che egli, nella sua qualità di principe cristiano, deve dare alla Chiesa, e con questa intenzione gli indirizza, in date successive, tre lettere. Ma nulla è ottenuto per ristabilire la pace della Chiesa con il Regime, non c’è la riconciliazione di Enrico II con Tommaso Becket: tutti i tentativi sono vani. Enrico II allora si indirizza verso la Germania scismatica, e vi cerca appoggio per fare pressione su Alessandro III, sperando di ottenere parecchie concessioni nella lotta contro Tommaso di Canterbury.

ENRICO II E LO SCISMA GERMANICO

   Dopo morto l’antipapa Vittorio IV, Guy di Crema l’aveva sostituito col nome di Pasquale III nell’aprile 1164. Alla dieta di Wurzbourg, gli inviati di Enrico II, Riccardo d’Ilchester arcidiacono di Poitiers e Giovanni d’Oxford, promisero che il re d’Inghilterra con tutto il regno sarebbe stato fedele al “papa” (antipapa) Pasquale III, e lo avrebbero sostenuto. La Chiesa d’Inghilterra però si rifiuta di ratificare tale giuramento; ciò non di meno, Plantagenet fa pressione su Alessandro III con la minaccia che, se non avesse ottenuto soddisfazione nell’affare d Tommaso Becket, si sarebbe riversato verso lo scisma con l’antipapa. Il re vuole la destituzione pura e semplice dell’Arcivescovo Tommaso, ma Alessandro III si mostra duro su questo punto. Allora Enrico II, conferma le sue decisioni di Clarendon sugli ecclesiastici, ma cerca di ottenere alcune concessioni di minore importanza, tali che gli permettano di mantenere un confronto con Tommaso Becket, sotto forme più o meno velate, in modo da prolungare, quasi all’indefinito, l’esilio del primate.

TOMMASO BECKET LEGATO PER L’INGHILTERRA, 24 aprile 1166

   Malgrado le varie ambasciate del re d’Inghilterra, nonostante l’influenza di molti cardinali di parte regia, guadagnati dalle allettanti promesse dello stesso Plantagenet, con l’oro britannico sparso a profusione, il Pontefice romano, con le bolle del 5 e dell’8 aprile 1166, conferma i titoli del primato della Chiesa di Canterbury e, la domenica di Pasqua 24 aprile 1166, investe Tommaso Becket del potere di legato pontificio in Inghilterra, dopo aver rifiutato tale concessione in favore di Ruggero di Pont l’Eveque. Ma desideroso di moderare la suscettibilità di Enrico II conferisce, nel medesimo tempo, all’Arcivescovo di York la legazione della Scozia.

 LE CENSURE DI VEZELAY

   Il cardinale Tommaso Becket aveva già colpito di sospensione il Vescovo di Salisbury, Jocelin, che, seguendo le istanze del re, ed in disprezzo dei diritti dei canonici di Salisbury, esiliati per la loro fedeltà all’Arcivescovo, aveva elevato alla carica del decanato di questa chiesa, Giovanni di Oxford, scomunicato notorio per le sue relazioni con gli scismatici e per il giuramento prestato a Wurzbourg al Re. La domenica di Pentecoste, 12 giugno 1166, il nuovo legato pontificio Tommaso Becket promulga, dalla cattedra di Vezelay, la solenne condanna apportata dal papa contro le regie Costituzioni di Clarendon e denunzia con altre scomuniche Giovanni d’Oxford, decano intruso di Salisbury e fautore del giuramento scismatico, Riccardo d’Ilchester, colpevole del medesimo giuramento, i ministri del Re, autori responsabili delle Costituzioni di Clarendon, Riccardo di Luce e Jocelin di Bailleul; Ranolfo di Broc, Tommaso Fitz-Bernard e Ugo di Saint Clai, ufficiali regi, che su ordine di Enrico II si erano impadroniti delle rendite e dei possedimenti della Chiesa di Canterbury. Globalmente, infine, erano scomunicati tutti coloro che avevano messo le mani sui beni di questa chiesa. Il re, primo responsabile, è risparmiato dall’essere censurato, in ragione di una malattia che sta mettendo in pericoli i suoi giorni. Nel colpire i ministri e gli ufficiali regi, in virtù del suo potere di legato, Tommaso Becket fa uso di un suo valido diritto che peraltro le regie Costituzioni di Clarendon gli negavano.

   TOMMASO BECKET A SANTA COLOMBA DI SENS

   Enrico II tenta allora di proteggere contro le censure se stesso, il regno, i suoi ministri e i vescovi suoi fautori, con un appello alla corte di Roma. Nel frattempo egli cerca anche di colpire direttamente il legato Tommaso con una nuova misura di persecuzione: l’abbate e il capitolo generale dei monaci di Pontigny ricevono l’ingiunzione regia di smettere di concedere l’asilo al primate Tommaso esiliato nella loro abazia, sotto la minaccia dell’espulsione dal proprio regno di tutti i monaci dell’ordine. Tommaso non vuole affatto restare a Pontigny in quelle situazioni, e rifiutando le offerte del re Luigi VII, richiede una semplice stanza all’abate benedettino di S. Colomba de Sens. Egli i troverà a passarvi i quattro ultimi anni del suo esilio, anni ripieni di ardue negoziazioni con i legati a latere incaricati dal Papa al fine di circoscrivere il conflitto tra il re d’Inghilterra e l’Arcivescovo di Canterbury.

   LE NEGOZIAZIONI DEL 1167 – 1168

   Alessandro II evita di urtare il Plantagenet, e rimette Giovanni di Oxford nella carica di Salisbury. Inoltre acconsente ad inviare tre suoi legati speciali nelle terre continentali inglesi: il Cardinale di Saint Pierre aux liens, Guglielmo di Pavia, quello stesso che, nel 1160, aveva accordato la dispensa per il matrimonio dei figli reali, al quale egli aggiunge Odone di S. Nicola in carcere Tulliano, concedendo a questi pieni poteri, “per conoscere, intendere, dare aiuto, terminare canonicamente” il conflitto che poneva in contrasto il re con il primate. Secondo la proposta, il potere dell’Arcivescovo viene momentaneamente sospeso. Ma i poteri straordinari che il papa aveva delegato, su istanza del re d’Inghilterra, sono praticamente ritirati nel l167 a tali messaggeri, a fronte delle lamentele degli esiliati che manifestano vari sospetti. L’anno 1167 viene trascorsa nel timore degli influssi che parteggiao pericolosamente con il re d’Inghilterra.

   Nel frattempo una nuova invasione germanica in Italia ritarda l’incontro dei delegati con Enrico II, preoccupato a guerreggiare in principio nelle provincie meridionali, poi in Britannia. Poi, nel mese di novembre, i delegati possono intrattenersi con il re a Caen, si contrano con il primate Tommaso a Planches, il 18 novembre, e di nuovo, con il re ad Argentan, il 26 novembre. Le trattative si prolungano sino al 29. Ma è fatica sprecata. Tommaso Becket richiesto del suo parere riguardo al conflitto con il Re, pone per condizione, esclusiva per ogni trattativa, la piena restituzione dei beni della sua Chiesa, beni spogliati a dispetto all’appello che aveva lanciato a Northampton.

   Enrico si rifiuta alla minima restituzione e mantiene le disposizioni di Clarendon. L’anno 1168 si passa in vani sforzi d’arbitrato in vista di riconciliare il re Luigi VII con Enrico II e quest’ultimo con Tommaso Becket. La mala fede del re d’Inghilterra nei riguardi dell’Arcivescovo di Canterbury, si manifesta chiaramente quando si diffonde la notizia di un raggiro, nel luglio 1168, quando il re di Francia si vede giuocato da Plantagenet. Alessandro III non dispera frattanto di raggiungere la pace ed alla fine dell’anno delega tre religiosi, i priori di Mont Dieu, di Grandmont e di Va Saint Pierre per tentare, una volta ancora, di riconciliare il re Enrico II e Tommaso Becket. I delegati pontifici presiedono due conferenze a Montmirail, il 6 gennaio 1169. Il re d’Inghilterra pacificandosi con Luigi VII, consente ad accordare la pace all’Arcivescovo però seguitando ad esigere dall’arcivescovo che riconosca valide in modo assoluto le regie Costituzioni di Clarendon. A Saint Leger en Veline, il 7 febbraio seguente, malvolentieri, il re si trova ad ascoltare la lettura di una bolla pontificia che minaccia le sue terre di interdetto per le cose che pretende contro il diritto canonico. Ma egli mira a guadagnare tempo fino al ritorno degli ambasciatori che ha mandato alla Curia, e nelle sue Costituzioni sostituisce il vocabolo “costumanze” con quello di “dignità del regno” e si sforza con suoi mediatori di procurare un incontro. Tommaso Becket rifiuta di prestarsi a questo nuovo pellegrinaggio nel quale egli vede un tentativo di temporeggiamento.

INCONTRO DI ENRICO II CON TOMMASO BECKET

   Già la maggior parte dei suffraganei della Chiesa di Canterbury si sta ravvicinando al loro metropolitano: i vescovi di Exeter e di Worcester si erano riavvicinati a lui dal 1166; la scomunica di Jocelin di Salisbury, l’insuccesso delle ultime negoziazioni di pace e la scomunica di Gilberto Foliot colpevole di tollerare nel suo clero delle colpe gravi e di non averle deferite alla considerazione del suo metropolitano, hanno staccato dalla causa del re inglese, gli altri Vescovi della provincia di Canterbury, compreso Ugo di Durtham, che era suffraganeo di Ruggero di York, ed era rimasto, già a lungo, ostile al primate. Infine un nuovo deciso intervento del Papa lascia sperare nella regolarizzazione del conflitto. Alessandro III sta nominando dei nuovi legati, Graziano, nipote di Eugenio III, suddiacono della Chiesa romana e notaio apostolico, e Viviano arcidiacono di Orvieto, avvocato della Curia. Essi erano incaricati di uno stretto mandato e di una missione di breve durata, incontrano Enrico II in Normandia nella seconda quindicina di agosto, ma si oppongono con fermezza alle volontà del re che reclama, prima della stessa apertura delle negoziazioni, l’assoluzione incondizionata dei prelati che erano stati scomunicati dal primate Tommaso Becket. A più riprese il Plantagenet minaccia di rompere le trattative ed i legati non ottengono garanzia alcuna. I re concede semplicemente di riconoscere che l’arcivescovo di Canterbury non ha alcuna obbligazione verso di lui, per quanto riguarda l’amministrazione della Cancelleria, dando così una formale smentita alle sue affermazioni di Northampton. D’altra parte egli rifiuta di restituire i beni della Chiesa di Canterbury, ed esige ancora una clausola di salvaguardia delle “Dignità del Regno” (già dicitura “costumanze”). Tuttavia, il Plantagenet riesce ad ottenere da Vivien una nuova dilazione, mentre Graziano si incammina verso la Curia, e l’Arcivescovo di Sens legato pontificio per la Francia, compie il suo viaggio “ad limina”, e teme della fragile fermezza a Roma delle persone che egli sapeva da lunga data legate alla causa del primate. Enrico II accetta i buoni uffici di Luigi VII re di Francia, ed in presenza di questo re e di Vivien, acconsente di ricevere Tommaso Becket a Montmartre il 18 novembre 1169. Vengono fissati alcuni termini della riconciliazione, come basi delle negoziazioni. Le cosiddette “costumanze” del regno sono passate sotto silenzio: il re accorda all’arcivescovo la sua grazia, la sicurezza e la pace, gli promette la restituzione dei beni della sua Chiesa nella condizione in cui li avevano tenuti i suoi predecessori, escludendo così che siano considerati alienati. Tommaso Becket si preoccupa che il suo arcivescovado ne mantenga il possesso. Ma il re rifiuta di donargli il bacio della pace. L’incontro di Montmartre non raggiunge alcun successo.

   MISSIONE DELL’ARCIVESCOVO Dl ROUEN E DEL VESCOVO DI NEVERS

   Dal mese di gennaio 1170, Alessandro III forma una nuova commissione pontificia incaricata di negoziare sulle basi fissate a Montmartre e di ottenere, se possibile, dal Re, il bacio di pace per l’Arcivescovo, e ottenere, infine, serie garanzie di rispetto per l’avvenire della libertà della Chiesa. Tra i nuovi commissari pontifici, uno, Rotrou di Rouen, non desiderava attirarsi la collera del re Enrico II. Un altro commissario, Bernardo di Nevers, manca della fermezza necessaria per il successo della sua missione, per le sue dilazioni e per la lentezza dei suoi spostamenti Nel frattempo si lascia tutta la comodità a Plentagenet di procedere a far incoronare il suo figlio primogenito, Enrico il giovane. Il re, in effetti attraversa il mare il 3 marzo 1170 ed entra nel continente, subito rallegrandosi con Gilberto Foliot, sciolto dalla scomunica, il 5 aprile, su ordine del Papa. Il re Enrico II, di concerto con il Vescovo di Londra e con l’Arcivescovo di York, prepara in segreto la cerimonia, e promulga ulteriori disposizioni necessarie per paralizzare l’azione dei commissari pontifìci, di Tommaso Becket e di Alessandro III.

   ISOLAMENTO DEL REGNO D’INGHILTERRA

   Per ordine regio, dopo l’insuccesso della conferenza a Montmatre, finito l’anno 1169, i ricorsi al Papa o all’Arcivescovo vengono proibiti, sotto pena della prigione e della confisca di beni finanche per chi parteggiasse con il papa. Nessun membro del clero poteva oltrepassare lo stretto senza un salvacondotto del re, o del supremo giudice. Il danaro di San Pietro veniva versato nel tesoro reale per essere dispensato, poi, su ordine del Re. Ogni porgitore delle lettere ecclesiastiche d’interdetto sul regno sarebbe stato deferito in giudizio come traditore.

   Nella primavera dell’anno 1170 il Plantagenet rinforza la vigilanza sulle coste; fa tenere sotto buona sorveglianza, a Caen, Margherita di Francia, sposa del suo figlio primogenito; ed ordina di trattenere a bordo di ogni naviglio, e fino al suo ritorno sul continente, il Vescovo di Nevers, delegato del Papa. Un interdetto simile colpisce il Vescovo di Worcester, incaricato dal primate Tommaso di opporsi alla incoronazione. Enrico II emana l’editto di pena di morte contro chi porti le bolle pontificie in Inghilterra. Il Regno è tagliato fuori da tutte le libere relazioni con il continente. Da parte della volontà del re, le costituzioni di Clarendon riprendono tutto il loro pieno effetto. Tuttavia, l’arcivescovo Tommaso Becket aveva ottenuto dal Papa le bolle che proibivano, particolarmente all’arcivescovo di York, l’incoronazione de principe reale, privilegio della sede primaziale di Canterbury. Questa proibizione pontificia si trovò coartata dalle misure coercitive di Enrico II. Allora, Ruggero di York usurpa impunemente il posto del primate: così l’antica rivalità tra York e Canterbury rinasce con il conflitto tra la Chiesa e lo Stato.

   INCORONAZIONE DI ENRICO IL GIOVANE

   Armato da Cavaliere da suo Padre, Enrico il giovane viene coronato dall’Arcivescovo di York, assistito dai Vescovi di Londra, Salisbury, Rechester, Durham, e forse qualche altro, la domenica del 14 giugno 1170 nella chiesa san Pietro di Westminster nella stessa provincia di Canterbury. Era quella una violazione delle norme canoniche notificate sin dal 1164 dal papa Alessandro III. L’incoronazione attenta contro i diritti della metropoli di Canterbury, madre e capo delle cristianità britanniche. Le conseguenze di tale atto sarebbero state gravi. Nel contrasto tra la Chiesa e lo Stato inglese, questo disprezzo delle prerogative canterburiensi sta per ispirare la possibilità di un assassinio del primate esiliato. Enrico II, nello stesso tempo in cui sa di attirare sopra a lui, sui suoi Stati e sull’Episcopato d’Inghilterra le censure ecclesiastiche, è cosciente della gravità del pericolo e si affretta a proclamare il suo consenso nell’accettare i termini di pace che i vescovi di Rouen e di Nervers erano incaricati di proporgli, e si imbarca in fretta per la Normandia al fine di rinnovare le trattative e di mettere da parte così la proclamazione dell’interdetto che l’Arcivescovo di Canterbury, legato d’Inghilterra, aveva allora in suo possesso.

LA RICONCILIAZIONE DI FRETEVAL, 22 luglio 1170

   Il Vescovo di Nevers e l’Arcivescovo di Rouen ritornano a Sens presso Tommaso Becket esiliato dopo aver ottenuto da Enrico II l’assicurazione che egli avrebbe reso all’Arcivescovo di Canterbury la sua benevolenza e la sua pace conformemente ai termini fissati a Montmartre. Il Re stabilisce l’incontro con i legati al 20 luglio, in prossimità del Castello di Freteval en Dunois (Orleanais), dove con questi mediatori, ai quali si è aggiunto l’Arcivescovo di Sens, Enrico II fissa al 22 luglio la data per incontrarsi con il primate Tommaso Becket. Benché in precedenza il bacio di pace gli fosse stato sempre negato, su cauzione di Guglielmo di Sens che si offre garante della sincerità del Re d’Inghilterra, l’Arcivescovo di Canterbury accetta il compromesso. Nel giorno stabilito, in presenza di una grande moltitudine, il re avanza per primo verso il primate; essi si scambiano molti segni di riconciliazione e di amicizia e cavalcano per qualche tempo in disparte, intrattenendosi a parlare della dignità dalla Chiesa di Canterbury e dei suoi privilegi ultimamente violati dalla recente coronazione. Enrico II promette una degna riparazione, promettendo il rinnovo solenne del rito per opera dell’Arcivescovo di Canterbury nell’incoronazione del giovane Re congiuntamente con la sua sposa Margarita di Francia. Il primate allora si umilia ai piedi del Re, che a sua volta scende da cavallo. Ritornati poi in mezzo alla folla entusiasta, Enrico II rende a Tommaso Becket la sua pace, offre la sicurezza per la Chiesa di Canterbury di fruire dei suoi possedimenti, nello stato il più favorevole in cui lui li aveva tenuti al principio del suo pontificato e gli promette la restituzione dei diritti della sede primaziale. Egli si separa dall’arcivescovo dopo avere domandato ed ottenuto la sua benedizione.

   ROTTURA DELLA PACE DI FRETEVAL

   Di fatto la pace di Freteval non apporta a Tommaso Becket alcuna delle garanzie per quello che egli è in diritto di esigere: né la previa restituzione di qualcuno almeno dei possedimenti della sua Chiesa, né il bacio della pace, sigillo di una riconciliazione sincera e testimonianza di sicurezza. Non è meno grave il fatto che le due parti si mettono in uno stato di diffidenza, mantenendo le loro rispettive posizioni di distanza. Resta aperta la contesa sulle “costumanze” del Regno chiaramente determinate a Clarendon. Il Re resta deciso, se non ad imporle, per lo meno a garantire l’onore per la corona del regno. Il primate è deciso a difendere l’onore di Dio e della sua dignità. In queste condizioni l’esecuzione delle clausole della pace sta per suscitare le più gravi difficoltà.

   Il Re, a Freteval, aveva mostrato qualche segno di benevolenza nei riguardi di Tommaso Becket, poi egli rapidamente è ricaduto sotto l’influenza dei consiglieri più facinorosi attaccati alla lettera alle Costituzioni di Clarendon, soprattutto per le più ostili al primate. Questa influenza si esercita più direttamente ancora sul figlio suo, Enrico il giovane, allora luogotenente generale del Regno d’Inghilterra. Così accade che Erberto di Baham, delegato da Tommaso Becket per riprendere i possedimenti del patrimonio della Chiesa, si scontra contro la evidente cattiva volontà degli ufficiali del Re.

   Le rendite dell’Archidiocesi di Canterbury erano poste sotto sequestro fino alla prossima festa di Natale. L’Arcivescovo di York ed il vescovo di Londra temono le censure del legato al suo ritorno in Inghilterra, non cessano di fare intrighi presso Enrico II affinché imponga a Tommaso, arcivescovo di Canterbury, il rispetto delle costituzioni di Clarendon. Le sanzioni si erano attirate con l’incoronazione del 14 giugno, ed essi cercano di favorire, con le elezioni conformi all’articolo XII delle stesse costituzioni, la promozione delle nomine di vescovi docili al potere del re, per riempire il vuoto che la morte, durante i sei anni d’esilio del presule Tommaso, aveva causato in mezzo ai suoi suffraganei.

   Di fronte a tanti ostacoli accumulati per i raggiri mossi dal re e dal suo clero devoto, l’arcivescovo Tommaso sollecita ed ottiene da Alessandro III altri nuovi poteri molto estesi: la conferma esplicita delle prerogative della sede primaziale di Canterbury, abolendo le usurpazioni fatte dal metropolitano di York; il rinnovo per l’avvenire del mandato in Inghilterra di quanto riconosciutogli e datogli in precedenza; nuovi poteri straordinari di censura dai quali, però,  erano esclusi soltanto il re, la sua consorte e suoi figli. Il Papa gli aveva inviato alcune Bolle che colpivano di sospensione dagli incarichi Ruggero di York e i vescovi colpevoli di aver prestato il loro consenso nella incoronazione di Enrico il giovane e di aver giurato di voler osservare le costumanze del regno per le chiese. Gilberto di Londra e a Jocelin di Salisbury, che erano stati assolti sotto condizione, da una sentenza anteriore di scomunica, sarebbero ricaduti sotto l’anatema.

   Tuttavia, il prelato, pur sapendo che le vigenti nuove misure del re colpiscono tutti coloro che portassero lettere del pontefice, non vuol ritornare in Inghilterra, lasciando senza pubblicazione le bolle pontificie di cui era munito. Doveva renderle pubbliche. Alla vigilia del suo imbarco, egli quindi promulga le sentenze del Papa. La pace fatta a Freterval era viziata sin dal principio dalla simulazione del re per cui le restituzioni dei beni ecclesiastici avrebbero avuto un rinvio senza scadenze. La promulgazione delle censure del pontefice, senza che alcuno si illudesse, era necessaria.

    IL RITORNO DEL PRIMATE IN INGHILTERRA

   Il ritorno del primate Tommaso Becket esiliato diviene una marcia trionfale in mezzo alla folla che l’acclama dovunque al suo passaggio. Da parte loro, il re e i suoi “consigli” manifestano una successione di affronti: inviano Giovanni di Oxford per fargli scorta da Rouen a Sandwich, riempiono la riva dove egli si avvicinava di guardie armate pronte alla violenza; pubblicano l’appello di certi vescovi al pontefice di Roma contro le medesime censure apostoliche; fanno ingiunzione ai Curiali del regno di dover liberare i vescovi dalla scomunica; formulano il rifiuto degli scomunicati di prestare il giuramento usuale già proibito dall’articolo V di Clarendon; proibiscono di accedere a Winchester dove risiedeva Enrico il giovane già coronato; ordinano di confinare il primate nei limiti della propria diocesi, inoltre le vessazioni contro la persona del presule continuano persino nella sua città arcivescovile.

   Mentre il primate d’Inghilterra sopporta tutti questi affronti, i prelati scomunicati e sospesi si affrettano a raggiungere Enrico III in Normandia. Il re, furioso delle censure pontificie che colpivano i vescovi, spinto dal rancore e dal desiderio di vendetta che essi manifestano, per sfogo, arriva a pronunciare certe parole di collera e di odio che armano le braccia degli assassini, persone a lui vicine. L’esclamazione del re è: “Non ci sarà dunque una persona, per sbarazzarmi di questo chierico tracotante?”

   L’ASSASSINIO DI TOMMASO BECKET, 29 dicembre 1170

   Martedì del 29 dicembre, quattro cavalieri, partiti dal contorno del re, arrivano a Canterbury, aiutati da Arnolfo di Broc, che ha messo a loro disposizione una piccola truppa di uomini armati, assieme con il clero di parte regia, pronti al compimento di odiose imprese. Essi penetrano nel palazzo arcivescovile aperto agli ospiti di passaggio ed ai poveri. Dopo aver raggiunta la sala, dove il primate si intratteneva con il clero, essi lo citano in giudizio per avere osato scomunicare i familiari del re, in disprezzo della maestà del re, alla quale egli avrebbe dovuto deferire il giudizio.

   Ne segue una lunga discussione. Infine, spinto dai suoi ministri, l’arcivescovo Tommaso Beckett acconsente a raggiungere la cattedrale, dove i monaci si erano già riuniti per l’ora di vespro. Il presule proibisce che si sbarrino le porte. Così gli aggressori penetrano nel santuario e si sforzano, senza successo, di cacciare fuori l’Arcivescovo che si mantiene fermo, e cade infine sotto i colpi delle loro spade. La scena si è svolta al chiarore delle torce, nel lato nord del transetto della cattedrale, a qualche passo dall’altare dedicato a San Benedetto, senza che possano intervenire i monaci spaventati. Gli assassini, dopo perpetrato il crimine, trovano libero scampo, essendo le porte aperte. Essi, dopo essersi dati al saccheggio in tutti i modi, rapinano le ricchezze del palazzo arcivescovile, e fuggono nella tarda notte. Quando tutto è rientrato nel silenzio, i monaci della Chiesa di Cristo e il clero seppelliscono il corpo del primate Tommaso Beckett in un sarcofago di marmo nella cripta della cattedrale. Tuttavia prima hanno piamente raccolto il prezioso sangue di colui che già considerano come il martire della libertà della Chiesa in Inghilterra e il cui culto non tarda ad espandersi in tutta la Chiesa occidentale.

INTERDETTO SUL DOMINIO CONTINENTALE DEL RE E SULLA SUA PERSONA

   La fine tragica del primate ha commosso il re d’Inghilterra, cosciente di aver suscitato, con le sue parole imprudenti, l’assassinio del 29 dicembre. Soffre per il timore delle censure che egli non può evitare. Alla notizia del martirio dell’arcivescovo di Canterbury, i dignitari del regno di Francia, il re Luigi VII, profondamente indignati, scrivono al Papa per indurlo a punire i colpevoli; e indicano in particolare il re di Inghilterra, l’arcivescovo di York e il vescovo di Londra. L’opinione pubblica carica la coscienza del Plantageneto della più abominevole responsabilità poiché il martire è stato ucciso da persone di fiducia del re. L’assassinio del cardinale inflessibile ha risvolti religiosi e politici in tutta Europa.

   l’arcivescovo di Sens, in virtù del potere ricevuto di legato della sede Apostolica, promulga il 25 gennaio del 1171, l’interdetto sulla terra continentale di dominio di Enrico II, nonostante un intervento dei vescovi di Lisieux e di Evreux con altri di parte regia che, dopo la costernazione dei primi giorni, si sforzano di allontanare le sanzioni spirituali. Contro la promulgazione dell’interdetto, essi interpongono l’appello al Papa al fine di patrocinare la causa del re e quella dei prelati colpiti di scomunica e di sospensione dagli uffici sacerdotali.

   Per l’assassinio del cardinale arcivescovo Tommaso Becket, il 25 marzo, giovedì santo, Alessandro III pronuncia la scomunica generale sugli assassini e su tutti coloro che hanno prestato l’assistenza, il consiglio o dato il consenso al reato. Conferma l’interdetto lanciato da Guglielmo di Sens, e la scomunica del vescovo di Londra e di quello di Salisburgo; la sospensione dell’arcivescovo di York, già promulgate dal primate martirizzato. Il Papa infine colpisce Enrico II, re d’Inghilterra, di interdetto per non entrare nelle chiese.

   La canonizzazione di san Tommaso Becket è celebrata da Alessandro III il 21 febbraio 1173 dichiarandolo “martire del diritto canonico e della Chiesa”. La frequenza dei pellegrinaggi al sepolcro nella cattedrale di Canterbury diviene tale da eguagliare quella al ben noto Santiago de Compostella.

   Il martire san Tommaso Becket rimane una delle figure più rilevanti della Chiesa medievale. Una prestigiosa reliquia si conserva in Italia nella cattedrale di Fermo (FM). Molte le chiese a lui dedicate. La sua iconografia è diffusissima in Inghilterra ed in Europa, con i segni della palma da martire, della spada, del modellino di chiesa, del libro, del razionale e del pastorale.

Posted in Senza categoria | Tagged , | Leave a comment

BELMONTE PICENO ha la chiesa ricostruita dal 1957 dedicata a sant’Anna invocata per maternità e parti. Apporto di Giustina Agostini Sbaffoni.

SANT’ANNA – chiesetta a Belmonte Piceno.FM.

   Giustina Agostini Sbaffoni (1982-1972), donna di preghiera per le tante persone che la frequentavano a Belmonte, nel 1956 cominciò a fare nuova la chiesa di Sant’Anna, la quale è la santa ammirata madre di Maria di Nazaret e nonna di Gesù Cristo, figlio della stessa Maria. Nella devozione cristiana i santi genitori Giacchino ed Anna vengono venerati con la memoria liturgica il 26 luglio. Sono onorati come modelli di santa laboriosità, come intercessori e come compagni del pellegrinaggio dalla terra al cielo. Secondo le esperienze della loro vita sono patroni di particolari condizioni di vita. Così la madre e nonna Sant’Anna è patrona per le maternità nella gestazione, nel buon andamento del parto e nella condizione di essere puerpera, come pure nella cura dei neonati, bambine e bambini. Nell tradizione cattolica, tra le molte immagini che raffigurano S. Anna con la figlia Maria, una è stata dipinta da Leonardo da Vinci ed è esposta al Louvre a Parigi.

   L’antichità di Belmonte si riflette anche sulle lontane origini di questa chiesina ricostruita varie volte, adiacente al bivio delle strade che da Belmonte scendono verso l’Ete. Attualmente nel frontespizio della chiesina stessa i passanti leggono l’epigrafe su marmo come è stata dettata da Giustina, nella seguente poesia di buon auspicio:

O PASSEGGERO SE

 IL DOLORE TI AFFANNA

LA GRAZIA CHE TU VUOI

CHIEDI A SANT’ANNA

   Presso tutti i popoli, anche tra i marchigiani che sono devoti della santa Casa mariana di Loreto, è facilmente riscontrabile quanto valore si dà alla filiazione. Molte donne si recavano a casa di Giustina nelle fasi della loro maternità e lei, con stabile sicurezza, insieme con ciascuna di loro, pregando, invocava il patrocinio di sant’Anna.

   Nel secolo XI a Belmonte erano presenti i monaci benedettini venuti da Farfa che avevano avuto in donazione molti possedimenti terrieri e dal secolo X officiavano la turrita chiesa di Santa Maria in muris, detta popolarmente di san Simone. Essi davano in enfiteusi le aziende agricole curtensi nel territorio Piceno e sui luoghi costruivano edicole e chiesine per seppellire nelle adiacenze i defunti. Questa è l’origine storica della chiesina. Lo stile edilizio era allora di tipo romanico e nel secolo XIV fu completato con modifiche di stile gotico. Quando dopo il 1860 ci fu la confisca delle proprietà ecclesiastiche, questa chiesa finì abbandonata alle intemperie e nel secolo XX i più vecchi vedevano sul luogo due spezzoni di muri inclinati con le tracce delle fondazioni di forma semicircolare d’abside. Tutto attorno si vedevano rovi e sterpi selvatici che ogni anno crescevano e si allargavano verso le strade adiacenti, tanto da doverli tagliare con le roncole a lungo manico, poi bruciarli e per conseguenza i ruderi dei muracci diventavano molto anneriti e tanto brutti che passando vicino di notte, davano un’impressione spettrale.

   Nel 1953, Giustina venne ad abitare con la famiglia del figlio Nello Sbaffoni, presso questa contrada detta di Sant’Anna. Precedentemente lei abitava con i figli e con i nipoti presso la chiesina di santa Maria in Muris, a Belmonte. Lei ed i devoti erano delusi dalla brutta impressione di quei rovi ed erbacce, e seguitando a fare le preghiere a sant’Anna, accolsero l’idea che vi si costruisse una nuova chiesa per questa santa. Un primo schizzo venne in mente all’ingegnere Mario Andrenacci e nei contatti con il muratore Brancozzi Blandino di Grottazzolina, che avrebbe procurato i materiali di edilizia, il figlio Vitaliano che era il tecnico geometra, delineò un disegno di progetto. Ci furono operai volontari per sterrare e fare i manovali. Nel frattempo Giustina riceveva offerte dalle persone che la frequentavano. Le si affiancarono altri collaboratori, tra i primi il figlio Nello. Blandino Brancozzi era il capomastro. L’edificio crebbe in pochi mesi dalle fondazioni al tetto. Furono messe lastre di marmo ad ornare il portale, si costruì il cornicione a corona dell’edificio, con le grondaie laterali, fu eretto l’altare, come si vede tuttora. In seguito si provvide agli intonaci ed alle tinteggiature. Il mastro falegname Angelelli Dino, che teneva il laboratorio nelle vicinanze, creò il tabernacolo, due comodini e due panche, oggetti questi che verso la fine del secolo XX furono restaurati dal fratello Angelelli Renzo. Di fronte all’altare, il quadro raffigurante sant’Anna era una stampa in bianco e nero che dopo circa trent’anni fu sostituito con l’immagine in policromia raffigurante la figlia Maria seduta a leggere la Bibbia sotto la guida materna.

   Interessandosi il parroco don Giuseppe Biondi, si cominciò a celebrarvi la santa Messa e festeggiare la domenica pomeriggio prossima al 26 luglio. Partecipavano le persone del centro urbano e delle vicine contrade. Dopo la liturgia si sostava per una merenda con affettati e bibite. Il senso religioso della patrona delle partorienti era dominante in questa ricorrenza. Culturalmente era un incontro con attenzione alle nonne ed ai nonni, un apprezzamento per l’opera architettonica innovata, una eco del volontariato laborioso, con nuovi apporti di inferriate artistiche.

Il proverbio che subito affiora nella mente di chi pensa a Sant’Anna è il popolarissimo detto:

“Sant’Anna il vero e giusto rimanda”. Purtroppo si verificano sopraffazioni ed atti di bullismo e si diffondono perché i colpevoli di soprusi sanno di poter vegetare nell’impunibilità. Il proverbio fa capire che sant’Anna vuole riportare le giustizia contro le soperchierie. Occorre consapevolezza. E’ un monito a volere un mondo di atti giusti, nelle piccole scelte per vivere la rettitudine anche a costo di sacrifici. Per evitare le sopraffazioni occorre usare impegno nell’individuare i responsabili delle ingiustizie. E’ vero che la giustizia è di Dio che la fa trionfare eternamente. Emanuele Kant diceva che la vita eterna è necessaria affinché ciascuno abbia per sempre il suo. Quando il popolo usa attenzione, alimenta il dovere della certezza della pena. Nessuno si può tirare fuori; non ci debbono essere indifferenti di fronte alle angherie. Anzi quando si esercita l’attenzione per far ravvedere i prepotenti si prevengono i reati tipici della mafia. E sant’Anna lo fa realizzare.

SANT’ ANNA           (testo dialettale)

   Una donna partoriente,

ch’era prorbio miscredente

era impaurita de penà.

   Arrivata l’ora sua,

   con sudori da morire

   lamentava di soffrire.

La mammana la soccorre

perché la febbre è gagliarda

e gli dice: “Iddio te guarda

   che te dia coraggio e calma!

   Qui ce vuole un dottore,

   meglio pure se professore”

Il marito un po’ smarrito

sentenno queste parole,

a Sant’Anna de buon cuore

   se vole raccommannà.

   la grazia se mette a ddomannà:

   “Tu judeme sant’ Anna mia.

Tu sci la mia vera avvocata,

contro la morte scellerata

che non voglio mai ricordà.

   La pora cara mia moglie,

   è straziata da le doglie,

   sarvatela dal pericolo;

sennò perdo matre e figlio.

Prega Dio che la difenne

e per sua grazia risplenne!”

   Dopo che ha fatto ‘sta preghiera

   Sant’Anna buona si ferma,

   ad aiutare quell’inferma.

Il parto riesce molto bene,

e dopo dal letto alzata,

a sant’Anna sua avvocata

   la puerpera va a ringrazià.

co’ le preghiere de Justina.

Preghiera  ai santi Anna e Gioacchino

O santi Anna e Gioacchino, che accoglieste in umiltà e totale disponibilità la chiamata di Dio Padre a generare e allevare la Madre del Salvatore, ottenete anche a noi la grazia della fedeltà alla chiamata divina, per essere strumento dei suoi provvidenziali disegni.
   La vostra protezione sostenga il nostro cammino, ci aiuti a vivere la comunione con la Trinità e a realizzare la missione che il Padre ci ha affidato, proclamando a tutte le genti le meraviglie del suo amore che salva.
Amen.

Posted in Senza categoria | Tagged , | Leave a comment

A SANT’ANGELO IN PONTANO (MC) cultoi e festeggiamenti per San Nicola nativo da questo comune e detto da Polentino dove visse agostianiano.

SAN NICOLA DA TOLENTINO NATO A SANT’ANGELO IN PONTANO DETTO DA TOLOENTINO, FESTEGGIATO PATRONO DEL PAESE NATALE

Testo derivato da uno scritto di Francesco Capponi

   Un cartello stradale nei pressi del centro storico di Sant’Angelo in Pontano dichiara che san Nicola detto da Tolentino è qui nato. Di fatto l’agostiniano san Nicola è santangiolese per le origini sue e della sua famiglia ma è vissuto a lungo nel convento degli Agostiniani Eremitani a Tolentino dove si trova la sua tomba in una splendida chiesa frequentata da molti fedeli devoti. Scrive Francesco Capponi, anch’egli di origine santangiolese che i suoi concittadini hanno sempre professato un culto particolare per il loro Santo patrono e concittadino, di cui sono devotissimi. La festa patronale santangiolese è una tradizione storica derivata dal secolo XV con il processo canonico della beatificazione risalente al 1325. Di fatto da più luoghi venivano i fedeli ad impetrare grazie a Tolentino sulla tomba di questo venerato frate. Dal comune di Sant’Angelo in Pontano partivano pellegrinaggi con protagonisti principali la confraternita del santissimo Sacramento, impegnata nel culto di Gesù Eucaristia e la Compagnia della Buona Morte a servizio dei funerali.

 La festa liturgica del santo ricorre il 10 settembre. Nel 1672 i santangiolesi fecero un pellegrinaggio speciale per impetrare la cessazione della pestilenza che infieriva nel suo paese e che ebbe a cessare. Sorse poi la confraternita di San Nicola. Un altro fatto di tradizione popolare è lo scaturire prodigioso dell’acqua delle Fontanelle, quando Fra’ Nicola che si recava presso il fosso sotto Collechiarino e vi restava a meditare, sentendosi assetato cercò l’acqua e se la vide scaturire in quel punto. Dagli studi del Capponi risulta che presso questa sorgente nel fossato fu costruita nell’anno 1701 un’edicola con l’immagine di san Nicola santangiolese. Nella seconda metà del secolo XX l’edicola è stata rinnovata con un bel sentiero per l’accesso, ad opera del Comitato Permanente Promotore dei Festeggiamenti in onore del Patrono e Concittadino S. Nicola a Sant’Angelo in Pontano. A Sant’Angelo esiste ancora l’edificio che fu costruito come convento dei religiosi Agostiniani con adiacente la chiesa dedicata al loro santo. Quando i re Savoia nel 1866 hanno soppresso i conventi e predato le loro proprietà questi edifici sono diventati di proprietà statale e passati all’uso del Comune che vi fece poi un ricovero per vecchi bisognosi. Il ritorno degli Agostiniani fu instabile.

   Per festeggiare il santo patrono anticamente si facevano due feste, una a maggio, l’altra nel giorno 10 di settembre, data liturgica delle cerimonie religiose. Il Capponi annota che nel 1629 l’arcivescovo fermano Giambattista Rinuccini riscontrò che i ‘festaroli’ santangiolesi spendevano i soldi raccolti tra i concittadini per godersi un loro lauto pranzo.  Nel 1670 il Comune dava 19 scudi <moneta romana> a maggio e altri 50 a settembre. Nel 1878 gli amministratori fecero fare un nuovo reliquiario per la reliquia del santo patrono. Comunque per evitare gli sprechi delle somme accattate dalle famiglie santangiolesi in tali feste dal 1895 si decise di festeggiare ogni tre anni, con il consueto sparo di tonanti. Negli atti scritti risulta che dopo il passaggio delle truppe tedesche nel giugno 1944 nel settembre successivo si fecero pubblici ringraziamenti al celeste protettore e nella ricorrenza del VII centenario della nascita di San Nicola nel 1945 si restaurò la chiesa a lui dedicata e da Tolentino fu portato a Sant’Angelo il corpo del santo con solenni festeggiamenti.

Un’altra tradizione di tipo folclorico, vigente nel secolo XX, fu la festa dei carri che dalla campagna portavano a fine luglio i carichi di covoni di grano da trebbiare per le spese dei festeggiamenti. Allora, come ricorda il Capponi, la banda cittadina e numerosi suonatori d’organetto e di cembalo rallegravano la festa. Dopo il saluto delle Autorità e la benedizione del tolentinate Priore agostiniano di S. Nicola, la festa continuava con i canti a ‘batòcchi e lu sardaréllu’. Decaduta questa usanza si cominciò a raccogliere il grano già trebbiato e confezionato in sacchetti di carta, portanti a stampa la scritta Comitato S. Nicola. Usanza anche questa decaduta nel secolo XX. Resta il Comitato. Il corpo del santo di origine santangiolese fu portato da Tolentino al paese nativo dopo il 1932, nel 1945 e di nuovo nel 1976, nel1986, nel 1995 (partecipe il cardinal Tonini), nel 2000 e nel 2015.

                                                          NOTE per ulteriori consultazioni

 CAPPONI Francesco, “Notizie storiche sulle manifestazioni del culto di San Nicola e sulle feste patronali a Sant’Angerlo in Pontano”, in «Quaderni dell’archivio storico arcivescovile di Fermo» n. 22 anno 1996, pp 81ss

CAPPONI, F. “Gli Agostiniani a Sant’Angelo in Pontano e fra’ Nicola Giovannetti Priore Generale “. Falerone 1996 – libro

Archivio Parrocchiale di Sant’Angelo in Pontano. Registri della Compagnia della Morte.

Archivio di Stato di Roma, Congregazione del Buon Governo, Serie II, Atti per luoghi, S. Angelo di Fermo – anni 1633-1770, vol. 4103, 4105, 4106 e, Serie II, Visite e relazioni sullo stato delle comunità, vol. 919, c. 120.

Archivio Comunale di Sant’ Angelo in Pontano, Delibere del Consiglio Comunale: anno 1895 e altri

La Torre – Bollettino Parrocchiale – S. Angelo in Pontano, a Macerata.

Bollettino del santuario di S. Nicola di Tolentino, 1945, pp. 22-27.

Posted in Senza categoria | Tagged , , | Leave a comment